Luigina Mortari – Non è possibile pensare la ricerca di una buona qualità della vita in modo solipsistico. Tutto quanto rispetto al bene non sia frutto di un investimento personale di pensiero non diventa orizzonte. Quando si evita la fatica della ricerca rigorosa, si possono vedere solo idee storte, mentre solo la ricerca seria consente di “udire cose luminose e belle”.

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«Ciascuno di noi cerca il bene, cioè una vita buona. Ma, poiché il tessuto ontologico è tutt’uno, il divenire di ciascuno di noi è profondamente intrecciato con quello dell’ altro, e dal momento che la mia esistenza è intimamente connessa con quella dell’altro non è possibile pensare la ricerca di una buona qualità della vita in modo solipsistico. Non esiste il bene al singolare, ma esiste un bene al plurale, di conseguenza la ricerca del bene non può che essere concepita come prassi relazionale. Aver cura dell’esserci è aver cura di cercare fili di bene con cui tessere il tempo della vita, e poiché esserci è con-esserci cercare il bene è cercare ciò che è bene-con-gli-altri. Dal momento che cercare il bene è il cuore dell’etica, se si considera la dimensione intimamente relazionale della condizione umana non ci può essere un’ etica del singolare, ma del singolare-plurale» (p. 97).

«Più una domanda è importante per la vita più diventa difficile; più si profila come domanda che mette fuori squadra le capacità della ragione, mostrando il nostro mancare la possibilità di afferrare precise misure per il nostro agire, più rivela la qualità densamente problematica dell’esperienza umana. Molte, fortunatamente, sono le domande con cui la ragione si confronta e che hanno risposta, ma quelle che toccano l’essenziale per l’esistenza sono destinate a rimanere non chiaramente definite. Il poeta Quasimodo parla per questo di una condizione umana “sconfitta da domande ancora aperte”; ma è proprio in questa apertura che può esserci libertà, una libertà amara, difficile sempre, ma che consente la libertà di essere.
Meditare su cosa sia il bene risponde alla necessità di una vita piena di significato e al bisogno di trovare criteri di orientamento pratico. Anche se alla domanda prima non c’è risposta definitiva, il bisogno per la vita di sapere in che cosa consista il bene è tale che non è possibile evitare di porre questa domanda. Anche se è destinata a rimanere una discrepanza inaggirabile tra il bisogno di sapere in che cosa consista il bene e la possibilità di guadagnare una conoscenza certa, chiara, cioè capace di illuminare il cammino dell’esistenza, non si può evitare di interrogarsi su tale questione.
Il problema consiste nel trovare il modo per stare con senso dentro la domanda. Quando ci si avvicina alle questioni che sono per l’esserci della massima importanza, è necessaria prudenza, cautela, nel senso che si deve aver cura che il ragionare si snodi nella forma più misurata e rigorosa possibile, perché quando si arriva alla terra del pensare, cioè la terra delle questioni decisive, i pensieri superficiali sono da evitare. Quando Glaucone, consapevole di quanto ripida sia la domanda sul bene, azzarda l’ipotesi che, pur sapendo il limite del proprio pensare, ciascuno comunque possa dire ciò che pensa, Socrate garbatamente lo rimprovera, dichiarando che “le opinioni senza vera scienza sono tutte brutte” (Platone, Repubblica, 506c).
Piuttosto che confezionare affermazioni non attendibili è meglio tacere e perseverare nella ricerca accettando lo scarto fra il proprio desiderio e quanto possiamo raggiungere.
Quando si evita la fatica della ricerca rigorosa, si possono vedere solo idee storte, mentre solo la ricerca seria consente di “udire cose luminose e belle” (ibidem, 506d).
Stare con la giusta misura nelle domande difficili significa mantenerle aperte, evitare di accanirsi nel cercare soluzioni definitive che non appartengono al potere della ragione umana. Come afferma Eraclito (framm. 45), “non tiriamo conclusioni sulle cose più grandi”.
La questione prima per la vita, e per l’etica che del senso della vita si occupa, va posta mantenendo viva la consapevolezza dell’eccedenza della domanda sul bene e insieme della limitatezza della nostra operatività sia cognitiva sia pratica. Sapere darsi la giusta misura di quello che si può cercare è un principio aristotelico […] (Aristotele, Etica Nicomachea, I, 3, 1094b 12-13; 19-21; 23 -25)
Si tratta di impegnarsi in una disamina quanto più possibile larga e profonda per cercare di pervenire a un’idea (non uso il termine risposta perché la risposta soddisfa il pensiero, mentre l’idea può essere qualcosa di germinale, non compiuto) che per quanto fragile e provvisoria possa costituire l’orizzonte alla luce del quale prendere le decisioni sulla direzione e sul ritmo del proprio camminare nella vita.
Nel mondo esistono molte idee di bene pronte all’uso, e sono molte le occasioni in cui in modo irriflessivo facciamo nostra una concezione della vita buona che non viene da una nostra autonoma riflessione, ma dall’adesione a un preciso contesto culturale. La ragione umana conosce forme di pigrizia che le fanno preferire quelle forme di chiarezza che trova già disponibili rispetto alla fatica dell’ andarle a cercare. Accade così di esperire che nei momenti cruciali, quando ci troviamo a compiere una scelta, la maggior parte della decisione è già data. Sta nell’economia necessaria della vita della mente utilizzare artefatti culturali dati, ma tutto quanto rispetto al bene non sia frutto di un investimento personale di pensiero non diventa orizzonte, non ci mette al chiaro, ci tiene nell’opacità, e nell’opaco il tempo della nostra vita non si rischiara.
Assumere la domanda sul bene come oggetto continuo del pensare, sul quale mai ci si prende la vacanza dalla responsabilità dell’esaminare con cura, significa entrare nell’esistenza, fare del tempo della vita un tempo vivo. È come accedere a un altro livello dell’essere. Come dice Socrate, una vita senza ricerca del bene non vale la pena di essere vissuta.
Si tratta di dedicare il tempo del pensare a un domandare che si sa essere mai finito. Ma questa infinitività del domandare non toglie valore al pensare intorno al bene, perché ogni idea di bene cui si perviene, meditandola nel profondo, costituisce un punto di appoggio; l’importante è assumerla come qualcosa di provvisorio, un provvisorio punto fermo. Questa provvisorietà del sapere sul bene va accettata come una necessità, perché noi siamo esseri mancanti, mancanti del perfetto compimento del desiderabile; è questa mancanza che chiama inesorabilmente alla ricerca dei modi “giusti e buoni” per dare forma al proprio essere. […]
Da qui l’inaggirabilità della domanda sul bene. Rimane tuttora valida la teoria platonica della paideia (Platone, Repubblica, VII, 518b-c)j, secondo la quale la formazione si realizza autenticamente proprio quando, anziché essere concepita come una trasmissione di idee dal docente a chi apprende, si occupa di coltivare una precisa postura della mente, che consiste nello stare impegnata a interrogare le questioni essenziali dalla cui disamina dipende il fare chiaro sui problemi del vivere.
Si tratta di apprendere a tenere la mente “voltata dalla parte giusta” (ibidem, VII, 518d) e la parte giusta è costituita dalle domande essenziali, quelle che hanno a che fare con la ricerca del bene, cioè di ciò che è giusto, buono e bello fare per dare forma a una vita buona. È con il tenere la mente salda in questa ricerca che si possono coltivare quelle “virtù dell’anima” (ibidem) necessarie per mantenere viva la ricerca di ciò che più vale, delle cose” degne di valore”» (pp. 104-107).

