Giuseppe Sinopoli – Qui si compie un salto misterioso: quello che noi ascoltiamo è immateriale e nell’attimo in cui lo percepiamo sparisce per diventare memoria. La musica è il segno più sublime della nostra transitorietà. La Musica, come la Bellezza, risplende e passa per diventare la memoria, la nostra più profonda natura. Noi siamo la nostra memoria.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Come alberi, è necessario attingere alle sorgenti di linfa rimaste vive; un nuovo germoglio, più basso, un nuovo germoglio sordamente perfora la dura scorza, un germoglio venuto dall’interno e dal profondo, dall’interno durevole dell’albero, emissario segreto.

Le immagini e le metafore della filosofia ci accompagnano nel nostro cammino accidentato nel quale la speranza è la prassi da cui germogliano la resistenza e le idee per un nuovo mondo che potrebbe venire a noi, se distogliamo l’attenzione dall’indifferenza dei nostri giorni e dalle macchinazioni delle logiche di dominio.

Il potere, nella forma del dominio produce servi; questi ultimi affinano la loro azione nella ricerca di schiavi da sottomettere. I servi sono alla ricerca di schiavi per sopportare la condizione di sterili adulatori. La mortificazione che ne consegue, per tutti a tale vista, è uno scoramento che si infrange contro la dura realtà del niente. In un periodo storico in cui i giochi del dominio sembrano prevalere sulla speranza e sul logos, le immagini e le metafore possono indicarci il movimento razionale ed emotivo da tenere, mentre tutto sembra accadere fatalmente, al punto da sembrarci che non vi è bivio alcuno.

Dove vi è speranza vi è scelta, si è sempre ad un bivio, il quale non è semplice condizione spaziale, ma postura della coscienza che si spazializza in agire e prassi. L’agire, nel rispetto etimologico del termine “agere”, è libertà, è un nuovo inizio. Il novus che si presenta a noi non è mai senza storia, ma è la linfa dell’esperienza storica divenuta concetto. La forza plastica e creatrice del logos ripensano il già stato, per portarlo a noi in forma di concetto. Non si tratta di semplice attività finalizzata a duplicare il già stato, ma dalla profondità della linfa storica il discernimento consente di abbandonare possibilità regressive per ricreare in forme nuove il già stato, in tal modo si è ad un bivio: è necessario scegliere tra forme regressive che inducono e conducono all’indifferenza e la responsabilità del nuovo che si associa al timore del rischio. Non vi sono percorsi posti per sempre in sicurezza, ma solo il cammino responsabile può evitare tragedie e sclerotizzazioni nefaste.

Il percorso è arduo, l’attimo più difficile ed esteso consta della capacità di scendere nella profondità della storia dello spirito per ritrovare il senso smarrito. Sono processi in cui il singolo non riscopre semplicemente la sua storia, ma sente il suo esserci al mondo come “comunitario”, in lui vive e germina una storia più grande che spontaneamente dona ed indica la scelta, sta a lui ascoltarla. Nulla è più difficile e grande che l’ascolto. L’Umanesimo è pensiero che si riorienta nell’ascolto che trascende i limitati orizzonti individualistici per nuove prospettive comunitarie.

Charles Péguy ci dona una metafora eterna, oggi più vera che mai, poiché nei periodi storici in cui il tatticismo becero e l’adulazione più volgare sembrano prevalere sulla verità e l’ateismo sembra trionfare, tale metafora è più fortemente vera. L’ateismo è disperazione che si ribalta in indifferenza, se non vi è verità, tutte le prospettive sembrano eguali e non si può che naufragare nell’indifferenza e nella violenza del politicamente corretto con i suoi applausi bugiardi. Dinanzi all’ateismo che mostra ancora una volta il suo volto nichilistico nel quale le parole e i volti sembrano oscurarsi nell’omologazione per lasciarci in una cupa disperazione limitrofa all’indifferenza Charles Péguy ci offre una metafora su cui meditare e che ci può essere di ausilio per far emergere la speranza quale prassi viva del pensiero:

 “Quando in un albero, generalmente in un vegetale arbusto o arborescente, per una ragione qualunque, gelata, colpo di gelo, colpo di vento, colpo di sole, trauma, siccità, un germoglio abortisce, […] essa abbandona al suo destino di sterilità la cima agonizzante; essa fa una sussunzione, una profonda esaltazione, una assunzione, una ripresa; essa riprende più in profondità: un nuovo germoglio nasce sotto il primo, spesso molto più sotto, spesso tanto sotto al primo quanto gli è necessario per attingere alle sorgenti di linfa rimaste vive; un nuovo germoglio, più basso, un nuovo germoglio sordamente perfora la dura scorza, un germoglio venuto dall’interno e dal profondo, dall’interno durevole dell’albero, emissario segreto[1]”.

Come alberi nella tempesta dobbiamo scendere nella profondità di noi stessi e ritrovare la linfa duratura con la quale creare il nuovo. Senza fondamenta profonde non vi è comunità, ma non vi è neanche l’individuo il quale si disperde nelle contingenze e nelle funzioni burocratiche.

 

Prospettive

Viviamo in pieno nichilismo e dimenticanza. Ma malgrado la desertificazione della vita e delle idee, come in un deserto che attende pioggia per germogliare sotto lo strato di sabbia del presente, radici profonde continuano a vivere e ad attendere ascolto e parole. Il chiasso dell’adulazione rende sterili, in quanto l’ascolto si oscura per la sola parola servile disponibile a vivere in superficie e a lasciarsi esiccare dalle contingenze. La profondità è olistica, insegna a mirare il mondo nello stupore delle prospettive che si completano. Fuori della caverna muschiosa le prospettive sono l’humus per il pensiero libero da clericalismi di ogni genere. Alla disperazione della prospettiva unica che diviene caverna e tomba a camera senza uscita, bisogna opporre la profondità che tocca la terra per innalzarsi al cielo delle possibilità malgrado resistenze e ramificate sconfitte, solo nella pluralità delle prospettive capaci di ritrovare il comune fondamento è possibile uscire dalle prigioni del politicamente corretto e dalla ridda degli opportunismi senza futuro e pensiero:

 

“La realtà non è proprio fatta in prospettiva né esaurita da una prospettiva, tanto quanto un paesaggio non è fatto in prospettiva né esaurito da una prospettiva. Qui come là, e giustamente perché il paesaggio stesso è una realtà, un frammento della realtà, una sorta di realtà, una parte integrante della realtà, qui come là è necessaria almeno, in prima battuta, un’infinità di prospettive; e è necessario inoltre uscire da là, è necessario in seconda battuta uscire da tutta(e) la(e) prospettiva(e), uscire dall’ordine stesso della prospettiva e delle prospettive, provare a contemplare con un tutt’altro sguardo[2]”.

 

Prima di riprendere la lotta impariamo a vivere l’ispirazione di paesaggi che abbiamo smesso di guardare per la cappa depressiva della logica crematistica dei banchieri che infettano i pensieri comunitari e l’impegno oblativo, cioè (come si può anche semplicemente leggere in un vocabolario della lingua italiana) del livello più alto dello sviluppo affettivo, contraddistinto dalla capacità di amare e di offrire liberamente senza contropartite.

[1] Ch. Péguy, Brunetière, Edizioni Milella, Lecce 1988,in OPC II, pag. 583

[2] Ch. Péguy, À nos amis, à nos abbonés, in OPC II, p. 1294


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Mauro Armanino – Dissociazioni vaticane. Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini, ma c’è “resistenza” nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla “pandemia” Covid.

