Giorgio Morandi (1890-1964) – Ritrovare il significato delle cose per ricominciare a guardare le cose. Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose.

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La città di Morandi

La città di Morandi

***

«Esprimere ciò che è nella natura, cioè nel mondo visibile, è la cosa che maggiormente mi interessa. […] Ciò che noi vediamo, credo sia creazione, invenzione dell’artista, qualora egli sia capace di far cadere quei diaframmi, cioè quelle immagini convenzionali che si frappongono tra lui e le cose. […] Ritrovare le ragioni per riguardare le cose da un punto di vista formale, ritrovare il significato delle cose per ricominciare a guardare le cose. […] Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose».

Giorgio Morandi, intervista per The Voice of America, 25 aprile 1957, cit. in R. Renzi, La città di Morandi, Cappelli, Bologna 1989, pp. 113-114.

***

Giorgio Morandi, Autoritratto, 1925

Giorgio Morandi, Autoritratto, 1925

 

 

Fiori

Fiori

 

Natura morta, 1941

Natura morta, 1941


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Claudio Parmiggiani – Occorre proteggere, salvare tutto ciò che resta, tutto ciò che resiste del mondo spirituale. La memoria non significa passato, ma pensiero. Nessuna opera regge se dentro di sé non ha tutto il pathos e tutta la sofferenza dell’autore.

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«Come non mai oggi occorre proteggere,
salvare tutto ciò che resta,
tutto ciò che resiste del mondo spirituale.
Nell'infanzia del tempo l'arte fu preghiera.
Poco è rimasto di quella infinita bellezza.
Oggi non crediamo più in niente:
questo è il nostro terribile oggi».

C. Parmiggiani

***

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Incipit

C. Parmiggiani, Incipit.

«Ho imparato a conoscere il colore del sangue prima che i colori a olio. Sono nato a Luzzara, in una casa di via Lino Soragna. Molta parte della mia infanzia è trascorsa nella lontananza della campagna, in una casa rossa, isolatissima. Una casa politica, una sorta di direzione strategica del Partito comunista dove, nell’immediato dopoguerra, al lume di lampade a petrolio, si organizzavano interminabili riunioni notturne. […] Da quel luogo ho ricevuto il miglior insegnamento in pittura. Di notte, lungo i canali stellati, l’acqua lenta, cullando la malinconica luna, alimentava il fuoco assoluto. [ … ] Conservo di quei luoghi il ricordo di lente e nere barche e uomini come ombre che trasportavano sabbia e nebbia. Quelle ombre sono il mio simbolo, gli spiriti fluttuanti che hanno assunto nella mente l’immutabile aspetto dell’anima. Ombre così lontane da trasmutarsi in tutto e in nulla. Altro
non ho fatto, nel corso degli anni, nel cercare di dare un senso e un’immagine a quel nulla. Tutto quello che in seguito è apparso nelle mie opere proviene da quelle prime, decisive, incancellabili immagini che sono poi, davvero, le sole che contino e che nascono dall’emozione, vera sorgente dell’arte».

C. Parmiggiani, Incipit, Umberto Allemandi & C., Torino 2008, pp. IX.X.

Quarta di copertina

Un percorso a ritroso nel tempo, fino ad arrivare agli anni cinquanta del Novecento, quando il fotografo Paul Strand giunge a Luzzara, dove Claudio Parmiggiani è nato, per scattare fotografie che documentano la vita del paese, gli scorci, i volti, i mestieri. Immagini apparse nel libro Un paese, con il commento di Cesare Zavattini, edito da Einaudi nel 1955. Nella Didascalia Parmiggiani racconta con prosa poetica ed evocativa i suoi ricordi e spiega: «unicamente in ragione di una loro autentica comunione, senza alcun ordine né cronologia, come materia fluente, ho così accostato immagini di mie opere nate nel tempo, ad altre di quel libro, osservandole controluce, in filigrana, fino ad intravedere riflessa nel fondo di ognuna la luce dell’altra»


