Giovanni Casertano – Una filosofia degli uomini per gli uomini. Venticinque studi su Platone.


Giovanni Casertano

Una filosofia degli uomini per gli uomini.
Venticinque studi su Platone

Presentazione di Luca Grecchi

ISBN 978–88–7588–328–7, 2021, pp. 752, Euro 40 – Collana “Il giogo” [139]

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Giovanni Casertano è stato professore ordinario di Storia della Filosofia Antica nell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. È stato Visiting Professor in varie Università dell’Europa e dell’America del Sud. Ha ricevuto la cittadinanza onoraria dell’antica città di Elea per i suoi studi su Parmenide, e il Dottorato in Filosofia honoris causa dall’Università di Brasilia, con la quale collabora in qualità di Permanent fellow dell’Archai UNESCO Chair (Filosofia Antiga); è Enseignant-chercheur, Professeur des Universités, Membre statutaire rattaché à l’«Unité de Recherche Institut d’histoire de la philosophie» (E.A. 3276) de l’Université de Provence (Aix-Marseille 1). Il suo campo di ricerca sono principalmente i Presocratici e Platone, ed ha al suo attivo più di trecento pubblicazioni, tra volumi, articoli, saggi. Tra i suoi volumi: Parmenide il metodo la scienza l’esperienza, Napoli 1989 (1978); Il nome della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Napoli 1996; Morte, Napoli 2003; Sofista, Napoli 2004; La nascita della filosofia vista dai Greci, Pistoia 2007; Paradigmi della verità in Platone, Roma 2007; I Presocratici, Roma 2009; O prazer, a morte e o amor nas doutrinas dos Pré-socráticos, São Paulo 2012; Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone, Sankt Augustin 2015; Giustizia, filosofia e felicità. Un’introduzione alla Repubblica di Platone, Roma 2015; Platone, Fedone, o dell’anima. Dramma etico in tre atti (traduzione, commento e note di G.C.), Napoli 2015; I proverbi di Platone, Napoli 2019; Venticinque studi sui preplatonici, Pistoia 2019.


Premessa

Su gentile invito dell’amico Luca Grecchi, ripubblico qui un insieme di alcuni dei miei studi sui dialoghi platonici. Spero che da essi risulti chiara (e documentata) la prospettiva della mia lettura di Platone, così come si è venuta costruendo negli ultimi decenni. Tesa a dare un’immagine non convenzionale del grande filosofo/drammaturgo, che costituisce una figura unica nei secoli della nostra cultura.

Un Platone non metafisico, né dispregiatore della sensibilità di contro alla razionalità, o del corpo rispetto all’anima, ma sempre attento a scovare tutti i risvolti (psicologici, morali, politici) dei personaggi che mette in scena, nel costruire (o nel tentativo di costruire) dialogicamente una filosofia che sia la più rispondente ai concreti problemi dell’essere umano. Il dialogo, per Platone, è appunto il segno di una filosofia degli uomini e per gli uomini, senza presupposti né “aiuti” trascendenti; e sono appunto dialoghi che in originali drammi filosofici tentano di fondare una ricerca che si trova di fronte a problemi che riguardano la concretezza della posizione nel mondo degli uomini, come singoli individui e come comunità, che affronta difficoltà di vario tipo nel determinare il senso delle cose e della vita, che si trova di fronte ad impasses apparentemente insuperabili, che conosce anche sconfitte e fallimenti, che raggiunge mete e conclusioni importanti, ma sempre con la coscienza di non doversi mai contentare dei risultati raggiunti, e di dover sempre tendere al meglio. Filosofia dunque come via da seguire, quella via della quale il personaggio Socrate (il simbolo della filosofia, sapientemente e appassionatamente costruito da Platone), in un bellissimo passo del Filebo, dichiara di essere da sempre innamorato, e alla quale è sempre rimasto fedele, anche a costo di rimanere solo.

Ringrazio Graça, che come sempre mi è stata vicina e mi ha aiutato nell’allestimento del volume, e Silvio, che mi è stato di aiuto nella correzione delle bozze. E, naturalmente, ringrazio ancora Luca per l’opportunità che mi ha offerto di ripresentare qui alcuni risultati (ovviamente provvisori) delle mie ricerche su Platone.

G. Casertano

Presentazione

Da alcuni anni, Petite Plaisance si è impegnata in riedizioni di testi – spesso arricchite da introduzioni, con notevole cura dei dettagli: mai mere riproduzioni fotostatiche – di grandi antichisti (Rodolfo Mondolfo, Marino Gentile, Diego Lanza, Mario Vegetti, Giovanni Casertano, Livio Rossetti, solo per citare alcuni nomi). Inoltre, ha raccolto in volume articoli di importanti studiosi, presenti in riviste o testi collettanei assai difficilmente reperibili. Questi articoli, presentando una prospettiva di insieme, risultano ancor più apprezzabili, se riuniti, nella loro significatività complessiva. Per questo motivo si è deciso di realizzare, di Enrico Berti, Incontri con la filosofia contemporanea; di Mario Vegetti Scritti sulla medicina ippocratica, Scritti sulla medicina galenica e Scritti con la mano sinistra; di Maurizio Migliori La bellezza della complessità, e di Diego Lanza Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica, di imminente pubblicazione.

Per quanto concerne Giovanni Casertano, già nel 2019 avevamo pubblicato Venticinque studi sui preplatonici. Abbiamo ritenuto però, per il grande valore dell’opera di questo studioso in merito anche all’interpretazione di Platone, che i suoi testi su questo argomento, che coprono un arco di anni assai ampio, dovessero essi pure essere raggruppati in un unico volume. Ciò, infatti, non solo, come detto, ne agevola la fruizione, ma contribuisce in certo modo, in una ideale libreria dei grandi interpreti del pensiero antico, a tenere l’opera di questi grandi studiosi più vicina. Questa si presenta, almeno per me – ma credo di non essere l’unico a pensarla così: chi ama i classici ama anche gli interpreti che meglio se ne sono occupati, nonché i libri che ne raccolgono le riflessioni –, come una cosa bella, il che mi fa particolarmente piacere, in quanto sono, o sono stato (alcuni, purtroppo, sono mancati), amico di molti di loro.

I testi qui esposti sono numerosi, sicché una sintesi dei medesimi, nel breve spazio di questa presentazione, non è sicuramente possibile. Una rapida scorsa dell’indice mostra del resto che essi si occupano di pressoché tutti i campi dell’opera platonica, prendendo in considerazione vari dialoghi, con la consueta attenzione al testo che ha sempre caratterizzato il nostro studioso. Pur nella grande cura, anche filologica, che emerge dagli studi di Casertano, il presente volume risulta facilmente leggibile anche dal lettore non specialista, perché lo stile dell’amico Gianni è sempre chiaro ed essenziale. I riferimenti alla letteratura secondaria, nelle note, certo non mancano, ma essi risultano realmente – come accade quasi sempre nella “vecchia scuola” degli antichisti – come un contorno volto a far assaporare meglio la portata principale, non come l’unico piatto, come invece talvolta accade in alcune pubblicazioni recenti. Ciò deriva da un approccio filosofico concreto che cerca di far risaltare, pur senza tacerne le problematicità, le singole argomentazioni di Platone, nella convinzione che il filosofo ateniese abbia ancora molto da dire anche al nostro tempo.

Il volume che qui si pubblica risulta già molto corposo, e lo studioso che lo ha composto, per la sua notorietà, non abbisogna di ulteriori presentazioni. Lascio pertanto il lettore godersi tutto ciò che l’amico Gianni, in questi anni, ha preparato, non prima di essere io, ancora una volta, a ringraziarlo, sia per il fatto di avere accettato l’invito di Petite, e sia, soprattutto, per come ha fatto fruttare a beneficio di tutti, nelle opere, la sua vita di studioso.

