Paul Cézanne (1839-1906) – Ciò che noi vediamo della natura si dilegua, l’arte deve farcela gustare eterna.

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Tutto quello che noi vediamo si dilegua.
La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare.
La nostra arte deve dare il brivido della sua durata,
deve farcela gustare eterna.

Paul Cézanne, Lettere, SE, Milano, 1985, p. 163.

 

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Karl Jaspers (1883-1969) – Filosofare presuppone una visione del mondo ed è espressione specifica di un se-stesso originariamente libero. Filosofano veramente solo quegli uomini che sono originariamente se stessi e che nel filosofare si incontrano e si legano tra loro.

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«Il filosofare vive fondamentalmente grazie a pochi filosofi che nel corso di due millenni e mezzo sono apparsi, ciascuno nella propria unicità e nella propria misura, come apice e origine del filosofare stesso. Gli altri procedono da essi, ma non partecipano alla loro origine se non la incontrano a partire dalla propria. Nessuno è acceso dalla verità tramandata se già non ne possiede in sé la scintilla, e anche in questo caso non è propriamente creativo anche se è vero e originario.
Per l’identità del vero filosofare e di quello originario è impossibile imparare la filosofia o limitarsi a recepirne la verità. L’appropriazione, che non è né progresso né irrigidimento, è la realtà del filosofare che si diffonde ridestando.
Quando la propria originarietà, cercando l’origine nei grandi filosofi, è sospinta verso ciò che traspare dalle loro dottrine, il filosofare che ne risulta, e che mentre interpreta sussiste da sé, può esprimersi svolgendo una filosofia sistematica che, se non riesce mai ad entrare, neppure in piccolissima parte, nello spazio riservato ai grandi, costItuisce però quell’organo del filosofare che, pur non creando da sé, rimane sempre un filosofare originale che mantiene aperto l’accesso ai grandi. Questa filosofia non potrà evitare di cercare di nuovo, in ogni situazione storica, la propria forma. Chi la cerca nell’appropriazione, nella tradizione e nella venerazione incondizionata di quei filosofi secolari che non compaiono in ogni tempo, finisce col non distinguersi più da essi.
Poiché l’appropriazione presuppone che il filosofare mi giunga in forma oggettiva, e poiché per comprendere si richiede un certo mestiere, il filosofare si traduce inevitabilmente in dottrina che, come tale, espone il filosofare a quei possibili fraintendimenti che lo annichiliscono. La dottrina e la scuola, nonostante rappresentino un pericolo per il filosofare autentico, costituiscono pur sempre un compito a cui nessun filosofare si può sottrarre se vuoi comunicarsi ad un esserci nel mondo.
Le Università, come strutture di coesistenza di tutte le scienze per realizzare in tutte le direzioni le possibilità del sapere, per indagare, per comprendere e apprendere tutto ciò che può presentarsi, tanto nei fatti, quanto nelle costruzioni intellettuali, possiedono un’unità e una vita intensa dovuta al filosofare che è presente in ogni ricercatore e in ogni erudito. Questo qualcosa in “più rispetto alla scienza” di cui tra l’altro ne costituisce il senso, oltre a stabilirne le reciproche relazioni, nell’insegnamento della filosofia diventa coscienza esplicita come anima del complesso. Le Università prosperano e fioriscono nella misura in cui sono penetrate e ispirate da quest’anima.
[…]
La scuola, a causa della stabilizzazione della filosofia, incorre nella perdita del filosofare nella misura in cui gli uomini tendono a raggiungere in una dottrina quella stabilità che li dispensa dall’esigenza d’esser-se-stessi. In questa forma di irrigidimento aumenta per la filosofia il pericolo di tradursi in un’attività ricercata per ottener prestigio, soprattutto quando, per la sua tradizione nelle istituzioni sociologiche (nell’antichità e nelle Università moderne), seduce quanti, privi di vocazione, sono indotti a crearsi con essa una posizione. Allora chi non ha filosofato a proprio rischio, a contatto col mondo, con gli uomini e con la tradizione storica, è indotto a trattare la filosofia come se fosse una scienza costituita, una disciplina specifica che si può apprendere, che si può incrementare con operazioni intellettuali e quindi insegnare.
[…]
Ma chi filosofa con l’intenzione di fondare una scuola non può che esser falso fino alla radice. Non solo, infatti, tratta la filosofia come se fosse una scienza, ma suppone d’esser l’unico a possederla veramente per averla posta, come scienza, sul retto cammino. Separa, ad esempio, la filosofia dalla visione del mondo perché, a suo giudizio, la filosofia contiene affermazioni universalmente valide, e alla visione del mondo non riconosce altro valore se non quello d’esser una tra le molte; secondo lui la filosofia deve essere possibile senza una visione del mondo. Esige riconoscimenti per la sua dottrina e ritiene che ciò che gli altri hanno fatto non sia filosofia. È polemico, perché vive originariamente senza quel se-stesso che lo porterebbe a filosofare, per cui si limita a negare gli altri e a solidificare la propra posizione. […]
