Salvatore A. Bravo – Pilocchio. Storia di un Pinocchio dei nostri giorni. Pinocchio, sintomo di un mondo disumanizzato, è la vitalità di chi cerca la guarigione, perché l’avventura della vita esige partecipazione, e la salvezza è sempre possibile, se si rinuncia ad un individualismo senza storia e bellezza.
Salvatore A. Bravo
Pilocchio. Storia di un Pinocchio dei nostri giorni
ISBN 978-88-7588-294-5, 2021, pp. 128, Euro 15
indice – presentazione – autore – sintesi
Quarta di copertina
Rileggere Pinocchio è come trovarsi palesate, senza per questo cadere nella disperazione e nel pessimismo, le armi più efficaci che il potere usa per dominare. Le avventure di Pinocchio sono le nostre avventure, sono l’inquietudine che non si rassegna ad una vita anonima, sono l’incessante tensione per uscire dalla “caverna platonica degli inganni”. Pinocchio, sintomo di un mondo disumanizzato, è altresì la vitalità di colui che cerca la guarigione. I processi di identificazione con il burattino favoriscono il riattivarsi di energie critiche, per cui rileggere Pinocchio può significare l’inizio di un processo di emancipazione dalla “banalità del male” in cui siamo immersi, e che spesso rimuoviamo per cedere agli automatismi senza concetto. Il testo di Collodi ci invoca al dialogo, ci sollecita ad affinare lo sguardo nella profondità del buio delle “caverne in cui siamo inconsapevoli prigionieri”. All’antiumanesimo del pessimismo è necessario contrapporre la forza storica della vita, la quale non si lascia prosciugare dal sole nero del potere, ma sa leggere il presente utilizzando le categorie del pensiero, generatrici di possibilità. Solo la parola libera: ne è testimonianza la storia di Pinocchio. Il burattino insegna a bambini e adulti che l’avventura della vita esige partecipazione, che la salvezza è sempre possibile, se si rinuncia ad un individualismo senza storia e bellezza. La maieutica filosofica necessita di simboli che favoriscano il logos. L’opera di Collodi, quindi, si presta ad essere un insospettato veicolo di consapevolezza comunitaria.
A mo’ di introduzione
Perché rileggere Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino?
La risposta è nello sguardo che scruta il presente e guarda il futuro, un futuro in cui si addensano ombre che necessitano di essere pensate. Nel testo di Collodi sono presenti i pericoli della modernità.
L’obnubilamento della ragione oggettiva impedisce la razionalità critica, e senza razionalità oggettiva si è incapaci di dare una direttiva politica ed etica al vivere comunitario. Prodigiose scoperte si susseguono, ma le «passioni tristi» sono le protagoniste dell’Occidente globalizzato. La razionalità soggettiva che persegue fini puramente individualistici nel disprezzo di ogni vincolo comunitario ed etico è la norma dello stato presente. La solitudine dell’uomo globale è la verità perennemente occultata dalla pubblica ragione pervertita ed addomesticata in chiacchiera senza concetto. La scienza e l’economia – nella loro tragica alleanza – sono mezzi e strumenti per trasformare ogni ente, ogni vita, ogni contingenza in plusvalore. Tutto è possibile: anche convertire Pinocchio in asino da spettacolo, fino ad usare la pelle dell’asino Pinocchio per produrre un tamburo.
Pinocchio ci racconta della minaccia che incombe ad opera della tecnocrazia. Il Prometeo scatenato è tra di noi, ogni «euristica della paura» è dimenticata nel sonno della razionalità e cade nel nichilismo. H. Jonas, con l’euristica della paura, ci ha donato non solo un criterio etico per l’azione, ma anche ci ha invitati a pensare le prodigiose forze distruttive di cui disponiamo. Se un’azione comporta la possibilità di effetti incontrollabili e distruttivi bisogna, pertanto, astenersi dal compierla. Responsabilità ed etica sono un binomio non scindibile. Pinocchio è il racconto di un tortuoso cammino verso la responsabilità, la quale dev’essere responsabilità verso se stessi e verso la comunità nella quale si vive.
Senza tali fondamenti concreti ogni appello alla responsabilità è solo propaganda mediatica senza risultato. Dinanzi all’abisso si diseduca all’impegno civile, e si spingono popoli e nazioni ad abbandonarsi al consumo. Pinocchio è il segno di un pericolo che è tra di noi. Singoli, popoli e nazioni vivono l’esperienza di una regressione generale verso forme di immaturità collettiva socialmente indotta. Un mondo di omuncoli, “Pinocchi”, che vivono tra la menzogna e la bugia non può che generare dei mostri nella generale infelicità.
Pinocchio per diventare “persona” ha avuto un punto di riferimento costante: “Geppetto” che cerca e attende. L’attualità – senza riferimenti umani ed ideologici – rischia di abbandonare le nuove generazioni ad una deriva regressiva senza scampo e salvezza.
Ogni realtà – per il capitalismo – dev’essere tradotta in economia, in salto verso il PIL, unica divinità sopravvissuta nel crepuscolo del sacro e della razionalità oggettiva. Il contesto descritto da Collodi è governato dal profitto e dall’utile. Pinocchio, d’altra parte, è il sintomo della malattia della modernità, vuole «solo correre dietro le farfalle», rifiuta il suo radicamento nella storia con l’impegno necessario. È la divina indifferenza, l’individualismo che esige il mondo a sua misura. È una figura della crisi, e specialmente la soluzione non può che avvenire attraverso il «travaglio del negativo».
Collodi è ottimista, in quanto Pinocchio vivrà il male per uscirne “persona” che ha visto l’abisso in cui è possibile perdersi; e dunque ha trasceso il male: la tragedia di cui è stato protagonista non ha preso il sopravvento. Il mondo di Pinocchio è un’età senza pensiero, dove si calcola, ma non si pensa.
