Salvatore Bravo – Intellettuali, parola e potere.

G. Lukacs- C. Preve e intellettuali
Salvatore Bravo

Intellettuali, parola e potere

Ruolo degli intellettuali ed il suo destino
Il ruolo degli intellettuali ed il suo destino sono indissolubilmente legati alla democrazia. Nella fase attuale del capitalismo assoluto la palese decadenza degli intellettuali, ormai organici alla società dello spettacolo, coincide con la fase regressiva ed autoritaria della “democrazia della finanza”. La democrazia nel suo significato ideale è attività decisionale e consapevole dei popoli, è pensiero condiviso, attività creatrice e dialettica mediante la quale i popoli si riconoscono ed autoriconoscono nelle reciproche differenze rispettose dei comuni principi: comunità, giustizia sociale, consapevole limitazione dei processi crematistici, riconoscimento delle differenze all’interno di una cornice assiologica comune. La democrazia è misura e senso del limite senza i quali non è che la parodia di se stessa, dove vige la dismisura, la cattiva distribuzione delle ricchezze e dei poteri non vi è che la sudditanza della politica all’economia. È evidente che la democrazia dei nostri giorni agonizza sotto i colpi del liberismo e delle conseguenti mercificazioni.

L’attività perenne del capitalismo assoluto favorisce la passività
La fase imperiale del capitalismo nella sua furiosa volontà di potenza, conquista e vendita omologa le parole, le svuota del loro significato per renderle frecce uncinate per la perenne televendita. La decadenza delle parole, il loro essere organiche alla lingua del capitale è forse il risultato più alto che il capitalismo assoluto ha potuto ottenere. Il pensiero è costituito di parole, la loro funzionalizzazione alla sola vendita ha reso possibile l’attacco alle coscienze; la penetrazione violenta nella mente dei popoli è un’operazione imperiale nuova ed inaudita. I popoli senza lingua e linguaggi, indotti a parlare la lingua unica del mercato, possibilmente l’inglese commerciale, vivono la profondità della loro crisi politica nella forma dell’attività-passiva. Ovvero, apparentemente si fa appello ai popoli ed ai singoli, li si spinge verso un attivismo perpetuo nel campo della produzione, dei desideri e del consumo, ma nel contempo si organizza la loro passività. L’attività perenne – senza spazi temporali e fisici –, per poter dialettizzare il tempo immediato dell’economicismo, favorisce la passività: si è presi all’interno di una spirale che invita alla ripetizione senza sosta del medesimo, senza possibilità di far emergere nell’incontro con sé e la comunità la parola che ridisegna l’ordito dei giorni.

Il nichilismo dell’uomo consumante
L’intellettuale è interno a questo gioco di forze, “è giocato nella parola”, e pertanto è defenestrato dal sociale: il capitale ha reso le parole vuoti ronzii con l’effetto che ogni attività intellettuale legata alla parola è stata anestetizzata, resa nulla, flatus vocis. Se il linguaggio è stato divorato dalla struttura economica, le nuove forme espressive e spettacolarizzate – divenendo la normalità dello stato presente – hanno reso la scissione tra intellettuale e popolo profondissima: la faglia sembra incolmabile, poiché si uccide la parola-pensiero sul nascere con l’effetto di un’assoluta estraneità tra intellettuali e popoli. L’impero, per dominare, non usa solo i “bombardamenti etici”, ma mira direttamente nella carne viva, lascia in vita chi è utile al mercato rendendolo muto, operando la sostituzione dell’attività pensante con parole omologate i cui significati sono segnati dal nichilismo dell’uomo consumante.

La decadenza dell’intellettuale
La decadenza dell’intellettuale è espressione di questi processi in atto, non a caso è concesso all’intellettuale di presenziare nei dibattiti mediatici solo se le sue parole o anche le sue critiche fatalmente confermano il sistema. Vi sono intellettuali che incarnano la cultura dell’eccesso, del narcisismo logorroico fine a se stesso, ed i intellettuali che in quanto “pessimisti tragici” descrivono l’apocalisse presente ed insegnano agli ignari ascoltarori che ogni speranza non è che illusione, mentre la prassi è solo un residuo di epoche storiche tramontate. Parole senza significato e senza prassi trionfano, non resta che adeguarsi al mondo, inseguirlo per imitarlo ed avanzare celati dietro maschere di vuote parole “larvatus prodeo”. Al fascismo è seguito il post fascismo del capitalismo assoluto, dell’imperialismo in nome della democrazia, dell’inganno delle parole che intrappolano i popoli all’interno della macchina-immagine della propaganda.
Lukács non ha solo colto la decadenza degli intellettuali e dei popoli, ma specialmente con lo sguardo olistico della filosofia ha prefigurato il presente. L’imperialismo muove i popoli con le sue parole suadenti, facendo appello in modo strumentale alle grandi parole-valori per la nuova conquista imperiale del mondo. I popoli non sono che pedine nella rivoluzione passiva dei popoli, i quali non mediano la realtà con la razionalità della parola, ma vivono lo stato onirico dell’irreale costruito attraverso automatismi lessicali e sintattici. La servitù dei popoli ha trovato nell’uso orchestrato delle parole le sue catene: catene invisibili, in quanto l’appello demagogico ai popoli non trova negli intellettuali limite e traduzione, ma solo conferma e favorisce con l’imperialismo, la violenza capillare e fatale:

«D’altra parte gli aspetti generali dell’imperialismo restano immutati: anche oggi le sue mire sono in contrasto con gli interessi delle sue stesse masse e con gl’interessi dei popoli che difendono la loro libertà. E questo contrasto, la necessità, che si pone per gl’imperialisti aggressivi, di opprimere i popoli all’interno e all’esterno, e in pari tempo di mobilitare demagogicamente le proprie masse popolari per la nuova ripartizione del mondo, per la nuova guerra mondiale, dimostra che la politica interna ed estera fascista, i cui contorni oggi appaiono già chiari, deve seguire un corso obbligato».[1]

 

In nome del popolo sovrano
In nome della democrazia ogni crimine è possibile e legittimato. Ciò è reso possibile dalla trasformazione della parola democrazia da concetto a semplice espressione vocale. Si esercita l’oppressione in nome dei popoli che hanno il dovere di diffondere la democrazia a suon di aggressioni e nel frastuono dei bombardamenti. I popoli che rifiutano l’esperienza democratica sono tacciati di essere una minaccia per il mondo democratico e dunque si procede all’annientamento con il consenso dei popoli democratici:

«Le tendenze fasciste che oggi crescono negli USA lavorano col metodo di un’ipocrisia nichilistica: distruggono l’autodeterminazione interna ed esterna dei popoli in nome della democrazia; esercitano l’oppressione e lo sfruttamento delle masse in nome dell’umanità e della civiltà».[2]

Lukács cerca di rispondere al terribile interrogativo sulla decadenza degli intellettuali, constata che – ormai organici alla struttura economica – usano il linguaggio del potere, sono la cinghia di trasmissione delle decisioni del potere. Il ruolo dell’intellettuale è così ribaltato: da emancipatore, da liberatore degli esseri umani è diventato complice della chiusura degli esseri umani nei confini angusti del fatalismo della caverna.

Feticizzazione della storia
Lukács, nella sua analisi, ci dona anche elementi per ridare agli intellettuali la consapevolezza del loro ruolo. Gli intellettuali, per tornare ad essere parte della storia e contribuire all’emancipazione, devono trascendere la feticizzazione, devono usare la metodologia marxista che permette di ricostruire i fenomeni storici nella loro genealogia e complessità. In tal modo si supera la feticizzazione che tende a rappresentare fenomeni storici, decisioni e previsioni in modo astratto, avulsi dal contesto con l’effetto di naturalizzare il presente e congelare il futuro.

Senza strumenti interpretativi, il futuro non è che la ripetizione del presente. Gli intellettuali devono riportare il futuro nel presente svelando la verità delle decisioni politiche, mostrando il carattere non necessario delle scelte e riportare la dialettica dove regna il fatalismo feticistico. Affinché ciò possa venire le parole devono ritrovare il loro senso nelle domande che devono riportare la concretezza dove vigeva l’astratto. Le decisioni e le azioni non sono neutre o tecniche, esse sono parte di un mondo di interessi economici e sociali:

«Gli intellettuali, non riuscendo a scorgere le basi oggettive della loro stessa esistenza sociale, diventano sempre più vittime della feticizzazione dei problemi sociali e, attraverso questa, vittime indifese di qualsiasi demagogia sociale. Sarebbe facile citare esempi. Ne ricordo alcuni fra i più essenziali. In primo luogo la feticizzazione della democrazia. Cioè, non ci si chiede mai: democrazia per chi e con esclusione di chi? Non ci si chiede mai quale sia il vero contenuto sociale di una democrazia concreta, e non ponendosi queste domande si offre uno dei più solidi appoggi al neofascismo che ora si prepara. C’è poi la feticizzazione del desiderio di pace dei popoli, espressa in forma di pacifismo astratto, nel quale il desiderio di pace non solo è degradato al livello di passività, ma diventa addirittura la parola d’ordine dell’amnistia per i criminali di guerra fascisti e facilita la preparazione di una nuova guerra. C’è anche la feticizzazione della nazione. Dietro questa facciata scompaiono le differenze fra i legittimi interessi vitali nazionali di un popolo e le tendenze aggressive dello sciovinismo imperialista».[3]

 

Astratto e concreto

La dissoluzione della feticizzazione riporta il futuro al centro, perché il presente è pensato per essere vissuto nella sua concretezza e nelle sue potenzialità. La Storia feticizzata, invece, trasforma i fenomeni storici in enti autonomi che dominano gli esseri umani, li vampirizzano guidandoli docilmente nella gabbia d’acciaio. La feticizzazione rende gli esseri umani tristi e dunque maggiormente dominabili, vampirizza non solo le risorse materiali, ma specialmente “ruba” la prassi ed il futuro spingendo l’umanità nella palude di un eterno presente senza uscita e senza scopo:

«Che vuol dire infatti feticizzazione? Vuol dire che qualche fenomeno storico è avulso dal suo reale terreno sociale e storico, che il suo concetto astratto (e di solito soltanto qualche elemento di questo concetto astratto) è trasformato in feticcio, acquista un’esistenza presunta autonoma, diventa un’entità a sé. La grande conquista della vera economia sta appunto nel dissolvere questa feticizzazione, nel mostrare in concreto che cosa significhi questo o quel fenomeno storico nel processo complessivo dello sviluppo, quale sia il suo passato e quale il suo futuro».[4]

 

Lukács ci invita a riflettere sulla scissione tra popolo ed intellettuali, ma specialmente teorizza la possibilità di una riconciliazione nella consapevolezza che le parole degli intellettuali possono ritrovare l’ascolto solo se si ha la passione durevole per la verità e per i suoi metodi di indagine. I popoli fatalizzati hanno smesso di ascoltare gli intellettuali, perché le loro parole riproducono il nichilismo delle logiche di potere. Solo le parole che fungono da tracce per uscire dalla caverna possono far ritrovare l’ascolto che nel nichilismo della feticizzazione non solo è assente, ma induce ad un generale disprezzo verso gli intellettuali. La struttura economica rende servi mediante il nichilismo della parola e la tecnicizzazione anonima.

La passione durevole per la verità
La verità del capitalismo assoluto va resa “nota”, va tradotta in un linguaggio che rompe la continuità tra struttura e sovrastruttura. Gli intellettuali possono e devono defeticizzizzare la condizione presente riportando la parola al centro, parola di senso, parola progettante e politica. Il capitalismo assoluto può essere avviato al suo trascendimento con la teoria e la prassi, le quali necessitano di categorie di significato collettive senza la quali la passività dei popoli è il volto concreto della feticizzazione della storia.
L’intellettuale è ad un bivio: può contribuire affinché il sistema possa perpetuare se stesso o devertere dal suo esiziale cammino. L’intellettuale deve riportare la prassi mediante la teoretica del rovesciamento dell’in sé col per sé nelle condizioni storiche date. Solo in tal modo il misticismo economico che ci minaccia e ci reifica può deviare dal cammino nichilistico, dal silenzio della parola e della politica, mediando l’immediato con la ragione dialettica. Gli intellettuali devono vivere la doppia temporalità della critica al capitalismo nel presente con lo sguardo rivolto verso la passione per la verità che riconcilia le temporalità storiche in un nuovo ordine:

«La “passione durevole” per il comunismo, o se si vuole per la critica al capitalismo, presuppone per esistere e per essere coltivata e sviluppata che ci si renda ben conto che essa da un lato coincide con il percorso della nostra vita umana e concreta, necessariamente e fatalmente breve, ma che dall’altro essa è ideale, nel senso che va al di là della nostra stessa vita umana».[5]

Salvatore Bravo

[1] G. Lukács Marxismo e politica culturale, Einaudi, Torino 1977, p. 64.

[2] Ibidem, p. 65.

[3] Ibidem, p. 68.

[4] Ibidem, p. 70.

[5] C. Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Petite Plaisance, Pistoia 2013, p. 461.

Angelo Tonelli – La conoscenza non coincide con la padronanza filosofica e scientifica del pensiero. Priva di una cultura della saggezza, la democrazia si sfalda. Dobbiamo evolvere culturalmente e spiritualmente, ripensando i cardini della consociazione planetaria.

Angelo Tonelli 01
Attraverso oltre. Della conoscenza, della solidarietà, dell’azione, Moretti & Vitali, 2019.

In epoca moderna il filo-sophós, decadimento del sophós, decade ulteriormente a intellettuale, che non solo ha perduto come il primo ogni contatto con la sfera della sophia, ma anche è diventato incapace di pronunciare una visione del mondo dotata di una profonda radice sapienziale, e si è ridotto a ermeneuta del pensiero precedente o esegeta del costume contemporaneo, attraverso l’esercizio di una ratio ben diversa, per esempio, dal lógos unificante e intuitivo eracliteo.

La sfida che si pone è lavorare per una civiltà della consapevolezza, della pace, della solidarietà e dell’equilibrio ecologico

A. Tonelli


 


Come in alto, Teatro Andromeda, opera di Lorenzo Reina. Santo Stefano Quisquinia, Sicilia. Foto di Christian Reina.

«La conoscenza non coincide con la padronanza filosofica e scientifica del pensiero, o l’accumulo di informazioni corrette intorno alla vita, ma con la stabilizzazione di livelli di coscienza illuminati, attraverso una costante disciplina interiore.
I cardini di questa Sapienza che rigenera la vita individuale e quindi collettiva vanno restaurati nella psiche dell’umanità di oggi attraverso un viaggio alle radici della sua cultura, e dunque in direzione delle tradizioni iniziatiche originarie e dello sciamanesimo, che sono la prima manifestazione di spiritualità umana: noi occidentali dobbiamo rivolgere lo sguardo ai Misteri Eleusini, alle iniziazioni orfiche, e a quei pensatori che Platone definiva sophoí, ovvero Sapienti, e che hanno nome Eraclito, Empedocle, Parmenide, Pitagora, ma anche ai grandi maestri della conoscenza tragica (páthei máthos, “patendo conoscere”), Eschilo, Sofocle, Euripide, per non citare che i maggiori tra i Greci.
E guardare alle radici della nostra cultura significa anche guardare alla Sapienza d’Oriente, perché anche di essa (oltre che dello sciamanesimo iperboreo e della spiritualità egiziana, persiana e mesopotamica) era pervasa la Sapienza di Pitagora, Eraclito, Parmenide, Empedocle, Democrito e Platone.
Questo tragitto “sulle tracce della Sapienza” a cui ho dedicato un omonimo libro [Sulle tracce della Sapienza, Moretti & Vitali, Bergamo 2009], consente di fare collidere e colludere la grande esperienza conoscitiva originaria occidentale-orientale con le domande di rinnovamento culturale e interiore poste dalla crisi della civiltà contemporanea, di gettare uno sguardo non intellettualisticamente filosofico o scientistico sulla vita e i suoi enigmi, e di apprestare strumenti insieme antichi e nuovi per attraversarla con il massimo possibile di serenità, creatività e consapevolezza» (p. 14).