Mauro Armanino

Dissociazioni vaticane

Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini
ma c’è ‘resistenza’
nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid

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Il testo che segue è una lunga lettera aperta scritta da un missionario che opera da anni in Niger. Prende spunto dall’improvvida decisione vaticana di coniare una moneta celebrativa del vaccino e da un intervento di Civiltà cattolica entusiasticamente schierato a favore della vaccinazione per sviluppare una serie di considerazioni sulle politiche pandemiche, le quali toccano temi cruciali che, partendo dalla contingenza sanitaria, gettano una luce significativa su una temperie culturale ed antropologica che dovrebbe suscitare la massima attenzione e vigilanza.
I temi toccati, con lucido e acuto giudizio illuminato da profonda sensibilità umana, sono tanti, ma arrivano a fondersi in una riflessione coerente ed unitaria, capace di offrire a chi legge spunti preziosi da riprendere ed approfondire ed un filo conduttore per orientarsi in uno scenario dove da due anni la manipolazione, dell’informazione innanzitutto, dirige il coro, delegittimando pesantemente chi rifiuta di recitare la parte assegnata o di applaudire i recitanti.
L’orizzonte in cui si inserisce questo coraggioso intervento è racchiuso fra due parole, non a caso poste in apertura, già nel titolo, e in conclusione: Dissociazioni e r-esistere.
Quanto alla prima, l’autore intende sottolineare la propria abissale distanza dalle posizioni assunte dall’istituzione di cui fa parte: se dissentire, non uniformarsi al pensiero dominante ha sempre garantito al refrattario una certa emarginazione, almeno dai circuiti del successo professionale e sociale, oggi è diventato (con buona pace dei valori della democrazia liberale che, paradossalmente ma non troppo, siamo chiamati a difendere lontano dalle nostre frontiere) un esercizio decisamente pericoloso che inscrive tout court chi lo pratica nella lista abietta dei nemici del bene pubblico e del genere umano. Oggetto di pesante scomunica morale, essi sono suscettibili anche di provvedimenti molto pratici, tesi ad espellerli dalla vita collettiva e a privarli della possibilità stessa di sostenersi, con allontanamento dal lavoro, o, come è successo nel democratico e progressista Canada qualche mese fa per stroncare la protesta dei camionisti, con il blocco dei conti correnti.
Insomma, ai nostri tempi dissociarsi e rivendicare la propria libertà di coscienza non è più una posa da intellettuali frondeurs, con un piede nell’Accademia e l’altro nella barricata. La partita si è fatta molto dura, perché è in gioco una profonda riconfigurazione complessiva della società, funzionale al riassestamento del capitale in un contesto geopolitico molto diverso da quello del Novecento.
Inoltre, dissociarsi richiede una certa capacità di leggere la realtà, un certo legame con la sua superficie impervia e scabra, con il suo cuore pungente e stratificato, al fine di evitare di scivolare sul terreno di cera della nuova Babele, dove il demone della menzogna linguistica asservito al potere inverte il significato delle parole e coltiva spericolati ossimori come il capitalismo inclusivo benedetto dal Vaticano e denunciato da Mauro Armanino con l’indignazione del cristiano consapevole che non si possono servire due padroni.[1]
Dall’atto intellettuale del dissentire alla scelta morale di resistere: non solo per non rendersi complici di chi ha strumentalizzato l’epidemia da Covid 19 per ridisegnare il mondo (le élites economico-politiche e i loro cani da guardia incaricati di affinare i dispositivi ideologici), ma per custodire e valorizzare l’esistenza che è stata umiliata e negata proprio quando si è voluto farla coincidere con la nuda vita da salvaguardare ad ogni costo. E il costo è stato il sacrificio di libertà e diritti che si ritenevano consolidati e delle relazioni interpersonali su cui si è da sempre fondata la socialità umana. L’egoismo della sopravvivenza, alimentato a suon di campagne mediatiche di stampo terroristico, è stato contrabbandato per rispetto degli altri, mentre rappresentava l’estrema torsione dell’istinto individualistico a preservare il benessere personale, nel disinteresse per il dissolvimento di quanto restava di vincoli comunitari e di spazi democratici. E intanto i malati morivano soli negli ospedali, o si ritrovavano abbandonati in casa sospesi tra tachipirina e beckettiana attesa, ai morti era negato l’estremo omaggio della sepoltura (pratica nata con l’umanità stessa), i vivi non vaccinati venivano sottoposti a misure di apartheid, i vaccinati erano aizzati contro i cattivi renitenti al siero, tutti passavano sotto le forche caudine di una paralizzante operazione di infantilizzazione di massa all’insegna della paura, mentre i bimbi imparavano a (dis)conoscere il mondo tramite lo schermo di un computer o di una mascherina.
Giustamente, Armanino evoca da un lato missionari e santi che, in passato, non esitarono a correre il rischio di ammalarsi per portare conforto ai sofferenti e dall’altro il transumanesimo che si affaccia asettico e performante dietro le porte ben protette di Davos. Aggiungo agli esempi di autentica solidarietà citati, tutti coloro che hanno affrontato la morte, battendosi per una causa per la quale erano convinti valesse la pena rinunciare alla vita biologica. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà:[2] è questa una verità capace di sovvertire i calcoli meschini, di scardinare la forza di ricatto di chi comanda, di vincere la paura – e l’oscuramento della mente e del cuore che ne nasce – e di fondare la libertà ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta.[3]
È per scongiurare un salto antropologico radicale – con la sua pretesa di annullare millenni di cultura e di civiltà umane ormai inutili e persino d’inciampo sulla via della servitù volontaria e collaborativa che è il nuovo modello sociale messo a punto dal personale di servizio ideologico – che l’autore di questa lettera aperta chiama alla r-esistenza: resistere significa ormai difendere le condizioni stesse per continuare ad esistere, in dignità, libertà e umanità.

Fernanda Mazzoli

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Mauro Armanino

Dissociazioni vaticane

Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini
ma c’è ‘resistenza’
nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid

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  1. La moneta vaticana

La serie è composta da 8 monete, sul rovescio ci sono le caratteristiche tecniche uguali per tutti i paesi aderenti alla moneta unica europea. Sul dritto è raffigurato lo stemma di Papa Francesco, Sovrano dello Stato del Vaticano, la scritta “Città del Vaticano” e dodici stelle. La serie è disponibile in due versioni: la prima con la moneta da 20 euro in argento e la seconda con la moneta in oro da 50 euro. La moneta in argento da 20 euro, opera di Chiara Principe, è dedicata ad un argomento attuale che sta molto a cuore a papa Francesco: le cure per contrastare la pandemia e la necessità di vaccinarsi. Sulla moneta sono raffigurati un medico, un infermiere e un ragazzo che è pronto a farsi iniettare il vaccino. Il Santo Padre ha più volte sottolineato l’importanza della vaccinazione, ricordando che la cura della salute è “un obbligo morale” ed è importante “proseguire lo sforzo per immunizzare anche i popoli più poveri”… [4]

Ecco come è introdotta la moneta vaticana. L’immagine mi era stata segnalata da Martin Steffens, giovane filosofo francese, critico dell’attitudine ufficiale della gerarchia ecclesiastica sulle politiche riguardanti la gestione dell’epidemia Covid.[5]

Se ancora esistevano dubbi a riguardo, la moneta in questione è una rivelazione, uno smascheramento che insinua più o meno apertamente almeno tre messaggi:

Adesione: mentre ancora ferve il dibattito, almeno contradditorio, tra chi vuole includere i bambini nella vaccinazione e chi ritiene che essa sia non solo inutile ma dannosa, il ‘Vaticano’ prende posizione. In virtù di un mandato che appartiene al ‘Capo dello Stato vaticano’, lo stesso che molto democraticamente obbliga i propri dipendenti a vaccinarsi pena l’esclusione dal lavoro, diritto e dovere di ogni cittadino. Nello stesso stato vaticano le organizzazioni sindacali sono vietate, malgrado l’esistenza di una ‘Dottrina Sociale’ della Chiesa che ne auspica l’esistenza e l’azione. Tramite l’immagine citata si opera un’adesione incondizionata e evidente alle politiche sanitarie ‘imposte’ da scelte la cui validità scientifica è stata messa in discussione da persone competenti e preparate.[6]

Il fatto di presentare in modo iconico il medico (la scienza), l’infermiere (la cura), il ragazzo e la siringa è inequivocabile: la salvezza è a portata di … siringa.