Luca Grecchi


Indice

Presentazione

Premessa

L’amicizia, qualcosa che non si può spiegare

La struttura del dialogo (o di quando la filosofia si fa teatro)

Mηχαν πειθος: metodo e verità nel Gorgia

Il (in) nome di Eros. Una lettura del discorso di Diotima

In cerca dell’anima nel Simposio platonico

La difficile analogia tra poesia e amore

La linea e la caverna: tra analogia, immagine,

conoscenza e prassi

L’idea, il letto e la virtù

Caratteristiche e funzioni del logos.

Sulla forma e la struttura del Teeteto

Teeteto 201d8: perché «un sogno in cambio di un sogno»?

Ogni uno di fronte a gioventù e vecchiaia

Il falso: un’esistenza che non esiste tra cose esistenti

Il Politico di Platone: o della distinzione, in politica,

tra sembrare ed essere, tra costituzione vera e sue imitazioni

Vero e corretto nel Politico

Il piacere falso nel Filebo

Scrivere e dipingere nell’anima. Sullo statuto di λόγος nel Filebo

La ricostruzione dei ricordi. Funzionalità e verità

del discorso che interpreta la realtà: Plat. Tim. 19c6-29d2

Causa (e concausa) in Platone

Le parti, le forme ed i nomi del tempo nel Timeo platonico

L’istante: un tempo fuori del tempo, secondo Platone

Nome, discorso e metodo nelle Leggi

Dialettica

Il ridicolo in Platone

Tragedia e commedia nella (della) vita umana

nei dialoghi platonici

Il vino di Platone


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
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Presentazione del libro «Dolcezza» di Luca Grecchi, in dialogo con Claudia Baracchi e Silvia Vegetti Finzi.

V. Van Gogh, Primi passi.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Alessandra Filannino Indelicato – Ritrovare noi stessi (e la felicità) grazie a Dioniso, la filosofia concreta che smuove le coscienze. Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile.

Alessandra Filannino Indelicato 02

L’intervista ad Alessandra Filannino Indelicato, condotta da Diego Di Donato,
è già stata pubblicata su «Bnews», Notizie dal Campus Bicocca,
il blog dell’Università Bicocca di Milano, il 28-07-2021.

Alessandra, hai intitolato la tua Tesi di Dottorato Ricucirsi con Dioniso. La lectio tragica come esperienza genealogica di cura e di umanità”. Perché occuparsi oggi del dionisiaco nella nostra società?

Grazie Diego. La risposta per me è molto semplice: per nutrire la nostra tensione alla felicità. Vedi, siamo abituati a vedere Dioniso come il dio degli eccessi, della promiscuità sessuale, della trasgressione e dell’ebbrezza, ma questa è una visione molto riduttiva, dettata da una lettura parziale o superficiale delle fonti. Nella mia Tesi di Dottorato mi avvicinavo già a questo tema: cosa succederebbe, nelle accademie, se tornassimo a leggere i testi come se la lettura fosse davvero una pratica filosofica, disciplinata e trasformativa, in poche parole, un esercizio spirituale? E, nota importante, spirituale non significa religioso. Ogni umano, che lo voglia o meno, è un ricercatore, cioè va in cerca di se stesso. Nel suo ri-cercare sta già nutrendo, formando e inseguendo – a volte senza saperlo davvero – la propria intima possibilità di realizzazione personale, il proprio sentiero individuativo. Noi viviamo in un mondo scisso, diviso, frammentato politicamente e psichicamente. Individuarsi significa non-dividersi, essere integrati, tenere insieme i pezzi, in quel costante lavoro da funamboli, da palombari, da sarti che è il ricercare la propria umanità. Hadot afferma che il grande Goethe, in tarda età, si chiedesse: sono capace di leggere, di leggere per davvero? Non è, in fondo, la vita stessa una grande opera di lettura, ri-lettura, scrittura e ri-scrittura di narrazioni originarie, ramificate, genealogiche – mie, tue, dei nostri cari, del pezzo di mondo che abbiamo vissuto? Diego, iniziamo da un testo o da un autore. Quale sceglieresti? Il mio testo sacro sono state le Baccanti di Euripide. Un testo che ho interrogato e da cui mi sono lasciata interrogare per molto tempo, legittimandomi le metamorfosi a cui mi sentivo chiamata. Non è stato facile, sai? Ci è voluto coraggio. Da qui credo che sia abbastanza intuitivo e immediato il collegamento con il contemporaneo. Comprendere questi simboli, oggi, per la loro incredibile attualità, senza appiattirli od oggettificarli è fondamentale. Stiamo vivendo una delle più grandi crisi spirituali mai viste, l’etica non è purtroppo un modo di vivere che alimenta il nostro psichismo individuale e collettivo. Eudaimonia, felicità in greco, è proprio questo, l’etica in atto: sentire il daimon orientato e armoniosamente accordato al bene. Una tensione costante, che segue un sentiero ben preciso però, e questo sentiero è filosofico. E questo sentiero è dionisiaco, perché ci insegna a lasciar andare e a essere chi si è davvero.

 

William Adolphe Bouguereau, La giovinezza di Bacco (1884)

Cosa si intende per filosofia del tragico e quale importanza ha la figura di Dioniso (lo straniero, l’androgino, l’irrazionale, l’addolorato)?

Dioniso è una divinità antichissima, addirittura cretese. In quanto archetipo di zoe, la vita indistruttibile non riducibile al bios (il segmento vita-morte), Dioniso è e deve essere travolgente e inarrestabile, infatti indica sempre una rinascita come simbolo della vibrante circolarità vita-morte-nuova vita. Dioniso è, più di tutti, un daimon, un essere intermedio tra il dio e l’umano. Il suo compito è quello di orientare, offrire una mappa del senso, una direzione nella vita. Ma bisogna imparare ad ascoltare e per ascoltare bisogna saper stare nel silenzio – cosa che oggi pare impossibile non solo perché del silenzio abbiamo paura, ma anche perché siamo costantemente calati nell’attività produttiva e performativa. Al contrario Dioniso ci chiama all’ascolto di noi stessi: chi siamo? Cosa desideriamo? Come ci portiamo nel mondo, ovvero come ci com-portiamo? Dioniso ci chiede di rinunciare agli ingombri dell’io, alle derive individualistiche, alle prospettive antropocentriche, alle logiche del potere e del guadagno o dell’accumulo fine a se stesso, al fine di celebrare la vita nella sua forza inarrestabile. Ci chiede, pertanto, di risvegliarci alla vita, di vivere e non meramente sopravvivere. Ancora, Dioniso ci chiede di allenare i sensi, la corporeità, di andare oltre noi stessi ma proprio a partire dal nostro sentire. La trascendenza si compie nell’immanenza. In questo senso la trance estatica si compie qui e ora e coinvolge necessariamente corpi e anime in un comune senso di appartenenza. Dioniso è, infatti, maestro delle cose umili e semplici, insegna a godere dell’istante ma non costringe nessuno a seguire i suoi culti. In quanto dio meticcio, dio del tutto e del suo contrario, dio del paradosso, Dioniso insegna il superamento del pensiero dualistico, frammentato, dicotomico. Insegna a seguire, ad affidarsi ad altri registri del sapere non meno degni di quello razionale, quale la sapienza artigiana del corpo, l’intuito, il presentimento. La filosofia del tragico è, di conseguenza, una filosofia che si inscrive nel culto di questa complessità ecologica, simbolica e non-dualistica. Intendo qui la filosofia, richiamandomi a Luce Irigaray, come quel portare alla luce “la saggezza nelle cose dell’amore” oltre che come “l’amore per la saggezza”. Inoltre l’accezione che do al termine tragico è etimologica: in greco, infatti, il termine tragedia rimanda a un rituale sacro, fatto di canti e balli sfrenati che accompagnano il pianto di un capro sacrificale. Il tragico, dunque, è prima di tutto un’opera di contemplazione e di partecipazione al dolore – il dolore di un altro essere che riflette, ricorda, evoca e rappresenta sempre anche il mio. Ecco il teatro tragico. La filosofia del tragico è quella filosofia che celebra la vita senza negarne gli aspetti più oscuri e traumatici, anzi imparando a danzare insieme a questi, poiché è grazie all’andare giù, in profondità, a fondo, entrando in contatto con le parti oscure di noi stessi, che non solo non affondiamo ma riusciamo anche a trasformare il dolore in un atto creativo, vitale e foriero di luminosità.

