The Iron Heel, 1908
«Non insisterò mai abbastanza su questa profonda presunzione morale di tutta la classe degli oligarchi. E’ stata la forza del Tallone di Ferro; e fin troppi compagni hanno impiegato molto tempo a capirlo. Molti di essi hanno attribuito la forza del Tallone di Ferro al suo sistema di ricompense e punizioni. È un errore. Il cielo e l’inferno possono essere i fattori primi dello zelo religioso di un fanatico, ma per la grande maggioranza si tratta di semplici accessori nei confronti del bene e del male. L’amore del bene, il desiderio del bene, l’insoddisfazione nei confronti di tutto ciò che non è del tutto bene, in una parola, la buona condotta, ecco il primo fattore della religione. E altrettanto si può dire dell’oligarchia. Il carcere, l’esilio, la degradazione, da un lato, dall’altro gli onori, i palazzi, le città meravigliose, non sono che contingenze. La grande forza motrice della oligarchia è la convinzione di far bene. Non badiamo alle eccezioni, non teniamo conto dell’oppressione e dell’ingiustizia tra le quali il Tallone di Ferro nacque; tutto questo è noto, ammesso, sottinteso. Il punto è che la forza dell’oligarchia consiste, attualmente, nella convinzione e soddisfazione della propria rettitudine».
Jack London, Il tallone di ferro
Il tallone di ferro
«Gli oligarchii espressero in termini vaghi sulla loro politica, sulle loro capacità, che identificavano con la probità […] Erano […] convintissimi della rettitudine della loro condotta […]. Si credevano i salvatori della società, artefici della felicità delle masse, e fecero un quadro patetico delle sofferenze che la classe operaia avrebbe subìto senza il lavoro che loro e loro soltanto, con la propria saggezza, le procuravano. […] Nella macchina industriale nessuno è libero delle proprie azioni, tranne il grosso capitalista, […] I padroni […] sono del tutto certi di agire in modo giusto. Questa è l’assurdità che corona tutto l’edificio. Sono così legati dalla loro natura umana, che non possono fare una cosa senza crederla buona. Hanno bisogno di una sanzione per le loro azioni. Quando vogliono intraprendere qualcosa, negli affari, s’intende, devono aspettare che nasca nel loro cervello una specie di concezione religiosa, filosofica o morale, della bontà di questa cosa. Dopodiché la realizzano senza accorgersi che il desiderio è padre del pensiero avuto. […] Si sentono perfino autorizzati a fare il male purché ne risulti un bene. Una delle immagini più ridicole e assiomatiche create da loro è quella della loro superiorità, in saggezza ed efficienza, rispetto al resto dell’umanità. Partendo da questo punto di vista, si arrogano il diritto di ripartire pane e companatico a tutto il genere umano. Hanno perfino risuscitato la teoria del diritto divino dei re, dei re mercantili, nel loro caso.
Il punto debole della loro posizione sta nel fatto che sono semplicemente uomini d’affari. Non sono filosofi, non sono dei biologi o dei sociologi: se lo fossero, tutto procederebbe meglio, naturalmente. Un uomo d’affari che fosse nello stesso tempo versato in queste scienze, saprebbe più o meno cosa occorre all’umanità. Ma anche tolti dal loro dominio commerciale, questi signori sono stolti. S’intendono solo di affari. Non comprendono né il genere umano né il mondo, e tuttavia si erigono ad arbitri della sorte di milioni di affamati e di tutta la massa umana. La storia, un giorno gli farà una gran risata in faccia. Abitavano in sontuosi palazzi e avevano parecchie altre residenze, un po’ dappertutto: in campagna, in montagna, sulle rive dei laghi e del mare. Una vera folla di servitori si affaccendava attorno a loro, e la loro attività sociale era straordinaria. Patrocinavano le università e le Chiese, e i pastori, in particolare, erano pronti a piegare le ginocchia davanti a loro. Erano […] vere potenze, con tutto quel denaro a disposizione. Disponevano del potere di sovvenzionare il pensiero […]».
Jack London, Il tallone di ferro (1908)
Qui la traduzione integrale:
Jack London – Il Tallone Di Ferro
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