Günter Anders (1902-1992) – Il conformista ottimale non è solo conformista, ma anche “congruista”. Costui si assimila ai contenuti che gli sono forniti, e rende il contenuto della sua vita psichica coincidente con tali contenuti. Nella società conformistica la mancanza di pudore passa per franchezza, dunque per virtù, e questa virtù per un attestato di lealtà.
«[…] per il telespettatore, non esiste più alcuna parete che separi il mondo domestico dal mondo esterno. Ma questa scomparsa della parete non è affatto una curiosità che si possa spiegare con la casuale particolarità tecnica dei suddetti mezzi di comunicazione. Tale particolarità deve piuttosto, ed esclusivamente, il suo successo al fatto che corrisponde perfettamente a una delle esigenze più tipiche del sistema conformistico. Questa esigenza è la “mancanza di pareti“. Infatti, nel sistema conformistico le pareti non sono più assolutamente tollerate. Non soltanto è abbattuta la parete tra attività e passività; non soltanto quella tra sfera privata e pubblica; ma persino quella tra “anima e mondo”.
Che cosa significa? Che il conformista ottimale non è solo conformista, ma anche “congruista“.
E ciò significa a sua volta ch’egli non solo si assimila ai contenuti che gli sono destinati e forniti, ma anche che alla fine il contenuto della sua vita psichica coincide con tali contenuti. Concretamente:
– ch’egli ha ancora bisogno, e può avere ancora bisogno, solo di quello che gli viene imposto;
– che pensa ancora, e può pensare ancora, solo quello che gli è destinato;
– che fa ancora, e può fare ancora, solo quello che viene fatto a lui;
– che si sente ancora, e può sentirsi ancora, solo come ci si aspetta che lui si senta.
Formula: dato che nel sistema conformistico domanda e offerta sono ridotte a congruenza;
e lo sono in maniera tale che le offerte [Angebote] si presentano come comandamenti [Cebote];
e a loro volta questi comandamenti funzionano come divieti [Verbote]
– in modo tale, cioè, da impedire effettivamente a chi fa la richiesta d’immaginarsi anche soltanto qualcos’altro da quello che gli viene offerto –
la parete fra dentro e fuori è caduta.
Sarebbe assurdo concedere ancora un “sé” o una vita interiore propria a un uomo tale, diventato o reso “privo di pareti”. Dato ch’egli è identico, senza residui, al materiale che gli viene somministrato, solo a lui si addice la formula che un materialista del secolo scorso aveva coniata per tutti gli uomini in generale, formula che dice: “L’uomo è quello che mangia”. Aver trasformato questa frase sciocca in una verità è un merito di cui il conformismo può vantarsi. Che il materiale “mangiato”, di cui si tratta qui, non sia (o solo in minima parte) materiale in senso fisico, ciò non migliora affatto la situazione del “congruista”.
È dunque errato sostenere che l’uomo sia diventato «privo d’anima» per la rottura dell’argine tra dentro e fuori. O che l’anima del “congruista” ora sia “vuota”. E non solo errato, ma addirittura il capovolgimento della verità. Infatti è vero che l’anima del congruista, dato che viene inondata senza sosta dal mondo che le affluisce dentro (mondo delle merci, delle opinioni, dei sentimenti, degli atteggiamenti ecc.) è terribilmente sovraccarica, incomparabilmente più carica di quanto non siano mai state le anime finora; ch’essa, come la spugna con l’acqua, è diventata ora coestensiva al mondo, o almeno a ciò che a lei viene destinato come “mondo”.