«Nella prospettiva di una conoscenza che culmina nella possibilità di illuminazione a cui tutti, prima o poi, possono attingere, la riflessione si volge al luogo della relazione tra gli esseri umani, ovvero la civitas collettiva, perché la meta terrestre e la misura concreta dell’evoluzione individuale coincide proprio con la capacità di concorrere alla realizzazione di una società etica, solidale, illuminata, che si compone di individui etici, solidali, illuminati […].
Questa […] la sfida per le donne e gli uomini dei prossimi decenni, perché finalmente la Storia impone la più severa delle alternative: evolvere culturalmente e spiritualmente, ripensando i cardini della consociazione planetaria, o sprofondare nella barbarie e nella devastazione irreversibile e già in atto dello habitat naturale e umano» (p. 15).

«Già il filo-sophós greco – un Platone, un Aristotele – era frutto di un decadimento della figura del sophós (sapiente), che incarna uno stato di coscienza-verità (sophia) e non un insieme di metodi e contenuti di pensiero (filo-sophia): si pensi a Pitagora, Eraclito, Parmenide, Empedocle, per citare solo i maggiori del nostro Occidente preplatonico; e in Oriente a Buddha e ai grandi maestri della sapienza upanishadica, taoista, yogica eccetera. Potremmo anche affermare che la sophia ha dimora nel Sé, la filo-sophia nell’Io.
In epoca moderna il filo-sophós, decadimento del sophós, decade ulteriormente a intellettuale, che non solo ha perduto come il primo ogni contatto con la sfera della sophia, ma anche è diventato incapace di pronunciare una visione del mondo dotata di una profonda radice sapienziale, e si è ridotto a ermeneuta del pensiero precedente o esegeta del costume contemporaneo, attraverso l’esercizio di una ratio ben diversa, per esempio, dal lógos unificante e intuitivo eracliteo. Le conseguenze di tutto questo sono estremamente gravi, perché la civitas umana si è evoluta a livello tecnico-scientifico, ma è rimasta priva di maestri di verità che non fossero reclutati nei vari miti-istituzioni religiosi (cristiano, islamico, buddhista) o ideologici (marxismo, liberismo, fascismo ecc.), e fossero liberi da questi blocchi di potere ideologico-politico-religioso: insieme sacrali e laici, capaci di testimoniare e ispirare i valori fondamentali dell’etica civile – solidarietà, giustizia, consapevolezza, compassione, onestà, spirito di servizio – e di indicare i contenuti e soprattutto i metodi adatti per formare popoli e reggenti eticamente saldi e consapevoli.
Se pensiamo che la crisi ecoantropologica in atto è frutto di una scorretta gestione del pianeta, che a sua volta deriva da una carenza della mente collettiva e dei suoi rappresentanti nella amministrazione della civitas, risulta evidente la responsabilità di quanti si occupano del pensiero e della sua comunicazione nel collasso di un sistema fondato su tutto fuorché su una gestione sapienziale – vale a dire consapevole – della cosa pubblica: sono figli della cultura controsapienziale i politici corrotti e inadeguati, e gli economisti che speculano sulla povertà degli altri, tutti incapaci di limitare, in primis nella propria interiorità, gli impulsi della avidità, della prevaricazione e dell’ignoranza, attraverso i metodi che la Sapienza ha approntato nel corso dei millenni, ma che vengono occultati dalle armi di distrazione di massa. E di élite.
Priva di una cultura della saggezza, dell’equilibrio e dell’illuminazione che la sostenga, la democrazia si sfalda perché non esiste più il démos (ovvero il popolo dotato di una propria identità), ma solo una sorta di ochtos (folla, insieme di individui mimetici), manipolata dai mass media consciamente o inconsciamente asserviti ai poteri e al dio denaro, e incapace di esprimere il proprio disgusto o dissenso con metodi che non siano manifestazioni violente, o adesione a caricature della demagogia o a apparati ideologici e partitici di destra, di sinistra o di centro, cattolici, marxisti o liberisti: congreghe che, ottenuto il potere grazie ai metodi della sofistica massmediatica imperante, lo gestiranno svincolandosi da coloro stessi che li hanno eletti a propri rappresentanti. La sfida che si pone è lavorare per una civiltà della consapevolezza, della pace, della solidarietà e dell’equilibrio ecologico, riunendo le origini antiche del pensiero con le nuove acquisizioni, per fornire strumenti culturali adeguati a chi, cittadino o professionista della politica, deve traghettare la società al di fuori delle acque tempestose della crisi ecoantropologica e gestire la rischiosa rivoluzione cibernetica in atto» (pp. 191-192).

Angelo Tonelli, Attraverso oltre. Della conoscenza, della solidarietà, dell’azione, Moretti & Vitali, Bergamo 2019.



 

Angelo Tonelli, poeta, performer, autore e regista teatrale è tra i massimi studiosi e traduttori italiani di classici greci.
Edizioni di classici: Oracoli caldaici, Coliseum 1993 – Rizzoli 1995 e 2005; Eraclito, Dell’Origine, Feltrinelli 1993 e ristampa riveduta 2005; Properzio, Il libro di Cinzia, Marsilio 1993 (4 edizioni); T. S. Eliot, La Terra desolata e Quattro Quartetti, Feltrinelli 1995 (6 edizioni, con ristampa riveduta per il 2005); Seneca, Mondadori 1998; Zosimo di Panopoli, Coliseum 1988, Rizzoli 2004; Eschilo, Tutte le tragedie, Marsilio 2000 (vincitore Premio Città dei Trulli per la traduzione); Empedocle, Origini e Purificazioni, Bompiani 2002; Sofocle, Tutte le tragedie, Marsilio 2003. Euripide, Tutte le tragedie, Marsilio 2007. I lavori sui tragici sono raccolti in un unico cofanetto di 1750 pagine: Tutta la tragedia greca, Marsilio 2007.
Opere di poesia: Canti del Tempo (vincitore premio Eugenio Montale), Crocetti 1988; Dell’Amore, Abraxas 1994; Dall’Ade, Abraxas 1995; Poemi per l’era dell’Acquario, Abraxas 1996; Della morte, Abraxas 1997; Frammenti del perpetuo poema, Campanotto 1998; Alphaomega, variazioni per violino e voce, Abraxas/Keraunós 2000; Poemi dal Golfo degli Dèi/Poems from the Gulf of the Gods, Agorà 2003; Canti di apocalisse e d’estasi, con appendice di traduzioni in inglese, tedesco, ungherese, latino (Campanotto 2008, vincitore assoluto Premio Città di Atri; menzione d’onore premio Lorenzo Montano 2009).
Tra la letteratura critica sulla sua opera poetica si segnalano giudizi positivi sulla sua opera in lettere di Vittorio Sereni (non datata) e di Attilio Bertolucci (6/ 2/1988); M. Bacigalupo, Angelo Tonelli, un neoromantico poeta estivo, “Il Secolo XIX”, 22/10/1998; S. Crespi, L’eterno canto dell’amore là dove stridono i gabbiani, “Il Sole 24 ore”, 10/07/1988 e Il frammento e il perpetuo, “Il Sole XIV ore” 12/7/1998; G. Galzio, Angelo Tonelli, in G. Galzio, a cura di, Gli Argonauti. Eretici della poesia per il XXI secolo, Milano, Archivi del Novecento, 2001, pp. 199-202. E. Grasso, Nota su Canti del tempo, “Cenacoli esoterici”, 4, 1989 (Benevento, Ripostes); J. Marban, Closing Remarks in M. Maggiari, a cura di, “The Waters of Hermes”, II, Agorà, La Spezia 2002; S. Verdino, Angelo Tonelli, in S. Verdino, a cura di, La poesia in Liguria, Forum – Quinta generazione, Forlì 1986; M. L. Vezzali, Peregrinare nella luce, “Steve 21. Rivista di poesia”, Edizioni del Laboratorio, Modena autunno 2000.
Tra i testi filosofici si segnalano: Apokalypsis, pensieri intorno all’ apocalissi in atto nel pianeta Terra. E altro; Il dio camaleonte (Abraxas 2009).
Opere teatrali: Apokálypsis, 1995; Katábasis, 1996; Máinomai, 1997; Mysterium, 1998; Eleusis, 1999; Drómena, 2000; Alphaomega, 2002 (da Sette contro Tebe di Eschilo); New World Order, 2003; V.I.T.R.I.O.L.U.M. Alchimia per Edipo re, 2004; Orghia, ovvero il trionfo della sapienza sul potere (da Baccanti di Euripide), 2005 e 2009; La terra desolata di T. S. Eliot, 2005; Orestea, 2006; Alcesti, mysterium mortis mysterium amoris, 2007; Antigone, ovvero la legge del cuore contro la logica spietata del potere, 2008; Baccanti, 2009; Christus rediens, 2009.
E’ intervenuto in programmi culturali della RAI tra cui, nel dicembre 2000 Tutti dicono poesia (Rai 1) con una performance mistico-apocalittica. Dal 1998, su incarico della Città di Lerici, è Presidente della Associazione Culturale Arthena e della omonima Scuola di Arti e Mestieri, e Direttore Artistico di Altramarea, Rassegna Nazionale di Poesia Contemporanea e di Argonauti nel Golfo degli Dèi. Nella primavera del 2005 ha pubblicato Per un teatro iniziatico, un libro sui primi dieci anni del teatro, e del genere di teatro, da lui stesso fondato. Nell’ottobre del 2007 ha dato alle stampe Alla ricerca del Sé (Tipografia Stella-Edizioni dell’Arthena) una miscellanea di saggi e conferenze intorno ai temi della sapienza, della psicoanalisi e della meditazione. Suoi testi, con una nota introduttiva di Roberto Bertoni, compaiono in Sei poeti liguri, Bertolani, Bugliani, Conte, Giudici, Sanguineti, Tonelli, a cura di Roberto Bertoni (Trauben, 2004) e nella antologia dedicata a 9 poeti liguri e curata da Roberto Bertoni e Roberto Bugliani, Voci di Liguria, Manni editore, 2007. Di recente pubblicazione Sulle tracce della Sapienza (Moretti e Vitali editore 2009), un libro in cui sintetizza trenta anni di ricerche sulla sapienza presso i Greci, in Oriente, in Jung e in Eliot; il primo volume, Parmenide Zenone, Melisso, Senofane di Le parole dei Sapienti, in sette volumi per Feltrinelli, sul pensiero dei sapienti greci preplatonici; Sperare l’insperabile. Per una democrazia sapienziale (Armando 2010). Si segnala l’edizione Bompiani con testo greco a fronte di Tutta la tragedia greca già pubblicato con Marsilio; Attraverso oltre. Della conoscenza, della solidarietà, dell’azione, Moretti & Vitali, 2019.



Tra i libri di Angelo Tonelli


Zozimo di Panopoli, Coliseum, 1988.


Eraclito. Dell’Origine, traduzione e cura di A. Tonelli, Feltrinelli, 1993.


 

Oracoli caldaici,  cura e traduzione di Angelo Tonelli, Rizzoli, 1995.


Oracoli caldaici,  cura e traduzione di Angelo Tonelli, Rizzoli, 1995.


 

Thomas S. Eliot, La terra desolata. Quattro quartetti, Traduzione e cura di Angelo Tonelli, Feltrinelli, 1995.


Frammenti del perpetuo problema, Camparotto editore, 1998.


Altramarea. Poesia come cosa viva. Antologia di poesia contemporanea,
a cura di A. Tonelli, Camparotto editore, 1998.

Questo non è un libro di poesia nel senso vulgato del termine, perché i testi che compongono la raccolta sono giunti al curatore attraverso la comunicazione orale, diretta, formulata in un adeguato “témenos”, proprio come accadeva agli albori della poesia, nelle corti micenee di Omero, o nei giochi sacri di Pindaro, o nel tiaso di Saffo, o ancora, più vicino a noi nel tempo, nelle conversazioni dei poeti decadenti francesi, o dei futuristi. Questo non è un libro in senso stretto e tipico, ma – per usare un termine con cui Giorgio Colli rendeva “Erlebnis” – l’eco di “vissutezze” poetiche reiterate nel corso degli anni – e destinate a reiterarsi ancora, a ogni solstizio d’estate, con “Argonauti” nel Golfo degli Dei, e nell’agosto rovente, con “Altramarea” – che a quella “vissutezza” intende alludere, perché è in essa che la poesia si è fatta vita e sguardo sulla vita, ha acceso entusiasmi e presagito orrori planetari, creato incanto e graffiato con stridori metallici, nella circolazione vivente della parola incarnata dal suo autore, a rispecchiarsi nell’anima di un uditorio vivo. […].


María Zambrano, Seneca,
Traduzione di Angelo Tonelli,
Bruno Mondadori, 1998.


Properzio, Il libro di Cinzia. Elegie. Testo latino a fronte. Vol. 1,
trad di A. Tonelli, Marsilio, 1999.

“Cinzia fu l’inizio, Cinzia sarà la fine”: con questo impegno di fedeltà il ventiduenne Properzio fissava in una formula emblematica l’essenza dell’amore elegiaco, assoluto e totalizzante. Con l’autorità e il fascino della donna bella, colta e raffinata, Cinzia segna il primo libro delle elegie properziane, il libro che rappresenta in modo esemplare la complessità di sentimenti del poeta innamorato: gelosie, tradimenti, riconciliazioni, momenti di tenerezza e di dedizione, di freddezza e di rifiuto. La sincerità della passione si unisce alla finzione letteraria, spesso filtrata attraverso la rievocazione del mito. Scelta di vita e scelta di poesia tendono a identificarsi creando un codice letterario, quello del genere elegiaco, che nella sua perfezione formale e nella sua breve vitalità rimase modello insuperato di poesia d’amore e specchio della vita mondana della società augustea.


Eschilo, Le tragedie, a cura di Angelo Tonelli, Marsilio, 2000.

Miti eterni, storie immortali che sfidano ogni epoca con la loro poesia e con il loro mistero, legami inestricabili con un passato che in modo immutato ancora ci seduce e ci angoscia con i suoi enigmi. Una voce poetica, tesa e vibrante, ci canta il lutto del re di Persia sconfitto dai greci, la disperazione del Prometeo crocifisso per amore, la tragedia dei figli di Edipo che si uccidono in un estremo duello alla settima porta di Tebe, il delirio di Cassandra e la furia di Clitennestra uxoricida, la vendetta, la follia e l’assoluzione di Oreste per l’assassinio della madre.


Sofocle, Le tragedieLe tragedie, a cura di Angelo Tonelli, Marsilio, 2004.

Celebrato per la purezza dello stile e per la perfezione della struttura drammaturgica, Sofocle è il più limpido ma anche il più complesso ed enigmatico dei tre grandi tragici greci. Ateniese, innamorato della sua città, ne esaltò la bellezza, ne difese le istituzioni, ma intravide anche i pericoli del passaggio epocale dall’individualismo conservatore delle famiglie aristocratiche all’egualitarismo democratico dello stato di diritto. Cantore della polis, ma anche di eroi perdenti e sfortunati, di donne assetate di giustizia e di vendetta, Sofocle è soprattutto il creatore del personaggio di Edipo re di Tebe, metafora esemplare delle alterne vicende della vita e della cieca crudeltà del caso.


Zozimo di Panopoli, Visioni e risvegli, a cura di Angelo Tonelli, Rizzoli, 2004.

Personaggi misteriosi, mostri crudeli, sacrifici rituali e “riti terribili” popolano questo testo complesso e affascinante che con la violenza delle sue visioni ha sedotto lo stesso Jung, a cui si deve il merito di averlo sottratto a un oblio millenario. Scritto agli inizi del IV secolo, Visioni e risvegli raccoglie quattro brevi trattati di alchimia, il più famoso dei quali, Sulla virtù, descrive con toni onirici e fantasiosi i diversi gradi di un rito di iniziazione. Dell’antica storia di questi testi, ricchi di aneliti mistici ed echi religiosi, parla nell’introduzione Angelo Tonelli, che analizza anche i legami tra l’alchimia greca e la psicologia dell’inconscio di Jung.