Luigina Mortari,
Filosofia della cura, Raffaello Cortina Editore, 2007.

 

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Luigina Mortari,
Educare la persona alla passione della progettazione esistenziale

 

 



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Renato Curcio – «L’intermediazione digitale». Corso di socioanalisi narrativa, 2017. Esplorazione delle trasformazioni e delle implicazioni indotte in ciascuno di noi e nella nostra vita di relazione dalla sempre più espansa e pervasiva intermediazione digitale.

Renato Curcio_Socioanalisi_narrativa_2017

 

Socioanalisi narrativa

L’intermediazione digitale

Corso di socioanalisi narrativa 2017

 

Il corso di socioanalisi narrativa per l’anno 2017 verrà dedicato all’esplorazione delle trasformazioni e delle implicazioni indotte in ciascuno di noi e nella nostra vita di relazione dalla sempre più espansa e pervasiva intermediazione digitale.
Gli incontri – ciascuno di 4 ore – prevedono una comunicazione d’indirizzo metodologico e un momento laboratoriale comune. Essi verranno svolti di domenica, uno ogni mese, sia a Milano che a Roma, tra gennaio 2017 e aprile.
Al centro dell’attenzione verranno poste quattro grandi tendenze:

Il corpo come campo di battaglia: corpi e strumenti (excursus essenziale); differenza tra strumenti e dispositivi d’intermediazione digitale; il punto di svolta; i corpi come estensione degli apparati digitali; dispositivi digitali, strategie mentali, reti neurali e nuove mappe concettuali; lo stato di connessione permanente; le nano-tecnologie e la conquista dei corpi “dall’interno”.

La numerificazione della vita sociale: dati, big data e algoritmi brevettati; il dominio della quantità; le fabbriche dei dati; la qualità specifica dell’accumulazione nel capitalismo digitale; la “dipendenza da consumo obbligato”; gli albori di una nuova composizione di classe; una nuova figura: il “suddito digitale”; l’accattivante ascesa del totalitarismo digitale.