Penteo squartato dalle Baccanti, Casa dei Vettii, Pompei, I secolo d.C.

Nel dibattito e nella comunità scientifica quale può/deve essere secondo te il ruolo della filosofia?

La filosofia deve sporcarsi le mani, uscire dalla torre d’avorio dell’elucubrazione fine a se stessa, smuovere le coscienze, formare le persone, prendere posizioni scomode e portarle avanti, stimolare il dialogo e occuparsi delle emergenze politiche, etiche, ecologiche dei nostri tempi. Il tutto con una sensibilità sinestetica e simbolica che integri e non dis-integri. Nel gruppo di Filosofia Morale, guidato prima da Romano Màdera e poi da Claudia Baracchi, i miei maestri, o ancora presso l’Associazione Philo-Pratiche Filosofiche è ormai da decenni che diffondiamo un modo di fare filosofia che sia concreto, reale, in dialogo con il contemporaneo. Proponiamo da moltissimi anni i Seminari Aperti di Pratiche Filosofiche, che sono appunto aperti a tutti, dentro e fuori l’Università, e sono assolutamente gratuiti. Io penso che la filosofia e le scienze umane siano fondamentali per un Ateneo come il nostro, che si fonda sulla ricerca scientifica in senso stretto.  

Su cosa si stanno concentrando ora i tuoi studi e quali saranno i tuoi prossimi progetti?

Torno di recente da un’esperienza di Visiting in America dove ho insegnato al fianco del Prof. Gordon Cappelletty, in North Carolina. A novembre parteciperò a Bookcity, insieme alla Dott.ssa Sara Bergomi, con un incontro sul Dioniso delle profondità marine e melmose – un incontro a cui siete ovviamente invitati. Sicuramente, non posso negartelo, caro Diego: come ricercatrice precaria mi sento sempre un po’ sul filo del rasoio. Ad oggi spero comunque di continuare a lavorare in Bicocca con Claudia Baracchi, perché sento che questo è il mio posto e perché la Bicocca mi ha conosciuto fin da giovane. Oltre ai maestri, le persone che ho incontrato qui sono state tutte preziosissime per la mia vita e per la mia crescita professionale, soprattutto il mio collega Luca Grecchi, da cui ho appreso tanta umanità e sapienza filosofica. Ho una vita piuttosto ricca, molti progetti in mente e molti fronti di collaborazione aperti, come quello con il CSTG guidato da Riccardo Zerbetto, che mi ha invitato alla conferenza che hai segnalato in apertura, o quello con la Dott.ssa Giusi Negroni, con cui porto avanti il gruppo di Danzare le Tragedie. In prospettiva c’è una collaborazione aperta con l’ANPI e – in ultimo, ma non per importanza – anche con l’Associazione Felicita, presieduta da Alessandro Azzoni, a cui tengo molto perché si occupa dei diritti degli anziani nelle RSA e dei loro familiari, specie a fronte degli scandali di malasanità e dell’ingiustificabile ecatombe legata alla diffusione della pandemia. La filosofia, come Antigone ci insegna, deve essere coraggiosa, politica, e rispondere sempre alle leggi del cuore.


Alessandra Filannino Indelicato

Per una filosofia del tragico

Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco

Prefazione di Claudia Baracchi

Mimesis Edizioni, Milano 2019, pp. 216, Euro 20


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Maria Timpanaro Cardini (1890–1978) – Anima, vita e morte in Alcmeone.

Maria Timèanaro Cardini - Alcmeone - Vegetti

Il «metodo tipico della conoscenza umana» consiste, per Alcmeone, nel «tekmairesthai», ovvero nel «procedere appunto per indizi, congetture, prove»: egli, in tal modo, «non faceva che teorizzare la sua stessa prassi di medico, abituato a interpretare l’esperienza per ritrovare in essa un significato, un valore di sintomo, e risalire così all’unità della malattia e delle sue cause». Sotto questo profilo, con Alcmeone «si apriva una nuova via verso il sapere, una via che passava pur sempre attraverso l’osservazione».

Mario Vegetti,
Scritti sulla medicina ippocratica.
[1: leggi l’estratto di M. Vegetti su Alcmeone dopo il saggio di M. Timpanaro Cardini]


Mario Vegetti

Scritti sulla medicina ippocratica

indicepresentazioneautoresintesi

ISBN 978-88-7588-225-9, 2018, pp. 416, euro 30

I saggi raccolti in questo volume ripercorrono gli ultimi cinquant’anni di ricerca ippocratica. Gli entusiasmi iniziali, ben motivati dalla “scoperta” di un grande territorio del sapere scientifico fino ad allora relativamente inesplorato, dei suoi metodi e della sua efficacia terapeutica, hanno via via ceduto in parte il campo a un più equilibrato atteggiamento critico-storico. Nel suo insieme, una lettura di questi testi può continuare ad offrire un panorama intellettuale utile a comprendere le coordinate metodiche e sociali che hanno consentito la comparsa di uno dei fenomeni più rilevanti dell’antica tradizione scientifica dell’Occidente. I saggi sono disposti in ordine cronologico, ad eccezione delle due introduzioni al volume ippocratico (1964 e 1973) che sono poste al termine per il loro carattere riassuntivo.


[1] MarioVegetti, Scritti sulla medicina ippocratica, Petite Plaisance, Pistoia 2018, pp. 330-333.

Ad Alcmeone di Crotone toccò, quasi un secolo prima di Ippocrate, il compito di raccogliere l’oscura eredità di ricerca di generazioni di medici, e anche il ricco patrimonio di osservazioni naturalistiche che si era venuto costituendo pur nell’involucro della physiologia: ed egli per primo intuì che questa eredità e questo patrimonio costituivano un campo relativamente autonomo del sapere, che richiedeva una sua specifica consapevolezza e suoi propri metodi di comprensione. Ad un’autonoma presa di coscienza della techne, Alcmeone fu spinto del resto dalle sue stesse conquiste di medico e di biologo, dagli stessi problemi teorico-pratici che la sua scienza veniva ponendogli ogni giorno e che certamente non trovavano risposta alcuna nelle semplificazioni e nella dogmatizzazione dell’empirico operate dalla physiologia. Certo, in questo suo lavoro di costruzione di una consapevolezza scientifica Alcmeone fu agevolato dal diffuso clima di ricerca che il pitagorismo propagava nella stessa Crotone e in Magna Grecia; ma è altrettanto certo che i suoi rapporti con il pitagorismo furono su una base di autonomia, di “dare ed avere”; e del resto non ci sembra una coincidenza occasionale che la fioritura di Alcmeone avvenisse proprio quando, ad opera di Ippaso e comunque dello sviluppo stesso della ricerca matematica, l’edificio sistematico della scuola pitagorica incominciava per altra via a vacillare (a partire dal 510 a.C.).