 

Euripide, Le tragedie, a cura di Angelo Tonelli, Marsilio 2007.

Con la traduzione integrale delle tragedie di Euripide si conclude un progetto di grande rilievo editoriale iniziato da Angelo Tonelli nel 2000 con la versione completa di Eschilo, cui è seguita nel 2004 quella di Sofocle. Per la prima volta e non solo in Italia, si possono leggere tutte le tragedie greche nella traduzione di uno studioso che è un profondo conoscitore del greco antico, esperto di drammaturgia antica e moderna, poeta egli stesso e creatore di eventi.


 

Canti di Apocalisse e d’estasi, Camparotto Editore, 2008.


Sulle tracce della sapienza. Per una rifondazione etica della contemporaneità,
Moretti & Vitali, Bergamo 2009.

Frutto e sintesi di trenta anni di ricerche filologiche intorno alla Sapienza, il libro di Tonelli ne presenta campionature significative, dalla tradizione iniziatica eleusina allo sciamanesimo originario, dai grandi tragici ai Presocratici, a Platone, alla teurgia degli Oracoli Caldaici, alle visioni dell’alchimista Zosimo di Panopoli, fino a un’incursione nel Moderno, con la rilettura di The Waste Land e di Four Quartets di Eliot in chiave mistico-rituale, e della psicologia analitica junghiana in chiave alchemica e gnostica. Per quel che riguarda la Sapienza d’Oriente, l’attenzione si concentra sulla sua dimensione di pratica spirituale, perché il Buddhismo e l’Induismo hanno saputo concretare nell’unità corpo-mente la condizione sapienziale, affinando tecniche meditative adatte a lenire la sofferenza e favorire lo sviluppo delle qualità etiche positive. In chiusura, l’autore riannoda il filo che lega l’inizio della filosofia con il principio della sua fine, ovvero Platone con Kant, per quel che riguarda la possibilità dell’esercizio di una influenza dei pensatori sul potere, rintracciando la causa della loro inefficacia, pur nella nobiltà del gesto, proprio nell’essere filosofi, e non Sapienti, e dunque propagatori di un modo di pensare, e non di un modo di essere totale.


Le parole dei Sapienti. Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso. Testo originale a fronte.
Traduzione e cura di Angelo Tonelli, Feltrinelli, 2010.

Sapienza è una condizione dello spirito, un modo di essere, e non un insieme di contenuti che si ritengano veri e saggi. Il Sapiente è radicato nella sorgente delle cose, e dell’esperienza sapienziale possono farsi testimonianza scritta o orale parole, come quelle di Eraclito, Parmenide, Empedocle in Occidente, e delle Upanishad o dello ChuangTzu in Oriente, che vibrano della risonanza mistica da cui sorgono. A differenza della filosofia, la Sapienza è un modo di essere, non di pensare, ed è frutto del sé, mentre la filosofia lo è dell’ego. I Sapienti greci non erano uomini di scrivania, come forse amerebbero dipingerli a propria immagine e somiglianza gli esangui ermeneuti contemporanei, bensì individui che intraprendevano una via di continua ricerca di se stessi, all’insegna del motto delfico gnõthi sautón, e da questa pratica di ricerca spirituale venivano trasformati fin nelle intime midolla, come i Sapienti d’Oriente. Nel versante orientale, la Sapienza è un immenso commentario intorno alle folgorazioni mistiche e alle formulazioni religiose dei Veda, che trovano sistemazione nelle Upanishad. Diversa è la Sapienza greca, in cui fioriscono personalità spiccate, con maggiore differenziazione di linguaggio e di pensiero. Ma i temi di fondo sono gli stessi, e con ogni evidenza la Madre della Sapienza d’Oriente e d’Occidente è una sola e la medesima, benché da essa germoglino frutti ben diversi.


Sperare l’insperabile. Per una democrazia sapienziale,
Armando, 2010.

Le tendenze negative di base – ignoranza, avidità, violenza e il dio denaro – hanno esercitato ed esercitano una pressione preponderante sulla psiche dell’umanità nel suo complesso, e hanno condotto a una situazione di discrimine: o si riesce a creare una nuova direzione, illuminata, della civitas globale, in grado di agire in controtendenza rispetto alla crisi ecoantropologica in atto, oppure si andrà a una vera e propria catastrofe della civiltà. E poiché la devastazione dell.habitat e gli ordigni di guerra nascono nella testa degli uomini, è lì che occorre disinnescarli.


 

Poemi dal Golfo degli Dèi, Ediz. italiana e inglese, Agorà & Co., Sarzana, 2011.


 

Sapienza ritrovata, Arcipelago Edizioni, 2011.


 

Tutte le tragedie greche. Testo greco a fronte, Bompiani, Milano 2011.

Frutto di oltre dieci anni di lavoro, questa edizione di tutta la tragedia greca con testo a fronte, la prima a essere realizzata interamente da un unico curatore, insieme poeta e filologo, consente di cogliere con sguardo unificante la fulgida stagione della tragedia ellenica che vide fiorire il genio creativo di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Viene così restituita al lettore moderno, in tutta la sua feconda inattualità, una delle culminazioni dell’arte sapienziale e iniziatica del nostro Occidente, capace di riverberare la spiritualità orfeodionisiaca eleusina nella sua dimensione essoterica: in maniera esplicita, attraverso tragedie vistosamente iniziatiche come Baccanti, Oresteo, Alcesti, Edipo re ed Edipo a Colono; e in maniera indiretta, grazie alla forma apollodionisiaca dell’opera drammatica nella sua espressione scritta. Forma che a sua volta rinvia alla struttura stessa del théatron, che è luogo sapienziale in cui si contempla (theàomai) il gioco delle passioni con empatia e distacco. Con il greco a fronte i capolavori dei tragediografi a noi pervenuti brillano nella lingua in cui furono composti, e consentono di restituire con sufficiente approssimazione la phoné originaria in cui furono pronunciati: nel rito consacrato a Dioniso, alla luce del sole ellenico, sotto lo sguardo della collettività riunita nel nome del dio dell’ebbrezza e della contemplazione.


 

Ritografie. Opere figurative 1995-2012. Ediz. illustrata, Agorà & Co, 2012.


 

Seminare il possibile. Democrazia e rivoluzione spirituale, Alboversorio, 2015.

Questo pamphlet ha un intento: seminare slancio e speranza nel futuro mentre tutto sembra congiurare contro una possibilità di rinascita collettiva. Urge che si aboliscano i partiti, come già suggeriva Simone Weil, e si catalizzino energie nuove. Questo movimento, che è già in atto e trova già espressione in eventi dedicati alla relazione tra spiritualità, etica e politica, ha il compito fondamentale di preparare la democrazia del futuro, che sorgerà sulle rovine del sistema politico nazionale e internazionale fondato sul dominio del dio denaro.


 

Eleusis e Orfismo. I misteri e la tradizione iniziatica greca.
Testo greco a fronte, a  cura di Angelo Tonelli, Feltrinelli, Milano 2015.

A Eleusi, il centro iniziatico maggiore di tutta la grecità, nel mese di Boedromione (il nostro settembre-ottobre) affluivano tutti coloro che avessero i requisiti necessari per ricevere l’iniziazione, ovvero avere “mani pure”, non macchiate da delitto, e parlare la lingua greca. Sicuramente furono iniziati ai livelli più alti Sofocle, Eschilo, Pindaro, Platone. La suprema iniziazione, a cui si poteva accedere dopo avere fatto trascorrere un lungo periodo dalla partecipazione al rituale collettivo dei Grandi Misteri, dischiudeva all’esperienza diretta dell'”unità di tutte le cose” e della morte-rinascita, simboleggiata dalla spiga, che il mistero condivideva con Dioniso, il dio che muore e rinasce, come l’Osiride degli Egiziani. L’Orfismo introduce nella grecità una via ascetica e purificatoria, fondata sulla credenza nella reincarnazione, e nella necessità di un tragitto di progressiva liberazione dalla prigione della materia per ricongiungersi con la propria essenza divina. Le testimonianze consentono di ricostruirne le complesse e suggestive cosmoteogonie, e i miti fondamentali, tra cui la discesa agli Inferi di Orfeo alla ricerca della sposa Euridice e lo specchio di Dioniso, che rivela il mondo visibile come lampeggiamento transimmanente dello sguardo del dio su uno specchio.


 

[Giuliano il Teurgo], Oracoli caldaici, a cura di Angelo Tonelli, Bompiani, 2016.

Composti verso la fine del II secolo dopo Cristo, gli “Oracoli Caldaici” sono attribuiti a Giuliano il Teurgo, figlio dell’altro Giuliano che, secondo Suidas, compose un’opera sui demoni. Poeta e sciamano dei misteri teurgici, in cui la figura del mßntis-doche·s (il nostro medium) coincide con quella del profétes, Giuliano comunica in frammenti oscuri e insieme luminosi, come si addice all’oracolo, un’esperienza visionaria individuale fiorita nell’ambito di un Erlebnis mistico e sapienziale collettivo. Gli “Oracoli caldaici”, che Proclo paragonava per importanza al “Timeo” di Platone, sono una raccolta di frammenti in cui un medium in trance parla con la voce del nume, e ne comunica la Sapienza che conduce gli umani oltre il velo delle apparenze, fino all’intuizione dell’Assoluto e al congiungimento con esso. Unica testimonianza diretta di una tradizione esoterica che associava metafisica e magia in un accordo inscindibile, gli oracoli consentono di guardare dietro le quinte di una esperienza mistica e iniziatica di grande densità immaginale, che viene comunicata in un linguaggio densamente poetico. E’ un viaggio verso l’Assoluto che sta alla radice di tutte le cose, o meglio ancora verso il Divino indicibile che si manifesta attraverso ipostasi e numi, che prendono nome di Padre, Ecate, No³s, e la cui quintessenza brilla nell’animo dei teurghi.


 

Guardare negli occhi la Gorgone. Piccolo vademecum per attraversare le paure,
Agorà & Co., Sarzana, 2016.

L’esperienza della paura è costitutiva della condizione umana, e nessuno ne è mai stato esente: non Cristo, che sulla croce grida il suo “Eli Eli lema sabachthani?”: “Padre Padre, perché mi hai abbandonato?”; non Buddha Sakhyamuni, che prima di imboccare la via dell’ascesi si imbatte, sgomento, nelle figure della vecchiaia, della malattia, della morte. Nessuno ha calcato il suolo di questo pianeta senza avere provato, in misura maggiore o minore, la vampa dell’ansia o l’angoscia dell’incubo notturno, il morso del panico, l’irrequieto aggirarsi del pensiero nelle lande livide del timore di ammalarsi o di morire, o del lutto per il trapasso di una persona preziosa, o per la fine di un grande amore. Qui si indicano alcune vie, tra cui la psicoanalisi junghiana, lo psicodramma, la danzaterapia, la meditazione e altre pratiche spirituali tratte da varie tradizioni, per attraversare indenni questa selva oscura, e trarne stimolo alla crescita spirituale.


 

Sulla morte. Considerazioni sul possibile oltre, La Parola, 2017.

Questo libro è il frutto di molti anni di riflessioni sulla morte e il possibile Oltre, con un approccio non accademico, ma neanche privo di riferimenti alla letteratura scientifica sul tema, nella convinzione che il momento più impegnativo, insieme con la nascita, della nostra permanenza sul pianeta terra, sia evento solenne e culmine di conoscenza, a cui è bene giungere il più possibile consapevoli e preparati. Vi si troveranno riferimenti allo sguardo sapienziale greco (il Fedone di Platone, Le lamine d’oro orfiche) e orientale (Il libro tibetano dei morti) sul grande passo, ma anche alla letteratura relativa alle esperienze di quasi morte (NDE), tra cui quella di C.G. Jung (e anche quella di Er, raccontata ne La Repubblica di Platone), e alle conseguenze che le esperienze documentate di OBE (Out Body Experience), ovvero di fuoriuscita dal corpo durante gli stati di coma, hanno sulla vexata quaestio del rapporto coscienza-cervello, anche alla luce della fisica quantistica. Un excursus esaustivo e indispensabile per farsi un’idea precisa sulla morte e sull’aldilà.


 

La degenerazione della politica e la democrazia smarrita.
Una nuova etica per la sopravvivenza della civiltà,
Armando, 2018.

Le tendenze negative di base – ignoranza, avidità, violenza e il dio denaro – hanno esercitato ed esercitano una pressione preponderante sulla psiche dell’umanità nel suo complesso, e hanno condotto a una situazione di discrimine: o si riesce a creare una nuova direzione, illuminata, della civitas globale, in grado di agire in controtendenza rispetto alla crisi ecoantropologica in atto, oppure si andrà a una vera e propria catastrofe della civiltà. E poiché la devastazione dell’habitat e gli ordigni di guerra nascono nella testa degli uomini, è lì che occorre disinnescarli. Sarà la Storia stessa in quanto bestemmia alla natura illuminata degli umani a generare dal suo grembo il seme della civitas illuminata: per sopravvivere la specie dovrà abdicare dalla propria tenebra interiore. Sono tre i metodi fondamentali che convergono in una sola via, per risorgere: la meditazione di presenza, l’indagine dell’inconscio e l’integrazione dell’Ombra e la frequentazione di testi ed esperienze sapienziali. In una parola, la vita come iniziazione: alla consapevolezza, alla liberazione, all’immortalità che nasce dall’esperienza óeWunità di tutte le cose (hèn pànta), secondo la folgorante sintesi di Eraclito, che è il mentore metaspaziotemporale di questo libro.


 

Attraverso oltre. Della conoscenza, della solidarietà, dell’azione, Moretti & Vitali, 2019.

La conoscenza non coincide con la padronanza filosofica e scientifica del pensiero, o l’accumulo di informazioni corrette intorno alla vita, ma con la stabilizzazione di livelli di coscienza illuminati, attraverso una costante disciplina e apertura interiore. Noi Occidentali dobbiamo rivolgere lo sguardo ai Misteri Eleusini, alle iniziazioni orfiche, e a quei pensatori che Platone definiva sophoí, ovvero Sapienti, e che hanno nome Eraclito, Empedocle, Parmenide, Pitagora, ma anche ai grandi maestri della conoscenza tragica (“patendo conocere”), Eschilo, Sofocle, Euripide, per non citare che i maggiori tra i Greci. Guardare alle radici della nostra cultura significa anche guardare alla Sapienza d’Oriente, perché anche di essa (oltre che dello sciamanesimo iperboreo e della spiritualità egiziana, persiana e mesopotamica) era pervasa la Sapienza di Pitagora, Eraclito, Parmenide, Empedocle, Democrito e Platone. Di questa connessione originaria tra Occidente, in particolare la nostra Magna Grecia, e Oriente, a cui Angelo Tonelli ha dedicato trenta anni di ricerche e di cui ha già fornito ampie documentazioni, viene qui presentata, in anteprima assoluta, una testimonianza archeologica di inconfutabile evidenza: la fotografia del ritratto del “Mongolo di Taranto”, raffigurato in una ceramica protolucanica databile al IV secolo a.C., ai tempi di Platone, in cui compare un volto di chiara etnia mongola, a dissipare ogni eventuale dubbio sulla interazione tra Mediterraneo greco e Estremo Oriente, in epoca antica, interazione fino a oggi silenziata o negata da un’Accademia ancora arroccata alle Termopili immaginarie per contrastare la manifesta presenza dell’Oriente nel nostro Occidente sapienziale. E questa obliterazione ha gravato e grava sulla nostra cultura, perché se ne è ignorata la radice eurasiatica meditativa, sciamanica, noetica, condannando gli individui, e con essi la civiltà d’Occidente, a livelli di interiorità, saggezza e consapevolezza infantili, che sono alla base della crisi ecoantropologica in atto: una sorta di “furto d’organo”, il nous, ovvero il luogo di connessione tra l’umano e il divino nella coscienza unitaria e illuminata. Questo tragitto “sulle tracce della Sapienza” a cui l’autore ha già dedicato un omonimo fortunato libro, di cui questo costituisce in qualche modo la continuazione, consente di fare collidere e colludere la grande esperienza conoscitiva originaria occidentale-orientale con le acquisizioni della scienza più avanzata e le domande di rinnovamento culturale e interiore poste dalla crisi della civiltà contemporanea.


