Massimo Stella – «Madreparola. Risorgenze della Musa tra modernismo europeo e antichità classica». Il dono materno della parola e della voce poetiche è l’onda di una lunga memoria che, dall’Antico al primo Novecento europeo, continua a spirare.

Massimo Stella 01
Madreparola

Madreparola

 

 

Descrizione
Il dono materno della parola e della voce poetiche è l’onda di una lunga memoria che, dall’Antico al primo Novecento europeo, continua a spirare. La verga esiodea della poesia – il meraviglioso ramo d’alloro fiorito, quel simbolo vegetale di fecondità e iniziazione – sta sotto l’insegna della Madre (Mnemosyne), che parla, si muove e incontra il mondo attraverso l’anodos e l’epifania delle sue Figlie (le Muse). Nel futuro-passato della tradizione, saranno, quelle Figlie, le jeunes filles en fleurs della Recherche proustiana, e ancora parleranno al giovane poeta – quasi si rinnovasse in lui la figura millenaria del kouros-cantore – nell’universo creativo della figurazione rilkiana. Il canto delle donne al poeta (così Rilke intitolava uno dei suoi Neue Gedichte), da Fattrici a Fattore, è Terribile: esso rievoca e ridice, per chi “fa” con le sole parole, la gestazione della vita, quella creazione del vivente che, nella lingua dell’uomo, prenderà il nome di “anima”. Il “canto delle donne” e il movimento del loro pensiero sono the Voice of Language, il flusso sonoro del mondo che Joyce, memore quant’altri mai dell’oralità omerica e dell’epos, catturerà, di nuovo (come fosse un’ultima volta?), nel suo libro-poema, restituendoci, in Molly-Penelope, il ritmo immemoriale e incessante della mente creativa.

Dante Gabriel Rossetti - La Donna della finestra

Dante Gabriel Rossetti – La Donna della finestra

Massimo Stella è ricercatore in Critica letteraria e Letterature comparate alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Classicista di formazione, ha studiato nelle Università di Pavia e di Padova. Lavora attualmente sulla ricezione dell’Antico (tra teatro e filosofia) nelle letterature e nel pensiero moderni e contemporanei.
Ha pubblicato, oltre a numerosi saggi in riviste scientifiche internazionali e capitoli di libro (in italiano, francese, inglese, portoghese), le seguenti monografie: Madreparola. Risorgenze della Musa tra modernismo europeo e antichità classica, Mimesis edizioni, 2018; Il romanzo della Regina. Shakespeare e la scrittura della sovranità, Roma, Bulzoni, 2014; Sofocle. Edipo re. Traduzione, Introduzione e Commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2010; Luciano di Samosata. Vite dei filosofi all’asta. La morte di Peregrino, traduzione, introduzione e commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2007; L’illusion philosophique. La mort de Socrate sur la scène des Dialogues platoniciens, Grenoble, Editions Jerôme Millon, 2006; e ha curato il volume collettivo sulle sopravvivenze del mito di Edipo nella memoria letteraria europea ed extraeuropea: Edipo. Margini Confini Periferie, Pisa, ETS, 2013 (in collaborazione con Patrizia Pinotti). Ha partecipato e partecipa a gruppi di ricerca nazionali e internazionali – tra i quali, ultimamente, il progetto Cofecub 2015 (collaborazione Parigi CNRS/ENS-Rio UFRJ) sulla tradizione delle poetiche antiche.
È membro di comitato scientifico di riviste internazionali (L’immagine riflessa), membro di comitato editoriale (Collana Testo a fronte – Aracne Editore), svolge attività di referee per Storia delle Donne. Collabora con il manifesto (Alias).

Dante Gabriel Rossetti. Mnemosyne

Dante Gabriel Rossetti. Mnemosyne


Altri libri di Masimo Stella

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2006 L'illusion philosophique. La mort de Socrate sur la scène des Dialogues platoniciens

L’illusion philosophique. La mort de Socrate sur la scène des Dialogues platoniciens, Grenoble, Editions Jerôme Millon, 2006.