L’intelligenza artificiale proprietaria: implicazioni dell’esternalizzazione dell’intelligenza e della memoria; alcune inquietanti applicazioni delle piattaforme digitali e dell’intelligenza artificiale per il controllo privato della scolarizzazione, del lavoro, della salute, dei trasporti, dei servizi, della partecipazione politica, delle comunicazioni; dei comportamenti.

La biforcazione tra innovazione tecnologica e progresso sociale: le vie divergenti della innovazione tecnologica” e del “progresso sociale”; marketing e retoriche della “innovazione tecnologica”; la cyber-mitologia del trans-umanismo; il “progresso sociale” come immaginario istituente.

Nei quattro incontri verranno utilizzati e illustrati quattro dispositivi basilari d’intervento socioanalitico: la narrazione breve d’esperienza; il metodo regressivo-progressivo; l’esplorazione delle implicazioni; l’immaginario istituente.

Ai partecipanti verrà rilasciato un attestato di partecipazione e di competenza socio-analitica.

La richiesta di informazioni per l’iscrizione al corso, che verrà tenuto da Renato Curcio, va indirizzata a: sensibiliallefoglie@tiscali.it

***

Informazioni aggiuntive

A Milano

Il corso si terrà presso la sede CUB di Viale Monza 160 (Metro Gorla – linea rossa)
Le date: 15 gennaio – 12 febbraio – 12 marzo – 16 aprile
Gli orari: dalle 12 alle 16
Il costo per i 4 incontri è di 200 euro saldabili come meglio si preferisce (anche volta per volta)

A Roma

Il Corso si terra presso il punto vendita di Sensibili alle foglie in Via Giolitti 163 (Metro – Termini)
Le date: 26 gennaio – 26 febbraio – 26 marzo – 30 aprile
Gli orari: dalle 12 alle 16
Il costo per i 4 incontri è di 200 euro saldabili come meglio si preferisce (anche volta per volta)


L'impero virtuale

RENATO CURCIO

L’IMPERO VIRTUALE

COLONIZZAZIONE DELL’IMMAGINARIO E CONTROLLO SOCIALE

Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.


L'egemonia digitale

RENATO CURCIO

(a cura di)

L’EGEMONIA DIGITALE

L’IMPATTO DELLE NUOVE TECNOLOGIE NEL MONDO DEL LAVORO

Questo libro restituisce il percorso di un cantiere socianalitico che, partendo dalle narrazioni d’esperienza dei suoi partecipanti, si è interessato ai modi in cui l’impero virtuale cerca di costruire la sua capacità egemonica sul mondo del lavoro. Ripercorrendo la micro-fisica dei processi innescati dai dispositivi digitali che mediano l’attività lavorativa – smartphone, piattaforme, sistemi gestionali, registri elettronici – in queste pagine si esplorano alcune metamorfosi radicali che, mentre rovesciano il rapporto millenario tra gli umani e i loro strumenti, sconvolgono ciò che fino a ieri abbiamo familiarmente chiamato “lavoro”. Alcuni territori chiave – la digitalizzazione della scuola, della professione medica, dei servizi, dei trasporti condivisi, dei grandi studi legali e delle banche – assunti come analizzatori, ci raccontano l’impatto trasformativo delle nuove tecnologie e il disorientamento dei lavoratori. Ma, nello stesso tempo, fanno emergere le linee liberticide su cui questo processo procede: la cattura degli atti, la dittatura dei dati, il trionfo della quantità e le narrazioni sostitutive con cui esso si racconta. Proprio riflettendo su queste tendenze che velocemente ci attraversano fino al punto di chiamarci in causa singolarmente il libro, infine, indica quattro pericolose tendenze generali – l’autismo digitale, l’obesità tecnologica, l’ethos della quantità, lo smarrimento dei limiti – e si chiede se non sia forse giunto il momento, dopo le ambigue interpretazioni del Novecento, di cominciare a distinguere il progresso sociale dal progresso tecnologico.

Hanno partecipato al cantiere: Giulia Angelino, Federico Araldi, Bernardo, Giulia Bonanno, Oreste Borra, Antonio Carroccia, Franco Cattai, Rita Chiavoni, Alberto Contu, Elisa Corrà, Daniela Degan, Piermario Demurtas, Michele Di Bona, Viviana Forte, Stefano Francoli, GDF, Silvio Garbarino, Emanuela Grasso, Maria Grazia Greco, Chiara Lasala, Pierfranco Mazzolari, Marco Melloni, Sara Pollice, Enrico Riboni, Antonio Saviano, Dino Severgnini, Titta, Francesca Vavassori, Ilona Witten.