Stella sangue spirito

Stella sangue spirito

«Prerisco il silenzio al suono, alle parole e ai suoni preferisco le immagini perché sono silenziose.
[…] Un’opera deve essere come un pugno nello stomaco. Silenziosa ma dura, dura ma silenziosa, come un fuoco sotto la cenere. […] Il silenzio per me è un materiale dell’opera, una materia. Il silenzio è una forma di eloquenza. Un’opera non vive di silenzio ma dentro il suo silenzio.
[…] Personalmente provo quel fastidio che si ha di fronte a un qualcosa di troppo ideologizzato e che sembra scambiare la vita per un processo logico. Una pratica dove è bandita una delle parole che danno senso all’arte: Pathos, vena sotterranea che non si estingue.
[…] La memoria non significa passato ma pensiero. Mettere a contatto forme lontane, nel tempo e nella mente, far incontrare un tempo con un altro tempo, creare dei cortocircuiti; un’altra idea di tempo
[…] L’alfabeto della pittura non appartiene né alla parola né al pensiero logico. L’arte non ha bisogno di alcuna risposta: è una domanda che vuol restare tale.
[…] Tutta l’arte è in relazione con il tragico, con la morte. Vita e morte. È dentro questa circolarità, dentro questa essenza, che si costituisce qualsia pensiero umano, qualsiasi opera. Il tragico è in sentimento, una presenza che non può, non dovrebbe mai venir meno in un’opera»

C. Parmiggiani, Stella sangue spirito,
Nuova Pratiche, Parma 1995, p. 38, 108, 170, 174, 192.



Lettere a Luisa

Lettere a Luisa

«Tutta l’arte vera è tragica e si nutre di questo sentimento. Nessuna opera regge se dentro di sé non ha tutto il pathos e tutta la sofferenza dell’autore».

C. Parmiggiani, Lettere a Luisa,
Magonza, Arezzo 2016, pp. 76.


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Marco Perroni – … il libro è finito … l’angelo se n’è andato promettendomi un ritorno: «Non barattarlo mai, l’incanto che …».

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Nell’ottobre del 2001 insieme al mio amico Antonio, tra bicchieri di rosso, è nata l’idea di creare un libro che non avesse la forma del catalogo d’arte. Gli spunti sono stati tanti e, muovendomi in completa libertà, ne è risultato una sorta di mio diario suddiviso in trentasette giorni e in trentanove notti vissuti tra città, campagna e mare. Ho ritratto amici, amori svaniti, il bello e il triste che i miei occhi hanno visto nelle persone più diverse: i senza tetto dei portici della città in cui vivo, uomini e donne con la fragilità disegnata sui propri volti, i prepotenti, gli allegri, i buffoni, gli autoconvinti padroni del mondo, i violenti e le persone ancora incantate … Ho rivolto il mio sguardo anche agli animali che si rivelano un mio rifugio per quando l’uomo mi stanca. Questo è un libro realizzato per me stesso e soprattutto per i tanti amici.

Notturni d'inchiostro e giorni tinti

M. Perroni, Notturni d’inchiostro e giorni tinti

01Sante, 2001. Puntasecca su rame.

Sante Notarnicola, 2001.

… ovviamente è stato di notte che l’ho conosciuto …

***

02L'irregolare, 2001. Puntasecca su zinco

L’irregolare, 2001.

… sentivo cigolare qualcosa dietro quell’angolo …

***

03 Mia camminata, 2001. Linoleografia

Mia camminata, 2001.

… sessantatré scalini e poi fuori dal portone il freddo.
Amo il silenzio, ma quello di questa notte mi crea disagio.
Le nostalgie mi si aggrappano addosso: non c’è più neanche quel cane
che abbaiava mentre lei mi parlava …

***

04 Gli insabbiati, 2001. Acrilico su carta.

Gli insabbiati, 2001.

… tre razzisti discutevano animatamente,
mentre il terreno sotto di loro si faceva morbido …

***

05 Incomprensione, 2001. Tecnica mista su carta

Incomprensione, 2001.

… oggi quei due nel tentativo di comunicare non si capivano:
era così forte il vento che le loro parole venivano respinte dentro …

***

06 Due mimi. Tempera su carta

Due mimi, 2001.