 

Qu’en est-il de l’écriture de Platon hors des sentiers battus de la critique moderne, au-delà des notions traditionnelles de “dialogue” et de “philosophie”? Ce livre prend en considération les dialogues platoniciens comme un unique macro-texte narratif et s’efforce d’y tracer un parcours original au moyen de la mimesis : l’auteur joue avec l’écriture platonicienne et s’y construit un récit ou, plus exactement, la trame d’un récit possible qui devient, au fil des pages, celle de la mort de Socrate. Ce jeu des textes nous présente alors Platon non plus comme un philosophe, un maître ou un théoricien de la politique mais comme le conteur, le narrateur d’une expérience intellectuelle et idéale en lien direct avec la vie de sa cité, à travers l’éros, la mort et le pouvoir.

 

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2007 Luciano di Samosata. Vite dei filosofi all’asta. La morte di Peregrino

Luciano di Samostata, Vite dei filosofi all’asta. La morte di Peregrino.

Traduzione, introduzione e commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2007.

 

Tra le “Vite dei filosofi all’asta” e “La morte di Peregrino” si apre una medesima scena e si svolge, al contempo, una medesima vicenda del pensiero: è un teatro e una storia della mimesi, con la giostra – un po’ folle e bislacca – delle copie, delle imitazioni, dei simulacri che danzano ormai liberi e festeggianti sulla morte, inequivocabilmente definitiva, della verità. Il grande cadavere è quello della filosofia platonica e di tutte le filosofie che, sulle orme di Platone, hanno voluto porsi sul piedistallo della virtù e della conoscenza vera. Così Luciano, il grande scrittore di Samosata (II secolo d.C.), mette in vendita, anzi in svendita, tutte le filosofie possibili sulla piazza del mercato ed erige un grande rogo su cui, simbolicamente, con l’impostura di Peregrino, sale anche tutta quella vanagloria filosofica che ha spirato con potenti soffi di alterigia per secoli e secoli. Da queste ceneri possono così rinascere la scrittura e il racconto, liberati dai sequestri e dalle ipoteche della verità e della virtù, del bene e della politica. Ha l’aria della vendetta, tutto ciò, e lo è certamente. Ma è anche qualcosa in più. Questa scena, allestita da Luciano tra le “Vite” e il “Peregrino”, è una delle riflessioni più profondamente filosofiche che sia dato di leggere sul “ragno implicito” di ogni filosofia: l’ipocrita recita dell’esemplarità. Se poi questa recita ha già trovato dei pericolosi eredi, come i cristiani…

 

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2010 Sofoche, Edipo re

Sofocle, Edipo re

Traduzione, Introduzione e Commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2010.

Tragedia del potere, perché cronaca della destituzione d’un capo, tragedia della politica, perché analisi del conflitto tra poteri, l’Edipo re è un’opera teatrale che recide definitivamente i suoi legami con tutte le illusioni della tradizione (il mito, il rito) per farsi “opera di denuncia”: sono i sussurri e le grida di una comunità che divora sé stessa, sotto un cielo senza dèi, su una terra maledetta.

 

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2013 Edipo. Margini e confini

Edipo. Margini Confini Periferie, ETS, Pisa, 2013
(in collaborazione con Patrizia Pinotti).

 

Margini, confini, periferie dell’edipo: territori estremi, liminali e decentrati del mito di Edipo (riformulato da Sofocle) e del suo complesso (secondo Freud) nella geografia politica e culturale dell’Europa Occidentale tra Otto e Novecento, nonché dei suoi domini ed ex-domini coloniali. Questo il nodo problematico e lo snodo temporale intorno ai quali il volume è fondamentalmente costruito.
Su suolo europeo, tra Inghilterra (Dickens, Eliot), Francia (Hugo, Gide, Cocteau), Russia e Austria felix (Dostoevskij Freud) – nell’arco temporale che si estende dall’epopea capitalistico-borghese di seconda metà dell’Ottocento fino alle due guerre – vengono analizzate e studiate le forme latenti e dislocate della configurazione edipica, integrando nel percorso alcuni esemplari rovesciamenti e scardinamenti prodotti, durante gli Anni Settanta, dalla cultura della Contestazione (Morante, Testori, Deleuze e Guattari).
Per altro verso, dall’altra parte dell’Oceano e del Mediterraneo, ritornano, dall’America e dall’Africa (tra Faulkner e Rotimi), vere e proprie figurazioni speculari e distorte della stessa vicenda, storie familiari disfunzionali e post-edipiche, come a rammentare quali violente e regressive conseguenze abbia avuto sulle periferie e sui confini del mondo la vocazione civilizzatrice della civiltà borghese alle prese con i propri disagi.
Non manca l’attenzione per il destino dei personaggi non centrali e/o marginalizzati della storia di Edipo: Giocasta, innanzitutto, e i figli-fratelli dell’incesto, recuperati dal grande alveo della tradizione drammaturgica romana e da Seneca in particolare, per proseguire, con significativi affondi in Shakespeare (la Cordelia/Antigone di Re Lear), attraverso sentieri poco noti del teatro tardorinascimentale e secentesco (Manfredi, Pallavicino), fino al postmoderno (Molinaro). Chiude il volume la traduzione di The Gods Are Not To Blame di Ola Rotimi ad opera di Francesca Lamioni.