Ma che cosa significa “congruista” al singolare? Di congruisti o ne esistono en masse o non ne esistono affatto. L’asserzione che la parete tra il fornitore e il rifornito sia caduta, o vale per milioni d’individui o per nessuno. Evidentemente, vale per milioni. E naturalmente non per milioni qualsiasi ma per quelli odierni, cioè per quelli che vivono nell’èra della produzione e riproduzione di massa. […]
È chiaro che tra siffatti “congruenti”, riforniti con materiale simile (o identico), non possono più emergere difficoltà di comprensione reciproca. Ognuno capisce ognuno, la differenza tra conoscenza di sé e conoscenza dell’altro è abolita, il nome scaccia il cognome, ognuno è proximus a ognuno, anche se in senso nuovo; nessuno si sente più obbligato a far valere il proprio diritto alla privacy; nessuno vede un motivo per non condividere i propri segreti con i propri simili; e a nessuno di essi importa ancora qualcosa di questo. I congruisti non possiedono più veri tesori segreti, vera proprietà privata intellettuale o spirituale; anche ciò che potrebbero considerare proprietà privata fa parte dei pezzi che sono stati loro forniti e ad essi viene persino fornita l’illusione che ciò ch’è loro fornito sia loro proprietà privata. In breve, i loro privata essi li dividono già comunque con gli altri. Ma se accade che in un “congruente” si riscontri una qualche particolarità che non condivide con gli altri, qualcosa come un errore di tessitura o una “voglia”, agli altri egli la comunica solo a posteriori, il che non gli causa alcuna difficoltà, visto che la psicoanalisi, sempre pronta per casi simili, gli offre i mezzi e i metodi necessari all’occorrenza. Già oggi nella società conformistica la mancanza di pudore passa per franchezza, dunque per virtù, e questa virtù per un attestato di lealtà.
[…] Alla domanda, se nel nostro mondo conformistico odierno già si parla meno che in quello di ieri e di avantieri, è difficile trovare risposta. È invece evidente che già esistono situazioni di perdita di parola che lasciano presagire il peggio, per esempio la situazione della famiglia che siede senza parole davanti al teleschermo, mentre viene simultaneamente foraggiata. E ancor più significativa di questa specifica situazione mi sembra la nuova funzione che il parlare ha assunto nella società conformistica. Ammesso che qui la parola “funzione” sia ancora adatta. Infatti, perlo meno a prima vista, il nostro parlare sembra atrofizzato al punto da essere un’attività priva di senso; con ciò intendo che, quando ci parliamo l’un l’altro, noi rivestiamo una stessa e identica esperienza del mondo (di cui siamo stati forniti) con parole che fanno parte dello stesso e identico patrimonio di vocaboli (di cui siamo stati forniti); e perciò non facciamo altro che praticare un mero scambio tautologico. Le parole o i vocaboli che scambiamo con i nostri partners somigliano, per la maggior parte dei nostri discorsi e in particolare per lo small talk, alle palle che volano, avanti e indietro, tra i tennisti; cioè le “palle” che “diamo” parlando sono identiche a quelle che abbiamo ricevute ascoltando; e quelle che riceviamo sono identiche a quelle che abbiamo date; in breve, prendere e dare sono divenuti interscambiabili.
[…] In altre parole: il rumore di milioni di voci prodotto al giorno d’oggi non rappresenta più altro – e in ciò consiste la nuova funzione del parlare odierno – che un unico “monologo collettivo”, pronunciato a ruoli distribuiti. La società conformistica parla nel suo insieme con se stessa.[…]
Lo ammetto: il ritratto del conformista abbozzato qui non è realistico. È piuttosto una terrificante immagine ideale, l’immagine ideale che ci viene posta davanti per invitarci a una gentile imitazione. Ma ciò non significa in alcun modo che la descrizione sia esagerata, che la nostra situazione non sia ancora cosl grave. Non abbiamo il minimo motivo per essere orgogliosi della differenza tra noi e quell’immagine idealizzata, dato che non si può assolutamente dire che abbiamo ancora conservato un ultimo nocciolo della nostra individualità o un residuo inattaccabile della nostra autonomia. Al contrario è vero che riconosciamo il modello che ci viene fornito, che ci misuriamo con esso e solo con esso e che tentiamo con tutte le forze a nostra disposizione di uguagliarlo. Se questo diventare congruenti con il “congruista” totale ancora non si è verificato, è semplicemente per il fatto che non ci riesce di assimilarci al primo colpo, almeno non completamente. Bisogna anche imparare a farsi rovinare, non è affatto un compito facile farsi sommergere totalmente, farsi completamente saturare. Perlopiù siamo quasi, nel senso chimico della parola, «sovrassaturi», dunque incapaci di assorbire ancora le immagini del mondo che continuano ad affluire.
O il quantum che ci viene imposto è troppo grande, o la velocità troppo elevata. In breve, siamo incapaci (simili all’operaio non ancora del tutto abituato alla catena di montaggio) di “tenere il passo” completamente. Solo questo è il motivo per cui non siamo ancora del tutto congruenti con il “congruista” ideale. Di questo non dobbiamo ringraziare la nostra forza, bensl esclusivamente la nostra debolezza».
Günter Anders, L’uomo è antiquato. La terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, 1992, pp. 135-141.
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