… li avevo incontrati poco prima in piazza durante la loro esibizione …



Rufoism (Marco Perroni)

Nato a Cantù nel 1970, vive, disegna e suona a Bologna. Nel 1993 inizia a collaborare con la Galleria Poleschi Arte di Lucca e Milano. Nel 1999 espone al Teatro Massimo di Palermo e, a distanza di pochi mesi, nella galleria Arte in cornice di Torino. Nel 2004 sigla un rapporto di collaborazione con la Galleria Montrasio di Milano e Monza. Nel 2007 tiene una personale, ricca di tempere e acquerelli su carta nella sede storica della Galleria Montrasio in via Brera a Milano. Nello stesso anno, insieme all’amico pittore Nicola Villa, si trasferisce a New York nell’ambito del progetto “Harlem Studio Fellowship” ideato da Raffaele Bedarida e da Ruggero Montrasio. Nel 2010 è protagonista di una grande personale, “Bestiario Umano”, allestita al Palazzo del Broletto di Como. Il “Piccolo Bestiario Umano” viene presentato alla Galleria il Punto di Bologna. Nel 2014 espone alla Galleria Morone di Milano nell’ambito della collettiva dal titolo “Muse inquietanti ritratte da uomini inquieti”. A ottobre del 2015 tiene una personale nell’Harlem Room di Montrasio Arte a Milano dove presenta disegni digitali, creati con tavoletta grafica, stampati su carta e ritoccati a mano con colori a tempera. Fra le mostre collettive, si segnala la partecipazione, nel 1998, a “Omaggi a Giorgio Morandi” (Grizzana) e “Grandi Formati” alla Galleria Poleschi (Milano); nel 2002 “Il Cuore: Arte, Scienza e tecnologia”, alla Fondazione Antonio Mazzotta (Milano); nel 2007 alla rassegna “SerrOne: Biennale Giovani”, presso il Serrone della Villa Reale (Monza) dove vince il premio acquisto della giuria; nel 2008 alla XXIV Rassegna Internazionale Giovanni Segantini (Nova Milanese); nel 2009 figura in “44 Gatti d’autore”, a Ca’ la Ghironda (Bologna). Nel 2012 espone a Scope Art Basel, con la galleria Oltre Dimore. È presente ad Artefiera Bologna, ad Artissima Torino e al Miart di Milano per numerose edizioni, dal 1995 in avanti. Nella primavera del 2016 si terrà una personale a Innsbruck nella Project Room della galleria Km0. Hanno scritto di lui, fra gli altri, Enrico Mascelloni, Dino Carlesi, Nicola Miceli, Chiara Gatti e Marco Mancassola. Nel 2011 è segnalato, fra gli artisti emergenti, su Art Journal.


Psycodrammi

Una mostra di Marco Perroni
alla GalleriaPiù di Bologna (26-11-2015/22-01-2016)
La locandina della mostra alla GalleriaPiù

La locandina della mostra alla GalleriaPiù

Marco Perroni, in arte Rufoism, presenta alla GALLLERIAPIÙ un ciclo recente di lavori dedicati ai grandi temi dell’esistenza – l’amore, la morte, il destino, la solitudine – tutti riletti in chiave contemporanea, dal suo segno istintivo, graffiante, feroce. Una cinquantina di opere, su carta e su tela, mescolano tecniche diverse, la tempera, la grafite, la matita, la china, il pennarello, l’acquerello, e affrontano, con ironia amara, soggetti di scottante attualità: l’individualismo e l’ordinaria follia, il sesso come antidoto all’abbandono, il conformismo e la provocazione.
È una piccola commedia delle umane debolezze quella che Rufoism mette in scena, in un viaggio nelle tenebre del quotidiano, che ripensa iconografie classiche, come quella medievale del cavaliere, la morte e il diavolo (di matrice düreriana) e motivi ispirati invece all’espressionismo nordico, nei nudi alla Schiele, nei tramonti alla Nolde. C’è sofferenza e insieme riscatto, ossessione di un corpo torturato dal piacere e pace stremata sulle coste di un mare che accoglie, ma non consola.
Il gesto rapido della mano, la commistione fra i linguaggi della pittura figurativa e la nevrosi dell’informale, segnano immagini che commuovo e respingono allo stesso tempo. Come la realtà odierna dei fatti, sospesa in bilico fra aspettative e appagamento. Protagonisti di questo gap ansiogeno sono orde di personaggi in cerca d’autore, battitori liberi, businessman, fumatori, bevitori, modelle, asini e cani, che recitano a soggetto, trascinandosi storie personali, pesanti come macigni.
Spesso, Rufoism ritorna al suo antico bestiario, allegorie di tipi umani nascosti dietro gli occhi vitrei delle civette, fra i denti aguzzi dei caimano, nelle code mozze dei meticci, piccoli come pulci. Donne che hanno corpi di pesci, pesci che hanno corpi di donne nuotano in acque opache. L’erotismo che aleggia nell’aria si taglia col coltello e Rufoism lo seziona come un analista, un investigatore dell’inconscio armato di matita e temperino. Affilatissimo.Un po’ di pace – come sempre accade alle anime inquiete – viene dagli umori della terra e della natura. In certi paesaggi romantici e imprevisti, nei fiori recisi, nel mare che si muove e bagna le caviglie dei suoi villeggianti distratti, Rufoism riscopre il ritmo lento della pittura, che si spande sulle carte assorbenti. Macchie di presenze, spettri, apparizioni, epifanie in non-luoghi della mente, in quel non-nulla che fa la differenza fra attesa e felicità.
Una sezione collaterale della mostra, allestita nella project room della galleria, ospita “Porno Pop”, opere scelte di Rufoism sul tema dell’eros, del corpo e dell’amore senza tabù.