Il potere si mostra nella sua crudezza sugli ultimi, e specialmente vive e si consolida nella testa dei dominati (Maestro Ciliegia). Geppetto è l’antitesi di un mondo che sa solo calcolare, è il padre amorevole che ha rinunciato all’utile per creare.
Geppetto è trasgressivo, è l’antitesi dell’homo oeconomicus, è l’umanità che resiste, malgrado la povertà materiale, è la fonte sempre viva dell’universale che non può essere completamente negato, pur in una realtà senza cuore e senza scampo. Geppetto è la paternità assediata che si rigenera in solitudine.
Geppetto non ha mai rinunciato alla speranza di generare la vita. È il padre che deve donare il principio di realtà al figlio che antepone il principio di piacere al principio di realtà.
Le disavventure di Pinocchio sono acuite dal contesto che nega ogni vera formazione per corrompere ed usare, per deviare dal tempo profondo del progetto e sospingere verso il tempo frammentato, negli attimi che si susseguono sotto l’egida dell’eccesso, dell’Eden pronto a ribaltarsi in incubo ed a svelare la sua verità. Pinocchio vive gli anni della sua formazione in un mondo dominato dalla disuguaglianza e dall’arbitrio. Pinocchio deve ricreare “il mondo” per poter sfuggire alla distopia del quotidiano.
La storia di Pinocchio è comparabile alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, in cui l’autocoscienza diviene consapevole di sé con l’errare dialettico, con la riflessione sull’esperienza che eleva dal particolare all’universale. Senza l’attraversamento delle contraddizioni e delle resistenze è impossibile attuare le potenzialità che ogni persona reca e serba nel suo scrigno. Tutto “lavora”, affinché la paideia di Pinocchio non si concretizzi e resti burattino tra le mani di un potere invisibile ed onnipresente.
Pinocchio è la tragedia nell’etico, è l’attraversamento delle caverne e delle false verità, in cui si inciampa nel cammino per diventare esseri umani. Pinocchio scende nella profondità di se stesso per ritrovarsi essere umano. La profondità di Pinocchio non è kantianamente astratta, ma concreta, poiché incontra nel suo “io” la collettività di cui è parte integrante. La parte e il tutto dapprima confliggono per poi ritrovarsi in una unità rispettosa delle differenze. Nella discesa conosce e riconosce il proprio creatore, Geppetto, è il figlio che cerca il padre per un nuovo incipit.
Creatore e creatura nel mondo della vita sono figure che albergano in ogni relazione umana. È il figlio che non si confonde con il padre, ma desidera averlo accanto, riconosce l’autorevolezza e l’autorità amorevole del padre in un mondo che già si delinea senza padri. Il riconoscimento dell’archetipo paterno non significa che il figlio non possa assumere comportamenti “paterni” verso il suo creatore. Prima di iniziare vorrei soffermarmi su una parola che ricorre spesso nel racconto: povertà.
Il racconto di Collodi è una denuncia della povertà, ma errano, credo, coloro che si limitano a dare a tale parola – nell’equilibrio del racconto – una valenza riferita alla sola povertà materiale. Pinocchio è divorato più volte dalla fame, al punto da mangiare ciò di cui mai avrebbe pensato di potersi nutrire. Denuncia delle condizioni delle classi subalterne nell’Italia di fine Ottocento.
Accanto a questo livello d’analisi, nello scorrere del testo si incontrano molte forme di povertà: l’animalità avida, del Gatto e della Volpe; la corruzione del potere del Giudice scimmia, fino al divertimento senza limite del paese dei balocchi. Le povertà sono il pericolo eterno dell’umanità. Il racconto, apparentemente per bambini, in realtà è capace di visualizzare – in una serie di immagini – l’eterno che accompagna ogni vita durante la sua formazione. L’eterno è simbolizzato, ma anche storicizzato, in quanto vi è la descrizione di un mondo nelle grinfie del guadagno.
Collodi denuncia le pratiche economiche finalizzate all’accumulo e scorge gli effetti futuri di una realtà senza fondamenti etici, che ha venduto l’anima per soddisfare i suoi desideri. Pinocchio e Geppetto sono due resistenti, non venderanno l’anima per i loro desideri inautentici, perché alla fine vivranno della comune radice che li unisce, senza la quale non vi è umanità, non vi è progetto, ma solo vita biologica senza senso. Alla fine del racconto Pinocchio sostiene passo passo Geppetto, incontrano il Gatto e la Volpe, ma Pinocchio non cade più nella trappola delle loro parole, perché «le povertà sono state sconfitte».
Le povertà sono il velo di Maya che occulta allo sguardo la sua profondità. Alla fine del racconto il velo di Maya cade e Pinocchio riconosce in Geppetto una parte di sé da amare e sostenere nella cura costante dell’amore vicendevole. Il velo di Maya che cade è la luce della ragione che si ritrova con l’emotività positiva, e ciò consente a Pinocchio di riconoscere la verità del Gatto e della Volpe e di soppesarne correttamente le parole. Imparare ad essere umani significa saper ascoltare le parole come parte di una totalità concreta che viene a noi e ci invoca ad una complessa ermeneutica. Pinocchio è la vita nella sua ricca potenzialità che si confronta con le povertà che ne minacciano lo splendore.
Pinocchio e Geppetto sono nella bocca del pescecane fin dall’inizio del racconto, sono all’interno di una realtà storica, in cui la sussunzione è un destino che divora gli ultimi ed i piccoli. L’incontro con il pescecane è l’incontro-scontro con “l’apparir del vero” senza il quale ogni inizio ed emancipazione sono impossibili.
S. Bravo
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