 

María Zambrano, Seneca. Con una antologia di testi,
traduttori Claudia Marseguerra e Angelo Tonelli, SE, 2019.

«Seneca non avrebbe potuto essere un martire: fu sempre un intellettuale e niente di più. Un intellettuale per cui la gloria è impossibile. Fedele a una ragione senza trascendenza, a una ragione naturale. La ragione di Platone e di Plotino, l’idea, non era più di questo mondo, come non lo è la pura verità. Seneca celebrava la ragione della mediazione, della relatività. Per questo il suo pensiero, e ancora più del suo pensiero, la sua immagine, la sua figura, è viva in tutti i tempi in cui la ragione, senza fede, vuole mediare tra un mondo irrazionale e il regno puro che ha dovuto lasciare. Seneca tornerà in vita ogni volta che di fronte all’inesorabilità della morte e del potere umano si troverà, tra una fede che si estingue e un’altra che la sostituisce, una Ragione abbandonata».


Galleria di copertine

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Inteviste e altro …

“Voglio un movimento sapienziale-politico capace di formare governatori illuminati”:
dialogo con Angelo Tonelli su poesia e salvezza


L’Apocalisse secondo Angelo Tonelli


Teatro Andromeda: l’Ecuba diretta da Angelo Tonelli


Scoprire Angelo Tonelli. Intervista di Marco Angella


“Le nostre origini sono eurasiatiche, Pitagora era uno sciamano,
dobbiamo insegnare pratiche meditative a scuola”:
dialogo con Angelo Tonelli, che ha scoperto il punto d’unione tra Oriente e Occidente


Angelo Tonelli – Recours au poème


Conversazione di Livio Partiti con Angelo Tonelli



Franco Volpi (1952-2009) – Come si dice “filosofia” in Giappone. Il libro di Nishida Kitarô «Uno studio sul bene». Conoscenza e amore sono atti spirituali identici. Occorre comprendere il bene come la realizzazione della persona. Il bene è la soddisfazione di un bisogno sincero, ovvero è unificazione della coscienza.

Franco Volpi - Nishida Kitaro

Il «diritto all’eccellenza» è un tentativo di superare la sterilità della semplice proibizione, dell’abnegazione e della rinuncia, che mortificano la vita. La vita si realizzi in tutte le sue potenzialità, con un atteggiamento «creativo» che dia alla vita tutta la sua pienezza, analogo a quello dell’artista che imprime alla sua opera una forma bella, una sorta di «estetica dell’esistenza» il cui imperativo raccomanda: «Diventa quello che sei!». E anche se la vita non è bella, sta a noi cercare di renderla tale.

Franco Volpi


 


«Conoscenza e amore sono atti spirituali identici. Per conoscere una cosa bisogna amarla e per amare una cosa bisogna conoscerla […]. Occorre comprendere il bene come la realizzazione della persona. Visto dall’interno, il bene è la soddisfazione di un bisogno sincero, ovvero è unificazione della coscienza, e al suo limite estremo deve raggiungere il punto in cui sé e altro si dimenticano reciprocamente e soggetto e oggetto sprofondano l’uno nell’altro».

Nishida Kitarô

Nishida Kitarô, Zen no kenkyū (善の研究), Uno studio sul bene, a cura di E. Fongaro, Bollati Boringhieri, Torino 2007.
Nishida Kitarô (fondatore della scuola di Kyoto), Uno studio sul bene, a cura di Enrico Fongaro, Mimesis, Milano 2017.

Un occidentale che voglia entrare nel cuore del pensiero giapponese deve fare uno sforzo linguistico-concettuale pari a quello che un giapponese affronta per capire che’ cosa significhi “filosofia”. Questo termine, che e alle radici della nostra civiltà, fino a circa un secolo e mezzo fa non aveva un preciso equivalente nella lingua nipponica. A differenza di quanto accaduto nel passaggio dal greco al latino e alle altre lingue europee, che in genere traslitterano la parola greca, in giapponese si seguì un altra strada. Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo oltre due secoli di chiusura a ogni influenza esterna nel periodo sakoku (1639-1854), fu avviato un febbrile lavoro di mediazione culturale e di invenzione di nuove parole. In tale clima fu creato anche il neologismo tetsugaku – combinazione di due ideogrammi, tetsu “vivacità intellettuale, chiarezza mentale” e gaku “insegnamento, studio” – che da allora in poi si e imposto come traduzione di “filosofia”. Naturalmente, un pensiero giapponese esisteva anche prima, ma si basava su una propria tradizione e su concetti, categorie, problemi e modi di ragionare lontani da quelli occidentali.

Nishida Kitarō 1870-1945)

Nishida (1870-1945) è il primo grande filosofo giapponese, il fondatore della celebre Scuola di Kyoto, che a lungo è stata il principale pensatoio nipponico, tuttora attivo, e che ha aperto un fondamentale canale di dialogo con la filosofia europea, specie tedesca. L’opera di Nishida è un grande esempio di pensiero interculturale: scaturisce dal profondo della tradizione nipponica ma vi innesta, in una sintesi originale, elementi raccolti dallo studio approfondito dei testi originali di Platone, Plotino, Meister Eckhart, Kant, Hegel, e di autori influenti tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento come Bergson, James e Husserl. Potremmo dire, fatte le debite proporzioni, che il tentativo di Nishida di sposare la tradizione zen con la filosofia è paragonabile al connubio tra la filosofia greca e il messaggio cristiano agli inizi della nostra era.

Uno studio sul bene (1911) e la prima grande opera di Nishida. Bollati Boringhieri la presenta in una edizione ineccepibile, condotta sul testo originale da uno dei più promettenti nipponisti italiani, Enrico Fongaro, e accompagnata con una esauriente e illuminante introduzione di Giangiorgio Pasqualotto. Un merito che va esplicitamente sottolineato di fronte alla sconcertante disinvoltura con cui molta letteratura giapponese – perfino alcuni romanzi di Mishima – continuano a essere tradotti dall’inglese.

Quello che possiamo ora leggere è un appassionante trattato sistematico di filosofia zen. Nishida voleva intitolarlo La realtà o L’esperienza pura perché questo è il concetto basilare da cui muove, per poi spiegare come l’esperienza pura si articoli secondo il pensiero (in cui la realta ci si offre così com’è), la volontà (da cui trae origine l’etica) e l’intuizione intellettuale (da cui si sviluppa l’esperienza religiosa del Nulla assoluto quale origine e principio unificatore dell’intero Essere).

L’opera ebbe subito un vasto successo ma sollevò anche critiche e fraintendimenti. Nishida si sentì spinto a una “svolta”. Per superare il coscienzialismo, il volontarismo e perfino il misticismo di cui era accusato, cercò un nuovo baricentro, e lo trovò, studiando la chora di Platone, nel concetto di “luogo”. Con somma ironia e inarrivabile saggezza zen, avverte però fin dall’inizio: «Forse Mefisto potrebbe farsi gioco di me: chi si dedica alla speculazione è come un animale che mangia erba secca in mezzo a un campo verdeggiante».

Nishida Kitaro (fondatore della scuola di Kyoto), Uno studio sul bene, a cura di Enrico Fongaro, Bollati Boringhieri, Torino 2007.

 

Franco Volpi, Come si dice “filosofia” in Giappone, in “La Repubblica, 17-02-2007, p. 47.

 

A Kyoto c’è un sentiero che si chiama “Passeggiata del filosofo”. Il suo nome deriva dal filosofo giapponese Nishida Kitaro (1870-1945) a cui piaceva passeggiare per questo sentiero e meditare. A metà del sentiero c’è un monumento su cui sono incise frasi di Nishida Kitaro.

Quarta di copertina

“Uno studio sul bene” (1911) è la prima opera di Kitaro Nishida. Diviso in quattro parti secondo un progetto sistematico che comportava la stesura di un’ontologia, un’etica e una filosofia della religione, il libro si fonda sul concetto di “esperienza pura” che l’autore ricava da Mach, da Avenarius, ma soprattutto da William James, riletto alla luce del pensiero di Henri Bergson. Si tratta del primo tentativo in assoluto di coniugare filosofia occidentale e scuola zen, il primo passo per dar vita a un progetto filosofico interculturale collocato al crocevia tra Oriente e Occidente.


Franco Volpi


Franco Volpi (1952-2009).

La sua [di Nietzsche] critica della mentalità e della morale «del gregge», la sua difesa di quello che potremmo definire un «diritto all’eccellenza», è un tentativo di superare la sterilità della semplice proibizione, dell’abnegazione e della rinuncia, che mortificano la vita. Nietzsche vuole che la vita si realizzi in tutte le sue potenzialità. E consiglia perciò un atteggiamento «creativo» che dia alla vita tutta la sua pienezza, analogo a quello dell’artista che imprime alla sua opera una forma bella. In tal senso la sua nuova morale è una sorta di «estetica dell’esistenza» il cui imperativo raccomanda: «Diventa quello che sei!». E anche se la vita non è bella, sta a noi cercare di renderla tale.

Franco Volpi

Da Contro Nietzsche. L’accusa del Papa al filosofo nichilista, la Repubblica, 10 aprile 2009.

Franco Volpi, filosofo e amico, a cura di Nicola Curcio, Ronzani editore, 2019

Tra i libri di Franco Volpi


M. Heidegger, Essere e tempo, tr. di Pietro Chiodi, a cura di Franco Volpi, Longanesi, Milano 2005.

Questo caposaldo, rimasto enigmaticamente incompiuto, è il testo che più di ogni altro ha influenzato la cultura filosofica del Novecento. Fin dal suo primo apparire nel 1927 e poi, a ondate successive nel 1946, negli anni Sessanta, il fascino e l’influenza esercitati da quest’opera hanno alimentato la riflessione e le polemiche di quanti si sono occupati di Heidegger. Tutto ciò che è accaduto dopo nella cultura occidentale è in qualche modo il risultato dell’esplosione filosofica determinata da questo libro.


L’ ultimo sciamano. Conversazioni su Heidegger, con Antonio Gnoli, Bompiani, Milano 2006.

Martin Heidegger è stato tra i più grandi e controversi maestri del Novecento. A trent’anni dalla morte, le questioni da lui poste agitano ancora la comprensione filosofica del nostro tempo. Qual è il segreto della sua perdurante attualità? Antonio Gnoli e Franco Volpi hanno raccolto le testimonianze eccellenti di protagonisti del pensiero contemporaneo che hanno conosciuto Heidegger da vicino: Ernst Jünger, Hans-Georg Gadamer, Ernst Nolte e Armin Mohler. A questi si aggiunge la voce del figlio Hermann, che svela aspetti inediti della biografia del padre soffermandosi tra l’altro sugli anni che lo videro compromesso con il nazismo.


Guida a Heidegger.
Ermeneutica, fenomenologia, esistenzialismo, ontologia, teologia, estetica, etica, tecnica, nichilismo
,
Laterza, Bari 2008.

Il pensiero di Heidegger analizzato e descritto in modo sistematico e completo attraverso le singole opere.


Dizionario delle opere filosofiche, Bruno Mondadori, Milano 2009.

Questo libro offre la prima guida ragionata ai testi della filosofia. Le opere fondamentali di ciascun pensatore vengono presentate con una scheda bibliografica iniziale (che ne indica il titolo originale e la traduzione italiana, la data di stesura, il luogo e l’anno della prima edizione), una descrizione del contenuto, le informazioni utili per comprendere il contesto nel quale ogni opera fu concepita e la sua eventuale fortuna. Infine viene suggerita la migliore edizione italiana disponibile. Uno strumento innovativo e indispensabile per tutti coloro che si interessano di filosofia. Un dizionario che fornisce la chiave per un approccio al pensiero filosofico partendo dalla tanto auspicata analisi dei testi.


 Il nichilismo, Laterza, Bari 2009.

Crisi della ragione, perdita del centro, decadenza dei valori: il nichilismo si è presentato a volte con il proprio nome, a volte sotto altre sembianze. Ma che cos’è propriamente il nichilismo? Da dove viene quest'”ospite inquietante” – come Nietzsche lo definisce – che si aggira ormai ovunque in casa nostra e che nessuno può mettere alla porta? Attraverso un’analisi storico-concettuale, Volpi risale alle radici del fenomeno, ne illustra il manifestarsi nel pensiero del Novecento e prepara una prospettiva “oltre il nichilismo”.


Heidegger e Aristotele, Laterza, Bari 2010.

Nella lunga crisi della grande filosofia seguita alla fine del sistema hegeliano, Heidegger ci ha restituito il senso di cosa significhi pensare in grande stile. Non solo per la grandezza e lo spessore della sua opera, venuta alla luce in tutta la sua imponenza. Non solo per l’acuta sensibilità che Heidegger ha mostrato nei confronti dei problemi fondamentali della nostra epoca: il venir meno della coscienza religiosa, la crisi dei valori tradizionali e la sfiducia nei confronti di una ragione solo strumentale, la fine dell’assoluto sulla terra e il chiudersi dell’orizzonte epocale della tecnica. Ma anche e soprattutto per il fatto che, con una radicalità che nessun altro dopo Hegel aveva osato, Heidegger ha saputo ripensare nel suo insieme l’accadere della filosofia occidentale, riproponendo come problema filosofico la questione dei fondamenti dell’epoca presente e della sua connessione essenziale con il pensiero greco. In quest’orizzonte, la presenza di Aristotele nel pensiero heideggeriano non è circoscrivibile nelle forme di una semplice interpretazione. Essa è piuttosto una presenza generalizzata che pervade tutta l’opera di Heidegger e che si configura nei termini di una forte assimilazione e di un confronto mediante cui il filosofo tedesco si è appropriato dell’ontologia e della filosofia pratica di Aristotele.


 La selvaggia chiarezza. Scritti su Heidegger, Adelphi, Milano 2011.

Tra i filosofi del Novecento, Martin Heidegger è quello che più di ogni altro ha spinto il pensiero oltre i canoni acquisiti del rapporto tra soggetto e oggetto, verità ed esperienza. Ne ha esplorato il limite, al di là del quale occorreva un linguaggio nuovo: una parola rivelatrice che liberasse la filosofia dalla cappa metafisica che aveva pesato su tutta la sua storia. In tale contesto, tanto esaltante quanto arduo, si è svolta la preziosa attività di Franco Volpi non solo come studioso e acuto interprete di Heidegger, ma anche come suo magistrale traduttore. Nulla come una traduzione, infatti, consente di penetrare in profondità nei gangli di un pensiero, e chi voglia oggi smontare, e comprendere dall’interno, la complicata macchina speculativa del “mago di Messkirch” troverà dunque qui il miglior viatico. La padronanza del lessico, sfrondato da ogni compiacenza gergale, la competenza con cui Volpi chiarisce le numerose oscurità del filosofo fanno di questo libro un esempio di lettura ermeneutica, un lucido percorso nei labirinti di Heidegger. Un percorso capace di svelare la segreta relazione tra il secolo che si è chiuso e il suo più imbarazzante testimone: che incarna il destino stesso della nostra epoca, e della sua pensabilità. Con una nota di Antonio Gnoli.


 

Pensare il capitalismo. Nuove prospettive per l’economia politica,
con Giorgio Lunghini e Elisabetta Basile, Franco Angeli, Milano 2013.

Poggiandosi sulle analisi critiche del paradigma neoclassico dominante e rivisitando i principali economisti “eterodossi”, il volume riflette sul pensiero critico di Marx, Keynes e Sraffa, e analizza i problemi che i mutamenti del capitalismo fanno sorgere e che la teoria mainstream non è stata capace di interpretare efficacemente, con l’obiettivo di proporre nuove prospettive per l’analisi dei sistemi economici contemporanei.