 

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2014 Il romanzo della regina

Il romanzo della Regina. Shakespeare e la scrittura della sovranità, Roma, Bulzoni, 2014.


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cicogna petite

Elias Canetti (1905-1994) – Eliot non è un vero poeta, è un giocatore di birilli. Come tanti critici d’arte, come tanti critici-critici. È diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione.

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Eliot non è un vero poeta, è un giocatore di birilli. Come tanti critici d’arte, come tanti critici-critici.
È diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione.

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Il libro contro la morte

A me non interessa abolirla, cosa che non sarebbe possibile.
A me interessa soltanto bandire la morte.
E. Canetti
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Provo una profonda avversione per ogni forma di critica arte; avversione che cresce là dove tale critica si avvicina alla sfera che mi compete; e la trovo insopportabile là dove si sforza di essere assolutamente fredda ed equa. Un esempio nella letteratura inglese moderna è costituito dal poeta Eliot, nei cui saggi sulla poesia mi imbatto di tanto in tanto.

Nemmeno io capisco appieno perché essi suscitino in me un ribrezzo così repentino e peculiare. Eppure lo avverto sempre, dopo una pagina o due; e con ansioso disgusto, attento a ogni parola che potrebbe accrescerlo, leggo sino alla fine ciò che dovrei mettere subito da parte, e per giorni poi mi sento come rinchiuso in un’orrenda, obsoleta camera di tortura.

La questione trattata in questi saggi è sempre quella del collocamento. La contabilità dei nomi viene affrontata oggettivamente come fosse una trattativa commerciale ben ponderata. Merita, questo o quell’altro, il suo posto nell’antologia? Vi occupa troppo o troppo poco spazio? Si lascia chiaramente intendere che i poeti vivono di antologie. Gli esiti modesti di alcune esistenze ricche e vivaci vengono ricondotti ai loro esordi. Dev’essere davvero un piacere trafficare con i morti come fossero birilli. Già il giudizio sui vivi è un’operazione piuttosto dubbia; e c’è chi preferirebbe farsi tagliare la lingua piuttosto che servirsene per pronunciare una sentenza. E invece ecco qui uno che, con i morti, non ha remore. Di morti, ne tira fuori nove, a volte anche di più, preferibilmente quelli che già da un pezzo sonnecchiano nelle antologie, li mette in fila e ci scaglia contro la sua boccia di legno. Sa poi spiegare nei minimi dettagli perché ne ha colpiti proprio sei; descrive coloro che sono stati buttati a gambe all’aria e ne convalida puntualmente il destino. Ai tre rimasti in piedi, invece, rende onore con parole discrete. Infatti, pur consapevole delle qualità della sua boccia, in fondo sa benissimo che quei tre devono a lui la loro posizione; sarebbe stato facile per lui mettere anche loro nelle fila dei morti.