Alcmeone non attaccò le dottrine dell’arché: semplicemente le ignorò, come quelle che non trovavano corrispondenza alcuna nell’esperienza criticamente osservata. In quell’esperienza, egli riconosceva invece una indefinita molteplicità, non già di princípi sostanziali, bensì di princípi attivi o “qualità”, vale a dire di stimoli capaci di determinare nell’organismo una certa reazione fisiologica (l’amaro, il freddo e così via); di conseguenza, non v’è continuità fra organismo e physis, ma il rapporto fra l’uno e l’altra è un rapporto di stimolo e reazione (come testimonia anche Teofrasto attribuendo ad Alcmeone, in contrasto con Empedocle, la formula della «sensazione per contrari»).

Parallelamente, Alcmeone scopriva, grazie alla pratica spregiudicatamente scientifica della dissezione, che la funzione del percepire è nell’uomo bensì diffusa nei vari organi di senso, ma che essa viene poi coordinata e «interpretata» (per usare un termine dello stesso Ippocrate, che dipende qui da Alcmeone), da un organo centrale, e precisamente dal cervello. La scoperta di tale funzione del cervello spezzava di fatto il legame ombelicale fra uomo e mondo, fra conoscenza e realtà: e Alcmeone poteva rendere esplicita questa rivoluzionaria conseguenza dichiarando che, se la “sensibilità” è una proprietà di tutti gli organismi viventi, la funzione del “comprendere”, cioè di ridurre a sintesi significativa l’esperienza, e di “prender coscienza” della sensibilità stessa, è propria esclusivamente dell’uomo.

Il solco, che così si apriva fra l’uomo e la realtà che egli vuol comprendere e trasformare, era profondo e definitivo. Il mondo dell’esperienza riacquistava la sua concretezza e la sua datità, e l’esperienza stessa veniva riconosciuta incapace di dare spontaneamente conto di sé. Così, l’uomo e lo scienziato riconquistavano un’autonomia e una possibilità di comprensione e di controllo sul mondo, scoprendosi ad esso eterogenei e, nella tensione del conoscere e dell’agire, alla polarità opposta di esso. Ma Alcmeone si avvide di una conseguenza decisiva di tutto questo: la realtà si faceva ad un tratto opaca agli occhi dello scienziato; la verità e la realtà non si palesavano più tutt’intere all’interrogante; la sapienza, intesa come perfetta trasparenza e immanenza di tutto il mondo al frammento di mondo che è l’uomo, restava ormai solo una proprietà degli dèi (ed Empedocle, ispirato e taumaturgo, poteva ben dirsi simile a un dio).

In termini scientifici, la sapienza doveva venir sostituita dall’indagine, la rivelazione dalla congettura. Il metodo dell’analogia, basato sull’immanenza dell’arché a physis e di physis a ogni osservazione, doveva essere sostituito da quello dell’indizio e della prova. Quando Alcmeone poneva il tekmairesthai, il procedere appunto per indizi, congetture e prove, a metodo tipico della conoscenza umana, egli non faceva che teorizzare la sua stessa prassi di medico, abituato a interpretare l’esperienza per ritrovare in essa un significato, un valore di sintomo, e risalire così all’unità della malattia e delle sue cause. In questo modo si apriva una nuova via verso il sapere, una via che passava pur sempre attraverso l’osservazione, ma non più mitizzata bensì indagata per il suo valore di “segno”; e questa era la via che conduceva ad Ippocrate.

Il relativo isolamento di Alcmeone, in quanto puro scienziato, dalle grandi correnti filosofiche, gli agevolava certamente questa spregiudicata presa di coscienza metodologica; e tuttavia gli impediva di esplicitarne tutto il valore, e di generalizzarla fino a determinare chiaramente il rapporto fra teoria e osservazione, fra pensiero e realtà, fra verità e fatto. In altri termini, la zona dell’esperibile veniva bensì restituita alla concretezza che sola rendeva possibile l’indagine scientifica, e di quest’indagine veniva indicato il metodo tipico; ma poi Alcmeone lasciava in ombra la sfera del “pensabile” e insomma la struttura, la funzione, i procedimenti della ragione scientifica, che a quell’indagine era parimenti indispensabile.

Così la portata eversiva del pensiero di Alcmeone nei riguardi della physiologia non veniva immediatamente in luce, ed anzi ancora Empedocle poteva largamente ispirarsi ai singoli spunti di esso nella propria riduzione a sistema della physiologia. Solo dopo che un attacco frontale alla physiologia fosse stato portato in nome dell’autonomia e dell’intrinseca validità della ragione, l’eredità di Alcmeone avrebbe potuto essere raccolta in tutta la sua potenziale fecondità.

 

MarioVegetti, Scritti sulla medicina ippocratica, Petite Plaisance, Pistoia 2018, pp. 330-333.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Luigi Pareyson (1918-1991) – L’uomo deve scegliere se essere storia o avere storia, se identificarsi con la propria situazione o farne un tramite per attingere l’origine, se rinunciare alla verità o darne una rivelazione irripetibile.

Luigi Pareyson 02
L’uomo deve scegliere se essere storia o avere storia, se identificarsi con la propria situazione o farne un tramite per attingere l’origine, se rinunciare alla verità o darne una rivelazione irripetibile.
Luigi Pareyson, Verità e interpretazione, Mursia editore, Milano 2005, p. 116.

Luigi Pareyson (1918-1991) – L’esistenza dell’opera musicale non è quella inerte e muta dello spartito, ma quella viva e sonora dell’esecuzione, che è vita e possesso dell’opera.

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Ptolémée «al-Gharib» – Épître à Gallus sur la vie, le testament et les écrits d’Aristote. Texte établi et traduit par : Marwan Rashed.

Ptolémée «al-Gharib», Marwan Rashed

Voici, pour la première fois édité et traduit, un texte grec antique perdu dans la langue originale et conservé en arabe.
Il s’agit d’une lettre rédigée par un mystérieux Ptolémée, philologue aristotélicien actif à Alexandrie autour de l’an 200 après J.-C., dans laquelle celui-ci rapporte la Biographie et le Testament d’Aristote, ainsi qu’un Catalogue d’une centaine de titres inconnu par ailleurs. Ce vestige est l’une de nos meilleures sources d’information – et la seule qui soit interne à l’école péripatéticienne – sur la vie d’Aristote. Elle permet de reconstituer les liens entre Aristote et le pouvoir macédonien – Philippe, Alexandre le Grand et le général Antipatros – ainsi que l’émancipation progressive d’Aristote à l’égard de Platon. C’est aussi notre seul témoignage sur la première édition, dans l’Antiquité, des écrits savants du Philosophe. Instantané pris sur le vif de l’état de la philologie aristotélicienne, à Alexandrie, à la fin du IIe siècle, ce texte est une lecture essentielle pour quiconque s’intéresse à la question de savoir ce que nous lisons quand nous lisons Aristote.


Ptolémée « al-Gharib »

Ptolémée « al-gharīb » est un philologue aristotélicien de l’Antiquité, sans doute actif à Alexandrie autour de l’an 200 ap. J.-C.

Marwan Rashed

Après avoir été professeur de philologie grecque à l’Ecole normale supérieure, Marwan Rashed est aujourd’hui professeur de philosophie à la Sorbonne, où il enseigne l’histoire de la philosophie grecque et arabe.  



Marwan Rashed vous présente une découverte exceptionnelle pour l’histoire de la philosophie ancienne : l’Épître à Gallus sur la vie, le testament et les écrits d’Aristote, de Ptolémée « Al Gharīb », qu’il a édité et traduit.


