Salvatore Bravo – Il flâneur, passeggiatore annoiato, è l’uomo massa della società dell’abbondanza che vive nella distanza dallo sguardo altrui. Essere astratto e distratto vive l’esperienza senza simbolizzarla in prassi, al servizio del sistema mediante le protesi tecnologiche, che esigono automatici comportamenti.

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Angelus novus

Angelus novus

 

Walter Benjamin, in Angelus novus, pone tra le figure in primo piano il flâneur, il passeggiatore annoiato e sfaccendato tra le strade della città, una figura già descritta dal poeta simbolista francese Charles Baudelaire che ne fa il trascendentale dell’epoca delle masse omologate ed annoiate nel regno dell’imperante capitalismo.

Paul Gavarni, Le Flâneur, 1842

Paul Gavarni, Le Flâneur, 1842.

 

Benjamin evidenzia nel suo saggio che il flâneur è l’uomo massa, presenza imprescindibile di ogni descrizione delle strade delle città contemporanee, di ogni paesaggio metropolitano. Uomo senza meta, che bighellona per le vie senza un percorso.

Uomo senza qualità, interno alla società dell’abbondanza, presenza complementare e passiva del paesaggio urbano: vive nella distanza dallo sguardo altrui.

Vagabondare senza meta: immagine profetica del presente.

I turisti che si spostano nella noia per le città, con lo sguardo volto ad arpionare immagini da predare. Il turista che vaga per percorsi preordinati non conosce che strade anonime, eguali ad altre città: ripete l’eterno copione della desiderata fuga dalla gabbia d’acciaio. Fuga illusoria. Si dipana in uno spazio globale, la prigione non è angusta, ha spalancato le sbarre, per portarle oltre, dove l’ignaro vagabondo non le vede. Gli consente il perenne spostamento, lo coccola tra inviti al consumo e sogni di fuga dalla noia.

In verità il passeggiatore globale non fa esperienza vissuta di nulla: piuttosto ripete meccanicamente copioni decisi dalla pervasiva pubblicità mediatica. Mete prestabilite, percorsi sicuri per il consumo, emozioni preconfezionate, piaceri prestabiliti. Il turista globale, sviluppo esponenziale del flâneur è espressione malinconica della fine della storia.

Walter Benjamin, contro ogni fatalismo storicistico, credeva nel materialismo affrancato dai limiti dello storicismo. Se per quest’ultimo la storia è il tempo omogeneo da cui non si può sfuggire, per il materialismo, nella lettura di W. Benjamin, invece, la storia è il tempo della discontinuità, della contraddizione, dove tutto può accadere. Il materialismo forma persone libere, in quanto fa della storia il campo dove la coscienza dell’umanità rompe con i rapporti di causa-effetto, per deviare dal cammino ineluttabile di coloro che strombazzano parole in nome dell’addomesticamento della prassi:

«Lo storicismo culmina in linea di diritto nella “storia universale”, da cui la storiografia materialistica si differenzia – dal punto di vista metodico – forse più nettamente che da ogni altra. La prima non ha un’armatura teoretica. Il suo procedimento è quello dell’addizione; essa fornisce una massa di fatti per riempire il tempo omogeneo e vuoto. Alla base della storiografia materialistica è invece un principio costruttivo. Al pensiero non appartiene solo il movimento delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta di colpo in una costellazione carica di tensioni, le impartisce un urto per cui esso si cristallizza in una monade. Il materialista storico affronta un oggetto storico unicamente e solo dove esso gli si presenta come monade. In questa struttura egli riconosce il segno di un arresto messianico dell’accadere o, detto altrimenti, di una “chance” rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli la coglie per far saltare un’epoca determinata dal corso omogeneo della storia; come per far saltare una determinata vita dall’epoca, una determinata opera dall’opera complessiva. Il risultato del suo procedere è che nell’opera è conservata e soppressa l’opera complessiva, nell’opera complessiva l’epoca e nell’epoca l’intero decorso della storia. Il frutto nutriente dello storicamente compreso ha dentro di sé il tempo, come il seme prezioso ma privo di sapore». [1]

Il flâneur contemporaneo è l’espressione dello storicismo incolto del capitalismo assoluto.

Il viaggio non è un’esperienza vissuta, il desiderio non si configura nella profondità della coscienza intenzionale. Esso, diventa esperienza automatica, meccanico bisogno indotto sulla soglia della fine della storia.

Viaggio per fuggire dalla noia del tempo sempre uguale, perché lo storicismo del turbocapitalismo, con il suo mantra, insegna che il presente è il trionfo dell’ipostasi dell’economia: oltre l’economia – si dice – non vi è che il nulla. La prigione dello spazio diviene allora gabbia del tempo.

