Alberto Cavallari (1927-1998) – Tre sono le letture che s’impongono come principali su Robinson Crusoe: quelle fatte da Rousseau, da Kant, da Marx.

Robinson Crusoe 01

 

«Il vero simbolo della conquista britannica, la profezia dell’impero, è Robinson Crusoe. […] È il vero prototipo del colonizzatore britannico». James Joyce, Conferenza di Trieste, 1913

 

 

Robinson Crusoe, Feltrinelli, 1993

Robinson Crusoe, Feltrinelli, 1993


«[…] Generalmente tre sono le letture che s’impongono come principali: quelle fatte da Rousseau, da Kant, da Marx. Certamente Rousseau ha contribuito a fare di Robinson il personaggio-chiave del rapporto tra individuo e società moderna: nell’Emile dichiara che Robinson è il primo libro su cui deve fondarsi la formazione dell’uomo nuovo del ‘700 perché significa “il più felice trattato di educazione naturale”. Per lui la parabola del naufrago che si salva senza l’aiuto dei suoi simili, col solo conforto della ragione e di una Fede puramente deista, è quasi una voce dell’Encyclopédie: mostra un uomo naturalmente buono, che inventa tecniche e arti di sopravvivenza, che si allea a un altro uomo naturalmente buono, il selvaggio Venerdì. Ma Kant va più in là: nelle sue Congetture sull’origine della storia del 1786 fa di Robinson un simbolo dell’etica progressista: perché significa l’uomo moderno nostalgico d’inesistenti età dell’oro, d’impossibili ritorni alla vita naturale, però cosciente d’aver messo in moto lui stesso un processo di civilizzazione che gl’impedisce di rientrare nell’antico stato d’innocenza; un uomo consapevole che l’innocenza non può bastargli, che lui stesso non la desidera veramente, e così rispecchia le vere caratteristiche della natura umana e del percorso umano “che va dal peggio al meglio, non dal bene al male”. Quanto a Marx, che ne scrive nell’Introduzione alla critica dell’economia politica e nel Capitale, Robinson, il “sobrio Robinson”, ha tutte le caratteristiche del borghese del ‘700. è un uomo che dice di credere (come gli economisti pre-marxisti) alla Provvidenza, alla “mano invisibile”, ai meccanismi naturali del processo produttivo, come se il mondo fosse uguale nelle società primitive e in quelle moderne. Ma in effetti poi mostra che nelle società moderne anche l’individuo isolato agisce all’interno di una società nella quale i rapporti sociali s’incrociano con la cosiddetta natura. Infatti  in Robinson isolamento e dipendenza  dalla società si sovrappongono.  Nell’isola deserta egli diventa imprenditore di se stesso: “salva dal naufragio orologio, libro mastro, penna e calamaio, e comincia da buon inglese a tenere la contabilità della vita, persino della Provvidenza” […]».

Alberto Cavallari, nel suo saggio introduttivo «L’isola della modernità» alla edizione del Robinson Crusoe di Daniel Defoe da lui tradotta per Feltrinelli (Milano, 1993, pp. 13-14, 17-19).

 