Arroganza. Detta conclusione ‘monetaria’ appare nel contempo arrogante perché esclude ogni possibile scelta alternativa, per quanto fondata essa sia. La stessa accomodante arroganza, d’altra parte, che ha accompagnato l’adesione alle scelte dei decreti legge durante la ‘crisi’, creata o presunta essa sia stata. Vi sono state decine di dichiarazioni ufficiali, da parte di migliaia di scientifici che hanno messo in serio dubbio le politiche di gestione della pandemia. Dal confinamento, alla distanziazione sociale per passare all’uso intimidatorio delle mascherine. Tutto falsamente omogeneo e in consonanza con la scienza che invece è apparsa come la grande perdente di tutte queste operazioni. Lo ricorda l’antropologo della salute Jean Michel Dominique: la medicina non è una scienza ma un’arte che si avvale della scienza …!

Manipolazione. Quasi per caso appare, nell’immagine citata, una piccola croce appena sopra il capo del ragazzo rappresentato, mascherato come gli altri due personaggi che lo attorniano. La croce che, in tutto il periodo citato, è stata usata e abusata per giustificare o proteggere le scelte governative di controllo sociale col pretesto della gestione della malattia. Una profanazione che, vista dal lontano/vicino Sahel dove ben altri sono stati i problemi di questo tempo, ha posto la ‘nuda vita’ , per dirla con l’amico Giorgio Agamben, come la nuova religione assoluta. Dov’era dunque la croce quando morivano, sole e abbandonate le persone anziane nelle case di riposo (eterno), nelle chiese sostanzialmente chiuse (neppure in guerra era accaduto) e nella ‘distanziazione sociale’ (con che coraggio leggere il vangelo nel quale il Cristo ‘tocca’ i lebbrosi?). Si tolga almeno la croce dalla moneta … già i venditori nel tempio era stati avvisati a suo tempo … Dovremmo altresì espungere, come ‘sovversivi’, i santi che si mettevano sulle spalle i malati, gli appestati o qualcuno come San Damiane de Veuster, diventato a suo volta lebbroso per non rispetto delle distanze sanitarie. Lo stesso accadde coi primi missionari che, sapendo di vivere per pochi mesi, partivano nelle zone dove la malaria o la febbre gialla li falcidiavano. Ora si muore, tristemente, di vecchiaia … con la croce del cimitero a fare compagnia.

  1. La civiltà cattolica

Organo semi ufficiale del vaticano perché diretto dai gesuiti sotto immediata obbedienza papale. È con un notevole senso di sconcerto che, scorrendo un articolo sulla ‘vaccinazione’ si leggeva quanto segue…

papa Francesco manifesta un approccio accogliente e costruttivo nei riguardi della scienza … mostra che il contributo della ricerca scientifica in campo sanitario, che ha consentito di mettere a punto vaccini sicuri, efficaci, con effetti indesiderati minimi e identificabili, testati cilinicamente in modo esteso e rigoroso, può essere al servizio della salute quale bene comune e globale [7]

Le sottolineature sono mie…

Una tale leggerezza, cosciente o meno, è da considerare a-scientifica e, in fondo a-morale, al di là del numero limitato di lettori di questa rivista: è il principio, lo stesso, che viene così riconfermato. Alcune considerazione veloci:

♦ La palese falsità dell’affermazione. Si sapeva o comunque si poteva supporre che i ‘vaccini’, vista la l’origine sospetta di alcune della case farmaceutiche, la manipolazione riconosciuta dei test vaccinali, l’opacità dei contratti con gli Stati, avrebbe comportato problemi per i vaccinati. Così è stato, com’è ampiamente documentato e riconosciuto dalle statistiche ufficiali. Com’è stato riconosciuto dalle stesse ditte farmaceutiche, i test sono stati scelti, ridotti e manipolati ed i risultati più sconcertanti espunti, con cognizione di causa. La ‘civiltà cattolica’ ha così tolto la propria maschera perché quanto scritto, indebitamente, su questo tema potrebbe essere riferito anche ad altri: con quale credibilità’.

(Il database delle reazioni avverse ai farmaci dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA) sta ora segnalando 45.752 decessi e 4.522.307 reazioni avverse a seguito dei vaccini COVID-19, mentre il sistema di registrazione degli eventi avversi del vaccino degli Stati Uniti (VAERS) sta ora segnalando 29.031 decessi e 1.307.928 reazioni avverse a seguito della vaccinazione COVID- 19.8 … Dal sito Data base Italia).

La mancanza di discernimento e dunque l’imprudenza in un ambito nel quale vale il famoso motto della medicina: primo non nuocere … Un farmaco in sperimentazione che arriva di botto ad inondare il mercato farmaceutico, uno dei grandi business dell’epoca in chiave di ‘religione sanitaria’, con buona parte di politici e di comitati di gestione della crisi con conflitti di interesse). Sottacendo che fin dall’inizio sono stato trovate e proposte soluzioni alternative alla vaccinazione genica. L’uso tempestivo della idroclorochina, ivermectina … avrebbero permesso di salvare molte vite. Si è preferito, come da copione sceso (divinamente?) dall’alto di impedire ai medici di operare e si è preferito l’isolamento, l’attendismo e il paracetamol … Aberrazioni a dir poco criminali dal punto di vista etico e scientifico.[8]

Connivenza dunque con la ‘doxa’ accettata, trasmessa, propagandata dai media nazionali e internazionali. Questo dovrebbe destare stupore per l’istituzione ecclesiale che si è sempre vantata di ‘essere nel mondo ma non del sistema’ … E invece, con inusuale fretta, le ‘istituzioni vaticane’, tramite il capo supremo e le conferenze episcopali, hanno facilitato il lavoro degli organi statali, come se questi ultimi cercassero davvero il bene personale e comune dei cittadini. Detta attitudine, esplicita o implicita, non ha fatto che favorire lo scivolamento verso un totalitarismo medico le cui conseguenze sull’assetto democratico sono estremamente deleterie. Una divisone tra buoni cittadini e cittadini ‘ricalcitranti’ è potuta accadere con maggiore facilità perché prima c’è stata la classificazione papale tra buoni e fedeli cristiani (vaccinati o vaccinandi) e gli altri, egoisti, superficiali o perlomeno insubordinati all’ordine pubblico ecclesiale ( i non vaccinati). L’idea, a questo proposito, di ‘religione civile’ che puntella la religione sanitaria dello stato, non è anodina ma consustanziale al ruolo che è stato affidato, ormai da tempo, alla religione. Si è contribuito a creare cittadini ‘sottomessi’ all’autorità contro i diritti umani più elementari ( di riunione, di lavoro, di culto, di movimento … di aria libera e di un volto umano).

  1. L’Alleanza vaticano-capitalismo inclusivo

«È necessario e urgente un sistema economico giusto, affidabile e in grado di rispondere alle sfide più radicali che l’umanità e il Pianeta si trovano ad affrontare. Vi incoraggio a perseverare lungo il cammino della generosa solidarietà e a lavorare per il ritorno dell’economia e della finanza a un approccio etico…cercando modi per rendere il capitalismo uno strumento più inclusivo…». All’inizio di dicembre del 2019, papa Francesco si era rivolto con queste parole ai membri del nuovo “Consiglio per un capitalismo inclusivo con il Vaticano”… Tra i manager che fanno parte del Consiglio figurano i dirigenti di colossi come Mastercard, Allianz, Merck, CalPERS, Johnson & Johnson, State Street Corporation, Bank of America, Fondazione Rockefeller. Ma è presente anche il presidente di un colosso delle fonti fossili come British Petroleum. E perfino un membro del consiglio d’amministrazione della compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco.