Aristote comme vous ne l’avez jamais lu, avec Marwan Rashed


Table des matières

Introduction
1. État de la question

1.1. Trace de l’épître dans l’Antiquité
1.2. La redécouverte moderne de Ptolémée

2. Le texte et l’auteur
2.1. Structure de l’Épître à Gallus
2.1.1. Prologue
2.1.2. La Biographie d’Aristote
2.1.3. Le Testament d’Aristote
2.1.4. Le Catalogue des écrits d’Aristote
2.2. L’auteur
2.2.1 Ptolémée le Péripatéticien cité par Longin
2.2.2. Ptolémée le Platonicien
2.2.3. Ptolémée le Péripatéticien cité par Sextus Empiricus
2.2.4. Une attribution fautive à Ptolémée Philadelphe
2.2.5. Ptolémée Chennos
2.2.6. Ptolémée l’adultère

3. Ptolémée et les Pinakes d’Andronicos de Rhodes
3.1. État de la question
3.2. Sept points remarquables de la liste de Ptolémée
3.2.1. Absence de l’Éthique à Nicomaque
3.2.2. Une Métaphysique en treize livres
3.2.3. Présence du De interpretatione
3.2.4. Position des Topiques
3.2.5. Le titre des Premiers et des Seconds Analytiques
3.2.6. Le titre des Réfutations Sophistiques
3.2.7. Le titre du traité Du ciel
3.2.8. Conclusion : Ptolémée et l’érudition alexandrine autour de l’an 200

4. L’histoire ancienne du corpus
4.1. Les récits anciens : Strabon, Plutarque, Athénée … et al-Fārābī
4.1.1. La contradiction entre le récit de Strabon et de Plutarque et l’indication d’Athénée
4.1.2. Al-Fārābī : une version favorable au rôle d’Alexandrie ?
4.2. Les six données positives
4.2.1. Les listes anciennes
4.2.2. Le testament de Théophraste
4.2.3. Le renseignement de Posidonius
4.2.4. Rouleaux et traités : Porphyre et Ptolémée
4.2.5. Ptolémée et « la bibliothèque d’Apellicon »
4.2.6. Ptolémée et la découverte d’Andronicos
4.3. Retour sur le texte d’al-Fārābī
4.4. L’histoire ancienne du corpus Aristotelicum

5. La transmission du texte
5.1. Un texte arabe traduit du syriaque
5.2. Tradition directe et tradition indirecte
5.2.1. La tradition indirecte arabe
5.2.2. La tradition directe arabe
5.2.3. Établissement du texte

Sigla

Texte arabe et traduction
مقالة لرجل يسمّى بطلميوس فيها وصية أرسطوطاليس
وفهرست كتبه وشيء من أخباره الى رجل يسمّى غلس
Traité d’un nommé Ptolémée contenant le testament d’Aristote, le catalogue de ses écrits et sa biographie, adressé à un nommé Gallus

Notes complémentaires
Bibliographie


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Il nichilismo musicale dei Måneskin con «I Wanna Be Your Slave».

Måneskin, I Wanna Be Your Slave

La musica […] dà anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose.  Essa è l’essenza dell’ordine, ed eleva ciò che è buono, giusto e bello, di cui è la forma invisibile ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna.
Platone

Salvatore Bravo

Il nichilismo musicale dei Måneskin con «I Wanna Be Your Slave».

***

Nichilismo musicale
In questi giorni nelle TV di Stato, e in quelle del “mercato libero”, si esalta il successo della musica italiana. I Måneskin con I Wanna Be Your Slave sono i primi nelle classifiche mondiali ed in particolare inglesi. Si esalta il genio canoro italiano che riesce a scalare le classifiche dei paesi anglofoni. Ancora una volta il commento dei giornalisti è rivolto in primis al risultato. Si omette che il testo è rigorosamente in inglese, e che pertanto è un successo di cantanti italiani che si adattano ai parametri della globalizzazione, che esige che i “contenuti” debbano negare le lingue nazionali e debbono essere espressi nel nuovo esperanto imposto dai poteri globali: il più forte impone con la lingua il pensiero. Il testo esalta la libertà, ma la libertà si può declinare in una pluralità di semantiche. La libertà dei Måneskin è in “armonia” con l’attuale sistema: liberi nel corpo, nessuna identità, nessun impegno per cambiare le contraddizioni sociali ed economiche della globalizzazione. Il successo arriva, se i testi sono organici al potere che esige consumatori senza volto, senza genere, senza identità. La libertà non dev’essere libertà critica e propositiva, in cui la teoria e la prassi fondano aperture per nuovi orizzonti. I testi omologati e conformisti non devono denunciare i modelli economici e culturali che logorano la comunità per trasformarla in un immenso mercato di individui che cambiano identità nella stessa maniera con cui scelgono e cambiano prodotti. La loro libertà è regressiva, ed è urlata, in un arrogante “io voglio”. L’accento è posto sull’io, sulla brama onnipotente di essere tutto e di avere diritto a ogni desiderio, per cui si può essere in un momento gangster e subito dopo un bravo ragazzo. Si può essere tutto solo se si è niente. Il gioco narcisistico e capriccioso non deve avere limite. L’altro è cancellato dalla relazione, perché l’identità personale è solo una prigione, e pertanto si fugge da essa come da un peso gravido di responsabilità. Nessuna comunicazione affettiva ed erotica è possibile tra identità pronte ad evaporare nel gioco del desiderio che diviene il nuovo “giogo” non riconosciuto. Il sistema esalta questa “canora” libertà dei Måneskin in quanto non fa paura: soggetti senza identità, soggetti “liquidi”, creature camaleontiche pronte ad inseguire il prurito di ogni smania, dominate da pulsioni libidiche, si lasciano dominare senza che il potere imponga loro il dominio. Nei Måneskin non ci sono contenuti o ideologie, sono personalità che inseguono il mondo, si adattano al mondo fino ad essere il niente, ed il nulla non fa paura, anzi è accarezzato dal potere. In un passaggio del testo si afferma di voler usare l’altro come il telecaster, una chitarra versatile: non più persona, ma ente, un oggetto multiuso. L’odio verso l’identità ed il logos non potrebbe essere più loquace. Anche gli oggetti devono essere nell’ottica della liquidità senza forma e stabilità. La relazione è sempre nell’ottica del padrone e dello schiavo, mai paritaria, e dunque in linea con il sistema attuale che divide l’umanità in schiavi e padroni. Il testo dei Måneskin, presentato come trasgressivo, è il volto, la maschera della contemporaneità, del cattivo gusto, che ammicca e rappresenta la verità del sistema: violenza e nichilismo. Il verbo volere ripetuto ossessivamente è il segno della regressione infantile. Il volere incondizionato è una forma di aggressività in cui è avviluppata la società intera. La derealizzazione ha come punto cardine il desiderio illimitato che sospinge adulti e giovani in uno stato di frustrazione e mortificazione continua, perché il principio di realtà e razionalità confligge con il desiderio assoluto di metamorfosi. La sostituzione del principio di realtà con il principio di piacere indebolisce le personalità, le rende prossime alla loro rovina. La fuga dalla realtà sociale e politica favorisce le oligarchie che usano la musica leggera e di facile consumo come strumento di colonizzazione delle menti, e nella propaganda idolatra i mediocri artisti sono servi del sistema:

Voglio essere il tuo schiavo
Voglio essere il tuo padrone
Voglio far battere il tuo cuore
Correre come le montagne russe

Voglio essere un bravo ragazzo
Voglio essere un gangster

Perché tu puoi essere la bellezza
E io potrei essere il mostro
Voglio renderti silenzioso
Voglio renderti nervoso
Voglio lasciarti libera

Ma sono troppo fottutamente geloso
Voglio tirare i tuoi fili
Come se tu fossi il mio telecaster
E se vuoi usarmi potrei essere il tuo burattino

 Perché sono il diavolo
Che sta cercando la redenzione
E io sono un avvocato
Che sta cercando la redenzione
E sono un assassino
Che sta cercando la redenzione
Sono un fottuto mostro
Che sta cercando la redenzione

 Voglio essere il tuo schiavo
Voglio essere il tuo padrone”.