a cura di Chiara Gatti

 

 

 

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Andrea Marcolongo – I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre “come”. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre “quando”.

***

«Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato,
la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola
si afferma il contatto diretto e vario della realtà.
L'ho amata perché quasi tutto quel che gli uomini hanno detto di meglio
è stato detto in greco».
Marguerite Yourcenar



Andrea Marcolongo

La lingua geniale.
9 ragioni per amare il greco

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Laterza, 2016.

 

 

«I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre come. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre quando» (p. 3)

Un piccolo brano

«Il greco antico, grammaticalmente parlando, contava fino a tre: uno, due, due o più. Oltre agli stessi numeri con cui si contano le cose e quindi si misura la vita in italiano, il singolare -io- e il plurale -noi-, la lingua greca conteneva anche un terzo numero: il duale -noi due-. […] Il numero duale non esprimeva una mera somma matematica […] esprimeva invece una entità duplice, uno più uno uguale uno formato da due cose o persone legate tra loro da un’intima connessione. Il duale è il numero del patto, dell’accordo, dell’intesa. È il numero della coppia, per natura, o del farsi coppia, per scelta.
Il duale è allo stesso tempo il numero dell’alleanza e dell’esclusione. Due non è solo la coppia. Due è anche il contrario di uno: è il contrario della solitudine. […] Si tratta di un numero antico, puro. Un modo di dare numericamente senso al mondo. […] Era un numero […] molto umano. […] Ecco la mia personalissima definizione di duale: uno più uno uguale uno formato da due, non semplicemente ‘due’» (pp. 56-59).

Indice

In breve

Innanzitutto questo libro parla di amore: il greco antico è stata la storia più lunga e bella della mia vita. Non importa che sappiate il greco oppure no. Se sì, vi svelerò particolarità di cui al liceo nessuno vi ha parlato, mentre vi tormentavano tra declinazioni e paradigmi. Se no, ma state cominciando a studiarlo, ancora meglio. La vostra curiosità sarà una pagina bianca da riempire. Per tutti, questa lingua nasconde modi di dire che vi faranno sentire a casa, permettendovi di esprimere parole o concetti ai quali pensate ogni giorno, ma che proprio non si possono dire in italiano. Ad esempio, i numeri delle parole erano tre, singolare, plurale e duale – due per gli occhi, due per gli amanti; esisteva un modo verbale per esprimere il desiderio, l’ottativo, e non esisteva il futuro. Insomma, il greco antico era un modo di vedere il mondo, un modo ancora e soprattutto oggi utile e geniale. Non sono previsti esami né compiti in classe: se alla fine della lettura sarò riuscita a coinvolgervi e a rispondere a domande che mai vi eravate posti, se finalmente avrete capito la ragione di tante ore di studio, avrò raggiunto il mio obiettivo.

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Jannis Kounellis – La ripetizione coatta di uno stile porta alla distruzione dell’arte. Occorre trovare dei mezzi per aprire più possibilità di cominicazione.