Stampa originale del 1719 del libro Robinson Crusoe, di Daniel De Foe

Stampa originale del 1719 del libro Robinson Crusoe, di Daniel De Foe


Che ne pensava Karl Marx

Karl Marx commentò per la prima volta Robinson Crusoe in due scritti giovanili, La miseria della filosofia e i Grundrisse, pubblicati postumi. Nel primo, Marx critica Robinson sostenendo che si tratta di un eremita che produce solo per sé e che quindi non può rappresentare veramente il processo di produzione che interpreta come un fatto essenzialmente sociale. Ma nei Grundrisse, riprende la discussione in modo più completo, insistendo che «il cacciatore e il pescatore isolati da cui partono Smith e Ricardo» non appartengono al Robinson originale di Defoe ma «alle poco fantasiose riscritture delle storie di Robinson Crusoe [Robinsonaden]». Quindi per Marx le Robinsonate degli specialisti dell’economia sono fuorvianti; non così invece il romanzo originale di Defoe. Come scrive S. S. Prawer, La biblooteca di Marx, Garzanti: «Marx in verità attacca ‘il mito di Robinson Crusoe’ e non il libro in sé». Questo appare ancora più chiaramente nella discussione più esauriente e dettagliata che Marx fa di Robinson nel primo libro del Capitale: «Poiché l’economia politica predilige le robinsonate evochiamo per primo Robinson nella sua isola […] ha tuttavia bisogni di vario genere da soddisfare, e quindi deve compiere lavori utili di vario genere, deve fare strumenti, fabbricare mobili, addomesticare capre, pescare, cacciare ecc. Qui non parliamo delle preghiere e simili, poiché il nostro Robinson ci prende il suo gusto e considera tali attività come ricreazione. Nonostante la differenza fra le sue funzioni produttive egli sa che esse sono soltanto differenti forme di operosità dello stesso Robinson, e dunque modi differenti di lavoro umano […]. Il nostro Robinson che ha salvato dal naufragio orologio, libro mastro, penna e calamaio, comincia da buon inglese a tenere la contabilità di se stesso. Il suo inventario contiene un elenco degli oggetti d’uso che possiede, delle diverse operazioni richieste per la loro produzione, e infine del tempo di lavoro che gli costano in media determinate quantità di questi diversi prodotti. Tutte le relazioni fra Robinson e le cose che costituiscono la ricchezza che egli stesso s’è creata sono qui tanto semplici e trasparenti, che (è possibile) capirle senza particolare sforzo mentale. Eppure, vi sono contenute tutte le determinazioni essenziali del valore» (K. Marx, Il Capitale, 1970 pp. 108-109).

 



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Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.

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«[…] vi è più finalità e perfezione nelle opere della natura
che in quelle della tecnica».
Aristotele, Le parti degli animali, 639 b20.

 

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«Invero da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque, ma questa particolare creatura da questo seme particolare, né un seme deriva a caso da un corpo qualsiasi. Il seme è dunque principio di formazione di ciò che da esso deriva. Per natura ciò avviene: perché la nascita viene dal seme».

Aristotele, Le parti degli animali, 641 b 26-29.

 

 

Le parti degli animali

Le parti degli animali

 

 

Immagine in evidenza: V. Van Gogh, Il seminatore.

*****

Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.

 



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Antonio Prete – Leggere è far respirare, insieme, l’immaginazione e il pensiero, è custodia dell’interiorità, è un ascolto silenzioso, è fare esperienza del tempo, contro la dissipazione, la distrazione, la spettacolarizzazione.