«La vostra presenza qui – ha affermato Bergoglio – è un segno di speranza, perché avete riconosciuto le questioni che il nostro mondo è chiamato ad affrontare e l’imperativo di agire con decisione per costruire un mondo migliore. Vi esprimo la mia gratitudine per il vostro impegno nel promuovere un’economia più giusta e umana». Inoltre, secondo il Financial Times, il Vaticano avrebbe anche «concesso l’uso del proprio nome».[9]

Sconfessione della teologia popolare o della liberazione. Sappiamo che non si possono seguire o affidarsi a due padroni, camminare due strade differenti. Da un lato si promuovono alleanze coi movimenti popolari, coi poveri, non oggetti ma protagonisti di trasformazione, come si afferma da sempre nella teologia della liberazione e in quella popolare seguita e promessa finora, almeno nei discorsi, da Roma. E nel contempo ci si allea col ‘capitalismo inclusivo’, ossimoro, contraddizione in termini come ben si sa da sempre. Il capitalismo è nato senza cuore e non sarà certamente un innesto chirurgico, sia pure col vaticano, tutto meno che innocente in ambito finanziario, a cambiarne i connotati. Ciò è semplicemente scandaloso e malgrado le tresche passate con potere del momento, i concordati con le dittature e gli arrangiamenti coi detentori della ricchezza, non si era mai giunti a tanto. Com’è possibile andare dai poveri in pellegrinaggio, ad esempio tra i campi per profughi o migranti e nel contempo allearsi con coloro che direttamente o meno creano quanto sta accadendo in termini di esclusione sociale e di sfruttamento globale?

Adeguamento al ‘sistema Davos’, nel senso che, in fondo, le politiche vaticane ‘Covid’ sono state finora sostanzialmente funzionali al piano di ‘global reset’ promosso dalla cricca che organizza i famosi vertici dell’élite economico-politica del mondo nella cittadine elvetica. Un piano che tendenzialmente azzera lo spirito umano, l’anima, i desideri più grandi del cuore umano, per appiattirsi su una rivoluzione transumanista che punta al controllo totale del mistero della vita, una sorta di reinvenzione della creatura, fatta a immagine e somiglianze delle intelligenze artificiali. Le scelte vaticane del periodo della pandemia e il post, sono funzionali a questo sistema, senza una parola di critica per favorire le lusinghiere sirene del consenso per attrarre investimeni (in vaticano?). La profezia di un mondo nuovo si identifica con le politiche vaccinali, ideologiche ed economiche che permettono finalmente la luce promessa dopo il buio dei mesi del confinamento. Nulla sarà più come prima si ripete a menadito. Si attende il mondo secondo il vangelo di ‘Davos’, fondamentalmente idolatra (Mammona, in termini profetici), perché pone al centro se stesso come unica salvezza.

La svendita di un patrimonio unico antropologico al miglior acquirente è appunto ciò che sembra accadere. La persona, il volto, la relazione, la com-unione di intenti e di destino, tutto ciò è stato, in questo periodo, svenduto. Distanze, isolamento, disinfezioni, conteggio di morti … il processo si è rivelato fin dall’inizio, per i più attenti osservatori, come l’uso egemonico-patologico della paura che ha di fatto mutilato la civilizzazione e le più elementari nozioni di convivialità. La morte di persone sole e abbandonate ne è stata la metafora forse più emblematica. Com’è stato possibile rinunciare, in poche settimane e con così poca resistenza, ad un patrimonio così ricco e articolato come quello che ha contraddistinto la visione della persona come mistero di comunione e relazione con un proprio destino, legato a quello degli altri. Si è poi contrabbandato il concetto di ‘bene comune’ per l’obbligo vaccinale mentre tutto, nella società, da anni spinge all’individualismo esacerbato e consumista. Appare perlomeno sospetto che dei perfetti egoisti in economia, politica ed etica diventino, senza colpo ferire, paladini del bene comune e dell’abnegazione.

  1. Obbligo morale?

Dal momento in cui è stato disponibile il primo dei vaccini contro l’epidemia Covid-19 un coro pressoché unanime si è levato per sostenere l’obbligatorietà della vaccinazione stessa, chi non volesse sottoporsi al trattamento verrebbe emarginato. Le stesse persone che chiedono questo in nome di un bene collettivo però devono sapere che la somministrazione di un farmaco sperimentale contro la volontà del soggetto è inequivocabilmente in contrasto con le norme del Codice di Norimberga redatto per definire la base giuridica della medicina nazista che si andava a condannare nel tribunale. (Enzo Pennetta, gennaio 2021)

La libertà di coscienza. La stessa Unione europea si è affrettata ad adottare, nel giugno scorso, un regolamento (il n. 953/2021, relativo all’EU Digital Covid Certificate), il cui preambolo afferma la necessità di evitare la discriminazione diretta o indiretta dei soggetti che “hanno scelto di non vaccinarsi”. I principi e le norme in parola sono volti a salvaguardare i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo nei confronti delle applicazioni della biomedicina … Rilevano, in modo specifico, il principio del primato dell’essere umano sugli interessi della scienza e della società, nonché i principi di precauzione, di beneficenza, di non maleficenza e di equo accesso alle cure mediche.

Nella prospettiva indicata assume speciale rilevanza il dovere del medico/sperimentatore di rispettare gli obblighi professionali ispirati al rigore, alla prudenza, alla professionalità, all’onestà intellettuale e all’integrità morale non solo nella trasparenza delle decisioni adottate e nell’utilizzo delle migliori conoscenze disponibili, ma anche nella presentazione dei risultati scientifici conseguiti (art. 4 della Convenzione di Oviedo, art. 13 della Dichiarazione universale dell’UNESCO del 1997, art. 18 della Dichiarazione universale dell’UNESCO del 2005).[10]

La citazione del papa, riportata all’inizio di questa lettera aperta, facente allusione all’obbligo vaccinale

Il Santo Padre ha più volte sottolineato l’importanza della vaccinazione, ricordando che la cura della salute è “un obbligo morale” ed è importante “proseguire lo sforzo per immunizzare anche i popoli più poveri”…

invita ad alcune considerazioni.

La più facile è quella di rilevare che i Paesi più poveri, tra questi il più povero in assoluto nel quale si trova chi scrive, il Niger, è stato solo lievemente sfiorato dalla pandemia. I tentativi di ‘facilitare’ o imporre il vaccino sono sistematicamente caduti nel vuoto. In tutta l’Africa, a parte forse il Sudafrica, il Marocco e l’Algeria colpiti in relativa misura, l’epidemia è stata ben gestita, verrebbe da dire, grazie alla non-vaccinazione! Ma il punto principale è legato, appunto, alla coscienza. Da un lato, quando conviene, si vogliono persone, cittadini, cristiani, consapevoli e responsabili e dall’altra si ‘obbliga’ pena l’esclusione virtuale e reale dal lavoro, dalla comunità una parte di coloro che cercano di prendere sul serio la libertà di coscienza. Sembra perlomeno contradditorio appellarsi al senso critico e alla maturità dei cristiani nei confronti delle ideologie dominanti della società e al contempo ‘imporre’ sotto pena di minaccia una visone unica, accomodante e funzionale al potere del momento in ambito sanitario. Come non rilevare la contraddittorietà del modo di trattare chi, per legittima scelta, ha rifiutato la vaccinazione e si trovato ai margini della Chiesa. La misericordia e l’attenzione dovuta a chi ha perso il lavoro e, spesso, la reputazione avrebbe dovuto trovare accoglienza e ascolto nelle comunità cristiane.

