Salvatore Antonio Bravo – «Le vespe di Panama» di Z. Bauman. La filosofia perde la sua credibilità e la sua natura critica e costruttiva se vive nel mondo temperato delle accademie e degli studi televisivi e mediatici, dove campeggia l’uomo economico: turista della vita, vagabondo tra le mercificazioni.

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le vespe di panama

Le vespe di Panama

Le vespe di Panama è un breve scritto di Z. Bauman nel quale si mostra l’asservimento delle scienze all’economico. L’economia non utilizza le scienze tecnologiche solo per saccheggiare il pianeta, per realizzare il sogno di una produzione infinita dietro la quale si può supporre agiscano pulsioni necrofile. La produzione assoluta sciolta da ogni legame con i bisogni dell’uomo è solo accumulo, distruzione fine a se stessa, stimolante per un delirio di onnipotenza che potrebbe celare tra le sue pieghe l’odio verso la vita. L’uomo economico non conosce la presenza dell’ombra, della resistenza, non parla con le sue ombre. È un turista della vita, un vagabondo tra le mercificazioni: per sentire di esserci deve accumulare ed ostentare. Le scienze pertanto divengono mezzo attraverso cui si rafforza il positivo, ovvero la vita dell’uomo economico trova nelle scienze la conferma che il suo modello di vita è l’unico possibile. La storia è finita in quanto la scienza conferma che gli studi sulla natura decretano che i processi di globalizzazione sono iscritti nei processi naturali. Dunque l’uomo è un essere biologico tra i tanti che popolano la terra e segue le leggi naturali che coincidono con le leggi economiche liberiste. Il riduzionismo favorisce naturalmente comportamenti verbali e politici regressivi e reazionari. L’uomo modulare, pronto ad adattarsi alle esigenze della rete produttiva, a cambiare posizione all’interno della rete ma non opinione, dev’essere pronto a partire, a spostarsi, ad essere perennemente vagabondo, non deve appartenere a nessuno, né a se stesso, né alla comunità: deve parlare la lingua di tutti e pensare come tutti. Il globy è la sua lingua. Ora se l’economia deve giustificare un modello di flessibilità (precarietà – sfruttamento), la scienza si presta al gioco ideologico. Le vespe di Panama di Bauman dimostrano la posizione ideologica delle scienze: l’asse di attenzione si sta spostando su quei fenomeni che devono confermare la migrazione come costante della natura e dunque degli uomini, per cui l’uomo modulare globalizzato è naturale, normale, mentre gli uomini di pensiero, dediti alla vita activa sono un errore della natura, nel migliore dei casi da tollerare, guardare con sospetto e controllare. Le vespe di Panama sono vespe migranti, anch’esse si spostano da un alveare ad un altro e facilmente si integrano nel nuovo sistema per divenire ad esso funzionali, sono ireniche, adattabili esattamente come l’uomo globale: «Contrariamente a tutto quello che si sapeva o si riteneva di sapere da secoli, i ricercatori londinesi hanno scoperto a Panama che una larga maggioranza di «vespe operaie», il 56 per cento, cambiano alveare nel corso della loro vita: e non semplicemente traslocando in altre colonie in qualità di visitatori temporanei, male accetti, discriminati e marginalizzati, a volte attivamente perseguitati, e comunque sempre guardati con ostilità, bensì in qualità di membri effettivi (si sarebbe tentati di dire «a pieno titolo») della «comunità» adottiva, che provvedono, al pari delle operaie «autoctone», a raccogliere cibo e a nutrire e accudire la nidiata locale. La conclusione che si ricava da questa scoperta è che gli alveari su cui è stata condotta la ricerca sono normalmente “popolazioni miste”, con vespe native e vespe immigrate che vivono e lavorano guancia a guancia e spalla a spalla, divenendo, almeno per gli osservatori umani, indistinguibili le une dalle altre se non con l’ausilio degli identificatori elettronici».[1]