Antonio Prete 01

«La lettura è un ascolto silenzioso. […] Leggere è legare lettere tra di loro, e allo stesso tempo trasformare la frase in immagine, in paesaggio, in situazione […] tutto vive dinanzi a noi mentre leggiamo. Un mondo accade. […] Leggere è fare esperienza del tempo, della sua estensione: mentre leggiamo, il tempo sembra perdere la sua prima amara qualità, che è quella di essere irreversibile, e infatti quel che è scomparso riappare, quel che più non c’è torna a vivere, e persino ciò che non è ancora accaduto, e ciò che non può mai accadere, ha una presenza, una sua vita. Quel tempo finito può essere attraversato, ci si può soffermare in una stagione, indugiare in una giornata. O in un istante. […] Si può attraversare lo spazio. La lontananza, quando leggiamo, non è schiacciata nella superficie visiva di uno schermo, dando l’illusione del qui e ora, come spesso accade con le tecniche visive della comunicazione, ma è attraversata nella sua profondità: è una lontananza che percorriamo, riempiamo di paesaggi, di oggetti, di figure. E questo perché nella lettura colui che legge non è uno spettatore, ma un soggetto attivo. Il lettore collabora con il farsi della scrittura, la scrittura vive del lettore, con il lettore, dentro i lettori. Gli antichi esegeti medievali dicevano che «la scrittura cresce con i lettori» (scriptura cum legentibus crescit). E questo accade anche quando, invece di fare scorrere le pagine con la mano, tocchiamo con una falange la superficie di un display e seguiamo con gli occhi lo scorrere di un e-book. Le forme del libro possono cambiare, anche smaterializzarsi, farsi elettroniche, fugaci, fragili, vitree, luminose, ma in questo cambiamento di forme il lettore sa che la sostanza interiore dell’ atto che è proprio della lettura non cambia: non cambia il rapporto con la risonanza interiore di quel che leggiamo. Possono tuttavia modificarsi i tempi e i modi e le forme del nostro indugiare su una pagina o su una frase, come cambia il modo di sottolineare, scrivere al margine, annotare. E questa sparizione o anche solo attenuazione è certo amara se osservata dal punto di vista della lettura intesa come collaborazione attiva al divenire di un testo. Dal rotolo di papiro al codice in pergamena alla stampa con caratteri mobili su fogli cartacei, la forma-libro ha intrattenuto con il lettore un rapporto per dir così d’equilibrio: due presenze in dialogo. Per dire di questo dialogo la miniatura prima e poi la pittura hanno molte volte raffigurato lettrici e lettori. O mostrato situazioni in cui la lettura è accadimento e sorgente di nuove azioni. […] La parola letta dà corpo e tremore al desiderio. La poesia, la narrazione, ospitano lungo il tempo e in tutte le lingue lettori e scene di letture, dischiudono da una lettura un’altra lettura, e costruiscono personaggi libreschi, nati da libri e trasformati in libro, primo tra questi don Chisciotte: e alla ricerca di un’idea o di una figura o di un’azione amate in un libro questi personaggi si avventurano nel labirinto della vita. […] E una lettrice, Ludmilla, è personaggio attivo e presenza che muove la macchina narrativa nel più metaletterario dei romanzi di Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore.

Leggere è far respirare, insieme, l’immaginazione e il pensiero. Esercizio più che mai necessario nella nostra epoca: contro la dissipazione e la distrazione. Contro la spettacolarizzazione. Il tempo del leggere è custodia dell’interiorità. O anche, persino, riscoperta della propria interiorità. Agostino racconta nelle Confessioni che quando con altri amici andava a trovare Ambrogio, era colpito dal fatto che costui se ne stesse in silenzio a leggere e non si interrompesse all’arrivo delle visite: a quel silenzio erano invitati anche gli astanti, poiché la lettura, esercizio interiore, era prima e oltre la conversazione, prima e oltre l’incontro.

Proust vedeva nel libro lo strumento offerto al lettore per scorgere quel che forse senza il libro costui non avrebbe potuto scorgere in se stesso. E andava più oltre: “In realtà, ogni lettore, quando legge, è soltanto il lettore di se stesso”, si dice in una pagina del Tempo ritrovato. Ma Barthes, il proustiano Barthes, conclude Critica e verità, del 1966, opponendo al tono assertivo e dichiarativo della critica sovrapposto alla “verità” dell’opera il rapporto di “desiderio” che è proprio del lettore: “Leggere è desiderare l’opera, è voler essere l’opera, è rifiutarsi di replicare l’opera al di fuori di ogni altra parola che non sia quella dell’opera stessa”».

Antonio Prete, Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità, Bollati Boringhieri, 2016, pp. 148-151.

***

 Immagine in evidenza: Antonio Fontanesi, Solitudine, 1875, Musei Civici, Reggio Emilia.

