«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
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«Le concezioni dell’individuo umano come originario e irriducibile, e del valore come appagamento interiore (utilità percepita), sono incardinate nella spina dorsale della concettualità economica. La realtà umana, la concretezza storica e antropologica, vengono perciò sempre lette come una sorta di eccezioni, di deviazioni, più o meno marcate e possibilmente da correggere, invece l’astrazione di partenza appare per la moderna riflessione economica come un “luogo naturale” aristotelico, un punto di attrazione cui si tende a ritornare sempre, salvo esplicito impedimento. Una volta compresa l’essenziale continuità tra la ragione liberale classica e la razionalità economica classica, si comprende la naturalezza dello sbocco neoliberale. […] Il neoliberalismo, infatti, rappresenta la presa di coscienza storica del carattere normativo dell’economia neoclassica. Non si tratta più di immaginare un mondo (uno “stato di natura”) dove gli esseri umani siano massimizzatori razionali autoreferenziali, dove la storia e la cultura siano inconferenti, dove il mercato sia un’entità originaria e lo Stato un accessorio a esso funzionale. Questo mondo non c’è mai stato. Ma in una prospettiva economica è ritenuto auspicabile che esso ci sia, o che ci si approssimi quanto possibile a quel modello, e questa è l’essenza della proposta neoliberale. È perciò che alla fine del XX secolo lo Stato liberale dismette le proprie remore e si fa carico di creare, o approssimare, le condizioni perché le idealizzazioni del mercato perfetto si realizzino.
Andrea Zhok, Critica della ragion liberale. Una filosofia della storia corrente, Meltemi, Roma 2020, p. 153.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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