Lo sradicamento dalla storia è passività compensata dall’attività dell’unico ruolo intramontabile sull’impero del regno dell’eterno vociare degli strilloni osannanti il presente: il consumante consumatore. La storia per il materialismo è rottura della continuità: perché questo avvenga gli sfruttati, gli infelici, i cercatori di giustizia, vivono la storia come esperienza densa di pensiero, mentre lo storicismo insegna la rassegnazione e dunque l’esperienza non è mediata dall’attività della coscienza:

«Al concetto di un presente che non è passaggio, ma in bilico nel tempo ed immobile, il materialista storico non può rinunciare. Poiché questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive storia. Lo storicismo postula un’immagine “eterna” del passato, il materialista storico un’esperienza unica con esso. Egli lascia che altri sprechino le proprie forze con la meretrice “C’era una volta” nel bordello dello storicismo. Egli rimane signore delle sue forze: uomo abbastanza per far saltare il “continuum” della storia». [2]

La forza della gabbia d’acciaio consiste nel formare un’umanità globale nella passività storicistica. Nel retroscena del nichilismo del presente si cela lo storicismo che non ha altro fine che il consumo. L’intera teleologia della storia è letta nei termini fatali del trionfo dell’homo oeconomicus. Il capitalismo assoluto ha il suo storicismo ed il regno dei fini realizzati. L’intera storia è letta e decodificata secondo le categorie economiche. Nella storia non si scorgono che le linee graduali dell’emergere di un nuovo tipo antropologico che ha trovato la massima espressione prima nell’homo oeconomicus dell’empirismo inglese, oggi con l’uomo imprenditore e consumatore. Il vagabondo, il turista che passa per luoghi e paesaggi sempre con meno storia e più merci, con più spazio e meno tempo archeologico, ne è l’espressione emblematica. Porta e trasporta con sé il trionfo dello storicismo senza speranza. Essere astratto e distratto vive l’esperienza senza simbolizzarla in prassi. Al suo ritorno l’eguale prende il sopravvento in attesa di un altro viaggio, di un’altra odissea senza resistenza, trascorsa in ascolto delle sirene. È la mente ad essere legata, il tempo che riscrive la storia è raggelato, mentre il corpo può vivere ogni esperienza, e diviene l’eterno olocausto alla religione dell’edonismo annoiato.

Il viandante tediato assomiglia all’operaio non specializzato, ripete gesti meccanici, in modo perenne e ripetitivo. Il gesto non gli appartiene, non è vissuto, è subìto. Tale comportamento rammenta il bighellonare del turista globale sempre al servizio degli strumenti mediatici; sono divenuti parte di lui, non lo abbandonano mai, Gestellen, reca con sé il lavoro quotidiano, lo stare al servizio del sistema mediante le protesi tecnologiche, che esigono automatici comportamenti da operaio non specializzato, il lavoro non lo lascia mai:

 

«Accanto all’ordinamento gerarchico subentra la semplice distinzione degli operai in specializzati e non specializzati. L’operaio non specializzato è quello più profondamente degradato dal tirocinio della macchina. Il suo lavoro è impermeabile all’esperienza. L’esercizio non vi ha più alcun diritto. Ciò che il “luna park” realizza nelle sue gabbie volanti e in altri divertimenti del genere non è che un saggio del tirocinio a cui l’operaio non specializzato è sottoposto nella fabbrica (un saggio che, a volte, dovette sostituire per lui l’intero programma; poiché l’arte dell’eccentrico, in cui l’uomo qualunque poteva esercitarsi nei “luna park”, prosperava nei periodi di disoccupazione). Il testo di Poe rende evidente il rapporto tra sfrenatezza e disciplina. I suoi passanti si comportano come se, adattati ad automi, non potessero più esprimersi che in modo automatico. Il loro comportamento è una reazione a “chocs”. “Quando erano urtati, salutavano profondamente quelli da cui avevano ricevuto il colpo”». [3]

 

Allo storicismo economico del capitalismo assoluto è necessario contrapporre il materialismo, la discontinuità alla continuità della gabbia d’acciaio. Non vi sono continuità che non siano cadute o modificate, l’esperienza storica del passato è il nutrimento del presente contro ogni chiusura al futuro. Il tempo messianico del futuro giunge, afferma Walter Benjamin, anche dalla breve porta improvvisa che si spalanca in un secondo:

«Ciò li liberava dal fascino del futuro, a cui soggiacciono quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non per questo il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia».[4]

Tutti partecipiamo alla possibilità di esseri dei piccoli Messia che spalancano il tempo presente al futuro. La speranza è una dea universale si nutre dell’attività teoretica e pratica di ciascuno, anche minima, poiché ogni gesto è politico, contribuisce al ristagno o alla trasformazione del tempo storico.

 

Salvatore Bravo

[1] Walter Benjamin, Angelus novus, Einaudi, Torino, 2006, pag. 64.

[2] Ibidem pag. 63.

[3] Ibidem pp. 76-77.

[4] Ibidem, pag. 65.

 



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Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera

Walter Benjamin,1928

Walter Benjamin, 1928.

«C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che l’angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera».

Walter Benjamin, dalle tesi Sul concetto di storia, Einaudi, 1997, pp. 35.

 

Paul. Klee, Angelus NovusPaul Klee, Angelus Novus.