M. Heidegger, Nietzsche, a cura di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2018.

Come Nietzsche aveva riconosciuto in Wagner il suo unico antagonista esistente e con ciò gli aveva tributato il più grande onore, così Heidegger ha dedicato a Nietzsche il suo scritto più articolato che tratti di un pensatore moderno, anche se in questo caso cronicamente inattuale, dandogli il supremo onore di definirlo “l’ultimo metafisico dell’Occidente”. E come Nietzsche si distacca in tutto dagli oppositori di Wagner, così Heidegger non ha molto a che fare con tutte le generazioni di critici e biasimatori di Nietzsche – è molto di più, è l’unico che risponda a Nietzsche.» (Roberto Galasso)


Salvatore Bravo – Il 23 Novembre del 2013 veniva a mancare Costanzo Preve. Ci lascia una importante eredità morale e filosofica: cercare verità, complessità, libertà dalle conventicole. La filosofia non ha il compito di rassicurare, ma di porre domande, rinunciando alle facili risposte.

Costanzo Preve_ sei anni dalla morte

Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia

ISBN 978-88-7588-108-5, 2013, pp. 544, 170×2140 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [50]

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Costanzo Preve

Il 23 Novembre del 2013 è venuto a mancare Costanzo Preve, non l’ho conosciuto personalmente, ma attraverso i suoi scritti ed i video in cui continuava a diffondere le proprie idee. Per me è stato un incontro importante. Le modalità con cui si può entrare in relazione con una persona sono plurime, i testi scritti ed i video sono il modo in cui è avvenuto quest’incontro. Costanzo Preve “mi ha parlato” in un momento storico dominato dalla chiacchiera e da un conformismo meno che mediocre; “mi ha comunicato” un messaggio. Ha ravvivato in me la passione per la verità e per la Filosofia. Non che non vi fosse, ma un pensatore che ha il coraggio della radicalità della filosofia, ha la forza morale ed intellettuale di far sentire a casa coloro che cercano la verità, o che si confrontano con essa. Normalmente la passione per la verità nella nostra epoca causa un senso profondo di estraneità, di distanza, per cui si ha la sensazione di essere sospinti in una indefinibile periferia a cui si giunge incalzati da una realtà sociale che sdembra abbia rinunciato ad ogni possibile ricerca della verità. È un’immensa palude in cui tutto si omologa, in cui diventa la verità l’irrilevanza, sostanza che tutto muove senza che nulla muti.
Costanzo Preve si è tratto fuori dalla palude dell’irrilevanza, ed ha vissuto nella sua carne dolente la coerenza della filosofia che propugnava con le parole, con le argomentazioni logiche, con la scelta di vivere e testimoniare la sua posizione filosofica distante dalle accademie, dai luoghi in cui il pensiero diventa arte del meretricio. “Lo scandalo Preve” è consistito nel riaffermare la centralità della verità senza la quale la filosofia è solo una disciplina che si confonde con una serie di discipline altre. La verità è stata la sua trasgressione all’ordine costituito, trasgressione non priva di speranza, perché – come amava ripetere – l’essere umano per natura non può che pensare la verità. Pertanto gli innumerevoli “filosofi” della morte della verità e dell’osanna al capitalismo non sono che l’effetto di una congiuntura epocale. Le mode passeranno, mentre la verità degli uomini e delle donne non potrà fermare il proprio cammino.
Costanzo Preve: una voce fuori dal coro. Ma il suo messaggio è giunto a me nella sua forza veritativa. Egli ha difeso strenuamente il valore e la dignità della filosofia dalla sua riduzione a presenza decorativa e decaffeinata nei salotti del capitale. La verità in primis, Costanzo Preve, lo ha ribadito nell’arco di tutta la sua vita:

«Per l’appunto. La verità filosofica nasce infatti da un terzo approccio, che non è né religioso né scientifico. L’aspetto della verità filosofica è quello dialogico. La verità nasce da un agone dialogico, da una “lotta amichevole” come quella che stiamo facendo noi due ora, per avvicinarsi il più possibile alla verità. Rimane però anche qui un problema: nella storia dell’uomo, l’agone dialogico è per definizione interminabile. Pertanto, chi ricerca la verità solo nell’agone dialogico, non troverà la verità se non nel dialogo. Il dialogo stesso, però, ha questo equivoco: da un lato è lo scopo della ricerca della verità, e dall’altro il mezzo con cui essa può essere raggiunta. Questa è, a mio parere, la contraddizione strutturale della filosofia, da cui essa non potrà uscire mai. Se il dialogo è lo scopo, la verità non è più lo scopo, ma semplicemente una forma di vita saggia, che sostituisce la violenza con la contrattazione. Se invece il dialogo è un mezzo per la realizzazione della verità, la verità stessa diventa scopo, ma allora è messa oltre il dialogo. Il dialogo filosofico ha questa caratteristica essenziale: che ad ogni proposizione può essere opposta un’altra pro-posizione. Personalmente, non credo in un dialogo filosofico risolutivo dei problemi. Mentre la scienza conosce quei metodi definitori chiamati protocolli, accertamenti, sperimentazioni e così via, e perciò permette alla comunità scientifica di chimici, fisici e biologi di giungere almeno a delle verità provvisorie condivise dalla comunità di appartenenza, la filosofia per sua natura non dispone di simili metodi».[1]

La verità filosofica non è un ciclo concluso e consegnato alla storia, la verità ha la sua struttura imprescindibile nel dialogo. Pertanto è sempre oggetto di ridefinizioni, di spostamenti argomentativi. La verità è socraticamente disposta all’altro. Per la sua radicalità senza integralismo, analizza ogni passaggio, è processuale, disposta a cercarne le falle della sua costruzione: il risultato è sicuramente importante, ma fondamentale è il processo veritativo, ed ogni processo è necessariamente comunitario.

Verità e filosofia
La precondizione per svolgere l’attività filosofica è il credere argomentato nella verità. Costanzo Preve, in tal modo, effettua un chiaro taglio epistemologico tra le filosofie e le sue imitazioni. La pluralità delle filosofie non nega la verità, anzi ciascuna curva la verità secondo prospettive che si completano, si integrano, senza confondersi o cannibalizzarsi, perché la filosofia e la verità sono in uno stato di perenne tensione, di ricerca dell’alterità. La insegue al fine di autochiarirsi: la filosofia rinuncia al tribalismo dell’appartenenza per scegliere la dialettica della comprensione:

«E tuttavia, il primo problema della filosofia consiste nel chiarire che non c’è contraddizione fra la fisiologica pluralità delle scuole filosofiche e la sostanziale unicità della verità, per cui la pluralità non determina necessariamente relativismo.

Che cos’è allora la filosofia? Do senza arroganza alcuna la mia definizione. La filosofia è un’attività comunitaria, che si determina necessariamente in individualità nominative. Queste individualità nominative, tuttavia, anche se sembra che passino il tempo scambiandosi solo opinioni, in realtà si muovono su di un terreno che presuppone l’esistenza della verità, per cui la filosofia ha come oggetto la verità, non il semplice scambio delle opinioni, che è soltanto propedeutico per la comprensione della verità stessa. Chi ha espresso meglio questo concetto è stato nell’antichità Platone, e nella modernità Hegel».[2]

La contaminazione
Filosofare è dunque trascendere gli steccati ideologici. Il filosofo cerca il confronto, travalica i confini, per cui non teme di essere tacciato di incoerenza e di opportunismo, ma si assume il rischio dell’incomprensione in nome della verità. Costanzo Preve può confondere, in quanto invita ad un riorientamento gestaltico, ovvero a ripensare categorie e paradigmi in cui spesso ci si rifugia. L’alterità politica e filosofica non è un nemico da evitare. Anzi, se si ha la chiarezza di cercare la verità, se si ha il coraggio di assumere una posizione filosofica personale, la cui genealogia è nella parola che unisce senza facili sovrapposizioni identitarie, non si deve temere la “contaminazione” con la parte avversa, la quale può essere motivo per analizzare, per disegnare confini consapevoli e specialmente nuove mappe concettuali alle quali giungere mediante il faticoso attraversamento delle posizioni dell’altro. Perché ciò possa accadere si dev’essere disponibili a congedarsi da se stessi, a rinascere dolorosamente in nuovi concetti che non eliminano la nostra storia personale, ma la integrano, ed in altri casi la trascendono in nuovi orditi:

«Noi siamo sempre ipnotizzati, e quindi di fatto paralizzati, non tanto dall’incantesimo dell’appartenenza originaria (e quindi dal senso di colpa sprigionante dalla coscienza inquieta di averla abbandonata), quanto dall’attrazione gravitazionale verso il profilo ideale e culturale che ci ha originariamente costituiti. Come ha scritto genialmente Krahl a proposito di Adorno, è difficile congedarsi senza congedo. Ma solo chi è integralmente congedato dal proprio congedo potrà veramente tendete ad una nuova sintesi […]. Vorrei soffermarmi ancora sul mio caso, cosa legittima visto che in fondo la domanda l’hai rivolta a me. Io ritengo di aver attuato con un certo successo la problematizzazione aporetica dell’identità culturale di sinistra, di aver proposto un’interpretazione originale del pensiero di Marx sia sul suo versante filosofico che sul suo versante scientifico, di aver criticato con la necessaria spietatezza la tradizione marxista italiana sia nel suo aspetto storicistico che nel suo aspetto operaistico, di aver avviato un confronto fra la tradizione filosofica marxista e tradizioni ad essa in vario modo ostili, e di aver infine infranto il tabù dell’impurità e del pensiero magico animistico imperfettamente secolarizzato pubblicando e stampando per case editrici “intoccabili”». [3]

                                       

Il pensiero complesso
L’immaginario della contaminazione non solo favorisce le appartenenze ideologiche, ma specialmente esemplifica le posizioni concettuali. Poiché ci si rifugia tra eguali, è naturalmente facile l’impegno filosofico ed intellettuale di coloro che si circondano di eguali che puntualmente condividono la sua “opinione”. La paura della contaminazione va superata in nome della complessità, del pensiero che esige la presenza di posizioni plurime prima di concettualizzare l’argomentazione. La complessità è il segno distintivo della filosofia, essa necessariamente vuole che non si debba temere la dialettica, l’altro è nemico della filosofia se fa dell’ateismo nelle sue forme plurali l’unico facile obiettivo del suo filosofare:

«L’immaginario della contaminazione è di tipo religioso, e mi sembra che su questo non vi siano dubbi. In proposito, è quasi comico (anche se talvolta irritante) che i cosiddetti “laici” non sembrino sospettarlo, laddove si è qui di fronte ad uno dei casi più macroscopici di secolarizzazione imperfetta di una categoria religiosa precedente. Per quanto riguarda il caso Alain De Benoist, ritengo che questo immaginario della contaminazione debba essere ulteriormente “disaggregato” in due elementi, e cioè la contaminazione per un peccato originale irriscattabile, da un lato, e la contaminazione dovuta ad infiltrazione nello spazio storico della sinistra, considerata aprioristicamente luogo del bene, dall’altro».[4]

Filosofare non è paragonabile con l’abitudine alla chiacchiera colta. Filosofare significa utilizzare una chiara metodologia di ricerca. Nel caso di Costanzo Preve consiste in primis nel dialogo comunitario, sulla deduzione sociale delle categorie e sull’ontologia dell’essere sociale, modalità non contrattabili della metafisica previana:

«La pratica filosofica deve invece strutturarsi non sulla (impossibile) prevedibilità, oppure sulla (ancora più impossibile) scientificità, ma su tre solidi fondamenti: il carattere dialogico comunitario, la deduzione sociale delle categorie, e l’ontologia dell’essere sociale».[5]

Costanzo Preve ci ha consegnato e donato una importante eredità morale e filosofica: verità, complessità, libertà dalle conventicole che erigono muri di fango. La filosofia non ha il compito di rassicurare, anzi pone domande, ci invita a rinunciare alle facili risposte le quali sono il vero veicolo della violenza a cui la filosofia si oppone con la verità della parola.

 

[1] C. Preve – L. Grecchi, Marx e gli antichi greci, Petite Plaisance, Pistoia 2005, p. 28.

[2] C. Preve, Il significato di filosofia, Arianna editrice, 18/1/2013

[3] A. De Benoist – G. Giaccio, Dialoghi sul presente, controcorrente, Napoli 2005, pp. 75-76.

[4] C. Preve, Il paradosso De Benoist, Settimo Sigillo, Roma 2006, p. 20.

[5] C. Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia, Petite Plaisance, Pistoia 2013, p. 516.

Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.
Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare
Costanzo Preve (1943-2013) – Teniamo la barra del timone diritta in una prospettiva di lunga durata. La “passione durevole” per il comunismo coincide certo con il percorso della nostra vita concreta fatalmente breve, ma essa è anche ideale, nel senso che va al di là della nostra stessa vita.
Costanzo Preve (1943-2013) – Telling the truth about capitalism and about communism. The dialectic of limitlessness and the dialectic of corruption. Dire la verità sul capitalismo e sul comunismo. Dialettica dell’ illimitatezza, dialettica della corruzione.
Costanzo Preve (1943-2013) – Su laicismo, verità, relativismo e nichilismo
Costanzo Preve (1943-2013) – Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell’etica comunitaria come eteronomia.

Enrico Berti – «Scritti su Heidegger».

Enrico Berti, Scritti su Heidegger

Enrico Berti

Scritti su Heidegger

indicepresentazioneautoresintesi

Petite Plaisance

ISBN 978-88-7588-241-9, 2019, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [109].
In copertina: Statua in bronzo di Aristotele, ingresso della Albert-Ludwigs-Universität di Friburgo, Germania. In quarta di copertina: Paul Klee, Die Zeit, 1933.

Questo volume raccoglie alcuni fra i principali studi di Enrico Berti su Martin Heidegger. Il filosofo tedesco è stato infatti una presenza costante negli studi composti in questi decenni dallo studioso padovano, sovente in rapporto al pensiero di Aristotele. Con il suo consueto approccio “classico”, in questi saggi Berti non si limita a descrivere, ma valuta, ossia prende posizione, anche critica, nei confronti di colui che pure definisce come il maggiore pensatore del XX secolo.



Indice

 

Introduzione

Il nichilismo dellOccidente secondo Nietzsche, Heidegger e Severino

L’influenza di Heidegger sulla «riabilitazione della filosofia pratica»
Gadamer, o della «phronesis»
Ritter, ovvero dell’«ethos»
Hannah Arendt, o della «praxis»

Heideggers Auseinandersetzung mit dem

Platonisch-Aristotelischen Wahrheitsverständnis
Aristoteles
Platon
Abschluß

Heidegger and the Platonic Concept of Truth

Le passioni tra Heidegger e Aristotele
Appendice

Heidegger e il libro Epsilon della Metafisica di Aristotele
Prologo
Prime citazioni di Aristotele (Friburgo, 1921-1923)
Metaph. E negli anni di Marburgo (1923-1928): l’essere come verità
Metaph. E negli anni di Marburgo (1923-1928): essere ed ente
Metaph. E dopo il ritorno a Friburgo (1929): di nuovo l’essere come vero
Metaph. E dopo il ritorno a Friburgo: la metafisica come «ontologia»
Conclusione

***





Enrico Berti

Incontri con la filosofia contemporanea

Petite Plaisance

ISBN 88-7588-002-6, 2006, pp. 336, formato 140×210 mm., € 25,00 – Collana “Il giogo” [14]

indicepresentazioneautoresintesi

Il volume raccoglie più di venti saggi pubblicati dall’autore negli ultimi quindici anni e difficilmente reperibili, perché usciti in riviste a diffusione variabile e in atti di convegni accessibili per lo più ai soli partecipanti.
A differenza di altre raccolte dell’autore, che riuniscono saggi di carattere storico, questa contiene interventi di carattere prevalentemente teorico, suscitati da discussioni su filosofi contemporanei e con filosofi contemporanei. L’autore infatti è convinto che la ricerca storica e l’esercizio teorico della filosofia siano tra loro complementari e che non sia possibile praticare l’una delle due attività senza coltivare contemporaneamente anche l’altra.
I primi cinque saggi riguardano la dialettica, intesa nel senso antico del termine, che ha ritrovato una diffusa presenza nella filosofia contemporanea come tipo di argomentazione specificamente filosofica. I successivi sette saggi riguardano invece la metafisica, di cui viene presentata una versione in gran parte nuova, capace – secondo l’autore – di reggere il confronto con la filosofia contemporanea, sia nella sua versione ermeneutica e “continentale” che in quella analitica anglo-americana. Seguono altri sette saggi su temi di filosofia pratica, quali l’identità personale, l’idea di bene comune, i diritti umani e le pratiche filosofiche. Il volume si conclude infine con un’appendice di carattere parzialmente autobiografico, ma riguardante anche il problema dell’insegnamento della filosofia.