Risvolto di copertina
Dentro di noi custodiamo un cielo nascosto, uno spazio-tempo altrettanto abissale dell'universo che ci sovrasta. Come è accaduto alla volta stellata, gli interni d'anima hanno attratto cosmografi fin dall'antichità: filosofi, scrittori, teologi e poeti hanno scrutato, contemplato, decifrato, versato in parole «fantasticanti e conoscitive» ogni transito di pensieri, ogni orbita di passioni, ogni ellissi del desiderio. Si è via via affinata una lingua per dire la mobilità dell'io e il teatro degli affetti, e si è scoperto nelle profondità della mente il punto di maggiore consonanza con il ritmo vivente del mondo. Questa pienezza di raffigurazione e il suo stesso oggetto - la vita interiore, concentrata nelle proprie fantasmagorie, ma anche persa in lontananze e silenzi siderali - rischiano oggi di smarrirsi, vittime dello spossessamento di sé indotto dalla seduzione della vicinanza virtuale e dal frastuono della comunicazione. In controtendenza rispetto ai tempi, Antonio Prete compie qui un prezioso gesto di restituzione. Mette la sua maestria di comparatista al servizio di una materia sconfinata, prelevandovi con levità figure tematiche e passaggi salienti, da Agostino a Joyce, da Montaigne a Proust a Calvino, e cedendo spesso il passo agli amatissimi Leopardi e Baudelaire. Sono tutti loro, insieme con gli artisti che nell'autoritratto hanno sfidato l'irrappresentabile, a costruire idealmente una «grammatica dell'interiorità», dove troviamo declinate le eterne forme del sentire, amorose o meditative, gioiose o dolenti, stupefatte o rammemoranti. Senza attingere a quel lessico, non potremmo neppure riconoscere ciò che ci accade dentro

 

 



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Riccardo Chiaradonna – «Cuore, sangue e cervello» è insieme una ricerca sulle teorie mediche antiche e sui loro fondamenti metodologici. ed epistemologici

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Coperta 148

Paola Manuli – Mario Vegetti

Cuore, sangue e cervello

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In copertina: Asclepio cura un malato, rilievo in marmo, V secolo a.C.

***

«[…] l’opera non si limita a ricostruire i diversi atteggiamenti del pensiero scientifico antico in merito al problema di inquadrare la parte egemonica del complesso psicosomatico. Questo scopo è perseguito attraverso uno “sforzo intelligente e sistematico di integrare questi atteggiamenti all’interno di una serie di veri e propri paradigmi epistemologici”. Proprio su questo aspetto ci si soffermerà nella presente recensione […]» [Leggi l’integrale testo della recensione nel PDF allegato qui sotto].

Riccardo Chiaradonna

 

 

Riccardo Chiaradonna,
recensione a
Cuore, sangue e cervello

 

 

Asclepio cura, b e n

 

La recensione è stata già pubblicata sulla rivista «Elenchos», Fas. 1, 2010, pp. 155-162 [Bibliopolis, Edizioni di filosofia e scienze], e ripresentata anche dalla rivista «Magazzino di Filosofia».


Pubblicazioni di Riccardo Chiaradonna


Alcuni libri di Riccardo Chiaradonna

 

Il platonismo e le scienze, Carocci

Il platonismo e le scienze, Carocci

 

Plotino, Carocci

Plotino, Carocci

 

Storia della filosofia antica, Carocci

Storia della filosofia antica, Carocci

 

Filosofia tardoantica, Carocci

Filosofia tardoantica, Carocci



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Lorenzo Tibaldo – Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

Sacco e Vanzetti 01

Io voglio

«[…] Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei ad un cane o ad un serpente, alla più miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un’altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di più per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora. Ho finito. Grazie» (discorso in tribunale di Bartolomeo Vanzetti, 19 asprile 1927)

«[…] possono bruciare i nostri corpi, non possono distruggere le nostre idee. Esse rimangono per i giovani del futuro, per i giovani come te. Ricorda, figlio mio, la felicità dei giochi … non tenerla tutta per te… Cerca di comprendere con umiltà il prossimo, aiuta il debole, aiuta quelli che piangono, aiuta il perseguitato, l’oppresso: loro sono i tuoi migliori amici» (dall’ultima lettera di Nicola Sacco al figlio Dante, 1927).