La censura precoce di altre possibilità terapeutiche si è sviluppata fin dall’inizio e la sola prospettiva vaccinale presa come una garante di uscita dalla crisi dell’epidemia. Come già sottolineato si sono esclusi tutti i tipi di trattamento di una malattia che in sé non era sconosciuta e di cui esistevano dei protocolli di intervento. Fortunatamente, anche nel momento più forte del totalitarismo del pensiero unico sulla malattia, non sono mai mancate voci ‘furi dal coro’, come ad esempio il dottor Jean Michel Dominique, antropologo della salute che sul suo blog, ha continuato a pubblicare notizie diverse dalla doxa …

Riprende, tra l’altro, un articolo che contesta la narrazione ufficiale. Sulla gravità, meno del previsto e che tocca prevalentemente una fascia della popolazione, spesso con altre comorbidità…

… ‘La médecine c’est soigner les gens, quant à la science elle consiste principalement en l’observation… Et dans ce domaine, l’observation faite par les praticiens de terrain à travers le monde a mis en évidence plusieurs associations qui donnent de bons résultats : l’association Hydroxychloroquine/Azithromycine/Zinc ou l’association Macrolide/Céphalosporine/Zinc semblent éviter les formes graves à condition d’être prises tôt dans l’infection. Utilisée en Afrique, l’Artemisia annua semble aussi avoir une efficacité contre le covid . Aux stades plus avancés, l’on peut recourir aux corticoïdes comme la dexaméthasone, les anticoagulants pour éviter les phénomènes de thromboses, ou encore l’oxygénothérapie.[11]

Correi dunque di uno stato di cose che ha contribuito a trasformare una relativa semplice malattia in una pandemia ‘incontrollabile’ con lo scopo, appena larvato, di arrivare ad un certificato vaccinale europeo che permetta di ‘controllare’ ogni cittadino. Le ricadute, non è difficle, immaginarlo, potrebbero andare verso una distopia che solo la fantasia degli scrittori di scienza-fiction, potrebbero lasciar indovinare. Una pesante responsabilità nei confronti di ciò che, attraverso azioni o omissioni, mette le basi per un mondo (occidentale per ora), sostanzialmente dominato dagli interesi delle grandi ditte farmaceutiche e dei cosiddetti GAFA …

Conclusione. Che tempo fa dall’altra parte del mondo?

Chi scrive ha passato buona parte lontano dai centri di potere, come missionario apprendista in Costa d’Avorio, Argentina, Liberia e, da oltre 11 anni, nel Niger della sabbia. Chi scrive, nel mese di luglio del 1982 è stato salvato da operazioni e cure mediche nell’ospedale pubblico San Martino di Genova e non ha mai disdegnato le vaccinazioni. Chi scrive, oltre quelle dell’infanzia, ha assunto il vaccino contro la febbre gialla e, prima di partire la prima volta nel Niger nel 2011, è stato volontariamente vaccinato contro una delle forme più diffuse della meningite. Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini ma c’è ‘resistenza’ nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid.

Infatti una cosa è la malattia e l’altra le politiche di uso della malattia per controllare, modificare e preparare un mondo diverso e funzionale all’egemonia di una élite che, per usare una metafora evangelica, sotto l’apparenza di ‘agnelli’ benefattori illuminati dell’umanità, non sono che lupi feroci. Peccato che alcune istituzioni vaticane, e non delle minori, abbiano accettato di collaborare con loro. Molti altri, pagando di persona e discriminati all’interno della stessa Chiesa e nella società come cittadini, hanno scelto di r-esistere.

Niamey, primo luglio 2022

P.S.– In tutti questi anni lo stato italiano mi ha ignorato. Per rinnovare il passaporto scaduto e con un’ambasciata a Niamey, con tanto di militari, di controllo di frontiere e migranti, sono dovuto andare fino ad Abidjan, in Costa d’Avorio…

Da casa mi si comunica che c’è in atto un procedimento amministrativo che comporterebbe una penalità di 100 euro per non compimento vaccinale. Mi è stata chiesta copia della carta d’identità e del codice fiscale. … Ecco il benvenuto in patria dopo tre anni di assenza…

https://www.lepoint.fr/societe/vatican-le-plus-petit-etat-au-monde-dirige-par-le-dernier-monarque-absolu-13-03-2013-1639682_23.php

Il testo di Mauro Armanino è già stato pubblicato anche sul sito di «Sinistrainrete», il 12 luglio 2022.


Note

[1] «In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”» (Mt. 6, 24).

[2] Lc. 17, 26-37.

[3] D. Alighieri, Purgatorio, I, vv. 71-72.

[4] https://www.ilsussidiario.net/news/nuova-moneta-da-20-euro-del-vaticano-medico-e-infermiere-iniettano-vaccino-covid/2361854/

[5] https://www.republicain-lorrain.fr/culture-loisirs/2021/07/06/martin-steffens-philosophe-alerte-sur-les-risques-d-une-societe-masquee

[6]https://globalcovidsummit.org/news/declaration-iv-restore-scientific-integrity?utm_campaign=ICYMI%3A%20Please%20review%20our%20latest%20Declaration&utm_medium=email&utm_source=Mail

[7] Andrea Vicini s.j., «La civiltà cattolica», 4115, 2021, 433.

[8] https://nouveau-monde.ca/balance-avantages-risques-des-injections-anti-covid19-au-28-juin-2022/

[9] https://valori.it/consiglio-capitalismo-inclusivo/

[10] Il testo originale del Parere è pubblicato sul sito: www.ecsel.org/cieb, fondato dall’amico Luca Marini, giurista.

[11] M. Annès Bouria, un des signataires du remarquable Appel adressé par des soignants belges à leur gouvernement. Dal testo originale in francese sul sito Anthropo-logique, di J.M. Dominique.


Alcuni libri di Mauro Armanino


Cercando il volto. L’umanità nel missionario, Ed insieme 2000

Cercare il verbo che esprime meglio la dimensione missionaria della Chiesa di oggi: essere in cammino, cercatori d’infinito, alla ricerca di un Dio che si nasconde fra le pieghe della debolezza dell’uomo. Delle piccole contraddizioni quotidiane di un’umanità spesso stanca e delusa, Egli si serve per mostrare e comunicare la ricchezza del suo amore che libera e rende felici”. (Dalla premessa di don Giovanni D’Ercole).


La storia si fa con i piedi. Diario di missione a Genova, EMI 2011

Clandestino non è l’unica parola che avrei incontrato innumerevoli volte nel lessico quotidiano. Certo è stata quella che mi ha ferito di più. Ho vissuto per vent’anni fuori dall’Italia. Al massimo mi hanno chiamato comunista, mai clandestino”. In attesa di ripartire per l’Africa, padre Mauro continua ad essere missionario anche in Italia. Negli anni trascorsi a Genova, incontra immigrati, detenuti, prostitute. Con loro spezza il pane, piange o ride, s’indigna. I suoi passi si confondono con i loro piedi.


Un dio qualunque. Sguardi e attraversamenti dal Niger, Museodei by Hermatena, 2013

Rifugiati, sopravvissuti, sfollati e dimenticati… a loro sono dedicate le lettere da Niamey, scritte da padre Mauro, che vive là, insieme a loro. Li vede ogni giorno, condividendone le sorti… Storie di ordinaria sofferenza lungo le strade che attraversano il Niger.


La nave di sabbia, Museodei by Hermatena, 2015

La vista, i poveri, l’esodo forzato degli ultimi, il commercio umano, gli angeli di carne, la maternità obbligata, le tappe al contrario del cammino natalizio che Armanino ci propone, con quel suo tocco sapiente di disincantato pittore della sua gente di “frontiera”, quotidianamente ascoltata e accolta, mai giudicata o esclusa. Forte rimane il movimento di questo cammino condiviso, anche nelle grandi solitudini sensoriali (cecità), affettive (prostituzione), economiche (guerre, carestie), dove tutti i protagonisti vengono abbracciati dallo sguardo d’amore dell’autore, consapevole che dalla periferia nasce la speranza.