 


Musica e senso
Lo sguardo filosofico dev’essere capace di concettualizzare la tragedia quotidiana, di farla emergere nei suoi aspetti più banali e veri. La filosofia è anche impegno politico, e come tale deve, senza moralismi, essere interprete del presente, in modo da permettere il passaggio dall’uso passivo dei messaggi ideologici alla fruizione attiva e critica, in modo che la cultura emancipatrice possa far scorgere la valenza ideologica dei contenuti che circolano per smascherane la complicità con il sistema. Alla musica che depotenzia le personalità facendole evaporare nelle pulsioni, favorendo i fini imposti dalla società del mercato che ordina la libertà del corpo di consumare illimitatamente, ed impedisce la pratica del pensiero critico e del conosci te stesso, si può opporre Platone con le sue osservazioni sulla musica. Quest’ultima deve metter le ali al pensiero, deve portare ad un viaggio interiore, in cui il logos fonda la verità in un “io” che incontra il “noi”, e persegue il bene come fine di ogni vita pienamente vissuta. Platone nei suoi dialoghi delinea il senso della musica:

“La Musica è una legge morale: essa dà anima all’Universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose. Essa è l’essenza dell’ordine ed eleva ciò che è buono, giusto e bello, di cui è la forma invisibile, ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna”.

Sorge la domanda se la musica che invade i nostri vissuti sia motore della dialettica dei buoni fini o neghi l’umanità nella sua capacità di elevarsi verso mete che la rendono degna di se stessa. Si assiste, invece, ad una decadenza che ha consumato il suo punto di caduta, e pertanto propina solo trasgressioni omologate e conformiste fino alla noia. Si attende la vera trasgressione la quale ha come fondamento il logos e la ricerca della verità.

Salvatore Bravo


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Epitaffio di Sicilo (II-I sec a.C.) – Per quanto vivi, risplendi. Per poco è il vivere: il tempo esige il tributo.

Epitaffio di Sicilo 01
La stele è conservata presso il Museo nazionale danese di Copenaghen.

Nell’epitaffio di Sicilo (II-I sec a.C.) alcune delle parole sulla stele sono accompagnate dalla notazione musicale; chi legge può cantare contemporaneamente.

ΕΙΚΩΝ Η ΛΙΘΟΣ

ΕΙΜΙ · ΤΙ ΘΗΣΙ ΜΕ ΣΕΙΚΙΛΟΣ ΕΝΘΑ ΜΝΗΜΗΣ ΑΘΑΝΑΤΟΥ

ΣΗΜΑ ΠΟΛΥΧΡΟΝΙΟΝ

Ὅσον ζῇς φαίνοὺ·

μηδὲν ὅλως σὺ λυποὺ· πρὸς ὀλίγον ἐστὶ τὸ ζῆν.

τὸ τέλος ὁ χρόνος ἀπαιτεῖ.

Io sono una pietra, un’immagine

Sicilo mi ha posto qui

segno longevo di un ricordo immortale

Per quanto vivi, risplendi

non addolorarti per nulla affatto.

Per poco è il vivere:

il tempo esige il tributo.

Particolare della stele.

Georg Simmel (1858-1918) – Si trascura spesso il fatto che ciò che importa è il valore di ciò che si comunica, e che rispetto a questo la velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un problema secondario, che ha acquistato l’importanza che detiene attualmente solo in virtù di un’usurpazione.

Georg Simmel 05
Georg Simmel, Filosofia del denaro, UTET, Torino 1984
«[…] si trascura spesso il fatto che ciò che importa è il valore di ciò che si comunica,
e che rispetto a questo la velocità o la lentezza del mezzo di trasmissione è un problema secondario,
che ha acquistato l’importanza che detiene attualmente solo in virtù di un’usurpazione».
Georg Simmel, Filosofia del denaro, UTET, Torino 1984.

Georg Simmel (1858-1918) – Ciò che dobbiamo avere per poterlo godere, prima o poi, lo distruggiamo attraverso il possesso. Ecco la linea di separazione tra la bassezza e la nobiltà dei valori: gli uni possiamo averli senza che ci rendano appagati, mentre gli altri ci rendono felici anche se non li possediamo
Georg Simmel (1858-1918) – Nell’essenza del denaro si percepisce qualche cosa dell’essenza della prostituzione
Georg Simmel (1858-1918) – Platone comprese che l’amore è una potenza assoluta della vita, e che perciò dev’esserci un cammino conoscitivo che conduca da esso alle ultime potenze ideali e metafisiche
Georg Simmel (1858-1918) – La cultura è il perfezionamento degli individui ottenuto mediante lo spirito oggettivato nel lavoro storico della specie. La cultura è dunque una sintesi peculiare di spirito soggettivo e spirito oggettivo.
Georg Simmel (1858-1918) – Nella pedagogia, ogni sapere è un mezzo che mira alla formazione dell’uomo. La lezione non è un semplice trapianto di contenuti conoscitivi, ma una funzione che porta in sé il contenuto. Non si dovrebbe mai pronunciare la parola stupidità di fronte a uno scolaro. Partire dalla vita è una condizione fondamentale.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Per ricordare Massimo Bontempelli attraverso alcune parole-concetto che hanno segnato la sua elaborazione filosofica.

Bontempelli Massimo 2021

Salvatore Bravo

Per ricordare Massimo Bontempelli
attraverso alcune parole-concetto che hanno segnato
la sua elaborazione filosofica

 

 

Impegno ed esilio interiore
Il 31 luglio del 2011 veniva a mancare Massimo Bontempelli[1] nella sua città d’origine: Pisa. Non è un dettaglio secondario. Massimo Bontempelli ha vissuto la sua esistenza nella sua comunità, l’ha servita da docente e da filosofo. Il filosofo è funzionario dell’umanità, ma lo può essere solo nella concretezza dell’universale, ovvero radicandosi nella comunità nella quale si è deciso di vivere per partecipare all’universale. In Bontempelli hanno convissuto due realtà parallele: l’impegno e l’esilio. La sua filosofia ha guardato la notte del nichilismo, l’ha ricostruita all’interno della storia della filosofia ed ha elaborato un percorso d’uscita. Il suo esilio interiore ed intellettuale è stato segnato dall’aver deviato dalla filosofia accademica e di sistema: filosofia nichilistica e di sostegno al capitale; ha pagato la sua scelta con la marginalità che ha trasformato in un mezzo per capire il presente. La sofferenza può diventare concetto, ma lascia sul suo fondo asprezze che faticosamente bisogna poi gestire. La vita di un filosofo è attraversata da una pluralità di tonalità emotive, la ricerca filosofica è totalità del logos, non è razionalità astratta, ma l’intera vita che si sublima in logos. Massimo Bontempelli con lo sguardo della civetta filosofica ha attraversato il buio dell’irrazionale e dell’ideologia per donare uno sguardo nuovo al mondo. Era consapevole che la critica al capitalismo rischia di essere vuota parola, se non coinvolge il problema dei fondamenti veritativi. Ogni proposta alternativa deve confrontarsi con il problema dei fondamenti, la critica dev’essere radicale, deve toccare e ripensare il problema nella sua “vastità” metafisica, altrimenti il cambiamento è solo epidermico, ed è esposto a facili regressioni. Per poter pensare il presente è necessario comprendere il passato in cui siamo situati. Siamo parlati dal passato nel presente. La filosofia deve condividere processi di consapevolezza per trascendere la trappola del contingente senza speranza. È stato un filosofo che ha cercato di riattualizzare la metafisica in un clima di avversione ideologica che tuttora persiste. Il suo esilio è stato, si può certo supporre aspro, ma proficuo. Al momento è poco conosciuto, benché abbia numerosi estimatori, e una notevole e qualitativamente valida e varia produzione filosofica. Ma il tempo è un grande scultore, ed eliminerà ciò che abbaglia, ma che non ha profondità, per lasciare emergere il valore dell’essenziale e dei pensatori che hanno saputo camminare sulla linea dell’orizzonte. Si spera, dunque, che il tempo storico possa riconoscere la profondità del suo lavoro, e che tutti possano confrontarsi con i suoi concetti. L’azione del tempo non avviene fatalmente, ma vive del contributo piccolo e grande dei cercatori della verità.

