Andrea Marcolongo – I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre “come”. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre “quando”.

***

«Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato,
la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola
si afferma il contatto diretto e vario della realtà.
L'ho amata perché quasi tutto quel che gli uomini hanno detto di meglio
è stato detto in greco».
Marguerite Yourcenar



Andrea Marcolongo

La lingua geniale.
9 ragioni per amare il greco

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Laterza, 2016.

 

 

«I Greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre come. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre quando» (p. 3)

Un piccolo brano

«Il greco antico, grammaticalmente parlando, contava fino a tre: uno, due, due o più. Oltre agli stessi numeri con cui si contano le cose e quindi si misura la vita in italiano, il singolare -io- e il plurale -noi-, la lingua greca conteneva anche un terzo numero: il duale -noi due-. […] Il numero duale non esprimeva una mera somma matematica […] esprimeva invece una entità duplice, uno più uno uguale uno formato da due cose o persone legate tra loro da un’intima connessione. Il duale è il numero del patto, dell’accordo, dell’intesa. È il numero della coppia, per natura, o del farsi coppia, per scelta.
Il duale è allo stesso tempo il numero dell’alleanza e dell’esclusione. Due non è solo la coppia. Due è anche il contrario di uno: è il contrario della solitudine. […] Si tratta di un numero antico, puro. Un modo di dare numericamente senso al mondo. […] Era un numero […] molto umano. […] Ecco la mia personalissima definizione di duale: uno più uno uguale uno formato da due, non semplicemente ‘due’» (pp. 56-59).

Indice

In breve

Innanzitutto questo libro parla di amore: il greco antico è stata la storia più lunga e bella della mia vita. Non importa che sappiate il greco oppure no. Se sì, vi svelerò particolarità di cui al liceo nessuno vi ha parlato, mentre vi tormentavano tra declinazioni e paradigmi. Se no, ma state cominciando a studiarlo, ancora meglio. La vostra curiosità sarà una pagina bianca da riempire. Per tutti, questa lingua nasconde modi di dire che vi faranno sentire a casa, permettendovi di esprimere parole o concetti ai quali pensate ogni giorno, ma che proprio non si possono dire in italiano. Ad esempio, i numeri delle parole erano tre, singolare, plurale e duale – due per gli occhi, due per gli amanti; esisteva un modo verbale per esprimere il desiderio, l’ottativo, e non esisteva il futuro. Insomma, il greco antico era un modo di vedere il mondo, un modo ancora e soprattutto oggi utile e geniale. Non sono previsti esami né compiti in classe: se alla fine della lettura sarò riuscita a coinvolgervi e a rispondere a domande che mai vi eravate posti, se finalmente avrete capito la ragione di tante ore di studio, avrò raggiunto il mio obiettivo.

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Jannis Kounellis – La ripetizione coatta di uno stile porta alla distruzione dell’arte. Occorre trovare dei mezzi per aprire più possibilità di cominicazione.

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[no title] 1999 Jannis Kounellis born 1936 Purchased 2001 http://www.tate.org.uk/art/work/P78427

«[…] la ripetizione coatta di uno stile porta alla distruzione dell’arte. […] Occorre cercare di aprire una cosa fuori da questi muri ossessivi della convenzione. […] Cerchiamo di aprire al linguaggio una via non convenzionale, perché il linguaggio è stereotipato e si stereotipa continuamente con l’uso; allora il nostro compito è questo: trovare dei mezzi per aprire più possibilità di cominicazione.

Jannis Kounellis,
in Odissea lagunare, Sellerio, Palermo 1993, pp. 34, 59.

 

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Paul Cézanne (1839-1906) – Ciò che noi vediamo della natura si dilegua, l’arte deve farcela gustare eterna.

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Tutto quello che noi vediamo si dilegua.
La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare.
La nostra arte deve dare il brivido della sua durata,
deve farcela gustare eterna.

Paul Cézanne, Lettere, SE, Milano, 1985, p. 163.

 

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Domenico Segna – Provvidenza e capitalismo

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Domenico Segna

Provvidenza e capitalismo

Abstract

Il presente saggio, muovendo dalla nota opera di Max Weber L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, dimostra le differenze che intercorrono tra il pensiero dei Riformatori del XVI secolo, in particolar modo di Calvino, con i loro successori del Seicento, i puritani, e con i calvinisti del  Settecento. Costoro, infatti, furono portatori di un’etica borghese e individualistica che, nella sua secolarizzazione, si distinse nettamente dall’etica della gratitudine emersa in ambito calviniano, dando un notevole impulso alla nascita ed allo sviluppo del capitalismo.