La città sommersa. Il mondo altro dei migranti del mare, Museodei by Hermatena, 2017


Mare muro. Il Mediterraneo sguardato dalla parte di chi parte e non sempre arriva, Pendagora 2017

53 sguardi e altrettante riflessioni sul mondo dei migranti, inviate da Niamey (Niger) tra il 2012 e il 2017 da Mauro Armanino, prete, missionario e testimone. Armanino non parla di numeri, non si ferma agli aggettivi (profughi, sfollati, richiedenti asilo, e ancora dieci altre targhette di gran moda), ma li chiama ciascuna e ciascuno per nome, ci racconta che hanno un volto e nel bagaglio una storia, che non vengono dall’Absurdistan, ma da un luogo che anch’esso ha un nome, dove hanno lavorato o studiato, dove hanno lasciato una famiglia, una comunità di persone che hanno un nome, e poi – nome dopo nome – ci racconta di chi nel viaggio ha assaggiato l’antipasto dell’inferno e di chi non è arrivato né tornato, e ancora racconta di governi collusi, di organizzazioni compiacenti, di potenze della finanza e della politica che prosciugano le ricchezze del centro del mondo e le convogliano nella nostra periferia. Con lingua schietta, nello stesso tempo poetica e viscerale, senza sconti alla verità né alle responsabilità, questo libro parla di noi


L’ arca perduta nel Mediterraneo. Prove di naufragio di una civiltà, Museodei by Hermatena, 2019



L’ isola delle speranze rubate. Diario di bordo dal Sahel, Museodei by Hermatena, 2022

Storie di speranze perdute, navi che salpano verso isole inesistenti. Storie di ordinaria sofferenza lungo le strade che attraversano il Niger, accompagnate dal vento, dalla sabbia e dal dolore. Un diario di bordo, in un affresco unico, che narra le “avventure” di un’altra Africa. L’altra faccia di un’umanità che non conta. Testimonianze disperate di violenza e follia. Storie di corruzione e manipolazione. Storie di oggi. Nascoste tra le onde di un naufragio, nel cui sciabordio si ode la voce forte e coraggiosa di chi è indotto a lasciare una terra che sembra non appartenergli più.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – L’ultima parola della storia. Rileggendo i versi di Patrizia Cavalli. Il tempo è vita intessuta di parole che attendono di essere condotte a nuova vita.

Salvatore Bravo

L’ultima parola della storia.
Rileggendo i versi di Patrizia Cavalli

Il tempo è vita intessuta di parole che attendono di essere condotte a nuova vita

Ma io non voglio andarmene così, lasciando tutto come ho trovato … Un altro è il mio progetto … è accogliere la lingua che mi è data … immaginando una visione. Come di fronte a un fiore di datura … questa è la gioia fiera del mio compito, qui è il mio valore.

P. Cavalli




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Fernanda Mazzoli – Una vita consumata: a proposito di «La Peau de chagrin» di Balzac: un’esistenza che si è persa, irretita dalle volgari sirene di una società che riconosce e venera solo la ricchezza

Fernanda Mazzoli

Una vita consumata:
a proposito di
La Peau de chagrin

Un’esistenza che si è persa, irretita dalle volgari sirene di una società
che riconosce e venera solo la ricchezza e il potere d’acquisto che ne deriva

***

Il 25 febbraio del 1867,  poco prima di consegnare alle stampe il Primo Libro del Capitale, Karl Marx scrisse al suo amico Friedrich Engels suggerendogli di leggere due racconti di Balzac, «pieni di deliziosa ironia».

***

«Balzac, che io ritengo maestro del realismo di gran lunga maggiore di tutti gli Zola del passato, del presente e dell’avvenire, ci dà nella Comèdie humaine  un’eccellente storia realista della società francese, poiché, sotto forma di una cronaca, egli descrive quasi anno per anno, dal 1816 al 1848, la spinta sempre crescente della borghesia in ascesa».

F. Engels

 


Parigi 1831: si celebra con fasto sfrontato il matrimonio d’interesse fra la monarchia di luglio, esito moderato delle Trois glorieuses1 dell’anno precedente, e la borghesia degli affari e delle professioni. Invitata d’onore la stampa, chiamata a svolgere un ruolo di primo piano a garanzia del fruttuoso sodalizio che lega indissolubilmente potere politico e potere economico. Fuori dagli hôtels particuliers,2 teatro di feste sfarzose dove si concentrano, ostentano e sperperano fortune di dubbia provenienza, gli esclusi, per scelta o per necessità: repubblicani irriducibili, uomini di studio e di pensiero votati esclusivamente alla propria arte e poveri di ogni sorta.

Fra questi, Raphaël de Saint-Valentin, il protagonista di un folgorante romanzo di Honoré de Balzac, La Peau de chagrin,3 collocato nell’edizione del 1834 della Comédie humaine nella sezione Etudes philosophiques. La storia è presto detta: un giovane aristocratico rovinato, di grande intelligenza e cultura, di animo ardente e sensibile, ma condotto alla disperazione da una povertà che il suo talento non arriva a scalfire entra in possesso di un singolare talismano, la pelle di un onagro, un asino selvatico che vive in Asia. Il bizzarro mercante di antichità nel cui magazzino essa è custodita lo mette in guardia dal potere straordinario che risiede in questo lembo di pelle su cui è incisa una misteriosa iscrizione che promette a chi la possiede di possedere tutto, di vedere esaudite tutte le proprie brame. La contropartita a questo illimitato potere è, però, inquietante: ad ogni volere soddisfatto, la pelle si assottiglierà esattamente come i giorni di chi ha espresso il desiderio. Noncurante delle ammonizioni del vecchio mercante, Raphaël accetta lo sciagurato patto; in breve diventa incredibilmente ricco, ma con orrore deve constatare che l’iscrizione dice il vero: la pelle si è ridotta e lui comprende appieno in quale abisso si è lanciato. Rinchiuso nel meraviglioso palazzo che può ora permettersi, arredato con il gusto che la sua sensibilità d’artista gli suggerisce, conduce una vita triste e solitaria, oppresso dall’angoscia per la fine che sente ineluttabile e vicina. Per evitare di desiderare, cioè di accorciare la propria vita, smette di vivere, rinuncia alle ragioni stesse che rendono l’esistenza desiderabile, innanzitutto l’amore e l’amicizia. Ma la vita è più forte e finisce per valicare le spesse mura difese da un domestico devoto incaricato di frapporsi tra il giovane e il mondo. L’amore sa trovarlo e smuovere la sua voluta indifferenza, la pelle continua a ridursi, Raphaël, nel fiore degli anni, si ammala e a nulla valgono gli esperimenti che tenta con insigni scienziati per distendere il maledetto frammento. La minacciosa promessa contenuta nell’iscrizione si compie, trascinando l’avventato e sventurato ragazzo nelle braccia della morte.

Il racconto, concentrato in tre capitoli che scandiscono l’inesorabile marcia del protagonista dall’accettazione del patto all’agonia, è molto di più di una riflessione filosofica e/o di un apologo morale sul potere corruttivo e venefico della ricchezza e la sua inadeguatezza a garantire la felicità.

Con la forza visionaria che lo caratterizza, con la sua ambizione di cogliere e restituire la totalità sociale e attraverso essa i destini individuali, Balzac individua e isola con sorprendente precisione un carattere fondante della condizione umana nella società dove il capitale ha ormai imposto la sua legge: l’illimitata disponibilità di beni che esso promette e gli altrettanto illimitati desideri che esso accende finiscono per assorbire la vita fino alla sua negazione, nel momento stesso in cui sembrano consentirle di manifestarsi in tutte le sue possibilità, di coronare il suo sogno di pienezza.

L’orgia che riunisce giornalisti, artisti e cortigiane nella sontuosa dimora di un parvenu di dubbia fama e che spalanca all’aristocratico in miseria le porte di un mondo dove tutto è permesso, a condizione di disporre di faccia tosta e denaro, fornisce lo sfondo brillante e cangiante sul quale si muove un’umanità frenetica, piena di sé eppure insoddisfatta e rancorosa, pronta a giocare con tutte le opinioni, perché in fondo non crede in nulla, se non nel proprio diritto ad occupare un posto adeguato nel gran festino.

Ebbene, voglio vivere nell’eccesso, ribatte, afferrando convulso la pelle magica, il protagonista alle argomentazioni dell’antiquario che non gli nasconde i rischi del talismano che riunisce in sé volere e potere, a un’intensità tale da condurre agli eccessi più temibili e distruttivi. E così, il romantico mal di vivere, nobile ed inesausta aspirazione dello spirito insofferente dei limiti della propria umana natura verso l’Infinito e l’Ignoto, si trasforma, nel nuovo contesto sociale e politico contrassegnato dal trionfo della borghesia, in mal di consumo, in cui a finire per essere letteralmente consumata è la vita stessa.