Totalitarismo della quantità
Vorrei ricordarlo attraverso alcune parole concetto che hanno segnato la sua produzione. Le parole per un filosofo non sono flatus vocis, ma concetti vivi di cui bisogna esplorare la profondità. L’opera di Massimo Bontempelli ha ricostruito la genetica del nichilismo nella sua forma crematistica. Il capitalismo è trionfo dell’integralismo della quantità, è linguaggio unico e pervasivo, in cui la quantità è divenuta paradigma unico ed irrazionale. Dietro la maschera razionale della tecnocrazia vi è l’irrazionale, poiché la quantità non dà misura a se stessa, si nutre del suo accrescimento illimitato. Le risorse del pianeta sono limitate, mentre la quantità senza fondamento veritativo spinge verso l’infinita crescita. Massimo Bontempelli ha pensato il problema nella sua radicalità e nella consapevolezza che bisogna rifondare la logica con cui si ricostruiscono le esperienze storiche ed individuali nella loro fatticità complessa. Da studioso della Scienza della logica di Hegel, ha analizzato la logica hegeliana per capire la crisi in cui siamo implicati per una nuova teoretica dei fondamenti[2]:

 

«Quantità, dice Hegel, significa qualità tolta, ovvero indica l’essere reso indifferente alle sue determinazioni. Grandezza significa quantità limitata dal limite qualitativamente indifferente, ripetizione identica di una medesima identità astratta. La matematica è la conoscenza delle relazioni necessarie della grandezza, secondo una necessità puramente tautologica nei suoi gradi più elementari, e secondo la necessità della mediazione sintetica costruita tra diversi elementi di un oggetto quantitativo nei suoi gradi superiori. Essa ha dunque una base obiettiva universale nella logica della quantità, mediante la quale elabora le sue costruzioni. Le scoperte matematiche sono indipendenti dalle contingenze storiche semplicemente perché l’oggetto del lavoro matematico è dato da entità astratte da ogni qualità contingente. La matematica è dunque una scienza. Ma la quantità, nella cui logica essa ha la sua base ontologica, è soltanto una delle sfere logico-ontologiche che il pensiero possiede nella sua interna strutturazione. Essa non può quindi avere in se stessa la misura della propria verità, perché la verità della quantità si compie soltanto nella sua connessione dialettica con tutte le altre sfere della realtà. L’isolamento della sfera logico ontologica della quantità è la ragione per cui la matematica non può fondare se stessa. Negli spazi vuoti delle pure grandezze quantitative tace, scrive Hegel, ogni esigenza che possa ricollegarsi all’individualità vivente: qui sta la mancanza di verità della matematica».

 

La sola quantità non può dare misura al vivente, essa necessita della razionalità filosofica che possa tracciare il confine del limite all’interno dei fini e del bene, in modo che la quantità possa essere riportata “al servizio” della storia e dell’umanità. La sola quantità è l’astratto che fagocita il concreto con le sue risorse e specialmente nei suoi bisogni autentici. Senza il soggetto che astrae dalla contingenza la sua verità, la quantità non può che essere una tirannica presenza che minaccia la vita e la sua qualità. Da tale perverso cammino si può deviare con il soggetto che razionalizza la vita economica e sociale pensandola nella sua realtà. L’essere umano è pensante, per cui la coscienza è condizionata, ma mai determinata dalle condizioni materiali. Il totalitarismo della quantità vorrebbe sottrarre la qualità del pensiero per favorire il solo calcolo immediato. Senza pensiero teoretico e con la sola capacità calcolante l’essere umano è oggetto delle forze fatali e letali del modo di produzione capitalistico. L’umanità pone le condizioni per la trasformazione della natura, determina i modi di produzione, la coscienza si forma nell’interazione della trasformazione della natura, ma può pensare la sua attività poietica, determinandone i fini[3]:

 

«Il lavoro, infatti, trasforma il modo di essere di chi lo esplica, e determina, data la sua natura intrinsecamente cooperativa, i rapporti tra gli uomini. Nasce cosi il modo di produzione, cioè il modo con cui gruppi sociali si sono organizzati in funzione della produzione economica per garantire la riproduzione biologica del gruppo stesso. Essendo per sua natura sociale, il lavoro implica la comunicazione tra gli uomini, quindi il linguaggio, e perciò la coscienza: “il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con gli altri uomini”. La coscienza, però, perviene a uno sviluppo e a un perfezionamento ulteriore in virtù dell’accresciuta produttività, dell’aumento dei bisogni e dell’aumento della popolazione».

 

Il regno della sola quantità è l’irrazionale che avanza, in essa la realtà è dispersa ed incompresa. La quantità è il feticcio effetto della destrutturazione della verità. L’urgenza è riportare l’essere umano al fondamento veritativo, al logos con cui stabilisce i fini buoni e mette in atto la “buona vita”. Nel regno della quantità non vi è qualità di vita, poiché gli scopi sono stabiliti dal dominio e dalle oligarchie. L’umanità è estraniata da se stessa, in modo che possa essere abilmente usata dall’ideologia dell’impero della sola quantità. Senza la cura per i buoni fini l’edonismo acquisitivo si ribalta in cultura della morte, della soggettività senza vincoli[4]:

 

«L’essenza del bene sta nella cura della capacità di avere scopi, cioè nella protezione dalla morte di quella vita che è più propriamente mortale, in quanto si rappresenta se stessa, e alle altre vite simile ad essa, come destinata alla scomparsa. Soltanto, quindi, attraverso la conoscenza della morte si entra nella conoscenza del bene e del male. Come infatti concepire il bene, che è la protezione degli scopi della vita dalla morte che li sovrasta, senza sapere appunto che la morte sovrasta ogni vita che tesse i suoi scopi? La cura, di cui il bene consiste, ha dunque senso solo di fronte alla morte».

 

Arbitrarismo – intercosalità
L’arbitrarismo è la concretizzazione del nichilismo, se il soggetto non ha vincoli etici, se persegue la sola logica quantitativa ed acquisitiva rompe ogni ormeggio dalla sua umanità per essere preda del delirio acquisitivo. Ogni spazio pubblico, soglia di incontro e di manifestazione del logos, è acquisito all’uso privato. La cancellazione degli spazi pubblici coincide con la sostituzione del logos con il semplice calcolo acquisitivo. La libertà diviene aggressività mercantile legalmente riconosciuta, in cui il male (irrazionale) governa le sorti dell’umanità e del pianeta. L’analisi del traffico veicolare con l‘occupazione dello spazio pubblico offre ai lettori di Bontempelli un saggio della sua capacità di problematizzare, “il noto è sconosciuto” come affermava Hegel, per farne strumento di verità[5]:

 

«Basta ragionare, per capire quale sia questo presupposto: è quella forma di nichilismo che abbiamo chiamato arbitrarismo, qui espressa nella concezione secondo cui è un diritto della persona libera quello di usare a piacere lo spazio pubblico per spostarvisi con un proprio privato abitacolo semovente».