La natura confermerebbe che la condizione attuale è naturale, per cui ogni resistenza, ogni parola piena di significati che vuole evidenziare la possibilità di un altrove è tacitata dall’evidenza della natura, la quale ha, però, al suo interno, un’infinità di possibilità e contraddizioni che vengono occultate. L’attenzione percettiva si sposta su ciò che conferma il sistema vigente in modo da renderlo indiscutibile. Una nuova teologia – ontologia della migrazione, non forzata dagli effetti del capitalismo assoluto, ma dalla natura, voluta… Tutto accade perché lo vuole e lo conferma la natura: «Quello che le notizie in arrivo da Panama ci svelano è innanzitutto uno sbalorditivo rovesciamento di prospettiva: quello che fino a non molto tempo fa era ritenuto lo “stato di natura”, si è rivelato, guardandolo in retrospettiva, nient’altro che una proiezione sugli insetti di prassi fin troppo umane (anche se ormai meno frequenti, lontane nel passato) studiosi. È bastato che i ricercatori, di una generazione un poco più giovane di quella precedente, portassero nella foresta panamense la loro (e nostra) esperienza di vita acquisita e assorbita nel loro nuovo ambiente “multiculturalizzato”, per “scoprire”, doverosamente, che la fluidità delle appartenenze e il costante mescolarsi delle popolazioni sono la “norma” anche tra gli insetti sociali: una norma apparentemente attuata in modo “naturale”, senza bisogno di ricorrere a commissioni governative, disegni di legge frettolosamente introdotti, corti supreme e centri di permanenza temporanea per richiedenti asilo… In questo caso, come in molti altri, la cultura prassomorfica della percezione umana del mondo li ha spinti a scoprire “là fuori nel mondo”, quello che abbiamo imparato a fare e facciamo “qui a casa” e quello che nella nostra testa o nel nostro subconscio rappresenta l’immagine di “come sono veramente le cose”… Di fronte ai dati inaspettati forniti dagli insetti sociali, è «scattato» qualcosa: quello che fino a quel momento era rimasto al livello di premonizioni intuitive, semiconsapevoli o inconsapevoli, è stato articolato (o forse “si è” articolato), e le intuizioni sono state riciclate in una sintesi alternativa di quell’altra (indirettamente la propria) realtà. Ma il fatto che questo riciclaggio sia avvenuto comporta l’esistenza precedente di scorte di «materia prima», pronta per essere riciclata».[2]

In questa pratica prassomorfica per cui si proiettano le categorie storico-sociali nella natura, poche voci si ergono critiche e consapevoli che la filosofia – avendo perso la sua credibilità e la sua natura critica e costruttiva, in quanto vive nel mondo temperato delle accademie e degli studi televisivi e mediatici –, non smaschera la funzione ideologica delle scienze e contribuisce all’espandersi della necrofilia. Il silenzio rinforza la convinzione che viviamo nell’unico mondo possibile, al punto che anche la natura ci conferma che gli esseri viventi sono liquidi, un fondo a disposizione di “ogni alveare”.

Gli sciami, come gli esseri umani, non fanno gruppo o comunità, si spostano leggeri ed adattabili, sono esseri singoli in perenne movimento, alla ricerca di un luogo momentaneo dove produrre per spostarsi in altro luogo, sono atomi senza relazioni, nati per spostarsi, riprodursi senza aver cura dei piccoli, per poi spostarsi dove vi sono le condizioni per lavorare. Un ciclo perenne senza fine e senza progetto, dove tra la vita dell’uomo e quella dell’insetto le differenze si assottigliano: «C’è un’altra sorprendente similitudine tra come vivono le vespe panamensi e come viviamo noi… In una società di modernità liquida, lo sciame tende a sostituire il gruppo, con i suoi leader, la sua gerarchia di comando e il suo ordine di beccata. Lo sciame può fare a meno di tutti quegli accessori senza i quali un gruppo non sarebbe in grado di formarsi né riuscirebbe a sopravvivere. Gli sciami non devono trascinarsi dietro pesanti strumenti di sopravvivenza: si assemblano, si disperdono e si ricompongono a seconda dei casi, guidati ogni volta da priorità differenti, anche se invariabilmente mutevoli, e attirati da obbiettivi che cambiano in continuazione, bersagli in movimento».[3]

Siamo chiamati a porci il quesito se siamo uomini od insetti. Se mancano le domande il rischio sempre più ampio di risvegliarci insetti diventa sempre più reale ed inquietante come le responsabilità a cui non possiamo sottrarci. La filosofia soltanto, con il suo metodo ontogenetico, può svelare i retroscena della scienza curvata sull’economico liberista per una nuova uscita dalla caverna sempre più simile al sistema alveare.

Salvatore Antonio Bravo

[1] Z. Bauman, Le vespe di Panama, Laterza, 2007, pp. 8- 9.

[2] Ibidem, p. 9-10.

[3] Ibidem, p. 27.

 

 

 


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