Intuizione poetica e lucidità dello sguardo si intrecciano sotto le sapienti mani del romanziere a creare una potente metafora della reificazione della vita, ridotta ad oggetto che si usura al ritmo dei desideri che realizza, fino all’annientamento.

Doppiamente peau de chagrin: la pelle di asino, un oggetto fra i tanti in un polveroso magazzino di antichità, si rivela in realtà pelle di dolore,4 quanto mai provvisorio ed infelice di un’esistenza che si è persa, irretita dalle volgari sirene di una società che riconosce e venera solo la ricchezza e il potere d’acquisto che ne deriva.

Anche se Raphaël mancasse di perspicacia, la brutale materialità della pelle che sotto le sue dita gli segna il tempo lo riporterebbe immediatamente all’enormità della sua scelta, gli farebbe comprendere la tragica portata del passo che, distogliendolo momentaneamente dal suicidio con cui aveva deciso di risolvere una situazione di intollerabile esclusione, lo ha portato comunque alla morte, ma attraverso una desolazione, un rimpianto e un’angoscia anche più grandi, scontati ogni giorno. Il giovane, per proteggersi dai propri desideri – da se stesso in definitiva – che gli accorciano la vita, deve abdicare alla vita per continuare a vivere. Insomma, lui che aveva sognato amori splendidi, forti emozioni, squisite sollecitazioni dei sensi si ritrova a salvaguardare la propria salute con l’attenzione paranoica di un vegliardo minacciato dalla stessa aria che respira e naturalmente la perde. La vita, infatti, si prende gioco della nuda vita, della vita biologica che le arranca dietro senza poterla raggiungere, nemmeno sfiorare.

Come tutti i libri che vale la pena leggere, anche questo interroga direttamente il lettore su una questione fondamentale, ineludibile: che cosa è vivere, che cosa è una buona vita? Raphaël, cercando di dare un senso a questa domanda, si è cacciato in una tragica impasse, ha sconfessato tutte le promesse che erano dischiuse per lui alla nascita, ha ceduto alle lusinghe dell’affermazione sociale, ha sacrificato alle divinità del suo tempo (sostanzialmente le stesse del nostro), si è perso nel cattivo infinito dei desideri che dalla società rimbalzavano fino al suo cuore.

Sfortunato eroe di una fiaba moderna senza lieto fine, l’incontro con l’oggetto magico che consentiva al giovane smarritosi nel bosco di rovesciare una situazione svantaggiata, se non disperata, segna la sua perdita: nel racconto di Balzac, infatti, tale oggetto è al centro di una scelta, non si tratta di un dono non cercato e accettato con noncuranza. È una scelta etica in cui si traduce una certa idea della vita, è una prova senza appello che il protagonista non supera. Né l’oggetto è di alcuna utilità nei confronti di mostre e streghe appostati sulla sua strada: prendendone possesso, è proprio alla loro corte che liberamente e baldanzosamente corre, credendo di potersi sedere da pari alla loro tavola imbandita. Confidando nella forza e nel potere, è la debolezza estrema che stringe, è il nulla. Ha tradito se stesso, ha calpestato le buone qualità che natura ed educazione gli avevano generosamente elargito per un riflesso di bonheur inviatogli da uno specchio menzognero. Lo specchio si è infranto, la verità gli si è rivelata, spalancandogli innanzi il pozzo di una sofferenza senza fondo, ma ormai il gioco non è più nelle sue mani. Se lo è lasciato scappare da quando le ha tese bramoso di afferrare la pelle di zigrino, questa pelle che ci ammicca da tutte le vetrine, da tutti i palcoscenici, da tutti i banchetti già apparecchiati e dove resta un posto scoperto, un posto da occupare, e forse è proprio il nostro.

1 Vengono così denominate le tre giornate di insurrezione del luglio 1830 (27, 28 e 29) che portarono alla caduta della monarchia assoluta e all’ascesa al trono di Louis-Philippe d’Orléans, roi des Français e non più de France, vale a dire sovrano costituzionale.

2 Lussuose dimore spesso occupate da una sola famiglia.

3 H. de Balzac, La peau de chagrin, Gallimard, Paris, 2003; ha conosciuto in italiano numerose traduzioni, sotto il titolo La pelle di zigrino, pubblicate da diverse case editrici.

4 Chagrin è termine appartenente al campo semantico della sofferenza: dolore, dispiacere, pena …


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Günther Anders – L’essere umano è tale soltanto se qualcuno lo chiama in causa, se si preoccupa di lui. Diversamente dal cartesiano «cogito ergo sum», la prova dell’esistenza valida, di fatto, nella vita dovrebbe recitare: «cogitor ergo sum», “Mi si pensa, dunque sono”.

L’essere umano è tale soltanto
se qualcuno lo chiama in causa,
se si preoccupa di lui.


Diversamente dal cartesiano
«cogito ergo sum»,
la prova dell’esistenza valida, di fatto, nella vita,
dovrebbe recitare:
«cogitor ergo sum»,
Mi si pensa, dunque sono”.

 

Günther Anders, L’emigrante, Introduzione di Orlando Franceschelli, Postfazione di Florian Grosser, Traduzione di Elena Sciarra, Donzelli Editore, Roma 2022.

Scheda libro

«Io non ho avuto una vita. Non ricordo. Gli emigranti non ci riescono. Di quel singolare, “la vita”, noi, incalzati dalla storia universale, siamo stati defraudati».

Ogni emigrazione è una rottura fondamentale nella vita. Sradica una persona, la rende priva di voce, sola e invisibile. Con spietata onestà, Günther Anders racconta la vergogna sperimentata nella propria esistenza da esule, vittima della persecuzione nazista, costretto a emigrare perché ebreo. Il suo brillante saggio – uscito su rivista nel 1962, pubblicato ora per la prima volta in volume e mai tradotto in italiano – getta nuova luce sulla principale «miseria morale» del XX secolo. Come mostra programmaticamente il titolo, la figura al centro è quella del soggetto migrante, che non vede se stesso come «immigrato», dunque proiettato su un luogo di arrivo, ma sempre in relazione alla propria origine e al proprio passato perduto. Nonostante le differenze di circostanze storiche tra l’emigrazione indotta dai regimi totalitari del Novecento e quella del nostro mondo globalizzato, questo breve e folgorante scritto ci porta direttamente al presente, un tempo in cui – osserva Anders – la fuga e l’esilio non sono più casi isolati o estremi ma si configurano come un’«esperienza generale». Nel saggio l’autore si rivolge a un «tu» che, ovviamente, rimane indefinito. Il testo assume così il carattere di una conversazione con chiunque sia disposto ad ascoltare il vissuto di qualcuno che è «incalzato dalla storia». Il carattere dialogico e quello testimoniale rendono evidente quanto Anders sia alla ricerca di una scrittura che «raggiunga la gente di oggi». Nel suo insieme, l’attenzione alla «sostanza» dell’esperienza dell’emigrante e ai destinatari conferisce al testo una straordinaria attualità. Felicemente a cavallo tra letteratura e riflessione filosofica, il testo di Anders sa andare direttamente al cuore dei problemi più significativi connessi alla «miseria» dell’emigrazione: di quella che i migranti subiscono e di quella a cui non dovrebbe essere indifferente chi si ritrova nelle mani il potere di concedere loro il «permesso di vita».