    

This essay, moving from the well known work of Max Weber The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism, demonstrates the differences between XVI century Reformers’ thought, in particular Calvin, and their successors of 1600, Puritans, as well as 1700’s Calvinists. In fact the two latter ones have been bearers of a bourgeois and individualistic ethic that, in its secularization, clearly differed from the gratitude ethic emerged within the 1500s Calvin’s entourage, giving a great impulse to the birth and development of capitalism.

Sommario

1. Una forma di razionalità
2. L’«altro cristianesimo»: Lutero
3. Il “fondatore” di una nuova civiltà: Giovanni Calvino
4. Una nuova società, una nuova razionalizzazione

***

«Si tratta di un capitalismo orientato alla produzione, che funziona in base ad aziende, e opera sul mercato. Possiede le caratteristiche seguenti: 1. Capitale fisso, investito nella produzione dei beni da cui dipende la soddisfazione dei bisogni quotidiani delle masse. 2. Mezzi di produzione organizzativi e materiali saldamente appropriati dai possessori di capitale. 3. Conto razionale del capitale orientato a una redditività di lungo periodo, sempre rinnovata. 4. Orientamento alle opportunità (Chancen) che si aprono sul mercato. 5. Organizzazione razionale del lavoro e disciplina della produzione. 6. Tecnologia razionale».1 Cosi lo studioso tedesco Johannes Winckelamann riassume la concezione che il suo conterraneo, Max Weber, ha del modello di produzione capitalistica moderno e che costituisce il proprium del celebre saggio weberiano L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo. È noto, infatti, come Weber, il Marx della borghesia, abbia ricondotto la genesi del capitalismo alle origini stesse del mondo moderno. Facendo questa operazione egli colloca quella genesi in una dimensione storica decisamente fluida laddove ha avuto il suo peso specifico una radicale sovversione della coscienza che l’uomo aveva di sé, della sua esistenza e della sua azione sulla terra.
Il capitalismo, così come si è attuato in Occidente, trova la sua fucina in quel mondo alla cui creazione concorsero più eventi, ad iniziare dalla cultura del Rinascimento, dalla formazione degli stati moderni, per giungere, passando per le esplorazioni geografiche, al metodo sperimentale. Senza, però, dimenticare i colpi di martello che, secondo la tradizione, un monaco agostiniano, certo Martin Lutero, fece risuonare  nella piazza di Wittenberg il 31 ottobre del 1517, allorquando affisse sul portale della cattedrale le 95 Tesi che stigmatizzavano, e stigmatizzano tutt’ora, la falsa coscienza provocata dalle indulgenze. È, dunque, in questo nuovo porsi dell’uomo nel mondo, in questa entrata in scena del soggetto che va cercato ciò che ha più influito in ordine alla comparsa del capitalismo: uno spirito, infatti, lo fa rendere qualcosa di unico che solo in Occidente ha potuto spiegare le ali della sua razionalità. Uno spirito che trova, così vuole la vulgata, la sua ragion d’essere in quell’altro cristianesimo, quello che ebbe come suo epicentro la Ginevra di Giovanni Calvino, la cui Istituzione della Religione Cristiana fu il testo base al quale, a modo loro, si ispirarono, nel ‘600, quei santi che determinarono la prima grande rivoluzione sociale e politica del mondo moderno: la rivoluzione inglese dei puritani.
Indubbiamente tra tutte le forme di capitalismo – è ancora Weber ad affermarlo – quello moderno ha promosso sino alla massima estensione la razionalità formale imponendo, storicamente, a ciascuna unità che lo costituisce di fondare «la propria attività economizzante sul calcolo più possibile accurato dei presupposti e delle conseguenze di tale attività». [… Leggi tutto il saggio di 17 pagine nel PDF allegato]

Domenico Segna

 

Freccia rossa
Domenico Segna, Provvidenza e capitalismo

 

Il saggio è già stato pubblicato nella rivista Divus Thomas 2016/2

divus_thomas_pagina

 


255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

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Alberto Spinelli – Un interessante saggio riporta all’attenzione Giuseppe Gangale, il filosofo autore de «La rivoluzione protestante».