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[no title] 1999 Jannis Kounellis born 1936 Purchased 2001 http://www.tate.org.uk/art/work/P78427

«[…] la ripetizione coatta di uno stile porta alla distruzione dell’arte. […] Occorre cercare di aprire una cosa fuori da questi muri ossessivi della convenzione. […] Cerchiamo di aprire al linguaggio una via non convenzionale, perché il linguaggio è stereotipato e si stereotipa continuamente con l’uso; allora il nostro compito è questo: trovare dei mezzi per aprire più possibilità di cominicazione.

Jannis Kounellis,
in Odissea lagunare, Sellerio, Palermo 1993, pp. 34, 59.

 

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Paul Cézanne (1839-1906) – Ciò che noi vediamo della natura si dilegua, l’arte deve farcela gustare eterna.

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Tutto quello che noi vediamo si dilegua.
La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare.
La nostra arte deve dare il brivido della sua durata,
deve farcela gustare eterna.

Paul Cézanne, Lettere, SE, Milano, 1985, p. 163.

 

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Domenico Segna – Provvidenza e capitalismo

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Domenico Segna

Provvidenza e capitalismo

Abstract

Il presente saggio, muovendo dalla nota opera di Max Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, dimostra le differenze che intercorrono tra il pensiero dei Riformatori del XVI secolo, in particolar modo di Calvino, con i loro successori del Seicento, i puritani, e con i calvinisti del  Settecento. Costoro, infatti, furono portatori di un’etica borghese e individualistica che, nella sua secolarizzazione, si distinse nettamente dall’etica della gratitudine emersa in ambito calviniano, dando un notevole impulso alla nascita ed allo sviluppo del capitalismo.

    

This essay, moving from the well known work of Max Weber The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism, demonstrates the differences between XVI century Reformers’ thought, in particular Calvin, and their successors of 1600, Puritans, as well as 1700’s Calvinists. In fact the two latter ones have been bearers of a bourgeois and individualistic ethic that, in its secularization, clearly differed from the gratitude ethic emerged within the 1500s Calvin’s entourage, giving a great impulse to the birth and development of capitalism.

Sommario

1. Una forma di razionalità
2. L’«altro cristianesimo»: Lutero
3. Il “fondatore” di una nuova civiltà: Giovanni Calvino
4. Una nuova società, una nuova razionalizzazione

***

«Si tratta di un capitalismo orientato alla produzione, che funziona in base ad aziende, e opera sul mercato. Possiede le caratteristiche seguenti: 1. Capitale fisso, investito nella produzione dei beni da cui dipende la soddisfazione dei bisogni quotidiani delle masse. 2. Mezzi di produzione organizzativi e materiali saldamente appropriati dai possessori di capitale. 3. Conto razionale del capitale orientato a una redditività di lungo periodo, sempre rinnovata. 4. Orientamento alle opportunità (Chancen) che si aprono sul mercato. 5. Organizzazione razionale del lavoro e disciplina della produzione. 6. Tecnologia razionale».1 Cosi lo studioso tedesco Johannes Winckelamann riassume la concezione che il suo conterraneo, Max Weber, ha del modello di produzione capitalistica moderno e che costituisce il proprium del celebre saggio weberiano L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo. È noto, infatti, come Weber, il Marx della borghesia, abbia ricondotto la genesi del capitalismo alle origini stesse del mondo moderno. Facendo questa operazione egli colloca quella genesi in una dimensione storica decisamente fluida laddove ha avuto il suo peso specifico una radicale sovversione della coscienza che l’uomo aveva di sé, della sua esistenza e della sua azione sulla terra.
Il capitalismo, così come si è attuato in Occidente, trova la sua fucina in quel mondo alla cui creazione concorsero più eventi, ad iniziare dalla cultura del Rinascimento, dalla formazione degli stati moderni, per giungere, passando per le esplorazioni geografiche, al metodo sperimentale. Senza, però, dimenticare i colpi di martello che, secondo la tradizione, un monaco agostiniano, certo Martin Lutero, fece risuonare  nella piazza di Wittenberg il 31 ottobre del 1517, allorquando affisse sul portale della cattedrale le 95 Tesi che stigmatizzavano, e stigmatizzano tutt’ora, la falsa coscienza provocata dalle indulgenze. È, dunque, in questo nuovo porsi dell’uomo nel mondo, in questa entrata in scena del soggetto che va cercato ciò che ha più influito in ordine alla comparsa del capitalismo: uno spirito, infatti, lo fa rendere qualcosa di unico che solo in Occidente ha potuto spiegare le ali della sua razionalità. Uno spirito che trova, così vuole la vulgata, la sua ragion d’essere in quell’altro cristianesimo, quello che ebbe come suo epicentro la Ginevra di Giovanni Calvino, la cui Istituzione della Religione Cristiana fu il testo base al quale, a modo loro, si ispirarono, nel ‘600, quei santi che determinarono la prima grande rivoluzione sociale e politica del mondo moderno: la rivoluzione inglese dei puritani.
Indubbiamente tra tutte le forme di capitalismo – è ancora Weber ad affermarlo – quello moderno ha promosso sino alla massima estensione la razionalità formale imponendo, storicamente, a ciascuna unità che lo costituisce di fondare «la propria attività economizzante sul calcolo più possibile accurato dei presupposti e delle conseguenze di tale attività». [… Leggi tutto il saggio di 17 pagine nel PDF allegato]