Qui di seguito sono riportati i riferimenti bibliografici
relativi ai saggi raccolti nel presente volume.

I
In tema di dialettica

Come argomentano gli ermeneutici?
“Filosofia ‘91”, a cura di G.  Vattimo, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 13-32.
La complessità della ragione
“Bollettino della Società Filosofica Italiana”, n. s. 154, gennaio-aprile 1995, pp. 27-40.
Logo e dialogo
“Studia Patavina”, 42, 1995, pp. 31-42.
La dialettica antica come modello di ragionevolezza
“Ars Interpretandi. Annuario di ermeneutica giuridica”, 7, 2002, pp. 17-28.
Il principio di non contraddizione: storia e significato
P. Bria e F. Oneroso (a cura), Bilogica e sogno. Sviluppi matteblanchiani sul pensiero onirico,
Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 22-32.

II
In tema di metafisica

Per una metafisica problematica e dialettica
“Acta philosophica”, 1, 1992, pp. 176-190 (anche in “Per la filosofia”, 9, 1992, pp. 3-15).
La via “dinamico-noologica” alla trascendenza divina
in S.  Biolo (a cura), Trascendenza divina. Itinerari filosofici, Contributi al XLVIII Convegno del Centro di Studi Filosofici di Gallarate, aprile 1993, Torino, Rosenberg & Sellier, 1995, pp. 57-71.
La prospettiva metafisica tra analitici ed ermeneutici
“Seconda navigazione – Annuario di filosofia 2000”, Milano, Mondadori, 2000, pp. 45-62.
Quale metafisica per il terzo millennio?
in Proceedings of the Metaphysics for the Third Millennium Conference (Rome, September 5-8, 2000), Editorial de la Universidad Tecnica Particular de Loja (Equador), 2001, vol. I, pp. 29-44.
Una metafisica (espistemologicamente) “debole”
“Annuario Filosofico”, 16, 2000, Milano, Mursia, 2001, pp. 27-41.
Metafisica debole?
in Quale metafisica?, “Hermeneutica”, n. s., 2005, pp. 39-52.
Dialogo su Aristotele
in A. Petterlini, G. Brianese, G. Goggi (a cura),
Le parole dell’Essere. Per Emanuele  Severino, Milano, Bruno Mondadori, 2005, pp. 75-90.

III
In tema di filosofia pratica
Sostanza e individuazione
in AA. VV., La tecnica, la vita, i dilemmi dell’azione
(“Seconda navigazione – Annuario di filosofia 1998”), Milano, Mondadori, 1998, pp. 143-160.
Dal personalismo all’identità personale
in A.  Bottani e N.  Vassallo (a cura),
Identità personale. Un dibattito aperto, Napoli, Loffredo, 2001, pp. 65-78).
Persona, scienza e tecnica
in G. Galeazzi e B. M. Ventura (a cura),
Filosofia e scienza nella società tecnologica, Milano, F. Angeli , 2004, pp. 171-183.
L’idea di bene comune tra “destra” e “sinistra”
in E. Berti e  S. Veca, La politica e l’amicizia, Roma, Edizioni Lavoro, 1998, pp 35-62.
Prudenza
in “Bollettino della Società Filosofica Italiana”, n. 159, settembre-dicembre 1966, pp. 15-24.
Attualità dei diritti umani
“Ars Interpretandi”, Annuario di ermeneutica giuridica, 6, 2001, pp. 79-91.
Pratiche filosofiche e filosofia pratica
“Ars interpretandi”, Annuario di ermeneutica giuridica, 10, 2005, pp. 313-328.

IV
Appendice
Autoritratto
“Bollettino della Società Filosofica Italiana”, n. s. 176, maggio-agosto 2002, pp. 9-12.
Pensare con la propria testa?
“Bollettino della Società Filosofica Italiana”, n. s. 192, maggio agosto 2004, pp. 76-88.
Aristotele nel Novecento
“Scuola e Cultura”, 3, 2005, pp. 22-27


 



Luca Grecchi

Il pensiero filosofico di Enrico Berti

Petite Plaisance, 2013

ISBN 978-88-7588-110-8, 2013, pp. 240, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [51].

indicepresentazioneautoresintesi

In questo libro è sintetizzata l’opera filosofica di uno dei maggiori pensatori italiani contemporanei, Enrico Berti. Teorizzatore della metafisica classica, studioso di Aristotele, storico della filosofia, Berti ha proposto, in oltre 50 anni di attività culturale ed accademica, soluzioni di grande originalità e valore non solo su temi filosofici, ma anche su temi etici, politici, educativi.
La monografia, impreziosita da un saggio finale dello stesso Berti, si pone come una prima introduzione complessiva al suo pensiero.

Indice

Presentazione di Carmelo Vigna

Introduzione

I. Biografia
II. L’interpretazione degli antichi e di Aristotele
III. La storia della filosofia
IV. L’etica e la filosofia pratica
V. La politica
VI. L’approccio classico alla educazione
VII. Religione
VIII. La metafisica
IX. La critica

Postfazione Enrico Berti
A proposito della critica

Principali pubblicazioni di Enrico Berti
Volumi
Curatele
Principali articoli

Indice dei nomi e delle opere




Pensieri, riflessioni, rimandi …

Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.
Enrico Berti – Per una nuova società politica
Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.
Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.
Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno
Enrico Berti – È risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica. Di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Anche le più famose negazioni di essa sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa.
Enrico Berti – Nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, ma deve costar caro […].

Pubblicati su You tube e  … altrove

Enrico Berti – La natura del bello nel pensiero di Aristotele
Enrico Berti, L’etica in Aristotele

Enrico Berti, Aristotele e la “philia”

Incontro di studio con Enrico Berti – 13 giugno 2017

Enrico Berti, La Dottrina delle idee in Platone

Enrico Berti, Heidegger e l’etica aristotelica

Enrico Berti, La giustizia nella filosofia antica

Enrico Berti, Logos e techne nellafilosofia antica

Il realismo di Aristotele: vecchio o nuovo?

Enrico Berti, Aristotele, “Politica”

Enrico Berti, Dialogando

Enrico Berti, Intervista

Enrico Berti, Relazione al Convegno “Dio come essere”? Metafisiche classiche e analitiche

Enrico Berti, Relazione al “Festival della Filosofia” del 2 settembre 2018

Enrico Berti, Leggere Heidegger

Enrico Berti, L’ontologia aristotelica e analitica

Enrico Berti, Lectio magistralis, in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Accademico 2015-16 del Corso di Laurea in Filosofia dell’Università del Salento

Enrico Berti, L’etica delle virtù e l’educazione del futuro

Enrico Berti, La metafisica di Aristotele e il principio di non contraddizione

Enrico Berti, Sulla Metafisica (Filosofia prima) di Aristotele

Enrico Berti, Che cosa è la logica aristotelica?

Enrico Berti, Le prove della esistenza di Dio nella filosofia classica



Tra i molti libri pubblicati da Enrico Berti

La filosofia del primo Aristotele
(Univ. di Padova. Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia, vol. XXXVIII), 1962.


La filosofia del primo Aristotele, Cedam, 1962.


Il “De re publica” di Cicerone e il pensiero politico classico, Padova, Cedam, 1963.


L’unità del sapere in Aristotele, Cedam, 1965.


Studi aristotelici, Japadre, 1975.


Aristotele. Dalla dialettica alla filosofia prima, Cedam, 1977


Profilo di Aristotele, Studium, 1979.


I percorsi della filosofia, vol. I. Il pensiero antico e medioevale (con Sergio Moravia), Le Monnier, 1980.


I percorsi della filosofia. Il pensiero moderno e contemporaneo (con Sergio Moravia), Le Monnier, 1980.


Profilo di Aristotele, Nuova Universale Studium, 1985.


Contraddizione e dialettica negli antichi e nei moderni, L’Epos, 1987.


Il pensiero d’Occidente. Pagine e testimonianze (con Sergio Moravi), Le Monnier, 1987.


Le vie della ragione, il Mulino, 1987.


 


Le ragioni di Aristotele, Laterza, 1989.


Storia della filosofia. Antichità e medioevo, Laterza, 1991.


Aristotele nel Novecento, Laterza, 1992.


Persona e personalismo (con Georges Cottier e Giannino Piana), Gregoriana Editrice, 1992.


Etica, cultura e partecipazione politica (con Alberto Monticone), AVE, 1993

Il volume riflette l’esigenza di un approfondimento dei rapporti che intercorrono tra etica, cultura e partecipazione politica. Nel volume si delineano alcuni caratteri fondamentali della nostra vita civile: il sistema democratico, la concezione personalista e solidaristica quale fondamento della convivenza civile e dell’organizzazione sociale e politica del nostro Paese, la possibilità per le culture di ispirazione cristiana e per il movimento cattolico di dare un proprio contributo all’evoluzione della vita sociale e politica. L’impegno dell’Azione Cattolica resta quello per la formazione di un laicato adulto nella fede, capace di servizio e testimonianza in ogni ambito della propria vita ma anche quello di promuovere quotidianamente una cultura radicata nei valori del Regno e nei principi della centralità della persona umana e del bene comune.


Introduzione alla metafisica, Utet-Libreria, 1993.


Soggetti di responsabilità. Questioni di filosofia pratica, Edizioni Diabasis, 1993.


Aristotele, Il libro primo della «Metafisica» (a cura di E. Berti e C. Rossiitto), Laterza, 1995.


Aristotele, Laterza, 1997.

Rifacendosi in particolare ad un’analisi diretta della Politica e dell’Etica Nicomachea, i cui testi sono ampiamente antologizzati, e confrontandosi con il dibattito critico più recente, Berti illustra tutti i temi fondamentali del pensiero politico aristotelico, come ad es. il concetto di polis, o la vagheggiata «città felice». Né manca un’analisi in parallelo con le teorie di Platone. A differenza di altri studi pubblicati in Italia sul pensiero politico di Aristotele, che hanno un carattere parziale o un’impronta ideologica, il saggio introduttivo di Berti si distingue anche per la capacità di stabilire un dialogo continuo tra esso e il pensiero politico moderno e soprattutto contemporaneo.


Aristóteles no século XX, trad. D. Davi Macedo, São Paulo, Brasil, Edi. Loyola, 1997.


La filosofia del “primo” Aristotele, Vita e Pensiero, 1997.


As razões de Aristóteles, Ed. Loyola, 1998.

Esta obra configura uma intervenção autorizada no atual debate sobre o pensamento débil e a crise da razão, por sua capacidade de relacionar aos temas da filosofia contemporânea a aguda análise de um momento culminante na história da filosofia: o pensamento de Aristóteles.


La politica e l’amicizia (con Salvatore Veca), Edizioni Lavoro, 1998.

La politica e l’amicizia sembrano essere distanti l’una dall’altra: mentre la politica si orienta verso una condivisione più ampia possibile, l’amicizia evoca prospettive più intime, private, e dunque escludenti. Enrico Berti e Salvatore Veca intendono guidare, da angolature differenti, una riflessione sulla possibilità di un incontro fra politica e amicizia.


Novos estudos aristotélicos I – Epistemologia, lógica e dialética, 1999.

Nesta obra, encontram-se ensaios sobre a contradição, a dialética e a argumentação na obra do Estagirita, além de estudos sobre a dialética em Zenão, em Górgias e em Platão, com o objetivo de evidenciar a contribuição que deram à formação do pensamento de Aristóteles.


La navicella della metafisica.
Dibattito sul nichilismo e la “Terza navigazione”
(con altri), Armando editore, 2000.


Marino Gentile nella filosofia del Novecento, EDS, 2003.


Aristotele. Dalla dialettica alla filosofia prima. Con saggi integrativi, Bompiani, 2004.

Quest’opera, pubblicata originariamente nel 1977, è uno dei più importanti lavori di Berti. Essa si può considerare sia uno studio introduttivo ad Aristotele, di cui si passano in rassegna la vita, le opere, l’ambiente accademico e l’insegnamento, ma anche e soprattutto un saggio teoretico sulle costanti del pensiero metafisico: le idee, le categorie, i princìpi primi, le quattro cause, l’essere e il divenire. Il volume è arricchito da una serie di saggi dell’autore che completano il quadro della “filosofia prima” di Aristotele.


Aristotele. Eubulo o della richezza. Dialogo perduto contro i governanti ricchi, Guida, 2004.

Il dialogo qui presentato è la ricostruzione immaginaria di un dialogo perduto di Aristotele, intitolato Della ricchezza, del quale si sono conservate solo tre citazioni. Si tratta chiaramente di un falso, confezionato tuttavia secondo criteri di verosimiglianza, cioè sulla scorta di notizie storiche accertate sull’Atene dell’epoca e sulle vite dei personaggi in esso coinvolti, nonché di brani tratti dalle opere conservate di Platone e di Aristotele. Il dialogo ha luogo nell’Accademia platonica, nell’anno 350 a. C., cioè tre anni prima della morte di Platone, e ha come personaggi Platone, lo stesso Aristotele, Speusippo, Senocrate e Teofrasto. Nella finzione esso porta come titolo Eubulo, nome di un imprenditore, noto soprattutto per la sua ricchezza, che realmente governò Atene a quel tempo.


Filosofia pratica, Guida, 2004.

L’espressione “filosofia pratica” compare per la prima volta in Aristotele e in contrapposizione a quella teoretica: mentre quest’ultima ha per fine la verità ossia la conoscenza di come e di perché le cose stanno in un certo modo, la filosofia pratica ha per fine l’opera, cioè mira a conoscere e a rendere possibile un certo tipo di azione, in particolare l’azione buona e quindi tende a rendere migliore colui che agisce. Quindi il fine, lo scopo della filosofia pratica è il tentativo di raggiungere la perfezione dell’uomo stesso.


Nuovi studi aristotelici, vol. 1: Epistemologia, logica e dialettica, Morcelliana, 2004.

Il volume è il primo di un’opera che raccoglierà in quattro volumi l’insieme degli scritti di uno fra i maggiori specialisti della logica e della dialettica di Aristotele.


Aristotele. Il primo libro della «Metafisica» (con C. Rossitto), Laterza, 2005.


Nuovi studi aristotelici. 2 – Fisica, antropologia e metafisica, Morcelliana, 2005.

Il secondo volume degli studi aristotelici, dedicato a metafisica, fisica e antropologia, scritto dal maggior specialista italiano di Aristotele. Un libro che è una vera e propria introduzione alla “Metafisica” di Aristotele. L’Autore insegna storia della filosofia all’Università di Padova.


 

Soggetti di responsabilità. Questioni di filosofia pratica, Diabasis, 2005.


Incontri con la filosofia contemporanea, Petite Plaisance, 2006.

Il volume raccoglie più di venti saggi pubblicati dall’autore negli ultimi quindici anni e difficilmente reperibili, perché usciti in riviste a diffusione variabile e in atti di convegni accessibili per lo più ai soli partecipanti.
A differenza di altre raccolte dell’autore, che riuniscono saggi di carattere storico, questa contiene interventi di carattere prevalentemente teorico, suscitati da discussioni su filosofi contemporanei e con filosofi contemporanei. L’autore infatti è convinto che la ricerca storica e l’esercizio teorico della filosofia siano tra loro complementari e che non sia possibile praticare l’una delle due attività senza coltivare contemporaneamente anche l’altra.
I primi cinque saggi riguardano la dialettica, intesa nel senso antico del termine, che ha ritrovato una diffusa presenza nella filosofia contemporanea come tipo di argomentazione specificamente filosofica. I successivi sette saggi riguardano invece la metafisica, di cui viene presentata una versione in gran parte nuova, capace – secondo l’autore – di reggere il confronto con la filosofia contemporanea, sia nella sua versione ermeneutica e “continentale” che in quella analitica anglo-americana. Seguono altri sette saggi su temi di filosofia pratica, quali l’identità personale, l’idea di bene comune, i diritti umani e le pratiche filosofiche. Il volume si conclude infine con un’appendice di carattere parzialmente autobiografico, ma riguardante anche il problema dell’insegnamento della filosofia.