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255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

Un libro sulla mancata Riforma in Italia. Il nostro Domenico Segna, ha dedicato un suo saggio alla figura di Giuseppe Gangale: un protestante che nell’Italia degli anni Venti si soffermò in maniera del tutto originale su tale tematica. Ne parliamo con l’autore.

Leggi tutta l’intervista, pubblicata sul n. 4, anno 40, luglio-agosto 201della rivista
i martedì. Proporre Riflettere Commentare“, pp. 40-43:

 

Leggi l'estratto

Alberto Spinelli

Un interessante saggio riporta all’attenzione Giuseppe Gangale,
il filosofo autore de «La rivoluzione protestante».pdf

 

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Giancarlo Paciello – Oggi 29 novembre! Oggi, ancora, solidarietà per il popolo palestinese.

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69 anni ci separano dal

29 novembre 1947

Il 29 novembre 1947: l’Assemblea generale delle Nazioni unite adottò la Risoluzione 181, che divise la Palestina. Già il 30 ci furono i primi scontri che opposero ebrei ai palestinesi che rifiutavano la partizione. Era cominciata …

La conquista della Palestina

***

 

Manifestiamo la nostra solidarietà al popolo palestinese
con alcuni scritti di Giancarlo Paciello:


Ecco i titoli:

 

La trasformazione demografica della Palestina

Cronologia

Ma chi sono i rifugiati palestinesi?

Il popolo palestinese visto dalla comunità internazionale

Hamas, un ostacolo per la pace?
L’unico vero ostacolo: occupazione militare e colonie


I vari scritti si possono leggere nelle 55 pagine del PDF qui sotto allegato:

Giancarlo Paciello,
Per il popolo palestinese


 

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Giancarlo Paciello

La conquista della Palestina.
Le origini della tragedia palestinese
.
Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings,
Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir

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Giancarlo Paciello – Ci risiamo: ancora l’infame riproposizione “Processo di pace” e “Due popoli, due Stati!”

Giancarlo Paciello – La Costituzione tradita. Intervista a cura di Luigi Tedeschi

Giancarlo Paciello – Ministoria della Rivoluzione cubana

Giancarlo Paciello – Diciamocelo: un po’ di storia non guasta. Dalle “battaglie dell’estate” del 1943 in Europa, all’avvento dell’Italia democristiana nel 1949

 


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Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.

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Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

 

 «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.»

Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.

 


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Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


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Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

Leggi l'estratto


Claudia Baracchi, Ph.D. in Filosofia, docente di Filosofia antica e Filosofia continentale alla University of Oregon (1996-1998) e alla New School for Social Research di New York (1999-2009), dal 2007 insegna Filosofia morale e Filosofia della relazione e del dialogo all’Università di Milano-Bicocca. È membro fondatore della Ancient Philosophy Society. È docente a Philo-Scuola Superiore di Pratiche Filosofiche. È analista membro della Società di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (SABOF)



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Luigina Mortari – “Pensare” risponde alla necessità di stare alla ricerca di orizzonti di senso. A muovere il pensare è il desiderio di significato. Il non pensare liberamente è segno di una vita non vissuta nella sua essenza.