Sotto un cielo stellato

Lorenzo Tibaldo

Sotto un cielo stellato

Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti

 

Claudiana, pp. 274, 2008.

logo Claudiana

«La vecchia locomotiva 870 CN, che traina i suoi vagoni omnibus, con uno sbuffo di fumo nero, si accosta alla stazione, proveniente dalla tratta Airasca-Cuneo. Le ruote, durante la frenata, mandano intorno uno sbuffo di scintille in una mattinata che fatica a nascere. Sono le 8.15 di un tetro venerdì; è il 14 ottobre 1927: il grigio cielo autunnale, una cappa plumbea e uggiosa, sembra fare da corona alla mesta cerimonia che fra poco si terrà nella stazione di Villafalletto, piccolo paese rurale della provincia di Cuneo.
Dal carro merci, staccato dal resto del convoglio, scendono il commissario Brunetti, un tenente della milizia e quattro militi in borghese. Ad attenderli c’è il questore di Cuneo, Giustiniani. Il carro è aperto: non scende un pericoloso criminale, scortato con solerzia, ma vi campeggia un piccolo involucro, “una cassetta umilissima, di quelle che servono per imballaggio delle merci e sulle pareti della quale, infatti, si leggeva il nome di una grande fabbrica francese di cioccolato”.
Un manovale fa saltare la ceralacca che ferma il nodo della cordicella che la avvolge, con sopra il timbro della città francese di Cherbourg. Sollevato il coperchio, appare, fra i trucioli, avvolta in carta celeste, un’urna metallica simile al bossolo di un proiettile di artiglieria.
L’urna contiene le ceneri di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, i due anarchici italiani giustiziati in agosto a Boston. Le ceneri sono state mischiate in America, per unire anche dopo la morte i due amici, e portate a Villafalletto da Luigina Vanzetti, la sorella maggiore di Bartolomeo, che è stata vicina al fratello fino al momento della sua morte» (p. 11) [si può continuare a leggere l’incipit (pp. 11-27) nel PDF allegato].

Lorenzo Tibaldo, Sotto un cielo stellato.

 

Incipit
di
Sotto un cielo stellato.pdf

 

Risvolto di copertina
La drammatica vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti – i due anarchici italiani assassinati sulla sedia elettrica nell'agosto 1927 – è qui ricostruita con l'ausilio di fonti inedite che contribuiscono a delineare compiutamente il quadro storico dell'America di quegli anni, il processo-farsa e il significato che la tragedia dei due amici assunse nella memoria collettiva. Accanto ai temi dell'emigrazione, del razzismo, dell'intolleranza politica e della pena di morte, senza dimenticare la posizione di Mussolini e del fascismo, Tibaldo fa emergere, con un'attenta analisi delle lettere, le personalità dei due anarchici: i loro affetti, le speranze, i timori e la determinazione a difendere fino in fondo la propria innocenza e le proprie idee.
Indice

Introduzione di Giuliano Montaldo / Ringraziamenti / Nota per il lettore  / Premessa / I. Un plumbeo mattino d’autunno / II. Il paese di bengodi / III. Il lessico della libertà / V. America violenta / VI. Il pericolo rosso / VII. Una serata di maggio / VIII. Carissimo padre / IX. Il processo di Dedham / X. Il mio Natale / XI. Quei famosi proiettili / XII. Sono un ribelle / XIII. La confessione di Madeiros / XIV. Sotto un cielo stellato / XV. Viva l’anarchia!
XVI. La storia e la memoria / Bibliografia Indice dei nomi / Indice dei luoghi

 

 

SaccoVanzetti

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Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti

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Antri libri di Lorenzo Tibaldo

 

 

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il viandante-della-libertò. Jacopo Lombardini

 

 

La rosa bianca

La rosa bianca. Giovani contro Hitler

 

Lettereb e scritti dal carcere

Sacco e Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere

 



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Ricardo Piglia (1941-2017) – Ernesto Che Guevara è colui che persevera nella decifrazione dei segni, è la pura espressione della costruzione del senso, sostenitore della pedagogia sempre, fino all’ultimo respiro: “Yo sé leer”, “Io so leggere”.

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Una straordinaria immagine di Guevara in Bolivia:
si è arrampicato su un albero e legge.

***

«Le mie fondamentali debolezze: il tabacco e la lettura».

