Jean-Henri Fabre (1823-1915) – Hanno criticato il mio linguaggio, che non avrebbe la solennità o, meglio, l’aridità di quello accademico. Voi scrutate la morte, io osservo la vita. Ecco perché, pur rispettando scrupolosamente la verità, evito di adeguarmi alla vostra prosa scientifica

Jean-Henri Fabre 01

«Voi sezionate l’animale e io lo studio vivo; voi ne fate un oggetto che ispira orrore e pietà, mentre io lo faccio amare; voi lavorate in laboratori dove si tortura e si squarta, io conduco le mie indagini sotto l’azzurro del cielo e al canto delle cicale; voi sottoponete la cella e il protoplasma ai reagenti, io studio l’istinto nelle sue espressioni più alte; voi scrutate la morte, io osservo la vita».

«Altri hanno criticato il mio linguaggio, che non avrebbe la solennità o, meglio, l’aridità di quello accademico. Temono che una pagina, se si legge senza sforzo, non possa essere espressione della verità […]. Ora, se scrivo per gli scienziati, per i filosofi che tenteranno un giorno di gettare luce sull’arduo problema dell’istinto, scrivo anche, e soprattutto, per i giovani, ai quali vorrei tanto far amare questa storia naturale che voi invece fate odiare; ed ecco perché, pur rispettando scrupolosamente la verità, evito di adeguarmi alla vostra prosa scientifica».

Jean-Henri Fabre, Ricordi di un entomologo, Adelphi, Milano, 2020.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Petite Plaisance – Χαρις. «Karis» è grazia, bellezza, leggiadria, incanto, amabilità, delicatezza, dolcezza, benevolenza, benignità, gratitudine, riconoscenza, rispetto, considerazione, segno di riguardo, segno di affabilità, perfino dono oblativo, e dunque: senso della comunanza.

Karis - carità - amore - comunanza- gentilezza. delicatezza

χάρις in greco significa: grazia, bellezza, leggiadria, incanto, amabilità, delicatezza, dolcezza, benevolenza, benignità, gratitudine, riconoscenza, rispetto, considerazione, segno di riguardo, segno di affabilità, perfino dono oblativo (come già insegnava Aristotele).


Aristotele

χάρις qualifica modalità dell’essere che emanano da una forza interiore e niente hanno a che fare con mollezza, condiscendenza, malleabililità, remissività, tolleranza, permissivismo, vuoto estetismo.
Alcuni pensano che basti essere gentili e cortesi con le persone, ma gentilezza e contesia possono restare ancorate al piano dei rapporti “formali”, che non si trasformano con humanitas senza la delicatezza e la dolcezza che sole sanno andare “oltre” il formalismo di chi poco o niente sa della solidarietà, della reale capacità di ascolto nella autentica attenzione verso gli altri, nella consolidata e giusta attitudine di porre sempre domande di senso, ma senza imporre ad alcuno tempi prederminati per possibili risposte.


χάρις invita ad abbandonare la dimensione del “possesso”, che ci priva della libertà interiore e che ottunde quella che i latini chiamavano la subtilitas sententiarum, la delicatezza del pensiero, sinonimo di finezza di giudizio, di gusto e di espressione, dimensione del “possesso” che progressivamente depriva il proprio animo della delicatezza e della dolcezza verso se stessi.


Cornelio Nepote

χάρις ci ricorda con Cornelio Nepote (De viris illustribus, VIII, 4: «In Miltiade erat cum summa humanitas tum mira communitas, ut nemo tam humilis esset, cui non ad eum aditus pateret» [Milziade era uomo di una straordinaria gentilezza e di mirabile affabilità, sì che non c’era nessuno di tanto bassa condizione che non avesse accesso alla sua persona]) che occorre aspirare alla communitas, alla affabilità, al senso di comunanza.


Communitas deriva communis (qualcosa che è comune a molti o a tutti, che è pubblico, generale, universale, contrapposto a proprius, che è proprio a uno solo), e significa appunto comunanza, condizione e/o sorte comune, e dunque: senso della comunanza, socievolezza, affabilità, delicatezza, dolcezza, per se stessi e verso gli altri.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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