Struttura e significato della “Metafisica” di Aristotele, Edusc, 2006.


Aristotele e l’ontologia (con Bruno centrone e Paolo Fait), Alboversorio, 2007.

Le tesi di Aristotele rappresentano un punto di riferimento imprescindibile per chiunque si occupi di ontologia. Da lui, infatti, derivano gran parte dei termini ancora oggi utilizzati e dei problemi su cui non si è mai smesso di discutere. Questo libro permette, al lettore interessato, di avvicinarsi ad alcune prospettive contemporanee sull’argomento espresse da alcuni dei maggiori studiosi italiani.


Introduzione alla metafisica, Utet università, 2007.


Storia della filosofia. Dalla’antichità ad oggi.
Con materiali per il docente.
Ediz. compatta. Con espansione online. Per le Scuole superiori (con Franco Volpi), Laterza, 2007.


Antologia di filosofia. Dall’antichità ad oggi.
Con espansione online. Per le Scuole superiori (con Cristina Rossitto e Franco Volpi), Laterza, 2008.


Aristotele nel Novecento, Laterza, 2008.

La filosofia di Aristotele è un caso forse unico, nella storia, di “sistema aperto”, cioè di filosofia che è un vero sistema, dotato di una grande differenziazione interna, ma anche di una certa unità; ed è anche un sistema aperto, suscettibile di continue integrazioni, anzi di molteplici usi, data la sua grande versatilità, attestata da una fortuna tra le più longeve che mai si siano date e da una presenza massiccia nella stessa filosofia del Novecento. A essa si possono attingere concetti, categorie, distinzioni, dottrine, adoperabili per gli usi più svariati, nelle più diverse direzioni, sia filosofiche che scientifiche, sia teoretiche, cioè logico-metafisiche, che pratiche, cioè etico-politiche, per non parlare degli usi a fini poetici e retorici. Ma questi concetti, distinzioni, dottrine funzionano, cioè rispondono allo scopo per cui vengono impiegati, solo se sono utilizzati nel rispetto del loro significato originario. Si tratta di una coerenza non rigida, ma elastica, di una logica non monolitica, ma articolata e duttile, Dall’esistenzialismo di Heidegger alla filosofia pratica di Gadamer, dalla “nuova retorica” di Perelman e Toulmin alla nuova scienza di Prigogine e Jacob, alla nuova epistemologia di Kuhn e Feyerabend, Enrico Berti ritrova le tracce dell’inesauribile forza del pensiero aristotelico.


Dialectique, physique et métaphysique. Études sur Aristote, Éditions Peeters, 2008.

This volume contains around twenty articles, many of them already published elsewhere, but translated into French for the first time. They all deal with the dialectics, the physics and the metaphysics of Aristotle.


Aristotele, Protreptico. Esortazione alla filosofia (a cura di), Utet, 2008.


In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, Laterza, 2008.

La meraviglia è consapevolezza della propria ignoranza e desiderio di sottrarvisi, cioè di apprendere, di conoscere, dI sapere. Ecco perché proprio la meraviglia, secondo Aristotele, è l’origine della filosofia, ovvero della ricerca disinteressata di sapere. Stato d’animo raro e prezioso, la meraviglia è la sola espressione della vera libertà. Enrico Berti rilegge il pensiero dei grandi filosofi della classicità e costruisce un percorso attraverso le domande senza tempo che la filosofia occidentale ha continuato a porsi, formulate per la prima volta dai Greci.


Nuovi studi aristotelici. Vol. 3 Filosofia pratica, Morcelliana, 2008.

Il presente volume, terzo della serie dei Nuovi studi aristotelici, raccoglie gli scritti concernenti la “filosofia pratica” di Aristotele, contenuta nelle due Etiche autentiche (Nicomachea e Eudemea), e la filosofia politica, contenuta nella Politica. Come è noto, per Aristotele queste ultime due discipline sono parti di un’unica scienza, da lui chiamata più volte “scienza politica” e, almeno una volta, “filosofia pratica”. Perciò non ho diviso il volume in sezioni, come invece ho fatto nei volumi precedenti. Ho scelto, come sottotitolo dell’intera raccolta, “filosofia pratica”, perché questa espressione è diventata attuale dopo la cosiddetta “riabilitazione (o rinascita) della filosofia pratica”, movimento sviluppatosi nel corso degli anni Settanta del Novecento e ancora non del tutto esaurito.(dalla Prefazione)


Ser y tiempo en Aristótele, Editorial Biblios, 2008.

Enrico Berti, uno de los más reconocidos especialistas de Aristóteles, introduce este libro con una reseña de la presencia de Aristóteles en la Contemporánea. Luego desarrolla una exposición clara y profunda de la postura aristotélica, que va desde el tiempo cósmico de la Física hasta el tiempo humano de la Poética y la Ética. En el recorrido que realiza también visita la Metafísica, pero también obras menos transitadas, como De la memoria y la reminiscencia. Además, confronta la postura de Aristóteles con uno de los trabajos más determinantes de la Contemporánea: Ser y tiempo de Martin Heidegger.

Enrico Berti (1935) es profesor emérito de la Universidad de Padua. Enseñó filosofía en las universidades de Perugia, Padua, Ginebra, Bruselas y Lugano. Ha sido presidente nacional de la Sociedad Filosófica italiana, vicepresidente del Institut International de Philosophie y de la Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie. Es socio nacional de la Accademia dei Lincei y miembro de la Pontificia Academia de las Ciencias.


Struttura e significato della “Metafisica” di Aristotele, Edusc, 2008.

La Metafisica è l’opera più famosa di Aristotele. Si tratta degli appunti che Aristotele preparava per le sue lezioni all’interno del Peripato. Lo Stagirita pone qui i problemi fondamentali sull’essere e sul perché del divenire ricercandone le cause e i principi primi.


En el principio era la maravilla. Las grandes preguntas de la filosofía antigua,
traducción de Helena Aguilà, Madrid, Editorial Gredos, 2009.


Nuovi studi aristotelici.
Vol. 4\1. L’influenza di Aristotele. Antichità, Medioevo e Rinascimento, Morcelliana, 2009.

Il libro vuole essere un contributo allo studio della cosiddetta tradizione aristotelica, dell’influenza esercitata da Aristotele sull’intera storia della cultura “occidentale” (termine nel quale va compresa anche la cultura islamica). Tale influenza è stata sia di tipo positivo, nel senso che le dottrine di Aristotele sono state accolte, interpretate e trasformate dai filosofi posteriori, sia di tipo negativo, nel senso che esse sono state oggetto di critiche e spesso di dure polemiche, ma anche in questo caso hanno condizionato le filosofie posteriori. Del primo tipo è l’influenza esercitata da Aristotele sugli aristotelici: su Teofrasto, Aspasio, Alessandro di Afrodisia, Porfirio, i filosofi arabi ed ebrei, Tommaso d’Aquino, Marsilio da Padova, Giacomo Zabarella, William Harvey. Del secondo tipo è invece l’influenza esercitata da Aristotele sui suoi “avversari”: l’epicureo Filodemo di Gadara, Plotino, Bonaventura da Bagnoregio, Niccolò Cusano, Galileo Galilei. Un caso particolare è costituito dal rapporto tra la filosofia di Aristotele e il primo cristianesimo, emblematicamente rappresentato dal discorso di san Paolo agli Ateniesi, dove l’influenza di Aristotele è ravvisabile nel contributo da lui dato alla formazione di quel concetto di “Dio dei filosofi” che Paolo ripropone consapevolmente agli Ateniesi, ma al fine di integrarlo e superarlo nella rivelazione cristiana.


A partire dai filosofi antichi  (con Luca Grecchi), Il Prato, 2010.

I problemi filosofici esaminati vengono presentati nella forma di una discussione avvincente che rievoca l’andamento dei dialoghi platonici, in cui la verità emerge dal movimento del discorso che, nel suo correre incessantemente da un interlocutore all’altro, si fa «dia-logo» nel senso più alto. Del resto, i temi trattati dai due autori sono tra i più importanti tra quelli su cui si è andata formando la civiltà occidentale: il valore veritativo della filosofia, il rapporto tra fede e sapere, la morale, l’educazione, il ruolo dell’uomo, la libertà, la politica, la morte, l’ontologia, la metafisica, la critica, e moltissimi altri ancora. Ad accomunare, nel libro, questi temi così vasti ed eterogenei è il punto di partenza da cui ciascuno di essi viene sviluppato: il mondo dell’antica filosofia greca, concepita sia da Berti sia da Grecchi come fonte originaria delle «domande fondamentali» dell’uomo occidentale e come tentativo di elaborazione di alcune grandiose soluzioni che continuano a esercitare un fascino intramontabile. La filosofia greca fa da sfondo anche alle considerazioni svolte da Berti e da Grecchi intorno al pensiero di Kant, di Hegel e di Marx. A partire, appunto, dai «filosofi antichi», i due studiosi ripercorrono in maniera dialogica, anche attraverso la cinquantennale esperienza accademica di Enrico Berti, i nodi maggiori della tradizione filosofica e le problematiche fondamentali del nostro presente.


Nuovi studi aristotelici.
Vol. 4/2. L’influenza di Aristotele. L’età moderna e contemporanea, Morcelliana, 2010.

l secondo tomo del volume dedicato all’influenza di Aristotele comprende saggi relativi all’età moderna e all’età contemporanea. Per l’età moderna è evidente la persistenza della filosofia pratica di Aristotele, la quale, dopo essersi eclissata nell’antichità ellenistica e nella tarda antichità, ed essere stata riscoperta nel medioevo, sia musulmano che ebraico e cristiano, sopravvive nel Seicento e nel Settecento, soprattutto in Germania.Per quanto riguarda l’Ottocento i saggi riguardano la critica di Hegel al principio di non contraddizione, e l’influenza di Aristotele sui critici di Hegel: Feuerbach, Trendelenburg, Marx e Kierkegaard. Per la Germania è anche massiccia l’influenza di Aristotele su Brentano e, attraverso di lui, su tutti i suoi discepoli, da Husserl a Meinong, a Twardowski, a Freud. Interessante è anche il rapporto intrattenuto con Aristotele da Paul Natorp, che ebbe ad influenzare, insieme con la dissertazione di Brentano, Martin Heidegger.I capitoli dedicati all’età contemporanea illustrano la presenza di Aristotele in Heidegger e nella filosofia analitica inglese, ovvero nell’analisi del linguaggio ordinario condotta da J. Austin, G. Ryle, P. Strawson, D. Wiggins e altri. Indi illustrano la cosiddetta riabilitazione della filosofia pratica, prima in Germania, ad opera di filosofi come H.-G. Gadamer e J. Ritter, e poi negli USA, ad opera di A. MacIntyre, H. Jonas, Martha C. Nussbaum.


Profilo di Aristotele, Studium, 2010.

La filosofia di Aristotele, pur avendo dominato per circa due millenni la cultura occidentale ed essendo di conseguenza stata oggetto di innumerevoli contestazioni, continua a rappresentare un punto di riferimento obbligato nel dibattito filosofico odierno. Recentemente si è anzi dovuta registrare una vera a propria Aristoteles-Renaissance, che ha diffuso ed aumentato l’interesse per questo pensatore nei settori più diversi della vita culturale. All’Aristotele considerato tradizionalmente padre della sillogistica e della teologia razionale si è affiancato e spesso sostituito un Aristotele nuovo, maestro di filosofia del linguaggio, di dialettica, di metodologia della ricerca scientifica, di fenomenologia ontologica, ma soprattutto di filosofia pratica (etica e politica). Questo rinnovato interesse non è stato tuttavia sempre accompagnato da una conoscenza diretta, sufficientemente completa e veramente spregiudicata, delle sue opere. Questo libro delinea, sia pure in modo succinto, tutti i principali aspetti sia della personalità sia del pensiero del filosofo greco, facendoli emergere direttamente dai testi e ponendoli continuamente a confronto con la problematica filosofica attuale.


Sumphilosophein. La vita nell’Accademia di Platone, Laterza, 2010.

Cosa accadeva nell’Accademia di Platone? Di che si discuteva? Quali idee vi sono nate? E come vi sono nate? Quale valore ha avuto questa scuola fondata e diretta da un filosofo della grandezza di Platone e frequentata per vent’anni dal suo non meno famoso discepolo, Aristotele? Nata nel 387 a.C. come scuola di formazione degli uomini politici, l’Accademia fu in realtà la prima vera scuola di filosofia. Platone infatti riteneva che il politico debba essere anche filosofo, poiché deve conoscere che cosa è bene, giusto e utile alla città. Ma era una scuola anomala, in cui non c’erano solo un maestro che insegnava e degli allievi che apprendevano, ma una comunità di persone che cercavano insieme la verità nel campo delle scienze, della filosofia, dell’etica e della politica. A questa ricerca comune si riferisce Aristotele, che frequentò l’Accademia per vent’anni, quando nell’Etica Nicomachea scrive che quanti amano la filosofia desiderano “filosofare insieme” (sumphilosophein), cioè cercare la verità con gli amici. Il libro ricostruisce l’ambiente dell’Accademia, illustrandone il momento storico, il luogo fisico, le persone che la frequentavano, le strutture che la componevano, i dibattiti che vi si svolgevano. Ne risulta un quadro estremamente ricco, variegato e movimentato di posizioni filosofiche che restituisce lo spirito di ricerca comune, quella dialettica fatta di “domande, risposte e amichevoli confutazioni”, dalla quale sprizza la conoscenza del vero.


 

Invito alla filosofia, La Scuola, 2011.

Un libro per chiunque voglia accostarsi ad un sapere che parte dal sentimento della meraviglia per arrivare ad esercitare un uso consapevole della ragione. Un invito per chiunque sia alla ricerca di motivazioni (esistenziali, religiose, etiche, scientifiche, politiche) e voglia porre domande per scoprire la verità partendo da opinioni consolidate. Perché la filosofia, nel suo stesso modo di procedere dialettico-confutatorio, esalta l’essenza umana che si fonda sul ragionamento.


Preguntas de la filosofía antigüa, Tapa blanda, 2001.

Muchas de las grandes preguntas que la filosofía occidental ha seguido planteándose las formularon por primera vez los griegos. No todas, claro está. Por ejemplo, los griegos no se preguntaron cuáles eran, a priori, las condiciones del conocimiento, o qué leyes rigen la historia, o cómo indagar en el subconsciente del hombre y otras cosas por el estilo. Pero las preguntas que plantearon, a excepción de unas pocas (por ejemplo: ¿quiénes son los dioses?), son las mismas con las que se ha seguido enfrentando la filosofía occidental a lo largo de los siglos. Enrico Berti recorre el pensamiento de los grandes filósofos clásicos y traza un sorprendente itinerario a través de las preguntas sin tiempo que la filosofía occidental ha seguido planteándose y que los griegos formularon por primera vez: ¿Qué es el hombre? ¿Qué es la felicidad? ¿Quiénes son los dioses? ¿Cuál es nuestro destino?


Profilo di Aristotele, Studium, 2012.

La filosofia di Aristotele, pur avendo dominato per circa due millenni la cultura occidentale ed essendo di conseguenza stata oggetto di innumerevoli contestazioni, continua a rappresentare un punto di riferimento obbligato nel dibattito filosofico odierno. Recentemente si è anzi dovuta registrare una vera a propria Aristoteles-Renaissance, che ha diffuso ed aumentato l’interesse per questo pensatore nei settori più diversi della vita culturale. All’Aristotele considerato tradizionalmente padre della sillogistica e della teologia razionale si è affiancato e spesso sostituito un Aristotele nuovo, maestro di filosofia del linguaggio, di dialettica, di metodologia della ricerca scientifica, di fenomenologia ontologica, ma soprattutto di filosofia pratica (etica e politica). Questo rinnovato interesse non è stato tuttavia sempre accompagnato da una conoscenza diretta, sufficientemente completa e veramente spregiudicata, delle sue opere. Questo libro delinea, sia pure in modo succinto, tutti i principali aspetti sia della personalità sia del pensiero del filosofo greco, facendoli emergere direttamente dai testi e ponendoli continuamente a confronto con la problematica filosofica attuale.


