Arianna Fermani – Recensione al volume di Enrico Berti, «Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica».
Arianna Fermani
Recensione al volume di
E. Berti, Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica,
Morcelliana, Brescia 2008
in FIRMANA; 50; 2010, pp. 213 – 216
Dopo Epistemologia, logica e dialettica e Fisica, antropologia e metafisica, editi dalla Morcelliana rispettivamente nel 2004 e nel 2005, questo terzo volume della serie Nuovi studi aristotelici (“nuovi” rispetto al testo di E. Berti, Studi aristotelici, Japadre, L’Aquila 1975), è strutturato in 17 capitoli, costituiti da altrettanti saggi (10 dei quali riguardano temi di etica, mentre gli ultimi 7 sono incentrati su questioni squisitamente “politiche”) che si snodano lungo un percorso estremamente articolato, condotto con una chiarezza esemplare. Tra le numerose questioni e i rilevanti nodi problematici del pensiero dello Stagirita attraversati dagli studi Berti, possono essere richiamate, in modo necessariamente sommario, le articolazioni delle complesse figure di theoria, di praxis e di poiesis.
Emblematica, in questo senso, la diversa calibrazione che la figura del poiein viene a ricevere, da un lato nell’ambito della riflessione logico-ontologica (al cui interno viene intesa come “agire”, ovvero come categoria dell’essere contrapposta al “patire”) e, dall’altro, nell’orizzonte etico, in cui la poiesis viene ad assumere il significato “tecnico” di azione ateles, cioè imperfetta, in contrapposizione a quell’azione perfetta che è la theoria. «La superiorità della teoria sulla prassi non esclude che la teoria, in Aristotele, possa essere finalizzata alla prassi» (p. 11). Da un certo punto di vista, infatti, e più precisamente in rapporto a quella duplice modalità di esercizio della ragione pratica rappresentato dalle due virtù dianoetiche della saggezza e della tecnica, la theoria costituisce il ‘momento conoscitivo’, momento certamente fondamentale ma che «è interamente finalizzato all’azione e, rispettivamente, alla produzione» (p. 11).
Si assiste così all’individuazione di vari livelli di subordinazioni e di diversi sensi di “primati”, facendo emergere una trama argomentativa fatta di confini chiari, di nessi precisi e, insieme, ‘mobili’, sempre nuovamente da individuare e da ricostruire secundum quid. Un approccio flessibile che, nel caso specifico del rapporto tra teoria e prassi, lungi dal tradursi in una relazione di opposizione o di alternativa, dà luogo in Aristotele – e diversamente da quanto accade in alcuni esponenti della filosofia a lui posteriore – a un «rapporto di successione continua (corsivo nostro)» (p. 14). All’attenta esplorazione della complessa e cruciale nozione di saggezza (phronesis) sono, inoltre, dedicati diversi contributi, volti a restituire, da un lato, tutti i suoi molteplici profili e le sue diverse specie (di cui una è la saggezza relativa al governo di se stessi, chiamata semplicemente phronesis, un’altra è quella relativa al governo della casa, o phronesis economica, un’altra ancora è quella relativa al governo della città, o phronesis politica, che, a sua volta, si divide in saggezza legislativa, deliberativa e giudiziaria) e, dall’altro, volti a stabilire con chiarezza i confini di due nozioni spesso erroneamente confuse o sovrapposte, quali quelle di ‘saggezza’ e di ‘filosofia pratica’.