Renato Curcio, su questi temi ha pubblicato: L’azienda totale, 2002; Il dominio flessibile, 2003; Il consumatore lavorato, 2005; La trappola etica, 2006; I dannati del lavoro, 2007; con N. Valentino e M. Prette, La socioanalisi narrativa, 2012; Mal di lavoro, 2013; Il pane e la morte, 2014; La rivolta del riso, 2014; L’impero virtuale (2015).

 



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Giacomo Pezzano – «Koinè»: Il vero punto filosofico da scavare è che cosa si voglia intendere con “progettualità”

Giacomo Pezzano

Koinè


Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

Giacomo Pezzano

Il vero punto filosofico da scavare è
che cosa si voglia intendere con “progettualità”

«Provo allora ad andare avanti rispondendo a Luca, che intanto ringrazio per aver letto ciò che ho scritto, cosa mai scontata. Parto dal suo 3), che poi è anche collegato a un punto di 1). Davvero la conditio sine qua non è costruire un macroedificio? Come ho già detto, credo che spetti a chi sostiene che ciò possa o vada fatto di “tenere botta”. Soprattutto perché Luca ha un modo di intendere il macroedificio che è peculiare, quindi il macroedificio che io a oggi posso avere in mente (posto che sarò in grado di farlo o ne avrò la possibilità) potrebbe già essere non un macroedificio nella sua prospettiva.
E vado allora direttamente a 1). Ci si scontra proprio con il cuore della faccenda: si può avere uno stesso fine? E che cosa significa? Dubito anche io che i filosofi in quanto filosofi possano condividere un problema e un fine. Infatti è per questo che sono molto recalcitrante a entrare filosoficamente (sottolineo) in un tema come quello della progettualità, perché è già impostato a partire da una specifica cornice concettuale (quella di Luca, in questo caso), e come prima cosa richiederebbe proprio di discutere la progettualità stessa. Perché è proprio il perno (Costanzo avrebbe detto l’intuizione olistica di fondo) di tutto il discorso di Luca, ciò che Luca non spiega mai perché è proprio ciò che lo spinge a pensare.
Ma io è proprio quel perno lì che trovo non convincente, o perlomeno non accettabile senza essere tematizzato. E so bene che non è un lavoro che Luca può fare, perché un filosofo dice quel che dice, non può anche spiegare perché lo dice, cosa che in genere fa un altro filosofo di lui dopo di lui. Il che – sia chiaro – è proprio un modo per prendere filosoficamente Luca sul serio, riconoscendogli la specificità di un problema posto e affrontato.
In realtà credo che quanto ho appena scritto è troppo condensato per risultare davvero chiaro. E potrebbe sembrare un modo per dire “inutile avendo un problema diverso dire qualcosa su un altro problema”, ossia sulle specifiche posizioni di Luca. E potrebbe essere – ripeto – tacciato di essere un semplice “trucco ideologico”, tanto che Luca appunto dice che io sono protagonista di un’antipatia ermeneutica di origine storico-sociale. A dire: tu sei solo un figlio inconsapevole del tuo tempo.
Passo allora a 2), che è appunto l’ingresso più diretto in ciò che dice Luca.
…» [… Leggi tutto il saggio aprendo il PDF qui sotto]

Giacomo Pezzano

Giacomo Pezzano,
Il vero punto filosofico da scavare è
che cosa si voglia intendere con “progettualità”



Gli altri interventi
Luca Grecchi, Sulla progettualità
Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi
Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.
Antonio Fiocco, Difendere in tutti i modi la progettualità.
Alessandro Pallassini – Note marginali per la progettazione di un comunismo della finitezza a partire da Spinoza.
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
Claudio Lucchini – Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo
Giacomo Pezzano / Luca Grecchi – «Commenti» [Commento all’articolo di Luca Grecchi, Sulla progettualità – Commento all’articolo di Luca Grecchi, Perché la progettualità?]
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Lorenzo Dorato – «Koinè»: La progettualità come necessaria riflessione sui destini collettivi e sociali.

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Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. L’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo.

Ernesto Che Guevara05
«L’atteggiamento comunista di fronte alla vita
 è quello di mostrare
 con l’esempio
 la strada che bisogna seguire».

Ernesto Che Guevara, 1964

***

«Il salario è un male antico, che nasce con l’affermarsi del capitalismo, quando la borghesia prende il potere distruggendo la società feudale, e non muore neppure nella fase socialista. Ultima sopravvivenza, morirà, si esaurirà, per dir così, quando il denaro cesserà di circolare, quando si raggiungerà la società ideale: il comunismo» (15 aprile 1962, in un discorso al I Convegno nazionale dei sindacati; dal febbraio 1961 era stato nominato Ministro dell’Industria e dell’Economia della Repubblica di Cuba, carica che ricoprirà fino al 1965)

***

«Non si può arrivare al comunismo con la facilità con cui si parla, come facciamo noi qui, o come si beve un bicchiere d’acqua. Ma noi naturalmente dobbiamo tenere lo sguardo fisso a quella meta. Non dobbiamo farci illusioni, pensare che queste cose sono semplici parole, che si possa credere che entrare nel comunismo sia come fare il biglietto per andare al cinema, dobbiamo pensare che è un processo molto lungo. Ma dobbiamo vedere qual è lo scopo finale, e tenerlo presente quandanche passino molti anni, e tutta la nostra generazione si consumi…» (Conferenza televisiva del 25 febbraio 1964 sui temi del pieno impiego).