Tale operazione è ripugnante per molte ragioni: rivela quanto poco questo giocatore di birilli sia ciò che pretende di essere, ovvero un poeta. Perché, se lo fosse, come potrebbe dedicarsi così freddamente a organizzare la fama postuma? Come potrebbe lottare per il numero di righe nelle antologie? Se le sue mani fossero forti nel lancio, lui abbandonerebbe la pista dei birilli e tormenterebbe i vivi o gli dèi. Invece se ne sta lì in maniche di camicia e prende le misure ai morti, quelli che lui stesso ha, prima, tirato su e poi buttato giù. Se avesse un cuore, non potrebbe colpire a intervalli prestabiliti. Ma è diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione. Se però la chiarezza fosse davvero importante per lui, la userebbe per districare questo mondo reale: penserebbe, invece che limitarsi a vagliare, e soprattutto si vergognerebbe di vagliare in continuazione la fama postuma solo perché tiene tanto ad essa. Lui non pensa, per lui anche la chiarezza è solo un mezzo. Fra gli appassionati si finge colui che ragiona con chiarezza, fra coloro che ragionano con chiarezza si finge un appassionato.

Chi lo biasimerebbe se, sul terreno delle parole, si muovesse alla ricerca di nuove scoperte? Dovrebbe solo ammettere apertamente la propria curiosità; disporre lui stesso il materiale; accontentarsi di ciò che lo impressiona; gioire; arrabbiarsi; afferrare; allontanare, baciare; discutere; e non presiedere una Corte di giustizia.

 

Elias Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi, 2017, pp. 39-41.

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Risvolto di copertina
Il libro più importante della sua vita, Canetti lo portò sempre dentro di sé ma non lo compose mai. Per cinquant'anni procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato i numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i contemporanei, con i grandi del passato e con i propri lutti familiari, andava prendendo giorno dopo giorno su uno dei temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte, contro la violenza del potere che afferma se stesso annientando gli altri, contro Dio che ha inventato la morte, contro l'uomo che uccide e ama la guerra. Una battaglia che era un costante tentativo di salvare i morti – almeno per qualche tempo ancora – sotto le ali del ricordo: «noi viviamo davvero dei morti. Non oso pensare che cosa saremmo senza di loro». Sospeso tra il desiderio di veder concluso Il libro contro la morte – «È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d'un fiato?» – e la certezza che solo i posteri avrebbero potuto intraprendere il compito ordinatore a lui precluso, Canetti continuò a scrivere fino all'ultimo senza imprigionare nella griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi brevi e icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti paradossi. Quel compito ordinatore è assolto ora da questo libro, complemento fondamentale e irrinunciabile di Massa e potere: ricostruito con sapienza filologica su materiali in gran parte inediti, esso ci restituisce un mosaico prezioso, collocandosi in posizione eminente fra le maggiori opere di Canetti.

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Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»

Maura Del Serra

INTERVISTA A MAURA DEL SERRA
SCRITTRICE, CRITICA, TRADUTTRICE, POETESSA.
QUALCHE RIGA PER AVVICINARCI AL SUO PENSIERO
DEL TESTO SCRITTO E LETTO

A cura di Nuria Kanzian

La Gazzetta di Istambul

 Intervista pubblicata su:
«La Gazzetta di Istambul» – Ottobre 2015 – Anno X – Rubrica “Scrittori & Scritti”

 

 

Quali sono gli autori (libri, scrittori o poeti) a cui si sente più affezionata?

Dovrei fare un elenco lunghissimo, ma posso rispondere in sintesi: i classici della tradizione occidentale, dai lirici greci a Dante agli Elisabettiani ai Romantici e ai Simbolisti, da Eliot a Proust a Simone Weill alla Szymborka … e a molti della tradizione orientale, specialmente quella sufi e taoista.


Preferisce gli autori italiani o quelli stranieri e perché?

È una distinzione che non mi corrisponde, mi è sempre stato naturale ricercare le voci salienti ed empatiche al di là di ogni barriera geografica o linguistica.


Quali sono i principali problemi che si incontrano nella traduzione e come risolverli?

Caratteristica fondamentale ne è appunto la sintonia, l’empatia con l’autore tradotto, nel senso che sia lui/lei a “sceglierti” come “pontifex” verso la tua lingua madre; i molti e complessi problemi tecnici si possono condensare nello sforzo di raggiungere una ossimorica “fedeltà infedele”, cioè nella capacità di restituire il senso e il ritmo profondo dell’originale trasponendolo in uno parallelo.


Cosa consiglierebbe a un giovane critico letterario per affermarsi oggi?