A questo scopo Berti passa minuziosamente in rassegna tutte le caratteristiche e le movenze argomentative delle due ‘figure’ in questione, ricordando come, benché da un lato presentino entrambe, seppur in senso diverso, un carattere normativo, dall’altro esse costituiscano due realtà irriducibili, caratterizzate da fondamentali differenze. Differenze spesso erroneamente sottovalutate, sottolinea lo studioso, il quale ricorda anche come «la riduzione della filosofia pratica alla phronesis diffusa tanto nel “neo-aristotelismo” odierno quanto nei suoi critici, ha avuto importati conseguenze dal punto di vista filosofico: essa ha portato infatti a fare di Aristotele un conservatore, cioè un filosofo preoccupato unicamente di giustificare, o di razionalizzare, il costume esistente… ma questo è soltanto il significato della phronesis, la quale presuppone la virtù etica, cioè appunto l’ethos […]. Al contrario, la filosofia pratica di Aristotele è spesso critica nei confronti del modo di pensare vigente» (pp. 31-32). Al fondamentale tema dell’amicizia e della sua imprescindibile funzione all’interno della vita buona sono, inoltre, dedicati quattro ricchi saggi di Berti che osserva la complessa questione da varie prospettive (logica, psicologica, sociale e antropologica), mettendo a fuoco con estrema chiarezza alcuni degli snodi concettuali di questa nozione straordinariamente vasta (visto che il termine philia esprime «qualsiasi forma di affetto fra gli esseri umani»), a cui lo Stagirita dedica un quinto dell’Etica Nicomachea, cioè lo spazio maggiore che un filosofo abbia mai dedicato ad esso. Tra le molteplici questioni scandagliate dallo studioso all’interno di questo vasto orizzonte, inoltre, particolarmente rilevante – anche per le sue riprese all’interno del dibattito contemporaneo – risulta l’indagine del rapporto fra le tre forme di amicizia, e cioè fra l’amicizia virtuosa, l’amicizia utile e l’amicizia piacevole.
A questo proposito si sottolinea come, a fronte dello scenario delineato nella Nicomachea, secondo cui l’amicizia virtuosa si configurerebbe come l’amicizia nel significato assoluto e le altre due forme costituirebbero delle amicizie solo in senso improprio, cioè per accidente, e per somiglianza rispetto all’amicizia del primo tipo, l’Etica Eudemia prospetterebbe uno scenario diverso, stabilendo fra le varie forme di amicizia un rapporto di omonimia relativa, ovvero di relazione ad uno (omonimia pros hen), quella stessa relazione che Aristotele stabilisce tra i diversi significati dell’essere e dell’uno nel IV libro della Metafisica.
Le varie forme di amicizia, infatti, si legge in alcune delle pagine concettualmente più dense e problematiche dell’Eudemia, non si danno né in un solo senso, cioè in modo univoco, né in modo del tutto equivoco (cioè secondo una omonimia totale), ma secondo una omonimia relativa, che consiste nell’uso di un termine in più sensi, ma tutti relativi a un senso primo (kurios): l’amicizia fondata sull’utile e l’amicizia fondata sul piacere, infatti, sono dette amicizie “in relazione” all’amicizia fondata sulla virtù, dal momento che esse contengono, nelle loro definizioni, un riferimento a quest’ultima. All’esplorazione del nesso tra Stato e società civile sono dedicate molte interessanti pagine del volume di Berti, volte a ricostruire, tra l’altro, le articolazioni concettuali più significative di nozioni come polis (da identificare non con lo Stato, cioè con l’insieme delle istituzioni attraverso cui si esercita il potere, ma con la comunità politica) e politeuma (nozione che più si avvicina al moderno concetto di Stato), scandagliandone attentamente il retroterra storico e mostrando la “validità metastorica” dei modelli delineati all’interno della Politica dello Stagirita. «Il tramonto della polis antica e la sua sostituzione ad opera dello Stato moderno sembrano aver privato di qualsiasi validità la concezione aristotelica della società politica. Invece è necessario rendersi conto che la società politica teorizzata da Aristotele ha una base naturale, cioè esisterà sempre, sia pure in forme diverse dalla polis antica, finché ci saranno uomini sulla terra, come espressione della loro tendenza naturale ad aggregarsi in organizzazioni politiche aventi un fine comune» (pp. 224-225). Ci troviamo di fronte a un Filosofo, dunque, che oltre ad essere «l’autore, o il codificatore in senso tecnico, di quasi tutte le distinzioni concettuali che stanno alla base del linguaggio filosofico, ed anche non filosofico, della cultura occidentale» (p. 9), è ancora in grado di dirci molto, soprattutto in un ambito, quale quello etico e politico, in cui un pensatore “vecchio” di 2500 anni viene ancora letto e discusso come un contemporaneo.
Arianna Fermani
Tratto dalla rivista Firmana n. 50/2010