E. Che Guevara

«Guevara non propone niente che non faccia lui stesso […] non comanda agli altri di fare ciò che egli sostiene. Questa è una differenza essenziale, la differenza che lo ha fatto diventare quello che è. Un  uomo che paga con la vita la fedeltà a quello che pensa. […] E quello che propone come esempio, quello che trasmette come esperienza, è la propria vita.
Parallelamente, persiste in Guevara ciò che ho chiamato la figura del lettore. Colui che rimane isolato […], contrapposto al politico. Il lettore come colui che persevera, pacifico, nella decifrazione dei segni. Colui che costruisce il senso nell’isolamento e nella solitudine. Fuori da ogni contesto, in mezzo a ogni situazione, risoluto nella sua determinazione. Intransigente, pedagogo di se stesso e di tutti, non perde mai la convinzione assoluta della verità che ha decifrato. Una figura estrema dell’intellettuale come rappresentante puro della costruzione del senso (o, comunque sia, di un certo modo di costruire il senso).
E nell’ epilogo di Guevara le due figure tornano a unirsi, perché sono indissolubili sin dal principio. C’è una scena che costituisce quasi un’allegoria: l’ultima notte prima di essere assassinato, Guevara la trascorre nella scuoletta di La Higuera. L’unica persona ad avere un atteggiamento compassionevole nei suoi confronti è la maestra del posto, Julia Cortés, che gli porta un piatto di stufato preparato da sua madre. Quando entra, il Che è sdraiato, ferito, sul pavimento dell’aula. In quel momento – e queste sono le sue ultime parole – Guevara indica alla maestra una frase scritta alla lavagna, e le dice che è mal scritta, che c’è un errore […]: “Manca l’accento”. Fa questa piccola osservazione alla maestra. La pedagogia sempre, fino all’ultimo.
La frase (scritta sulla lavagna della scuoletta di La Higuera) è “Yo sé leer”, lo so leggere. Che sia questa la frase, che nell’epilogo della sua vita l’ultima cosa che Guevara nota sia una frase legata alla lettura, è come un oracolo […]» (pp. 122-123)

Ricardo Piglia, L’ultimo lettore, Feltrinelli, 2007.


Guevara legge

Guevara legge


Guevara legge e fuma

Guevara legge e fuma


Autoritratto di Guevara in Thailandia, 1964

Autoritratto di Guevara in Thailandia, 1964


Guevara-legge Goethe

Guevara legge Goethe


La scuola di La Higuera, dove Guevara fu assassinato il 9 ottobre 1967

La scuola di La Higuera, dove Guevara fu assassinato il 9 ottobre 1967


 

 

Ultima pagina del Diario di Guevara in Bolivia

Ultima pagina del Diario di Guevara in Bolivia del 7-10-1967

 


Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Ha più valore, un milione di volte, la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra.
Ernesto Che Guevara (1928-1967) – 1951 … adesso sapevo che io starò con il popolo. E preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido del proletariato.
Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. L’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo.

 



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Simone Weil (1909-1943) – L’amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. È puro quel che è sottratto alla forza.

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«L’amicizia è il miracolo grazie al quale
un essere umano accetta di guardare
a distasnza e senza avvicinarsi
quello stesso essere che gli è necessario
come nutrimento».

Simone Weil, 1942

«L’amicizia è per me un bene incomparabile,
senza misura, una sorgente divita,
non in senso metaforico ma letterale».

Simone Weil, 1947

 

 

Quaderni, vol. I

Quaderni, vol. I

«L’amicizia non ammette di essere disgiunta dalla realtà, non più che il bello. Essa costituisce un miracolo, come il bello. E il miracolo cosiste semplicemente nel fatto che essa esiste».

S. Weil, Quaderni, I, Adelphi, 1982, p. 157.

 

 

Quaderni vol. III

Quaderni, vol. III

«Occitania, Grecia, civiltà senza adorazione della forza. Perché per esse la temporalità è un ponte. E inoltre non cercano l’intensità negli stati d’animo, ma amano la purezza dei sentimenti. È puro quel che è sottratto alla forza. L’amore era per loro puro desiderio».