Più che consigliare, auguro ad un giovane studioso (critico o scrittore) di mantenersi fedele alla propria vocazione (parola insostituibile) e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere. Per fortuna – come rovescio della medaglia – gli strumenti informatici attuali consentono anche ad autori “fuori dal coro” di far sentire la loro voce.


Quale è la poesia di Clemente Rebora che preferisce?

La grandezza complessa della poesia di Rebora mi rende difficile estrapolare una singola poesia: tutti i Frammenti lirici e i Canti anonimi sono per me di vitale eccellenza spirituale e originalità linguistica.


Della sua carriera quale ricordo le rimane più impresso?

Come è naturale, l’intensa e quasi meravigliata emozione avuta alla pubblicazione del mio primo libro su Campana, L’immagine aperta, uscito nel 1973 nella prestigiosa “Biblioteca di Cultura” della Nuova Italia di Firenze; ero ancora fresca di laurea, e l’emozione era accentuata dalla presenza, in quella stessa collana, di opere dei più autorevoli critici e studiosi del tempo. Nei decenni successivi sono state numerose le occasioni che ricordo con gioia, come quando nel 1992 ricevetti il Premio Internazionale “Flaiano” per la scrittura teatrale; in quella stessa edizione furono premiati anche José Saramago e Peter Handke per la narrativa, Alberto Sordi per il cinema e Tino Carraro come attore scenico. Mi sentii molto onorata dal Premio della Cultura conferitomi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2000; anche a Barcellona nel 1997 fu un’esperienza molto emozionante leggere i miei versi nel Palau de la Mùsica Catalana, davanti a un pubblico attento di 1800 spettatori, un’emozione condivisa con poeti di tutto il mondo. Ma fu tale anche la lettura più “privata” che tenni in quei giorni in un piccolo centro della Catalogna insieme al poeta polacco Adam Zagajewski. L’ultimo evento particolarmente intenso è stata l’uscita, nel 2014, dell’antologia poetica Canti e pietre (Sanger och Stenar) nell’edizione bilingue italiano-svedese, presso l’editore Tranan di Stoccolma, con le belle immagini delle sculture di Staffan Nihlén, gli interventi critici di Olle Granath e di André Ughetto e l’altrettanto bella traduzione di Julian Birbrajer.


Come è riuscita a conciliare lavoro e famiglia e a costo di quali rinunce?

È una domanda ancora inevitabile, topica, rivolta all”’altra metà del cielo” impegnata nella creazione artistica. La conciliazione mi ha richiesto ovviamente il massimo impegno e l’uso della nota capacità “simultanea” femminile. Fortunatamente non mi appartiene l’idea di “tempo libero” o mondano, perciò le rinunce (viaggi o “presenzialismi”, specie quando mia figlia era piccola) sono state accettabili, ed ampiamente compensate in seguito.


Sta lavorando a qualche nuovo progetto? Se sì quale?

Ho vari progetti in corso; adesso sto terminando la revisione del mio ultimo testo teatrale, la tragicommedia La torre di Iperione, che chiuderà il ponderoso volume collettaneo del mio Teatro di imminente pubblicazione (le accludo la copertina). Sto anche concludendo la revisione del mio libro di poesie Scala dei giuramenti, che uscirà ne 2016 presso l’ed. Contra Mundum Press (New York-Berlino) in edizione bilingue italiano-inglese, tradotto da Dominic Siracusa.


Dato che è sensibile ai diritti umani, cosa ne pensa del transito di tanti migranti in Turchia?

Le drammatiche, spesso tragiche, grandi migrazioni di questi ultimi anni sono un fenomeno umano, culturale e socio-politico molto grave e preoccupante, giacché sono migrazioni forzate, causate per lo più da guerre, dittature, carestie o comunque da condizioni di sopravvivenza disperanti. La Turchia, cruciale paese-ponte fra l’Europa e le zone “calde” del Medio Oriente, ha le sue peculiarità etniche, culturali e religiose, che costituiscono una ricchezza anti-omologante, ma anche un aspetto che può acuire le problematiche nel far fronte a questo imponente fenomeno che coinvolge tutta la zona del Mediterraneo fino al Nord Europa. È importante, direi vitale, che ogni artista e ogni persona di buona volontà si senta coinvolta eticamente e che, al di là delle forze istituzionali, si adoperi per perseguire la pace, il rispetto dei diritti umani e di tutti i viventi.