***

«I paesi socialisti hanno il dovere morale di farla finita con la loro tacita complicità con i paesi occidentali sfruttatori. […] Per noi, la sola definizione valida di socialismo è l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Finché ciò non avviene, si è nel periodo della costruzione della società socialista; e se questo fenomeno non si verifica, se la lotta per la soppressione dello sfruttamento ristagna o, addirittura, fa passi indietro, non è legittimo neppure parlare di costruzione del socialismo» (24 febbraio 1965, ritornato in Algeria, pronuncia il suo ultimo discorso politico al II seminario economico di solidarietà afro-asiatica).

***

«Il peso del Capitale di Marx, di questo monumento dell’intelligenza umana è tale che ci ha fatto dimenticare assai spesso il carattere umanista (nel senso più nobile della parola) delle inquietudini marxiane. La meccanica dei rapporti di produzione e la sua conseguenza, la lotta di classe, nasconde in una certa misura il fatto oggettivo che sono gli uomini a muoversi nell’ambiente della storia. Adesso c’interessa l’uomo, e perciò scegliamo questa citazione che non perde certo valore, come espressione del pensiero del filosofo, per il fatto che appartiene al suo periodo giovanile» [Febbraio 1964; segue la citazione del notissimo brano in cui Marx definisce il comunismo come reale appropriazione dell’essenza umana da parte dell’uomo e per l’uomo, attraverso la soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo]. «Marx pensava alla liberazione dell’uomo e vedeva il comunismo come la soluzione delle contraddizioni che hanno prodotto la sua alienazione, intendendola, tuttavia, come un atto cosciente. Il comunismo, cioè, non può essere visto unicamente come e il risultato delle contraddizioni di classe in una società altamente sviluppata, che dovrebbero essere risolte in una tappa di transizione per raggiungere la vetta: l’uomo è l’attore cosciente della storia. Senza questa coscienza, che abbraccia anche quella del proprio essere sociale, non può esserci comunismo».

***

«La merce è la cellula economica della società capitalista, finché essa esiste i suoi effetti si faranno sentire nell’organizzazione della produzione, e quindi nella coscienza […]. C’è il rischio che gli alberi impediscano di vedere il bosco. Inseguendo la chimera di realizzare il socialismo con l’aiuto delle armi screditate che ci ha lasciato il capitalismo (la merce come cellula economica, la redditività, l’interesse materiale individuale come leva, ecc.), si può finire in un vicolo senza uscita. E vi si giunge dopo aver percorso molta strada, nella quale i cammini si incrociano molte volte, e in cui è difficile rendersi conto di quando si è sbagliato direzione. Nel frattempo la base economica adattata a quei modelli ha minato sotterraneamente lo sviluppo della coscienza. Per costruire il comunismo, contemporaneamente alla base materiale bisogna fare l’uomo nuovo […]. Da molto tempo l’uomo cerca di liberarsi dall’alienazione per mezzo della cultura e dell’arte. Egli muore ogni giorno durante le otto o più ore in cui agisce come merce, per poi risuscitare nella sua creazione spirituale. Però questo rimedio reca in sé i germi della stessa malattia: è un essere solitario colui che cerca la comunione con la natura. Difende la sua individualità oppressa dall’ambiente, e reagisce di fronte alle idee estetiche come un essere unico la cui aspirazione è rimanere immacolato» (lettera inviata nel marzo del 1965 al giornalista uruguayano Carlos Quijano, nota con il titolo Il socialismo e l’uomo a Cuba).

Ernesto Che Guevara

Firma di Che Guevara


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Lorenzo Dorato – «Koinè»: La progettualità come necessaria riflessione sui destini collettivi e sociali.