Chi, come discepolo, adotta la dottrina e il metodo di un altro che funge da maestro, traduce l’una e l’altro in qualcosa di estraneo, anche quando il maestro, filosofando originariamente, si limita a dare espressione a un contenuto. La storia della filosofia ci mostra i modi attraverso cui la filosofia s’è trasformata in un giro vuoto di concetti o nell’arte dei metodi. La condizione di discepolo può avere la funzione storica di conservare gli scritti di un grande filosofo e di darne notizia; modificando le sue costruzioni intellettuali, il discepolo può gettare una luce retroattiva sul filosofo, può ampliarne qualche aspetto tecnico, e, per il contrasto che esiste tra il suo essere e quello del filosofo, può delinearlo con maggior esattezza, ma non può filosofare, perché il filosofare è l’espressione specifica di un se-stesso originariamente libero.
La scuola che risolve la filosofia in una scienza specifica fa assumere al maestro un atteggiamento che lo induce a promettere continuamente ciò che non può mantenere, per l’impossibilità di fornire la conoscenza della verità dell’incondizionato nelle forme di un sapere oggettivo. Nel discepolo, invece, fa sorgere il desiderio di impadronirsi a poco a poco della filosofia, memorizzandone le tesi. Ma quando il maestro e il discepolo s’aggrappano tenacemente a qualcosa, la filosofia in essi si estingue senza neppure diventare scienza, perché di fatto sia l’uno sia l’altro non hanno tra le mani proprio nulla.
Filosofano veramente solo quegli uomini che sono originariamente se stessi e che nel filosofare si incontrano e si legano tra loro. Si porta la bandiera della filosofia ancor più nobilmente quando si coglie ciò che v’è di autentico nella totalità, attraverso itinerari che si inoltrano nel vuoto senza alcun aiuto, mentre si vien meno all’intento quando, per dignità professionale, si affossa il filosofare nell’ordine convenzionale di un atteggiamento condizionato dalla superstizione scientifica. Se dunque la realtà della filosofia si affianca necessariamente alla corrente dell’attività scolare, ciò avviene solo
nell’intento di assicurare la trasmissione professionale del pensiero e di accompagnare nella ricerca chi impara, affinché questi si separi con l’inizio del suo filosofare e rischi tutto su di sé. La filosofia si realizza se ci si riprende dallo smarrimento in cui sempre e di nuovo si cade. Essa non può rivolgersi, come fa la scienza, a degli specialisti, ma solo alla vita fiosofica presente in ogni uomo, sia esso scienziato, ricercatore o erudito. Originariamente filosofi, costoro si prendono la libertà di oltrepassare, nel pensiero, il pensiero, per giungere là dove non si ha a che fare col sapere vincolante, ma con la totalità, ossia con l’essere stesso.
La vera scuola, quindi, sia pure in un senso del tutto indeterminato, ossia senza l’unità di una dottrina, è l’insieme di una vita filosofica che si trasmette. Gli individui, che sono insostituibili, scelgono già nel punto di partenza del loro filosofare le loro prossimità e le loro distanze. Questa scuola non si raccoglie intorno al nome di un maestro. I suoi membri si incontrano in un rapporto di autentica indipendenza perché possiedono la solidarietà della libertà, mentre gli insinceri considerano un valore la solidarietà che nasce dall’appartenenza a un circolo. La libertà si avverte dove c’è libertà, la si percepisce con entusiasmo anche là dove c’è dell’ostilità. I membri di questa scuola possono incorrere in una situazione di ostilità filosofica che è tanto radicale quanto cavalleresca perché cercano di convertire i nemici in amici. Infatti anche nell’opposizione perdura quella comunità che ha le sue radici profonde nel possibile essere libero. Questa scuola è l’atmosfera del filosofare occidentale iniziato dai greci come un regno anonimo che perdura nel tempo.
Nel legame indeterminato che si stabilisce in questa scuola, la tradizione è assicurata dall’istituzione e, ciò nonostante, è libera; essa si limita a porre una disciplina nelle premesse e non pretende di prolungare se stessa nella forma di una dottrina conquistata, ma piuttosto spera di ridestare l’altro se-stesso. È una forma di decadenza indugiare nel ruolo di discepoli soddisfatti d’esser seguaci, perché l’amore per l’altro, che nasce dal profondo della propria libertà, permette solo che si instauri un identico livello di comunicazione come realtà, oppure una lontananza che consenta di prendere le distanze come difesa della possibilità».