Domenico Segna

 

Freccia rossa
Domenico Segna, Provvidenza e capitalismo

 

Il saggio è già stato pubblicato nella rivista Divus Thomas 2016/2

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255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

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Alberto Spinelli – Un interessante saggio riporta all’attenzione Giuseppe Gangale, il filosofo autore de «La rivoluzione protestante».

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255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

Un libro sulla mancata Riforma in Italia. Il nostro Domenico Segna, ha dedicato un suo saggio alla figura di Giuseppe Gangale: un protestante che nell’Italia degli anni Venti si soffermò in maniera del tutto originale su tale tematica. Ne parliamo con l’autore.

Leggi tutta l’intervista, pubblicata sul n. 4, anno 40, luglio-agosto 201della rivista
i martedì. Proporre Riflettere Commentare“, pp. 40-43:

 

Leggi l'estratto

Alberto Spinelli

Un interessante saggio riporta all’attenzione Giuseppe Gangale,
il filosofo autore de «La rivoluzione protestante».pdf

 

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Giancarlo Paciello – Oggi 29 novembre! Oggi, ancora, solidarietà per il popolo palestinese.

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69 anni ci separano dal

29 novembre 1947

Il 29 novembre 1947: l’Assemblea generale delle Nazioni unite adottò la Risoluzione 181, che divise la Palestina. Già il 30 ci furono i primi scontri che opposero ebrei ai palestinesi che rifiutavano la partizione. Era cominciata …

La conquista della Palestina

***

 

Manifestiamo la nostra solidarietà al popolo palestinese
con alcuni scritti di Giancarlo Paciello:


Ecco i titoli:

 

La trasformazione demografica della Palestina

Cronologia

Ma chi sono i rifugiati palestinesi?

Il popolo palestinese visto dalla comunità internazionale

Hamas, un ostacolo per la pace?
L’unico vero ostacolo: occupazione militare e colonie


I vari scritti si possono leggere nelle 55 pagine del PDF qui sotto allegato:

Giancarlo Paciello,
Per il popolo palestinese


 

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Giancarlo Paciello

La conquista della Palestina.
Le origini della tragedia palestinese
.
Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings,
Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir

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Giancarlo Paciello – Ci risiamo: ancora l’infame riproposizione “Processo di pace” e “Due popoli, due Stati!”

Giancarlo Paciello – La Costituzione tradita. Intervista a cura di Luigi Tedeschi

Giancarlo Paciello – Ministoria della Rivoluzione cubana

Giancarlo Paciello – Diciamocelo: un po’ di storia non guasta. Dalle “battaglie dell’estate” del 1943 in Europa, all’avvento dell’Italia democristiana nel 1949

 


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Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.

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Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

 

 «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.»

Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.

 


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Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


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Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

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Claudia Baracchi, Ph.D. in Filosofia, docente di Filosofia antica e Filosofia continentale alla University of Oregon (1996-1998) e alla New School for Social Research di New York (1999-2009), dal 2007 insegna Filosofia morale e Filosofia della relazione e del dialogo all’Università di Milano-Bicocca. È membro fondatore della Ancient Philosophy Society. È docente a Philo-Scuola Superiore di Pratiche Filosofiche. È analista membro della Società di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (SABOF)



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