Salvatore Bravo – Hannah Arendt del politicamente corretto.

Costanzo Preve
Hannah Arendt


Salvatore Bravo

Hannah Arendt del politicamente corretto

 

Il totalitarismo del politicamente corretto ha i suoi eroi e le sue eroine. Hannah Arendt è tra le antesignane della filosofia decaffeinata, al punto da essere insapore. La filosofia è per sua fondazione radicale, essa è “contropotere” con la funzione etica e politica di neutralizzare le forze che minacciano la comunità e le singole soggettività. A tal fine il metodo filosofico è dialettico e concreto. Esso risponde ai drammi e alle potenzialità trasformatrice della propria epoca mediante l’approccio olistico: il dato è riportato al contesto, e in tal modo si affinano gli strumenti critici e si smascherano posture ideologiche. La filosofia non abita nelle stanze del potere, vive nella comunità, è concretezza dialettica, ha lo scopo di ricostruire relazioni di giustizia su fondamenta veritative. Il potere teme la giustizia sociale e il suo inevitabile antagonismo, al punto da far scomparire dallo spazio pubblico ogni riferimento ad essa.

Il potere oscura i filosofi non spendibili dal circo mediatico. La filosofia addomesticata regina dei salotti trasforma i concetti in chiacchiere e il concreto in astratto. Lo scopo è l’irrazionale, la comprensione degli eventi storici e il giudizio qualitativo sul sistema è sostituito dagli slogan e dalla chiacchiera colta. Nei luoghi della formazione e nei media si segue l’astratto discorrere, pertanto si selezionano i “filosofi” che rafforzano e consolidano con l’irrazionalità l’ipostatizzazione del presente.

Hannah Arendt è largamente utilizzata in tal senso, al punto da essere una icona del politicamente corretto. Il suo impegno filosofico e i suoi scritti non turbano il liberismo, ma ammiccano ad essi.

Le categorie del liberismo sono proiettate nella storia, i Greci appaiono allo sguardo del lettore della Arendt come gli antenati dei liberisti inglesi. La Arendt proietta categorie del suo tempo nell’interpretazione dei Greci addomesticandoli e rendendoli conformi al “politicamente corretto”, ne disinnesca le potenzialità critiche e divergenti per gli uomini e le donne del nostro tempo. La storia diviene una lunga conferma del presente.

Costanzo Preve filosofo controcorrente e radicale è esplicito nel suo giudizio: per la Arendt i Greci sono gli antenati imperfetti degli anglo-americani, in quanto discriminavano le donne e possedevano gli schiavi. La storia ha dunque due modelli positivi: i Greci e gli inglesi. I Greci sono i precursori degli inglesi. Naturalmente “l’imperfezione greca” non è spiegata razionalmente con la cornice storica ed è risolta dal liberismo, in tal modo si plana “nel migliore dei mondi possibili”. Il paradigma liberista è usato per giudicare i popoli antichi e contemporanei, con questa modalità il liberismo diviene non un modello storicamente situato con le sue contraddizioni, ma il discrimine con cui dividere il bene dal male:

 

«La Arendt, evidentemente, si immagina i greci come dei liberali anglosassoni moderni, sia pure ancora imperfetti perché possedevano ancora degli schiavi e tenevano chiuse in casa le loro donne, i quali effettivamente discutono liberamente di politica presupponendo che la cosiddetta “economia” sia un dato che funziona e si riproduce per conto suo».[1]

 

Logos

Il termine logos è tradito e misconosciuto nella sua verità storica. La filosofia è dispositivo anticrematistico. Lo scandalo per i liberisti di ogni partito è la filosofia, di conseguenza essa dev’essere deformata e mutilata della sua capacità di dare-donare risposte agli effetti distruttivi del liberismo. La Arendt si presta a tale operazione di occultamento della filosofia. Il logos per la Arendt è “semplicemente la parola” da usare all’interno di formalismi giuridici. Il logos, invece, rileva Costanzo Preve è emancipazione dalle forza economiche e crematistiche che vogliono strumentalizzare i cittadini, oscurarne la coscienza e il senso critico. Il logos è attività critica che rende la coscienza individuale luogo di resistenza e attività in opposizione alla manipolazione persuasiva. Il logos ha una valenza politica e veritativa e coincide con il filosofare, è prassi sociale senza la quale guerre e ingiustizie divorano comunità e individui in un fatale destino di dolore:

 