Lorenzo Dorato

Koinè


Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

Lorenzo Dorato

La progettualità come necessaria riflessione
sui destini collettivi e sociali

«Ho letto con attenzione le pagine scritte da Luca Grecchi sul tema della progettualità come elemento necessario di una prospettiva filosofica e politica profonda. Ho poi letto a seguire la risposta di Alessandro Monchietto e la nuova replica articolata di Luca. Ho avuto anche il piacere di leggere tutti gli altri interventi e ringrazio tutti per il loro prezioso contributo. Molti interventi hanno fortemente sollecitato il mio interesse e la mia riflessione.  Reputo infatti la questione trattata della massima importanza per almeno due motivi.
In primo luogo perché la progettualità è l’assente per eccellenza nella gran parte delle visioni antagoniste oggi egemoni nell’ultraminoritario panorama delle idee e delle proposte politiche di opposizione al sistema di relazioni sociali dominante. Un vuoto che, come avrò modo di argomentare, ha comportato gravi conseguenze sulla capacità delle proposte antagoniste di ritagliarsi uno spazio sociale di esistenza.
In secondo luogo la questione trattata è decisiva perché un chiarimento sul significato, sui confini e sui contenuti della progettualità è la condizione necessaria per poter camminare insieme, in modo proficuo e sensato, su un percorso serio di ricerca e proposta filosofica e  politica non accontentandosi di condividere una pur sincera, ma generica opposizione al capitalismo.
Le righe che seguono, e che cercherò di rendere più brevi possibili compatibilmente con il fine della chiarezza e dell’esaustività, cercheranno di seguire il duplice binario aperto da Luca Grecchi  nel primo intervento in modo implicito e poi esplicitato da Alessandro e nuovamente seguito dagli altri interventi: la natura umana e la verità come premessa filosofica e la conoscibilità, i contenuti e i limiti della progettualità filosofico-politica.
Premetto subito che, per via della mia formazione non strettamente filosofica, fatico a seguire il dibattito sul terreno della ricostruzione del pensiero filosofico dei grandi autori classici. Cercherò quindi di evitare di impegalarmi nella “corretta” interpretazione del concetto di verità in Hegel o in Platone e Aristotele, e procederò, con un linguaggio meno filosofico alla radice del concetto per come lo intendo cercando di apportare anche utili esempi. Sia chiaro che questo “abbassamento” o meglio “semplificazione” del piano dialogico non vuole sottointendere una presunta inutilità del dibattito filologico o dell’ispirazione filosofica legata a sistemi di pensiero che la storia della filosofia ci insegna. È solo il mio personale modo di procedere dovuto principalmente ai limiti della mia formazione, ma anche ad una esigenza di immediatezza del confronto che sento impellente …» [… Leggi tutto il saggio aprendo il PDF qui sotto]

Lorenzo Dorato

Lorenzo Dorato,
La progettualità come necessaria riflessione sui destini collettivi e sociali



Gli altri interventi
Luca Grecchi, Sulla progettualità
Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi
Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.
Antonio Fiocco, Difendere in tutti i modi la progettualità.
Alessandro Pallassini – Note marginali per la progettazione di un comunismo della finitezza a partire da Spinoza.
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
Claudio Lucchini – Annotazioni sulla progettabilità del bene etico-sociale e sulla determinatezza materiale-naturale dell’uomo
Giacomo Pezzano / Luca Grecchi – «Commenti» [Commento all’articolo di Luca Grecchi, Sulla progettualità – Commento all’articolo di Luca Grecchi, Perché la progettualità?]
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]

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Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”

Marx e i routinari

 

Lettere Marx-Engels

«Quando il ragionamento
si discosta dai binari consueti,
si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”;

è l’unica arma di difesa che i routinari
sanno maneggiare
nel loro primo sconcerto».

 

Karl Marx a Ferdinand Nieuwenhuis, 22 febbraio 1881, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, p. 50.



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Italo Calvino (1923-1985) – La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso.

Italo Calvino_Palomar

 

 

Palomar

 

«Un uomo si mette in marcia per raggiungere,
passo dopo passo,
a saggezza.
Non è ancora arrivato».
Italo Calvino

***

Di fronte a ogni persona uno dovrebbe sapere come situarsi in rapporto a essa, esser sicuro della reazione che ispira in lui la presenza dell’altro – avversione o attrazione, ascendente subìto o imposto, curiosità o diffidenza o indifferenza, dominio o sudditanza, discepolanza o magistero, spettacolo come attore o come spettatore –, e in base a queste e alle controreazioni dell’altro stabilire le regole del gioco da applicare nella loro partita, le mosse e le contromosse da giocare. Per tutto questo uno prima ancora di mettersi a osservare gli altri dovrebbe sapere bene chi è lui. La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso,  ed è proprio questa che manca a Paolomar. Non solo conoscenza ci vuole, ma comprensione, accordo con i propri mezzi e fini e pulsioni, il che vuol dire possibilità d’esercitare una padronanza sulle proprie inclinazioni e azioni, che le controlli e diriga ma non le coarti e non le soffochi. Le persone di cui egli ammira la giustezza e naturalezza d’ogni parola e d’ogni gesto sono, prima ancora che in pace con l’universo, in pace con se stesse».