S. Weil, Quaderni, III, Adelphi, 1988, p. 142.


Simone Weil (1909-1943) – Silenzi che educano l’intelligenza
Simone Weil, «Oppressione e libertà», Orthotes Editrice, 2015
Simone Weill (1909-1943) – Trovare uomini che amino la verità
Simone Weil (1909-1943) – Il desiderio di luce produce luce: un tesoro che nulla al mondo ci può sottrarre.
Simone Weil (1909-1943) – Un regime inumano, lungi dal forgiare esseri capaci di edificare una società umana, modella a sua immagine tutti coloro che gli sono sottomessi.
Simone Weil (1909-1943) – Dove il pensiero non ha posto, non ne hanno né la giustizia né la prudenza. Le nostre idee di limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero determinare la condotta di vita, ormai hanno solo un impiego servile nella tecnica. Noi siamo geometri soltanto davanti alla materia. I Greci furono geometri innanzitutto nell’apprendimento della virtù.

 

 



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Giulio Angioni (1939-2017) – Quando non si saprà … tu forse lo saprai che qui e ora sei.

Angioni Giulio
Quando non si saprà
di te che sarai stato,
dell’albero che un giorno avrai piantato
in terra smemorata
e la parola d’aria respirata
sarà altra cosa in chissà quale stato
tu forse lo saprai
che qui e ora sei.
Giulio Angioni, 2017

 


Layout 1

Doppio cielo

 

Cop Angioni

Fare, dire, sentire

Il dito alzato

Il dito alzato

Le fiamme di Toledo

Le fiamme di Toledo

 

 

Pratiche e saperi

Pratiche e saperi

 

Sulla faccia della terra

Sulla faccia della terra

 

L'oro di Fraus

L’oro di Fraus


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Chiara Fiorillo – Memory’s fligt. Il volo della memoria

Chiara Fiorillo

Memory’s fligt

Il volo della memoria

*

They were men before;

 they were something before.

Then they became nothing,

so with no fearless, they were waiting for death.

To live there you have to believe your future,

because where there’s hope, there’s life.

They were sorrounded by barbed wire,

so they couldn’t fly away.

I wonder why it happened,

but inside me the answer is silence.

We’re all equal,

we’re all different,

but there isn’t a perfect race!

“Losing the past means losing the future”,

so you must remember what happened.

*

Chiara Fiorillo, III F, Scuola Media “Cino da Pistoia”, Pistoia.

 


 

Klee spirito di una lettera_c

Immagine in evidenza: Paul Klee, Geist eines Briefes [Spirito di una lettera],1937.


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Franco Toscani – Il filosofo e le Muse. La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”-

Franco Toscani 06

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MusesThorvaldsenANGBerlin-672x359-2Franco Toscani

Il filosofo e le Muse

La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”

 

È noto che l’Accademia platonica, come θίασος (associazione cultuale al servizio delle Muse), fu consacrata al culto di Apollo e delle Muse e che al suo interno si trovava un altare dedicato alle Muse. Nonostante le sue perplessità e ben note posizioni sulla poesia e sull’arte, Platone istituisce un fecondo rapporto tra il filosofo e le Muse. Nel Cratilo (406 a 3-5) leggiamo che il nome stesso alle Mοῦσαι (Muse) e alla μουσική (musica) sembra derivare dal μῶσθαι (aspirare, cercare) proprio della ricerca e della filosofia. Nella Repubblica (VIII, 548 b8-c1) la “vera Musa”, quella da non trascurare, sempre “si accompagna ai discorsi e alla filosofia”. [… Leggi tutto nel PDF allegato qui sotto]


Fedro

Il filosofo è devoto alle Muse,
amante della bellezza, dedito all’amore, al pensiero e al sapere.


De Lampade

«in Musarum curia alumnus» (“un allievo alle cure delle Muse”),
G. Bruno, De lampade combinatoria lulliana (1587).


Logo Adobe AcrobatFranco Toscani, Il filosofo e le Muse


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Lachete

repubblica7

fedone

 

 


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