«Per la Arendt il termine logos significa unicamente parola, libera parola che convince, decisione presa in base al convincimento delle sole parole. […] La filosofia, anzi, è nata proprio sulla base della messa in discussione problematica del potere di convincimento della parola in nome di una istanza veritativa esterna al puro potere di convincimento della parola stessa (Socrate contro Gorgia, Platone contro Isocrate, eccetera). La Arendt evidentemente cerca di comprendere la polis combinando idealmente Gorgia e Rorty: il logos si riduce alla parola che convince, e dal momento che la verità non esiste la democrazia prevale sempre sulla filosofia».[2]

 

Il logos è misura delle giuste proporzioni, è il katechon che deve contenere derive dissolvitrici nelle quali popoli e individui sono reificati dai processi economistici. Sfruttamento e indebitamento sono il risultato delle logiche crematistiche, i popoli sono sospinti all’indigenza e sono saccheggiati del loro lavoro e della loro capacità creativa e comunitaria.

 Il pensiero greco è modello eterno da ripensare, in quanto definisce la natura umana e stabilisce la stabilità della comunità sulla giustizia e sulla verità “mostrate e dimostrate”. Non è sufficiente vivere secondo la verità, per il greco il logos è la parola con cui si dimostra la necessità di una vita conforme alla natura umana. La scissione tra pensiero ed essere è trascesa, sicché il logos pensa il proprio tempo storico, lo giudica qualitativamente al fine di porre in essere la prassi trasformatrice. Il logos della Arendt ridotto a espressione vocale astratta non può che contraddire la sua funzione emancipatrice per divenire chiacchiericcio colto che conserva gli equilibri-squilibri sociali in atto:

 

«Il termine logos significa calcolo (loghizomai), e più esattamente, calcolo delle proporzioni delle corrette proprietà ispirato alla misura (metron), alla giustizia (dike), alla concordia fra i cittadini (omonoia), all’equilibrio fra i beni in una comunità (isorropia), all’istituzione di un freno sociale (katechon) per impedire l’accumulazione infinita-indeterminata (apeiron) delle ricchezze private (chremata) potesse portare alla corruzione-dissoluzione del corpo sociale (phthorà)».[3]

 

 

Destoricizzare

La destoricizzazione e la desocializzazione usate come metodo d’indagine finiscono con deformare non solo i Greci ma anche il tempo contemporaneo. La storia finisce con diventare una fiaba aspaziale e atemporale. La storia per la Arendt è una lunga corsa verso il liberismo, i totalitarismi riconosciuti e giudicati come tali sono solo i sistemi politici avversi al liberismo. Quest’ultimo, invece, è giudicato il regno della libertà. Per evitare gli ostacoli storici e la sua dura realtà la Arendt destoricizza l’essere umano in modo da fondare una antropologia organica allo scopo della sua opera, tutto è abilmente neutralizzato, non mette in campo le categorie interpretative che potrebbero destabilizzare la sua “filosofica visione”.

 

«In primo luogo, l’antropologia della Arendt è completamente destoricizzata, in modo quasi incredibile (e per questo piace nell’epoca postmoderna di rifiuto della coscienza storica). Non c’è traccia di Polany, per cui l’antropologia umana del comportamento privato e pubblico non si sviluppa in correlazione con le forme di rapporto comunitario reciproco (reciprocità, ridistribuzione, scambio eccetera). Non c’è traccia naturalmente di Hegel, per cui è proprio attraverso il lavoro (e cioè prima di lavorare, e poi l’operare) che l’uomo prende coscienza prima di se stesso (e cioè la sua coscienza libera), e poi dei suoi rapporti di asservimento (il servo che si rende conto che lo stesso signore dipende dal suo lavoro). Non c’è ovviamente traccia di Marx, per cui lo stesso “metabolismo dell’uomo con la natura” (definizione marxiana) è una pura astrazione del tutto inesistente se non è immediatamente concretizzata con i rapporti sociali di produzione dentro i quali questo metabolismo uomo-natura avviene».[4]

 

L’unica diade individuata dalla Arendt è l’opposizione uomini-donne. La lotta di classe è rimossa dalla storia e dai modi di produzione, su tutto campeggia la storia pacificata dalla vittoria del liberismo anglosassone. Non potrebbe essere altrimenti, poiché il liberismo è per sua costituzione lotta tra le classi, tra le nazioni e tra gli individui, è “guerra perenne”. La diade uomo-donna la rende particolarmente spendibile per il sistema capitale che ha velato i conflitti sociali e di classe con il femminismo e i soli diritti civili, la diade uomo-donna è l’oscuramento della verità storica e catalizzatore del consenso pianificato a livello mediatico:

 

«Insomma, non ci sono tracce di Polany, Hegel e Marx, ma non c’è un briciolo di storia. Abbiamo un Uomo, anzi la diade Uomo-Donna (la sola in cui avviene evidentemente una dialettica biunivoca, il che fa della Arendt, assai più della Simone de Beauvoir, la vera fondatrice del femminismo filosofico, o più esattamente della sostituzione del femminismo al marxismo), che entra in rapporto diretto con la Natura, e che prima lavora per riprodursi, e poi opera per costruire strumenti artificiali».[5]

 

 

Morte e Natalità

Non vi è traccia nelle opere della filosofa della genealogia dei modi di produzione, e in generale, della genetica della divisione in classe con l’evolversi in senso crematistico dell’economia. Le classi sociali sono ipostatizzate, sono tali da sempre, per cui sono intoccabili, non c’è politica che possa intervenire per rigenerare nella giustizia le comunità. La speranza ha il suo succedaneo nel formalismo della parola. La democrazia diviene uso della parola in un sistema formale di regole che compensa il vuoto veritativo. Non a caso la Arendt tratta della “condizione umana” e non della “verità”:

 

«In secondo luogo, l’antropologia della Arendt non è soltanto destoricizzata, ma anche del tutto desocializzata. Non c’è traccia nella Arendt del fatto che all’interno della divisione sociale del lavoro nascono le classi sociali antagonistiche, gli sfruttatori e gli sfruttati».[6]

 

La filosofia al femminile è la frontiera da contrapporre alla filosofia maschile. Non vi sono altre contrapposizioni. Heidegger è simbolo del filosofare maschile. Gli uomini non possono generare la vita, pertanto perseguono la morte. L’Heidegger della Arendt è banale fino al semplicismo. Costanzo Preve dimostra che l’essere per la morte di Heidegger non è finalizzato ad affermare la morte, ma è giudizio sul modello liberista. La reificazione è una forma di morte, mentre si è in vita. La vita inautentica è vita dominata dalla tecnocrazia (Gestell), la tecnica capitalistica si impianta nella carne viva e deforma la natura umana. Il logos è sostituito dal calcolo e dal vuoto ciarlare. L’antitesi della natalità della Arendt alla morte di Heidegger non ha dunque ragion d’essere:

 

«Secondo, la Arendt contrappone la sua teoria della centralità della natalità alla teoria heideggeriana della mortalità, provocando lodi dal concerto del politicamente corretto e del buonismo universale (chi infatti – potendolo fare – non sceglierebbe la natalità alla mortalità?). Ma il Vivere-per-la-Morte di Heidegger non c’entra nulla con una (presunta e inesistente) centralità della cosiddetta Mortalità. Centrale per Heidegger è soltanto l’autenticità, e cioè il vivere autentico (parlo solo del cosiddetto “primo Heidegger”, nel secondo centrale diventa il rapporto degli enti storici con l’Essere».[7]

 

Malgrado i filosofi del politicamente corretto, la natura etica e razionale dell’essere umano non può essere congelata dall’inverno dello spirito sostenuto dagli oratores e dai filosofi di regime. Per poter riportare la storia e la verità dove impera l’astratto è necessario l’esodo dalle Accademie e dai filosofi da salotto. Un concetto radicale e vero può muovere a trasformazioni inaspettate che la pletora dei libri prodotti in serie non potranno mai causare. Il tempo che verrà esattamente come l’attuale momento storico è lavoro dello spirito-concetto da contrapporre all’aggressività della menzogna pianificata. La prassi è innanzitutto verità da definire e tradurre in agire politico, Costanzo Preve ci rammenta con le sue critiche al pensiero della Arendt il senso del filosofare e denuncia le storture e gli occultamenti ideologici del sistema capitale.

 

[1] Costanzo Preve, La Scuola di Francoforte Adorno e lo spirito del Sessantotto, Schibboleth, Roma 2023.

[2] Ibidem, pag. 286.

[3] Ibidem, pag. 287.

[4] Ibidem, pag. 281.

[5] Ibidem, pagg. 281-282.

[6] Ibidem, pag. 282.

[7] Ibidem, pag. 283.