Karl Jaspers,
Filosofia, a cura di Umberto Galimberti,
Utet, 1978, pp.410-415.

 

 

 

KARL JASPERS (1883 - 1969) Philosophe allemand en 1910.

KARL JASPERS nel  1910.


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David Hume (1711-1776) – Le difficoltà non devono scoraggiarci. La mancanza di ostacoli rende inutili le nostre forze, facendocele dimenticare; al contrario gli ostacoli le risvegliano e le mettono in azione.

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«Si può facilmente rintracciare nella natura umana una qualità per cui qualsiasi difficoltà che non riesca a scoraggiarci e a intimorirci completamente ha piuttosto un effetto contrario e ci ispira una grandezza e una magnanimità straordinarie. Nel raccogliere le nostre forze per superare l’ostacolo, diamo nuovo vigore all’animo e l’innalziamo a una altezza che, diversamente, non avrebbe mai raggiunto. La mancanza di ostacoli rende inutili le nostre forze, facendocele dimenticare; al contrario gli ostacoli le risvegliano e le mettono in azione».

David Hume,
Trattato sulla natura umana, II, iii, 8

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Raimondo Lullo (1232-1316) – L’amore può moltiplicarsi solo nell’amare

Raimondo Lullo

 

Il libro dell'amico e dell'amato

“Domandò l’amico al suo amato se in lui fosse rimasto qualcosa da amare.

Rispose l’amato che l’amore dell’amico poteva moltiplicarsi solo nell’amare”.

 

Raimondo Lullo, Il libro dell’amico e dell’amato, 1.

 

 

Risvolto di copertina

Quest’opera, raro esempio di poesia mistica in lingua catalana, descrive la relazione dell’essere umano, l’amico, con il trascendente, l’amato, e il legame che li unisce, l’amore: è un libro che ancora oggi ci colpisce perché capace di esprimere un sentimento universale, un desiderio che resiste all’erosione del tempo e della storia. Chiunque, a un certo punto della sua vita, abbia sperimentato in sé la segreta forza dell’amore, sarà commosso da queste parole: vi si riconoscerà e si sentirà compreso, scorgendo in esse i movimenti del proprio cuore.

 

 

 

Immagine in evidenza:

Raimondo Lullo ritratto da Riccardo Anckermann (IXI sec.).

 


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Marie-Henri Beyle, Stendhal (1783-1842) – Le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto.

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La Certosa di Parma

«È esatto dire che, in mezzo ai bassi interessi del denaro e alla scolorita freddezza dei pensieri volgari che riempiono la nostra vita, le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto, quasi che una divinità propizia si desse premura di condurle per mano».

Marie-Henri Beyle (Stendhal), La Certosa di Parma (Libro Secondo – Capitolo XXII), Garzanti, 2012

.