Italo Calvino, Palomar,
Mondadori, 2015, p. 105.

 


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Albert Einstein (1879-1955) – Il mondo si è lentamente abituato a questi sintomi di decadenza morale. Non dobbiamo sfuggire alla lotta, quando essa è inevitabile, per conservare il diritto e la dignità dell’uomo! Non dobbiamo semplicemente sopportare le differenze fra gli individui e i gruppi, ma anzi accoglierle come le benvenute, considerandole un arricchimento della nostra esistenza.

Albert Einstein 003

Pensieri degli anni difficili, 1977

Pensieri degli anni difficili, ed. del 1977

***

«Solo una vita vissuta per gli altri
è una vita degna di essere vissuta».
Albert Einstein

***

«Regime di arbitrio, oppressione, persecuzione di persone, di fedi religiose e di comunità intere, vengono apertamente messi in pratica in quei paesi ed accettati come giustificabili o inevitabili. Il resto del mondo si è lentamente abituato a questi sintomi di decadenza morale. Si perde la capacità elementare di reagire all’ingiustizia e per la giustizia, reazione, questa, che a lungo andare rappresenta l’unica protezione dell’uomo contro una ricaduta nella barbarie.
Sono fermamente convinto che il desiderio appassionato di giustizia e di verità ha contribuito a migliorare la condizione dell’uomo più di quanto non abbiano fatto le sottigliezze del calcolo politico che a lungo andare alimentano soltanto la sfiducia generale. […]
Dobbiamo pensare, sentire e agire […] rifiutandoci di accettare dei compromessi fatali! Non dobbiamo neppure sfuggire alla lotta, quando essa è inevitabile, per conservare il diritto e la dignità dell’uomo! Se faremo cosi ritorneremo presto a condizioni che ci permetteranno di rallegrarci dell’umanità».

Albert Einstein, Anno 1937, in Id., Pensieri degli anni difficili,
Boringhieri, 1977, p. 86.

 

 

«A mio avviso, vi è una considerazione che sta alla base di ogni insegnamento morale. Se gli uomini, in quanto individui, si arrendono al richiamo dei loro istinti elementari, sfuggendo il dolore e cercando il piacere solo per sé stessi, il risultato per tutti gli uomini considerati insieme non può che essere uno stato di insicurezza, di paura, e di confusa sofferenza. Se, oltre a ciò, essi usano la loro intelligenza partendo da presupposti individualistici, vale a dire egoistici, costruendo la propria vita sull’illusione di un’esistenza felice e libera, difficilmente le cose andranno meglio. […]
La soluzione di questo problema, se considerato senza pregiudizi, è abbastanza semplice, e sembra anche echeggiare in maniera uniforme dall’insegnamento dei saggi del passato: gli uomini dovrebbero lasciare che la loro condotta fosse guidata dagli stessi principi: principi tali che seguendoli ne deriverebbero a tutti la massima sicurezza e soddisfazione e la minima sofferenza possibili.
[…]
La vera difficoltà […] è piuttosto questa: in che modo possiamo rendere il nostro insegnamento tanto potente nella vita emotiva dell’uomo che la sua influenza sopporti la pressione delle forze psichiche elementari dell’individuo? Non sappiamo, naturalmente, se i sapienti del passato si siano veramente posti questa domanda, consapevolmente e sotto questa forma; ma sappiamo come essi hanno cercato di risolvere il problema.
[…]
Questa concezione presuppone una condizione sopra tutte: che ogni individuo abbia la possibilità dì sviluppare i doni naturali che possono essere latenti in lui. Soltanto in questo modo l’individuo può ottenere la soddisfazione cui giustamente ha diritto; e soltanto in questo modo la comunità può raggiungere la sua piu ricca prosperità. Infatti tutto ciò che di veramente grande ed esaltante esiste, è creazione di un individuo che può operare in piena libertà. Restrizioni a questa libertà sono giustificate soltanto per necessità di sicurezza riguardanti l’esistenza stessa.
Vi è un altro punto che segue da questa concezione: non dobbiamo semplicemente sopportare le differenze fra gli individui e i gruppi, ma anzi accoglierle come le benvenute, considerandole un arricchimento della nostra esistenza. Questa è l’essenza della vera tolleranza, intesa nel suo significato piu ampio, senza la quale non si può porre il problema di una vera moralità.
La moralità intesa in tal senso non è un sistema determinato, in sé rigido. Si tratta piuttosto di un punto di vista dal quale ogni questione che sorga nella vita umana potrebbe e dovrebbe essere giudicata. È un compito mai concluso, qualche cosa sempre presente a guidare il nostro discernimento e a ispirare la nostra condotta. Si può immaginare che un uomo qualsiasi, veramente compreso di questo ideale, sarebbe soddisfatto di ricevere dai suoi simili beni e servizi in misura molto maggiore di gran parte degli altri uomini? Sarebbe soddisfatto se il suo paese, per il fatto di sentirsi per il momento militarmente sicuro, non si accostasse all’idea di creare un sistema sopranazionale di sicurezza e di giustizia? Potrebbe assistere passivamente, o magari con indifferenza, quando altrove, nel mondo, gente innocente fosse brutalmente perseguitata, privata dei propri diritti o addirittura massacrata?
Porsi questi problemi significa risolverli!».