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A scuola di libertà

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«Gli esseri umani […] sono innanzitutto esseri pensanti, nel senso che disegnano il cammino del proprio esistere con il pensiero, perché il pensare risponde alla necessità di stare alla ricerca di orizzonti di senso alla luce dei quali rischiarare il cammino esistenziale.
Ne consegue che la libertà ha una necessità irrevocabile del pensare, così come, reciprocamente, il pensare ha bisogno di libertà. Il filosofo, la figura che rappresenta chi ama pensare, è infatti colui che è “allevato davvero nella libertà”, perché solo chi ha esperienza della libertà può apprezzarla e averne cura. L’arte del pensare è, dunque, quella che si apprende per essere liberi cittadini.
[…] La ragione calcolante è mossa dall’ansia di dominio, dal desiderio di tenere sotto controllo gli eventi, da una volontà di potenza che deve far presa sulle cose. È rispetto a questo tipo di ragione che tutte le cose, viventi e non viventi, sono ridotte a mera risorsa, dal momento che non sarebbero di alcun valore se non per quello che noi possiamo fare di loro.
A muovere il pensare, invece, non è l’ansia di dominio, ma il desiderio di significato, ossia la tensione a cercare modi esistentivi capaci di inverare l’esistenza. In questo senso, pensare è “l’assoluto essere desti”, cioè stare con consapevolezza radicati nel presente per dare un’impronta originale al proprio esserci.
La mancanza di pensiero si rende evidente in un linguaggio dominato dai cliché, dalle frasi consumate, dall’adesione a codici di espressione e di condotta convenzionali e standardizzati, nell’incurante superficialità con cui si affrontano molte questioni decisive per la qualità dell’esistenza umana. Quando il pensiero manca, la mente diviene preda delle mezze verità, che altro non sono se non mere opinioni messe a lucido. Affidarsi a unità standardizzate di pensiero risponde al bisogno di difendersi dall’intensa problematicità dell’ esperienza umana […].
Usare pensieri già pensati e affidarsi a regole routinarie non può esaurire l’intera vita cognitiva, perché il male si compie non solo quando ci si lascia muovere da motivi abietti, ma anche, semplicemente, lasciando che le cose accadano così come stanno per accadere, poiché ci si astiene dal prestare attenzione al reale, dall’interrogarlo per comprenderlo.
Quando il processo di decisione relativo all’ agire si affida alle regole date, senza avvertire la necessità di interrogare il senso di ciò che si fa, si finisce per dismettere la responsabilità dell’esercizio della propria libertà di decidere consapevolmente.
Se l’essere umano è l’ente chiamato a decidere il possibile, allora il non pensare liberamente è segno di una vita non vissuta nella sua essenza: una situazione, questa, decisamente problematica, perché fa dipendere il nostro agire dalle decisioni di altri. La storia dimostra come tutte le volte che, in un contesto nel quale il pensare fatica a essere coltivato, arriva qualcuno che con forza intende modificare le regole di condotta vigenti sostituendole con altre senza passare attraverso un processo di negoziazione condivisa […]; infatti, chi tende a restare nel non-pensare si adegua passivamente ai nuovi codici senza avvertire la necessità di un’interrogazione etica sulla sensatezza o meno di quanto sta accadendo.
[…] È in atto una grave erosione della libertà individuale di pensare da sé per decidere da sé, e poiché questa è la qualità che definisce l’essenza dell’ essere umano rispetto agli altri viventi, allora è in atto anche una mancanza di rispetto dell’umanità dell’altro. Nel momento in cui si legittima l’azione di sottrarre all’altro la facoltà di decidere, si presuppone che il volere non appartenga più alla persona come sua disposizione sostanziale […]. Sottrarre all’altro la responsabilità di decidere significa, invece, decurtarlo della possibilità di rispondere alla chiamata a esistere, che consiste nel rispondere alla chiamata di scegliere di scegliere.
Arroganza e mancanza di rispetto sono due tra i fenomeni più gravi che ogni coscienza dovrebbe combattere, perché […] allora c’è il rischio del proliferare della crudeltà e dove c’è crudeltà viene meno la condizione di una buona qualità della vita, quel “vivere e fare bene” in cui consiste l’eudaimonia, cioè una vita buona per l’essere umano [Aristotele, Etica Nicomachea, I, 3, 1095a 19]» (pp. XI-XVIII).

Luigina Mortari,
A scuola di libertà. Formazione e pensiero autonomo, Raffaello Cortina Editore, 2008.

 

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Luigina Mortari,
Educare la persona alla passione della progettazione esistenziale

 

 



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Ludwig von Bertalanffy (1901-1971) – La società umana non è una comunità di formiche controllata dalle leggi della totalità sovraordinata

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Teoria generale dei sistemi

Teoria generale dei sistemi

 

«I valori reali dell’umanità non sono quelli che essa ha in comune con le entità biologiche, e cioè il funzionamento di un organismo oppure di una comunità di animali, ma quelli che sorgono dalla mente individuale. La società umana non è una comunità di formiche o termiti, governata da un istinto intrinseco e controllata dalle leggi della totalità sovraordinata; essa si fonda sulle realizzazioni dell’individuo, ed è condannata se l’individuo è reso pari a un ingranaggio della macchina sociale».

Ludwih von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppi, applicazioni, Mondadori, 2010, p. 94).

