Salvatore Bravo – Aldo Capitini e la omnicrazia. L’apertura è sentire la compresenza dell’altro, sentire la propria vita fluire nell’altro, lasciarlo essere, amarlo per quello che è, liberarlo dalla paura del potere, della mercificazione.

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Il potere di tutti

La censura agisce con l’espulsione dall’orizzonte dialogico di autori disfunzionali rispetto alle logiche di potere sempre più escludenti. Non sono solo le persone ad essere espulse, rese invisibili, ridotte a merce e come tali vendute in quanto forza lavoro a basso prezzo nell’occidente, ma anche gli autori che fungono da rottura critica per il sistema vigente.
Aldo Capitini è tra gli autori scomparsi, resi invisibili dal ‘panorama culturale’ mediatico e chiassoso. L’occidente dei leaders, del potere consegnato agli uomini ed alle donne forti al comando, che chiamano con la solita fascinazione delle parole, responsabilità politica, trasparenza, efficienza della decisione. La realtà immanente ci parla invece di infeudamento del potere: leaders, longa manus dei poteri finanziari e il popolo divenuto materiale inerte nelle mani di improbabili demiurghi che in nome di interessi lobbistici sono divenuti gli esattori dei diritti sociali. Il decremento dei diritti sociali obnubilato dalla concessione dei diritti individuali. Questi ultimi divengono operativi per coloro che ne possono usufruire materialmente, per i restanti il diritto individuale è solo potenziale senza atto.
Aldo Capitini, scomparso nel 1968, contrapponeva al sistema del potere di pochi, del partito, dei molti contro le minoranze un’altra visione, un’altra prospettiva del potere. Per Capitini il potere che si struttura secondo forme escludenti, o che si autolegittima mediante l’uso della forza è ancora natura nella natura, ‘il pesce grande mangia il pesce piccolo’; affinché l’essere umano possa divenire umano deve spezzare tale meccanicismo per sostituire ad esso l’apertura. Essa è umanizzazione dei rapporti, infinita inclusione nell’amore. L’apertura è sentire la compresenza dell’altro, sentire la propria vita fluire nell’altro, lasciarlo essere, amarlo per quello che è, liberarlo dalla paura del potere, della mercificazione perché possa fiorire nelle sue potenzialità. Aristotele affermava che l’uomo dev’essere come un albero, deve fiorire, vi dev’essere il passaggio dalla potenza all’atto. Per Capitini solo l’apertura riporta gli uomini all’incontro con il ‘tu’, nell’empatia, nello scambio, la meraviglia che stimola la crescita nell’incontro. La compresenza dell’altro, è uno dei capisaldi del pensiero di Capitini: compresenza significa sguardo che incontra l’alterità e non lo distoglie, significa parola che si fa dialogo e non termina, perché l’apertura è infinita e sospende ogni forma di naturalizzazione del sistema. Il potere si naturalizza non solo nella sua intrasformabilità ideologica, ma specialmente – fa notare Capitini – nella sua pratica violenta ed escludente, nel suo omologarsi alle forze della natura. Bisogna rompere il meccanicismo dell’azione con l’apertura e la compresenza dell’altro perché la vita diventi il centro del fare politica. La Resurrezione, secondo Capitini, era il simbolo della vittoria sulla morte ovvero la chiusura della natura quale modello di adesione acritico del potere. Oggi nel sistema del selfie e delle mercificazioni, assistiamo all’operazione di trasformare l’apertura mediatica, tutto è fluido e pubblico per essere fonte di guadagno, l’altro è sempre un mezzo, ci si intristisce in una chiusura senza feritoie, se tutto passa e pare permesso, resta celata la persona, che è invisibile mentre tutto sembra controllato dallo sguardo del nuovo potere disciplinare, del nuovo Panopticon. La persona non dev’esserci, perché dove c’è l’umano c’è il tu che nel logos dell’incontro è una variabile che può scomporre i poteri. Il tu è censurato, alienato dalle logiche permissiviste che, in cambio del tutto lecito, vogliono l’abbandono della speranza, dell’uscire fuori da sé per entrare in una nuova vita. Alla chiusura attuale, di questi anni, una cortina di cemento sembra il nostro futuro, si contrappone l’apertura, la compresenza che divengono omnicrazia .. [Leggi tutto nel PDF]

Salvatore Bravo


Aldo Capitini e la omnicrazia

 


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Nell’agosto 1968, due mesi prima dell’operazione chirurgica che ne provocherà la morte il 19 ottobre, Capitini affida allo scritto autobiografico Attraverso due terzi del secolo la sintetica ricostruzione del suo percorso esistenziale, intellettuale e politico. Tra la primavera e l’estate dello stesso anno ha tentato una sintesi del suo pensiero politico nello scritto Omnicrazia: il potere di tutti, riproponendosi di lavorarci ulteriormente dopo l’operazione; non potrà farlo, ma lascerà un testo tutt’altro che incompiuto che è il risultato di un’esperienza quasi quarantennale di elaborazione teorica e di organizzazione politica, dall’antifascismo «liberalsocialista» degli anni trenta agli esperimenti di democrazia dal basso nell’immediato dopoguerra, alla decostruzione dell’ideologia cattolica, alla «rivoluzione nonviolenta» negli anni cinquanta, alla teorizzazione della «compresenza», della democrazia diretta e dell’«omnicrazia» negli anni sessanta.

I temi di Capitini, rimossi e deformati già nell’immediato dopoguerra, sono oggi attuali, da conoscere, da studiare e da sviluppare. Sono da riprendere le sue ricerche sulla «complessità» della realtà, sulla «compresenza» delle molte dimensioni del reale (il presente e il passato, la vita e la morte) in ogni singola esistenza; i suoi esperimenti di «nuova socialità» per una società di massimo socialismo e massima libertà, oltre le derive stataliste-staliniste e le imposture liberal-proprietarie; la sua puntuale polemica anticattolica per liberare la dimensione spirituale-mentale dai poteri confessionali; la sua prospettiva del «potere di tutti» come orientamento politico per il presente, contro i poteri oligarchici, politici, economici e culturali.


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Pubblicati nel 1937 presso l’editore Laterza per interessamento di Benedetto Croce, gli Elementi di un’esperienza religiosa di Capitini sfuggirono alla censura fascista per un fatto assai significativo: essendo per il regime la religione naturalmente conservatrice – e certo tale era la religione cattolica -, nulla v’era da temere da un libro che parlasse di religione. Il libro di Capitini esprimeva, invece, una visione del mondo radicalmente antifascista. Partendo da una persuasione liberamente religiosa, né cattolica né cristiana, Capitini affermava i valori della nonviolenza, della nonmenzogna, della responsabilità, del “farsi centro” in un momento storico che vedeva il trionfo della violenza e dell’assenza di scrupoli.

Gli Elementi, prima opera filosofica di Capitini, sono il punto di partenza ideale per studiare la complessa filosofia di uno dei teorici più rigorosi e profondi della nonviolenza.

 

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