Ernesto Che Guevara (1928-1967) – 1951 … adesso sapevo che io starò con il popolo. E preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido del proletariato.

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«Leggete questi appunti,
scritti con tanto amore, freschezza e sincerità,
che più di ogni altra cosa
mi hanno fatto sentire vcina a mio padre.
Vi lascio quindi con l'uomo che ho conosciuto
e che amo profondamente per la forza e la tenerezza
che ha dimostrato di possedere
con il suo modo di vivere»


Aleida Guevara March
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E. Guevara nel 1951

Annotazione al margine

«Le stelle punteggiavano di luci il cielo di quel villaggio di montagna e il silenzio e il freddo rendevano immateriale l’oscurità. Era – non so bene come spiegarlo – come se ogni sostanza solida si volatilizzasse nello spazio etereo che ci circondava, privandoci dell’individualità e fondendoci, intirizziti, a quel buio immenso. Non vi era una sola nube che, carpendo una porzione di cielo stellato, desse una qualche prospettiva allo spazio. A pochi metri appena, la funerea luce di un lampione stemperava le tenebre circostanti.
li volto dell’uomo si perdeva nell’ombra, emergevano soltanto lo scintillio dei suoi occhi e il candore dei quattro denti anteriori. Tuttora non saprei dire se fu l’ambiente o la personalità di quell’individuo che mi preparò a ricevere la rivelazione, ma so che gli stessi argomenti li avevo sentiti molte altre volte espressi da differenti persone e mai mi avevano impressionato. In realtà, era un tipo interessante, il nostro interlocutore; fuggito ancor giovane da un paese d’Europa per non cadere sotto il pugnale del dogma, conosceva il sapore della paura (una delle poche esperienze che portano a valorizzare la vita), poi, passando di paese in paese e attraversando migliaia di avventure, aveva finito col posare le sue ossa in quel luogo dimenticato e lì aspettava pazientemente il momento del grande evento.
Dopo le frasi banali e i luoghi comuni con cui ciascuno spiegò la propria posizione, quando ormai languiva la discussione ed eravamo sul punto di separarci, buttò lì, con lo stesso sorriso di ragazzo picaro che non lo abbandonava mai, accentuando la disparità dei suoi quattro denti incisivi: «L’avvenire è del popolo che, a poco a poco o in un sol colpo, conquisterà il potere qui e su tutta la terra. Il peggio è che deve civilizzarsi, e questo non può realizzarsi prima, ma dopo averlo preso. Si civilizzerà solo imparando dai propri errori, che saranno anche gravi, e costeranno molte vite innocenti. O forse no, forse non saranno innocenti perché avranno commesso l’enorme peccato contro natura di non avere capacità
di adattamento. Tutti loro, tutti i disadattati, anche lei e io, per esempio, moriranno maledicendo il potere che hanno contribuito a creare con il proprio sacrificio, a volte immenso. È che la rivoluzione, con la sua forma impersonale, prenderà la loro vita e persino ne utilizzerà la memoria, che resterà come esempio e strumento di dottrina per i giovani che verranno. Il mio peccato è ancor più grande, perché io, più accorto o con maggior esperienza, la chiami come preferisce, morirò sapendo che il mio sacrificio obbedisce soltanto a un’ostinazione simbolo della civiltà putrefatta che si sta sgretolando, e che per lo stesso motivo, senza che per questo ne venga modificato il corso della storia, e neppure l’impressione che si è fatto di me, lei morirà con il pugno chiuso e la mascella serrata, in una perfetta rappresentazione dell’odio e della lotta, perché non è un simbolo (qualcosa di inanimato che si prende come esempio), lei è parte integrante della società che sta crollando: lo spirito del branco parla attraverso la sua bocca e si muove nei suoi gesti; lei è acuto quanto me, però ignora quanto sia utile l’apporto che dà alla stessa società che lo sacrifica».
Vidi i suoi denti e la smorfia picaresca con cui anticipava la storia, sentii la stretta delle sue mani e, come un mormorio ormai lontano, il formale saluto di commiato. La notte, svanita al contatto delle sue parole, tornava ad avvolgermi, confondendomi in lei; però, malgrado le sue parole, adesso sapevo … sapevo che nel momento in cui il grande spirito che governa ogni cosa darà un taglio netto dividendo l’umanità intera in due sole parti, antagoniste, io starò con il popolo, e lo so, perché lo vedo impresso nella notte, che io, eclettico sezionatore di dottrine e psicoanalista di dogmi, urlando come un ossesso, assalterò barricate o trincee, tingerò di sangue la mia arma e, come impazzito, sgozzerò ogni nemico mi si parerà davanti. E mi vedo, come se una stanchezza infinita stesse già esaurendo questa mia esaltazione, cadere immolato per l’autentica rivoluzione uniformatrice di volontà, pronunciando un mea culpa esemplare. Già sento dilatarsi le mie narici, assaporando l’odore acre della polvere e del sangue, della morte nemica; già si contrae il mio corpo, pronto al combattimento, e preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido belluino del proletariato trionfante» [1951].

 

Ernesto Che Guevara, Latinoamerica. I diari della motocicletta [1951], Mondadori, 2016. pp. 172-174.

 

 

 

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Risvolto di copertina
Dicembre 1951. Due giovani studenti di medicina argentini, Ernesto Guevara de la Serna e Alberto Granado, partono in sella a una sgangherata motocicletta, pomposamente battezzata "Poderosa", per attraversare l'America Latina. In quei sette mesi di avventure e incontri, destinati a forgiarli per sempre, toccheranno mille luoghi, dalle rovine di Machu Picchu al lebbrosario di San Pablo. Durante il viaggio Ernesto raccoglie appunti e, una volta rientrato, li riordina in un diario che è ormai un mito, l'opera più celebre del Che, un libro di culto letto e amato da almeno tre generazioni. Queste pagine svelano lo sguardo fresco ma già critico e intelligente dell'uomo destinato a diventare, di lì a poco, il comandante Che Guevara; contengono i mille volti dell'America, la miseria degli Indios e la folgorante bellezza del paesaggio; raccontano il desiderio di conoscere, esplorare, capire, emozionarsi come solo a vent'anni si può, mentre la moto perde pezzi per strada e due ragazzi si trasformano in uomini. Come scrisse Guevara riflettendo su quell'esperienza, «quel vagare senza meta per la nostra "Maiuscola America" mi ha cambiato più di quanto credessi».

 


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