 

***

Quarta di copertina
Le ultime ricerche in ogni campo della scienza hanno evidenziato come, nei più diversi fenomeni (dall'andamento dei mercati allo sviluppo di epidemie) sia necessario un approccio che analizzi non solo i singoli elementi, ma l'intera realtà generata dall'interazione di tutti i componenti del sistema. Questo metodo di analisi ha le sue origini in un saggio pubblicato nel 1969: la Teoria generale dei sistemi del biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy. Un'opera che è ormai diventata un classico della letteratura scientifica e filosofica, mantenendo inalterata la sua dirompente attualità, e che ha influenzato in profondità la cultura odierna generando quell'atteggiamento interdisciplinare rivelatosi tanto proficuo.

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Mario Lancisi – “Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani”: «Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto».

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Libri: Don Milani 'Processo all'obbedienza' di Mario Lancisi

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia.
Come ha libertà di parola e di stampa.
Come il cristiano reagisce anche al sacerdote
e perfino al vescovo che erra.
Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
don Lorenzo Milani

 

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Il 15 febbraio del 1966 si concluse a Roma un processo destinato a segnare la storia politica e culturale del nostro paese. In quel giorno, infatti, don Lorenzo Milani venne processato per il reato di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile.
La colpa del priore di Barbiana era quella di aver scritto la Lettera ai cappellani militari in cui aveva difeso l’obiezione di coscienza al servizio militare e il dovere della disobbedienza a ordini sbagliati. Nel pieno della guerra fredda, questa provocazione doveva essere punita in modo esemplare.
Don Lorenzo, già gravemente malato, si difese con una Lettera ai giudici poi pubblicata in L’obbedienza non è più una virtù, uno dei testi antesignani del ’68 italiano. Assolto in primo grado, il priore di Barbiana fu condannato nel processo di appello, tenutosi nell’ottobre del 1967, ma la pena fu estinta per la morte del ‘reo’ avvenuta il 26 giugno dello stesso anno. Disobbediente alla sua famiglia, alla Chiesa e allo Stato in nome di un’obbedienza a Dio e ai poveri, questa condanna conferisce, mezzo secolo dopo la sua morte, dolore e stupore alla vera storia di don Milani, vissuto, come ha scritto Mario Luzi, «nel fuoco della controversia».
Seguendo il filo della vicenda processuale, il libro ricostruisce il clima di quegli anni cruciali, i dibattiti e le polemiche intorno al Concilio Vaticano II, il ruolo e il peso di personalità straordinarie come il teologo del dissenso Ernesto Balducci, il ‘sindaco-santo’ Giorgio La Pira e il cardinale di Firenze Ermenegildo Florit. E soprattutto ricorda a tutti noi la grande lezione di don Milani: non esiste obbedienza vera, profonda, non formale, senza disobbedienza come processo critico di assunzione di responsabilità.

***

Indice del volume

***

ANSA TOSCANA

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Papa Francesco a Barbiana per i 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani, che saranno ricordati nel giugno del prossimo anno? E’ per ora solo un’ipotesi suggestiva e il sogno segreto degli ex allievi del priore. E Bergoglio è al centro dell’ultimo libro di Mario Lancisi: “Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani” (Laterza, 158 pagine, 16 euro). Poco prima di morire – scrive Lancisi – in uno dei suoi concitati rapporti con il cardinale Florit, don Milani se ne usci’ con questa battuta: “Sa quale e’ la differenza, eminenza, tra me e lei? Io sono avanti di  cinquant’anni…”. Mezzo secolo dopo – scrive Lancisi, giornalista e esperto ‘milaniano’ – papa Francesco ha pareggiato il conto. Il 10 maggio 2014, in piazza San Pietro, sottolineando che il segreto della scuola e’ “imparare ad imparare” per educare i giovani ad essere aperti alla realta’, ha detto: “Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: don Lorenzo Milani”. Non solo. Papa Francesco ha sottratto Esperienze pastorali, il primo libro di don Milani, “dal cassetto dei testi proibiti per restituirlo al popolo di Dio come vangelo vissuto nelle strade operaie e comuniste di San Donato di Calenzano“, ricorda Lancisi. Il libro di Lancisi esce a cinquant’anni dal processo (15 febbraio 1966) che fu intentato a don Milani per la lettera ai cappellani militari che avevano attaccato duramente l’obiezione di coscienza. Il priore di Barbiana difende il diritto ad obiettare ad ordini ingiusti. La sua lettera diventa la bandiera del mondo pacifista.

ANSA 

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donmilani

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