Albert Einstein, Morale ed emozioni, in Id., Pensieri degli anni difficili,
Boringhieri, 1977, pp. 89-92.

 


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Giacomo Coccolini – Riflettere su Giuseppe Gangale con il libro di Domenico Segna.

Giacomo Coccolini_Domeico Segna

255 ISBN

Domenico Segna

Un caso di coscienza. Giuseppe Gangale e “La Rivoluzione protestante”

indicepresentazioneautoresintesi

 


Il Regno 01

 

«Riflettere su Giuseppe Gangale (1898-1978) significa ripercorrere un periodo della storia passata che, molti, considerano ormai definitivamente chiusa ma che, in verità, come mostra il bel lavoro di Domenico Segna, rimane alle nostre spalle come una sorta di futuro
che l’autore non si esime dal tratteggiare e per il quale, per certi aspetti, egli parteggia accorato.
Segna ricolloca la complessa, e ancora poco conosciuta, vicenda umana e intellettuale di Gangale nel contesto del suo tempo, dove questi, come filosofo, giornalista e glottologo ma, soprattutto, come credente, testimonia un altro modo di praticare la propria fede, politica e religiosa, che si trasforma in un «caso di coscienza …» [Leggi tutto il testo della recensione aprendo il PDF]

Giacomo Coccolini, Il Regno (attualità 16 – 2016)

Il Regno 02

Giacomo Coccolini, Recensione a Giuseppe Gangale

 

 



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Lewis Henry Morgan (1818-1881) – La proprietà è diventata una potenza in sé, sfuggita al controllo della popolazione. La mente umana assiste sconcertata agli sviluppi della sua stessa creazione.

Lewis Henry Morgan

Morgan_La società antica

 

«cum prorepserunt primis animalia terris,
 mutum et turpe pecus, glandem atque cubilia propter
 unguibus et pugnis, dein fustibus atque ita porro
 pugnabant armis, quæ post fabricaverat usus,
 donec verba, quibus voces sensusque notarent,
 nominaque invenere; dehinc absistere bello,
 oppida coeperunt munire, et ponere leges».

Orazio, Satire, I, 3, vv. 100-105

 

«Quando sulla terra dei primordi strisciarono fuori gli animali, gregge senza parola e bellezza, per ghiande e tane combattevano con le unghie e coi pugni, poi coi bastoni, e così di seguito con le armi che l'esperienza aveva fabbricato, finché trovarono le parole ed i nomi, con cui individuare suoni e significati; da qui in avanti, cominciarono a desistere dalla guerra e si diedero a consolidare i villaggi, a stabilire leggi»

 

Ancient Society

 

«Fin dall’avvento della civiltà, lo sviluppo della proprietà è stato così gigantesco, le sue forme così variamente articolate, i suoi usi così continuamente allargati, e la sua amministrazione (management) tanto abile nel favorire gli interessi dei proprietari, che la proprietà stessa è diventata una potenza in sé che è sfuggita al controllo della grande massa della popolazione.
La mente umana assiste sconcertata agli sviluppi della sua stessa creazione.
Verrà, tuttavia, il tempo in cui l’intelligenza umana si eleverà a riacquistare il dominio sulla ricchezza, ridefinendo i rapporti tra lo Stato e la proprietà, di cui esso è protettore, nonché gli obblighi e le limitazioni dei diritti dei proprietari. Gli interessi della società precedono quelli dell’individuo e il problema è di stabilire un rapporto giusto e armonico tra questi due.

La dissoluzione della società promette di essere l’unico possibile risultato di un corso storico in cui la proprietà e la ricchezza continuassero a essere il fine e l’obiettivo dell’umanità; questo perché un cosiffatto corso storico contiene in sé gli elementi dell’autodistruzione.
Democrazia nel governo, fratellanza nei rapporti sociali, eguaglianza di diritti e privilegi, e istruzione per tutti senza discriminazioni: così ci dobbiamo prefigurare [la] futura condizione della società verso cui ci spingono […] l’intelligenza e le conoscenze finora accumulate».

 

Morgan_Ancient Society

Lewis Henry Morgan, Ancient Society or Researches in the Lines of Human Prohgress From Savaegery Through Barbarusm to Civilization, 1877; tr. it. La società antica, Feltrinelli, Milano, 1970, p. 403.

 



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