 

Günther Anders
Günther Anders è uno dei filosofi più importanti del XX secolo. Nato a Breslavia nel 1902, si laureò in filosofia nel 1923 ed emigrò per ragioni razziali nel 1933, trasferendosi prima a Parigi e poi negli Stati Uniti. Nel 1950 tornò in Europa e si stabilì a Vienna. Fu tra i promotori del movimento internazionale contro la bomba atomica e tra gli oppositori alla guerra in Vietnam. Morì nel 1992. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo: La coscienza al bando. Carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Günther Anders (Einaudi, 1962; Mimesis, 2016), Opinioni di un eretico (Theoria, 1991), Noi, figli di Eichmann (Giuntina, 1995), L’uomo è antiquato (Bollati Boringhieri, 2003, 2 voll.), Discesa all’Ade. Auschwitz e Breslavia (Bollati Boringhieri, 2008), La battaglia delle ciliegie. La mia storia d’amore con Hannah Arendt (Donzelli, 2012), Kafka. Pro e contro. I documenti del processo (Quod libet, 2020).


Alessio Cernicchiaro

Günther Anders, la Cassandra della filosofia

indicepresentazioneautoresintesi


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Friedrich Hölderlin – Chi pensa le cose più profonde [das Tiefste], ama ciò che è più vivo [das Lebendigste]». Essere uno con il tutto: questo è il cielo per l’uomo. Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia.

Chi pensa le cose più profonde [das Tiefste], ama ciò che è più vivo [das Lebendigste]».

«Wer das Tiefste gedacht, liebt das Lebendigste»

Friedrich Hölderlin , Sokrates und Alkibiades (Socrate e Alcibiade)

«O felice natura!
Non mi so render conto di ciò che avviene in me quando levo lo sguardo verso la tua bellezza […]. Tutto il mio essere ammutolisce e sta in ascolto quando le delicate onde del vento giocano intorno al mio petto. Perduto nell’ampio azzurro del cielo, levo lo sguardo su verso l’etra e giù verso il mare sacro e mi sembra che uno spirito fraterno mi apra le braccia e che il dolore della solitudine si sciolga nella vita della divinità.
Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dèi; questo è il cielo per l’uomo.
Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del monte, è il luogo dell’eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il tuono la sua voce e il mare che freme e spumeggia assomiglia all’onde di un campo di grano»

Friedrich Hölderlin, Iperione, trad. di G. V. Amoretti.


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Chandra Candiani – Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Un lavoro costante. Una risoluta risposta nella direzione del giusto e della testimonianza del vero.


«È tipico del filosofo quello che tu provi, essere pieno di meraviglia; il principio della filosofia non è altro che questo».

Platone, Teeteto, 155 D.

«Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia».

Aristotele, Metafisica, I, 2, 982 B.

 

«La violenza vuole, mentre la meraviglia non vuole nulla se non il pensiero, l’instancabile pensiero filosofico».

M. Zambrano

 

 

Chandra Candiani

Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Un lavoro costante. Una risoluta risposta nella direzione del giusto e della testimonianza del vero.

 

Ho sempre avuto la sensazione scomoda e stupefacente di non sapere niente. A scuola mi sembrava che, anche studiando qualcosa, le lacune aumentassero a dismisura […]. Restavo allibita dal non sapere. Lo stesso poi con la letteratura e con la poesia: più leggevo e più mi sfuggiva tutto di mano. Imparando a meditare, sono entrata in familiarità, lentamente, lentamente, con il non sapere. […] Chi crede di sapere molto sperimenta solo esperienze di seconda o di centesima mano, non è mai in intimità con niente, non trema davanti al non conosciuto e non si inoltra. Perché il sapere dell’esperienza non si può accumulare, l’esperienza inganna come tutto il resto, se credi di poterla ripetere quando ti addentri nei territori del non conosciuto. Non ci sono primi della classe, né esperti, né Maestri, se non quelli che ti spingono a conoscere in prima persona, a ferirti e medicarti […].

Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. […] La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore più ferito della terra.

[…]

Non è la consapevolezza, né tantomeno la semplice attenzione che fanno risveglio, ma è la saggezza che, allenando attenzione e consapevolezza, sgorga da sé, dal cuore, quando diventa soffice e compassionevole, quando è lavorato come un pane o un pezzo di terra. Un lavoro costante. Una saggezza non concettuale ma nemmeno istintuale, una pacata resa a quel che c’è e una risoluta risposta, dopo la resa, nella direzione del giusto e della testimonianza del vero.

 

Chandra Candiani, Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, Einaudi, Torino 2021, pp. 8-9 e p. 93.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Miguel Hernández – «Tristi guerre se non è d’amore l’impresa. Tristi. Tristi. Tristi armi se non sono parole. Tristi. Tristi. Tristi uomini se non muoiono d’amore. Tristi. Tristi». Il poeta che lottò e scrisse sul campo e nel carcere fascista di Francisco Franco.

Tristi guerre

se non è d’amore l’impresa.

Tristi. Tristi.

Tristi armi se non sono parole.

Tristi. Tristi.

Tristi uomini se non muoiono d’amore.

Tristi. Tristi.

Miguel Hernández

 

 

 

Ma c’è un raggio di sole nella lotta,

che lascia per sempre l’ombra sconfitta.

Miguel Hernández

 

La lucciola in amore
brilla di più.

La donna senza l’uomo
spenta se ne va.

Spento cammina l’uomo
senza luce di donna.

La lucciola in amore
si vede già.

Miguel Hernández



Un altro grande poeta spagnolo, Juan Ramón Jiménez, scriveva di Hernández:

«I poeti non erano convinti di quel dicevano.
Erano signorini, imitazioni di guerriglieri che portavano a spasso fucili e pistole giocattolo per Madrid,
vestiti con tute blu ben stirate.
L’unico poeta, allora giovane, che lottò e scrisse sul campo e in carcere fu Miguel Hernández».


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Platone – La ποίησις [creazione] è causa del passaggio dal non essere all’essere, e coloro che posseggono questa arte della creazione sono detti creatori [poeti] (ποιηταί).

La ποίησις [creazione] è causa del passaggio
dal non essere all’essere,
e coloro che posseggono questa arte della creazione
sono detti creatori [poeti] (ποιηταί)

 

οἶσθ’ ὅτι ποίησίς ἐστί τι πολύ· ἡ γάρ τοι ἐκ τοῦ μὴ ὄντος εἰς τὸ ὂν ἰόντι ὁτῳοῦν αἰτία πᾶσά ἐστι ποίησις, ὥστε καὶ αἱ ὑπὸ πάσαις ταῖς τέχναις ἐργασίαι ποιήσεις εἰσὶ καὶ οἱ τούτων δημιουργοὶ πάντες ποιηταί. […] Ἀλλ’ ὅμως, ἦ δ’ ἥ, οἶσθ’ ὅτι οὐ καλοῦνται ποιηταὶ ἀλλὰ ἄλλα ἔχουσιν ὀνόματα, ἀπὸ δὲ πάσης τῆς ποιήσεως ἓν μόριον ἀφορισθὲν τὸ περὶ τὴν μουσικὴν καὶ τὰ μέτρα τῷ τοῦ ὅλου ὀνόματι προσαγορεύεται. ποίησις γὰρ τοῦτο μόνον καλεῖται, καὶ οἱ ἔχοντες τοῦτο τὸ μόριον τῆς ποιήσεως ποιηταί.

 

Tu sai che la creazione (ποίησις) è qualcosa di molteplice. La causa, infatti, per la quale una cosa passa dal non essere all’essere è sempre la ποίησις. Cosicché tutte le opere che si realizzano nelle diverse arti (τέχναις) sono creazioni (ποιήσεις) e tutti gli artefici sono creatori [poeti] (ποιηταί). […] Però sai che non sono chiamati tutti creatori (ποιηταὶ), ma hanno altri nomi (ὀνόματα), e che una parte distinta di tutta intera la creazione, ossia quella che riguarda la musica (μουσικὴν) e i versi (μέτρα), viene designata con il nome dell’intero (τοῦ ὅλου ὀνόματι). Solamemnte questa viene detta creazione (ποίησις), e coloro che posseggono questa arte della creazione sono detti creatori [poeti] (ποιηταί).

 

Platone, Simposio, 205 b-c, trad. di Giovanni Reale, in Id., Tutti gli scritti, Bompiani, Milano 2001, p. 513.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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