L’irrazionalità dell’arbitrarismo diviene intercosalità, neologismo di Massimo Bontempelli: le relazioni umane senza qualità e fini decadono in semplice transazione, in strumentalizzazione reciproca, ed ogni contatto comunicativo è sostituito dal plusvalore che diviene un’autentica barriera tra le persone, ne determina l’isolamento per debilitare il senso critico e la capacità progettante.

Massimo Bontempelli ha vissuto la filosofia come esperienza veritativa umanizzante. Al totalitarismo crematistico e dello spettacolo ha opposto l’esperienza filosofica quale attività di riflessione sul “bene”, perché senza fini buoni non vi è comunità umanizzante, ma il regno dell’intercosalità nel quale a nessuno è dato vivere secondo la natura comunitaria e razionale dell’umanità.

Derealizzare
Lo scopo ultimo e primo del potere è derealizzare, ovvero scindere la relazione tra razionalità filosofica e realtà, in tal modo il soggetto si derealizza, si astrae dalla realtà storica. Il dominio si perpetua nella derealizzazione nella quale il soggetto è solo parte di un immenso automatismo[6]:

 

«Ma se non si capiscono le zone ormai ontooccultanti dell’esperienza, non si può neanche capire attraverso quali esperienze sia oggi possibile manifestare la realtà, e costruire quindi un cammino di uscita dalla derealizzazione umana del sentiero della notte».

La notte oscura in cui siamo, è la notte della realizzazione, nella quale il soggetto perde se stesso, e si disperde in un’esistenza inautentica. I processi di derealizzazione sono le punte avanzate dei processi di dominio e negazione dell’umanità. La derealizzazione inibisce la prassi per eternizzare l’attuale modo di produzione. La derealizzazione è nell’aziendalizzazione della vita, in cui il soggetto si autopercepisce come un’azienda, si sfrutta in nome di obiettivi stabiliti dalle oligarchie: si derealizza, costruisce una falsa immagine di sé e della storia. Uscire dalla derealizzazione significa ricostruire la complessa genesi in cui il soggetto è ingabbiato con il calcolo, l’arbitrarismo e l’intercosalità. Massimo Bontempelli è il filo d’Arianna che consente di uscire dalla prigione del “politicamente corretto”. Leggere e cercare le opere di Massimo Bontempelli è un gesto di consapevolezza e specialmente è un atto che ha in sé la potenza di pensare la realtà nei suoi tragici fondamenti per poter uscire dal sentiero della sola quantità.

Salvatore Bravo

 

[1] Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio1946– Pisa, 31 luglio 2011)

[2] Massimo Bontempelli, Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea, Petite Plaisance Pistoia, 2018, p. 15

[3] Massimo Bontempelli, introduzione a Marx (ed Engels), in Associazione Culturale Punto rosso, Libera università popolare, p. 32

[4] Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, edizione C.R.T., Pistoia 1998, p. 26.

[5] Massimo Bontempelli, L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare ,C.R.T., Pistoia  2001, p. 7.

6] Massimo Bontempelli, Filosofia e Realtà, Petite Plaisance. Pistoia 2020, p. 225.

 



Libri di Massimo Bontempelli


Storia:

  • Il senso della storia antica. Itinerari e ipotesi di studio. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1978.
  • Antiche strutture sociali mediterranee. (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1979.
  • Storia e coscienza storica (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1983.
  • Storia (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984. [Per il triennio]
  • Civiltà e strutture sociali dall’antichità al medioevo (2 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1984.
  • Antiche civiltà e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1993.
  • Civiltà storiche e loro documenti (3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1994
  • Storia e coscienza storica. (nuova edizione, 3 voll.), con Ettore Bruni, Milano, Trevisini, 1998. [Per il triennio]

Filosofia:

  • Il senso dell’essere nelle culture occidentali (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Milano, Trevisini, 1992.
  • Il tempo della filosofia (3 voll.), con Fabio Bentivoglio, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011. [riedito nel 2016 in versione aggiornata dalle edizioni Accademia Vivarium Novum]

 

Saggi e monografie:

  • Eraclito e noi, Milazzo, Spes, 1989.
  • Percorsi di verità della dialettica antica, con Fabio Bentivoglio, Milazzo, Spes, 1996.
  • Nichilismo, verità, storia, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero, con Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 1997.
  • La conoscenza del bene e del male, Pistoia, CRT, 1998.
  • La disgregazione futura del capitalismo mondializzato, Pistoia, CRT, 1998.
  • Tempo e memoria, Pistoia, CRT, 1999.
  • Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, con prefazione di Costanzo Preve, Pistoia, CRT, 2000. [ristampato nel 2020 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • L’agonia della scuola italiana, Pistoia, CRT, 2000.
  • Per conoscere Hegel. Un sentiero attraverso la foresta del pensiero hegeliano, Pistoia, CRT, 2000.
  • Eraclito e noi. La modernità attraverso il prisma interpretativo eracliteo, CRT, 2000.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n.6, Pistoia, CRT, 2000.
  • Le sinistre nel capitalismo globalizzato, Pistoia, CRT, 2001.
  • Un nuovo asse culturale per la scuola italiana, CRT, Pistoia 2001.
  • L’arbitrarismo della circolazione autoveicolare, Pistoia, CRT, 2001.
  • Il sintomo e la malattia. Una riflessione sull’ambiente di Bin Laden e su quello di Bush, con Carmine Fiorillo, Pistoia, CRT, 2001 [ristampato nel 2017 dalla casa editrice Petite Plaisance]
  • Diciamoci la verità, CRT, Pistoia 2001.
  • Il respiro del Novecento. Percorso di storia del XX secolo. 1914-1945, Pistoia, CRT, 2002.
  • Il mistero della sinistra, con Marino Badiale, Genova, Graphos, 2005.
  • La Resistenza Italiana. Dall’8 settembre al 25 aprile. Storia della guerra di liberazione, Cagliari, CUEC, 2006.
  • La sinistra rivelata, con Marino Badiale, Bolsena, Massari, 2007.
  • Il Sessantotto. Un anno ancora da scoprire, Cagliari, CUEC, 2008. [ristampato nel 2018]
  • Civiltà occidentale, con Marino Badiale, prefazione di Franco Cardini, Genova, Il Canneto, 2010.
  • Marx e la decrescita, con Marino Badiale, Trieste, Abiblio, 2011.
  • Platone e i preplatonici. Morale e paideia in Grecia, con Fabio Bentivoglio, introduzione di Antonio Gargano, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici PRESS, 2011.
  • Un pensiero presente. 1999-2010: scritti di Massimo Bontempelli su Indipendenza, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • Capitalismo globalizzato e scuola, con Fabio Bentivoglio, Roma, Indipendenza – Editore Francesco Labonia, 2014.
  • La sfida politica della decrescita, con Marino Badiale, prefazione di Serge Latouche, Roma, Aracne, 2014.
  • Gesù di Nazareth, con prefazione di Marco Vannini, Pistoia, Petite Plaisance, 2017.

 

Saggi in opere collettanee:

  • Il respiro del Novecento, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 1999
  • Metamorfosi della scuola italiana, “Koiné” n. 4, Pistoia, CRT, 2000
  • (Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, “Koiné” n. 5, Pistoia, CRT, 2000
  • Scienza, cultura, filosofia, “Koiné” n. 8, con Lucio Russo e Marino Badiale, Pistoia, CRT, 2002.
  • I cattivi maestri, in I Forchettoni Rossi, a cura di Roberto Massari, Bolsena, Massari, 2007.
  • Diciamoci la verità, “Koiné” n. 6, Pistoia, CRT, 2000.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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