MAURA DEL SERRA
È nata il 2 Giugno del 1948. Ha una figlia e due nipotini. Sostiene le cause per la difesa delle libertà della persona umana ed è attiva anche in iniziative ambientaliste e per la difesa degli animali. Ha pubblicato nove raccolte poetiche, l’antologia Corale. Ha dedicato volumi critici a Dino Campana, Giovanni Pascoli, Giuseppe Ungaretti, Clemente Rebora, Piero Jahier, Margherita Guidacci e saggi a numerosi poeti e scrittori italiani ed europei.
Ha curato alcune antologie, fra le quali: Kore. Iniziazioni femminili. Antologia di racconti contemporanei, Firenze, Le Lettere, 1997; Margherita Guidacci, Le poesie, Firenze, Le Lettere, 1999; Egle Marini. La parola scolpita, Pistoia; Artout, Maschietto e Musolino, 2001; Poesia e lavoro nella cultura occidentale, Roma, Edizione del Giano, 2007.
Ha pubblicato venti testi teatrali e fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Quinto Tullio Cicerone, William Shakespeare, George Herbert, Francis Thompson, Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Dorothy Parker, Rabindranath Tagore, Marcel Proust, Simone Weil, Victoria Ocampo, Jorge Luis Borges.
Per la sua attività ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, fra i quali: il premio “Montale” per la poesia, il premio “Flaiano” per il teatro e il premio “Betocchi” per la traduzione.
Nell’anno 2000 le è stato assegnato il premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri.

 

L'opera del vento

Tentativi di certezza

Maura Del Serra, Teatro

 

Il teatro di Maura Del Serra, qui riunito nella molteplice complessità del suo arco cronologico trentennale, abbraccia una pluralità di forme sceniche, ora corali ora dialogiche ora monologanti, che spaziano con incisiva e vivace profondità dall’“affresco” epocale alla fulminea microcellula drammatica e a forme singolari di teatro-danza sempre sorrette da un inventivo simbolismo di luci, colori, voci fuoriscena e suggestioni scenografiche. L’organon di questa scrittura – in versi e in prosa – fonde il nitore visionario con un senso vivace e concreto del phatos quotidiano, spesso nutrito da uno humour tipicamente affidato a personaggi “terrestri” fino al farsesco, secondo la tradizione della commedia antica. Il teatro decisamente anti-minimalista della Del Serra mostra infatti il suo grato debito creativo verso i classici della tradizione drammaturgica e poetico-letteraria europea, dai tragici e lirici greci al barocco inglese e ispanico, al decandentismo e alle avanguardie artistiche del Novecento.
I suoi personaggi, a vario titolo esemplari fino all’archetipo, sono scolpiti e dominati da una solitudine “eroica” non astratta bensì coerentemente testimoniale, tormentati e salvati dalla grandezza antistorica e metastorica del loro dono “eretico” che si oppone geneticamente alla forza oppressiva del potere nelle sue varie espressioni, da quelle canoniche politico-sociali a quelle suasive dell’intelletto, fino a quelle della “sapienza senza nome” della vita. Ed è perciò sempre agonico il rapporto fra la certezza di una verità ultima e inattingibile e l’illusione soggettiva, mediante l’utopia salvifica affidata all’ardore dei protagonisti. Motore e forma privilegiata di queste compresenze è l’eros generatore e multiforme, espresso in tutte le sue pulsioni, dall’amicizia alle polarità maschili e femminili, fino ad una complessa androginia psicologica e spirituale.
In questa straordinaria galleria evocativa di presenze, che spaziano dall’ellenismo alla contemporaneità al futuro, le voci interiori dell’autrice si incarnano di volta in volta, come la poesia ed ogni arte, per “sognare la verità del mondo”.

Maura Del Serra – Wikipedia

Pagine di Maura Del Serra

ANTOLOGIA POETICA

Maura Del Serra, aforismi

Parole in coincidenza 8: Maura Del Serra tradotta da Dominique Sorrente

Maura Del Serra e Cristina Campo

Maura Del Serra, “Tentativi di certezza. Poesie 1999-2009”

Silvio Ramat: L’opera del vento, di Maura del Serra