Immagine in evidenza:
Uno scritto di Stendhal (Prima regola: Essere se stessi)
su un libro conservato presso la Bibliothèque Sainte-Geneviève a Parigi.


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Hélder Pessoa Câmara (1909-1999) – Quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell’immobilità del molo, prendi il largo!

Camara

 

Se sogniamo insieme ...

Se sogniamo insieme …

«Quando il tuo battello
comincerà a mettere radici
nell’immobilità del molo,
prendi il largo!».

 

 

Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista.

Se uno sogna da solo, il suo rimane un sogno; se il sogno è fatto insieme ad altri, esso è già l’inizio della realtà.

Felice è colui che comprende che è necessario rinnovarsi molto, per essere sempre lo stesso.

 

 

Hélder Pessoa Câmara

 


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Nikolaj Gavrilovič Černyševskij (1828-1889) – Bellezza è la vita come dovrebbe essere nella intera realtà, al punto di diventare necessità.

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Che Fare?

«Bellezza è la vita come dovrebbe essere
nella intera realtà,
al punto di diventare necessità. […]
E l’amore, tu lo sai,
non è che il desiderio di veder felice chi si ama.
Ora, senza libertà non esiste amore».

 

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Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, Che fare?, Introduzione di Eleonora Fiorani e Francesco Leonetti. Traduzione di Federico Verdinos, Garzanti, 1974 (2004).

Risvolto di copertina

Mosso dalla sua opposizione all'idealismo, Cernysevskij pose alla base del romanzo Che fare? il rapporto uomo-donna inteso come rapporto basilare della società, attraverso il quale filtrò e analizzò i problemi del vivere sociale: uguaglianza tra i sessi, organizzazione del lavoro, analisi critica delle convenzioni. Questo romanzo sociale, scritto nel 1863 nella fortezza di Pietro e Paolo a Pietroburgo – dove lo scrittore era stato rinchiuso per la sua attività e i suoi scritti critici sovversivi – ebbe una straordinaria efficacia rivoluzionaria, specie tra i giovani. Fu conosciuto attraverso copie clandestine e apparve integralmente e pubblicamente solo nel 1905.

 


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Ulrich Duchrow – Il mercato globale rende assoluto il meccanismo dell’accumulazione del capitale basato sulla proprietà privata

Ulrich Duchrow

Property

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«Il mercato globale rende assoluto il meccanismo dell’accumulazione del capitale basato sulla proprietà privata, idolatra se stesso ed esclude tutti coloro che sono senza proprietà. E sempre più distrugge la vita di tante persone e la Terra stessa».

Ulrich Duchrow, Property, for People, Not for Profit, Zed Books, 2004.

 

 


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Vincent Van Gogh (1853-1890) – Preferisco la malinconia che aspira e che cerca

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VINCENT VAN GOGH RITRATTO DEL DOTTOR GACHET *** Local Caption *** 00040539

VINCENT VAN GOGH
RITRATTO DEL DOTT. GACHET

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«[…] Invece di abbandonarmi alla disperazione, ho optato per la malinconia attiva […] ho preferito la malinconia che aspira e che cerca a quell’altra che, cupa e stagnante, dispera».

                                                     Vincent Van Gogh, 1880

 

 


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Plutarco (45 d.C.-120 d.C.) – Lo sguardo ininterrotto sui soli nostri pensieri, specie se in preda all’ira, impedendoci di guadagnare una distanza prospettica, può nascondere alla vista errori e discordanze

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Busto di Plutarco, oggi conservato al museo archeologico di Delfi.

Busto di Plutarco, oggi conservato al museo archeologico di Delfi.

***

«Un buon metodo, mi sembra, […] è quello seguito dai pittori, che osservano di tanto in tanto i loro dipinti prima di considerarli finiti. Fanno così perché, allontanando lo sguardo ed osservando spesso il lavoro, sono in grado di farsi un giudizio preciso, capace di soffermarsi sulla più piccola divergenza, che invece la familiarità di uno sguardo ininterrotto potrebbe nascondere alla vista».

Plutarco, Sul controllo dell’ira, 452f-453a)

 

 


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