Studi aristotelici. Nuova edizione riveduta e corretta, Morcelliana, 2012.

Il dovere di introdurre, e con ciò di giustificare nella sua unità, la presente raccolta mi fornisce l’occasione più opportuna per riflettere sulle ricerche da me compiute in questi anni e anche per risalire alle origini del mio interesse per Aristotele, allo scopo di determinarne il più esattamente possibile il senso e l’orientamento generale. Uno dei fili conduttori dei miei lavori è la persuasione del valore classico, cioè perenne, e quindi anche attuale di certe istanze del pensiero aristotelico. Si tratta di una valutazione di ordine teoretico, o filosofico, che oggi, a causa dell’imperante storicismo e del conseguente relativismo, può sembrare, nel migliore dei casi, ingenua. Tuttavia è una persuasione a cui tengo particolarmente; non ho difficoltà infatti a confessare che, se non la possedessi, non riuscirei a dare alcun senso al lavoro fatto. Le ragioni del valore classico della metafisica antica si trovano nel rilevamento, da parte di Aristotele, di un’inadeguatezza tra il sistema platonico e il problema da cui ogni filosofo deve prendere le mosse, cioè la problematicità integrale e assoluta. Questa problematicità si esprime in un “domandare tutto”, che è insieme un “tutto domandare”, in una domanda che investe la totalità del reale e, per il fatto di escludere ogni precedente certezza, è integralmente domanda; e si identifica con la stessa esperienza intesa come conoscenza di tutto e insieme domanda della ragione di tutto.


Sumphilosophein. La vita nell’Accademia di Platone, Laterza, 2012.

Cosa accadeva nell’Accademia di Platone? Di che si discuteva? Quali idee vi sono nate? E come vi sono nate? Quale valore ha avuto questa scuola fondata e diretta da un filosofo della grandezza di Platone e frequentata per vent’anni dal suo non meno famoso discepolo, Aristotele? Nata nel 387 a.C. come scuola di formazione degli uomini politici, l’Accademia fu in realtà la prima vera scuola di filosofia. Platone infatti riteneva che il politico debba essere anche filosofo, poiché deve conoscere che cosa è bene, giusto e utile alla città. Ma era una scuola anomala, in cui non c’erano solo un maestro che insegnava e degli allievi che apprendevano, ma una comunità di persone che cercavano insieme la verità nel campo delle scienze, della filosofia, dell’etica e della politica. A questa ricerca comune si riferisce Aristotele, che frequentò l’Accademia per vent’anni, quando nell’Etica Nicomachea scrive che quanti amano la filosofia desiderano “filosofare insieme” (sumphilosophein), cioè cercare la verità con gli amici. Il libro ricostruisce l’ambiente dell’Accademia, illustrandone il momento storico, il luogo fisico, le persone che la frequentavano, le strutture che la componevano, i dibattiti che vi si svolgevano. Ne risulta un quadro estremamente ricco, variegato e movimentato di posizioni filosofiche che restituisce lo spirito di ricerca comune, quella dialettica fatta di “domande, risposte e amichevoli confutazioni”, dalla quale sprizza la conoscenza del vero.


Aristotele e la democrazia,
in C. Rossitto, A. Coppola, F. Biasutti (a cura), Aristotele e la storia, Padova, CLEUP, 2013.


Aristotele, La Scuola, 2013.

«Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Segno ne è l’amore per le sensazioni: essi amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità e, più di tutte, amano la sensazione della vista. In effetti, non solo ai fini dell’azione, ma anche senza avere alcuna intenzione di agire, noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensazioni. E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere più di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose». Metafisica, libro I.


The Classical Notion of Person and Its Criticism by Modern Philosophy,
in B. Babich and D. Ginev (eds.), The Multidimensionality of Hermeneutic Phenomenology, Heidelberg-New York-Dordrecht-London, Springer, 2013.


La phronêsis nella filosofia antica,
in A. Fidora, A. Niederberger, M. Scattola (eds.),
Phronêsis – prudentia – Klugheit. Das Wissen der Kluge in Mittelalter, Renaissance und Neuzeit, Fédération Internationale des Instituts d’Études Médiévales, Porto, 2013.


Mente e anima: due entità?,
in G. Erle (a cura), Il limite e l’infinito. Studi in onore di Antonio Moretto, Bologna, Archetipolibri, 2013.

La ricerca filosofica di Antonio Moretto segna una tappa fondamentale e innovativa all’interno della letteratura scientifica a proposito del rapporto tra filosofia e matematica. Questo vale in primo luogo, ma non solo, per una rinnovata comprensione della filosofia classica tedesca che rendeva necessario mostrare la rilevanza della conoscenza congiunta della storia e della teoria della matematica in autori come Kant e Hegel. Questi studi, assieme a quelli che egli ha dedicato a Descartes, Leibniz, Wolff, mostrano come i concetti matematici di finito e infinito racchiudano, nelle loro esigenze tecniche, un’urgenza profondamente umana, quella di dare senso, “mensurare” nell’accezione più ampia del termine. Sotto questo profilo, il passaggio per le scienze esatte nelle ricerche di Moretto non è affatto astratto, ma costituisce il necessario cammino verso quella che Kant avrebbe chiamato “la porta stretta”, varcata la quale meglio si comprendono anche le altre parti del sistema della filosofia, così come proprio Moretto ha dimostrato dedicandosi a discutere altresì questioni di etica, di filosofia della medicina, psicologia della percezione e, perché no?, della poesia di Albrecht von Haller. Coerentemente con questo percorso di ricerca, gli autori degli scritti che costituiscono questo volume si sono impegnati a mostrare la ricchezza di significati e valenze che i concetti di limite e di infinito possono assumere all’interno delle scienze filosofiche.


Una metafisica (epistemologicamente) «debole»,
n G. Riconda e C. Ciancio (a cura), Filosofi italiani contemporanei, Mursia, 2013.

Il volume presenta i risultati di un ciclo di seminari tenuti all’Università di Padova nel 2011 e 2012, all’interno del Progetto di Ateneo Filosofia e storia nel pensiero politico di Aristotele. Il tema generale è il ruolo della storia nel pensiero aristotelico, secondo le più ampie accezioni del termine. Innanzitutto che uso fa Aristotele dei dati storici, come e a qual fine li utilizza e qual è per lui il valore epistemologico della storia? Storia significa anche storiografia, cioè resoconto scritto dei fatti: possiamo capire il rapporto fra il filosofo e gli storici e tra la storiografia e la politica? I contributi qui raccolti aggiungono materia a queste riflessioni raccogliendo e confrontando punti di vista di storici dell’antichità e di storici della filosofia.


Aristotele,
in U. Eco (a cura), L’Antichità, 5. Grecia, Filosofia, EM Publishers srl., 2014.


Aristóteles. Pensamento dinàmico, Ideas Letras, 2014.

Neste volume, o leitor terá a oportunidade de conhecer o pensamento de Aristóteles, um dos maiores nomes da Filosofia na Antiguidade. A visão aristotélica é apresentada de modo sintetizado, por meio da análise das obras de Aristóteles, dos conceitos-chave de sua filosofia e seus desdobramentos na sociedade atual.


Il bene di chi? Bene pubblico e bene privato nella storia, Marietti, 2014.

Un affresco dell’intrecciarsi di bene pubblico e bene privato nella storia della civiltà occidentale. Enrico Berti fa comprendere le complesse radici culturali della situazione attuale e apre domande cruciali, da un lato sul destino e la sopravvivenza dello Stato e dall’altro sul fine dell’uomo e sulle condizioni di possibilità della vita sociale. Il libro è arricchito da un dialogo sul tema tra l’autore e i partecipanti alla “Lectio Magistralis” tenuta nel corso di una delle sessioni del 2013 della Winter School, centro di studi sociali, culturali e politici. Prefazione di Giovanni Maddalena.


Il luogo dei corpi secondo Aristotele,
in Lessico Intellettuale Europeo, Locus-spatium. XIV Colloquio Internazionale,
a cura di D. Giovannozzi e M. Veneziani, Olschki, 2014


La ricerca della verità in filosofia, Studium, 2014.

La verità è oggi temuta come una forma di violenza, specialmente da parte dei filosofi post-moderni. Questo timore spesso è dovuto a una concezione ideologica della verità come valore assoluto da imporre a tutti, mentre esso è del tutto ingiustificato rispetto alla concezione classica della verità, non riducibile alla teoria della verità come corrispondenza. In base alla teoria classica si danno diversi tipi di verità, verità di fatto e verità di ragione, verità storiche e verità scientifiche, verità di fede e verità poetiche: alcune facili da scoprire, altre implicanti complesse e faticose ricerche. In filosofia la ricerca della verità avviene in modi diversi, secondo il tipo di filosofia che si pratica, che può essere trascendentale, dialettico, fenomenologico, analitico-linguistico, ermeneutico, dialogico-confutativo. Un caso di ricerca della verità in filosofia è costituito dalla metafisica, intesa non nel senso tradizionale di ontologia o teologia razionale, bensì come metafisica problematica e dialettica, epistemologicamente debole ma logicamente forte. Esiste anche una verità pratica, che riguarda non la legge morale, ma il desiderio della felicità intesa come pieno sviluppo della persona umana, nel singolo individuo e nella polis.


Prologo a L. E. Varela, Filosofía práctica y prudencia. Lo universal y lo particular en la ética de Aristóteles, Editorial Biblos, 2014.

El trabajo se sostiene en un conocimiento completo y perfecto de toda la obra de Aristóteles concerniente a la ética, no sólo a la Ética nicomaquea y a la Ética eudemia, sino también a la Gran Ética y al Protréptico. Los textos de estas obras son analizadas de manera precisa y rigurosa, y el análisis de ellos es siempre acompañado por una discusión de las interpretaciones suministradas por la literatura crítica, con la cual Varela está constantemente en diálogo. De ello resulta una contribución de gran claridad, equilibrio, riqueza de información y de profundización, que lo hace extremadamente útil para una relectura y una valoración nueva, plenamente satisfactoria, de la ética aristotélica. 

Luis Enrique Varela. Doctor en Filosofía (Universidad del Salvador). Es actualmente profesor de Ética y de Metafísica en la Universidad Nacional de Mar del Plata. Asimismo, dicta Historia de la Filosofía Antigua en la carrera del Doctorado en Filosofía, y Ética dentro de la enseñanza de grado en la Universidad Nacional de Lanús. Dirige proyectos de investigación en temas de filosofía práctica y de metafísica tanto en la UNMDP como en la UNLA. También se desempeña como profesor de Historia de la Filosofía Antigua y del Seminario de Filosofía Práctica I en la carrera de filosofía de la Universidad de Ciencias Empresariales y Sociales (UCES). Además dicta materias de filosofía en la carrera de Filosofía del Instituto Superior del Profesorado “Joaquín V. González”.Como director del Círculo de Actualización en Filosofía de la Fundación Descartes, organizó junto con Germán García el “Encuentro Internacional Descartes 400” (1996) y “Lacan y la cultura filosófica” (2001).Es autor de numerosos

Enrico Berti (1935) es profesor emérito de la Universidad de Padua. Enseñó filosofía en las universidades de Perugia, Padua, Ginebra, Bruselas y Lugano. Ha sido presidente nacional de la Sociedad Filosófica italiana, vicepresidente del Institut International de Philosophie y de la Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie. Es socio nacional de la Accademia dei Lincei y miembro de la Pontificia Academia de las Ciencias.


What Remains of Aristotle’s Metaphysics Today?,
in C. Baracchi (ed.), The Bloomsbury Companion to Aristotle, Bloomsbury, 2014.

Aristotle is one of the most crucial figures in the history of Western thought, and his name and ideas continue to be invoked in a wide range of contemporary philosophical discussions. The Bloomsbury Companion to Aristotle brings together leading scholars from across the world and from a variety of philosophical traditions to survey the recent research on Aristotle’s thought and its contributions to the full spectrum of philosophical enquiry, from logic to the natural sciences and psychology, from metaphysics to ethics, politics, and aesthetics. Further essays address aspects of the transmission, preservation, and elaboration of Aristotle’s thought in subsequent phases of the history of philosophy (from the Judeo-Arabic reception to debates in Europe and North America), and look forward to potential future directions for the study of his thought.
In addition, The Bloomsbury Companion to Aristotle includes an extensive range of essential reference tools offering assistance to researchers working in the field, including a chronology of recent research, a glossary of key Aristotelian terms with Latin concordances and textual references, and a guide to further reading.

List of Contributors \ Acknowledgments \ Corpus Aristotelicum \ “Introduction: Paths of Inquiry” Claudia Baracchi \ Part I: Questions \ 1. Logos \ Saying What One Sees, Letting See What One Says: Aristotle’s Rhetoric and the Rhetoric of the Sophists Barbara Cassin \ Aristotelian Definition: On the Discovery of Archai Russell Winslow \ 2. Phusis \ Aristotle on Sensible Objects: Natural Things and Body Helen Lang \ On Aristotle’s Formula: Physics IV. 11, 14 Rémi Brague \ 3. Psuchê \ Phantasia in De Anima Eric Sanday \ Mind in Body in Aristotle Erick Raphael Jiménez \ The Hermeneutic Slumber: Aristotle’s Reflections on Sleep Marcia Sá Cavalcante Schuback \ 4. Philosophia Prôtê \ First Philosophy Alejandro Vigo \ First Philosophy and the History of Being in Aristotle’s Metaphysics Spyridon Rangos \ 5. Êthos \ Aristotle on Human Nature and the Foundations of Ethics, with an “Addendum” Martha C. Nussbaum \ The Visibility of Goodness Pavlos Kontos \ To Kakon Pollachôs Legetai: The Poly-vocity of the Notion of Evil in Aristotelian Ethics Arianna Fermani \ 6. Polis \ Education: The Ethico-Political Energeia Michael Weinman \ 7. Poiêsis \ Toward the Sublime Calculus of Aristotle’s Poetics Kalliopi Nikolopoulou \ Part II: Disseminations \ Aristotle on the Natural Dwelling of Intellect Idit Dobbs-Weinstein \ The Peripatetic Method: Walking with Woodbridge, Thinking with Aristotle Christopher Long \ What Remains of Aristotle’s Metaphysics Today? Enrico Berti \ Would Aristotle Be a Communitarian? Pierre Aubenque \ Glossary (Erick Raphael Jiménez) \ Chronology of Recent Research (Benjamin J. Grazzini) \ Bibliography (Erick Raphael Jiménez) \ Resources (Benjamin J. Grazzini and Erick Raphael Jiménez) \ Sources of Translated/Reprinted Essays \ General Index


Contraddizione e dialettica negli antichi e nei moderni, Morcelliana, 2015.

“Contraddizione” e “dialettica” sono due delle categorie costitutive della filosofia, fin dalla sua nascita nella Grecia del V secolo. Nei capitoli che sono idealmente una storia del pensiero occidentale – il lettore trova la chiara e puntuale ricostruzione dei tanti significati assunti da “contraddizione”, “non contraddizione”, “dialettica” tra Parmenide, Eraclito, Socrate, Platone e Aristotele, tra Kant e Hegel, tra Marx, Popper e la logica contemporanea. Sono categorie in cui è in gioco non solo il rigore della ragione: nella possibilità o no di superare il principio di non contraddizione è in questione la cosa stessa del pensiero. Considerando che lo stesso principio di non contraddizione si dice in più modi. Temi cui Enrico Berti ha dedicato più di cinquant’anni di studi, e che trovano qui un compendio.


È bene definire il bene?, Orthotes, 2015.

Il punto di partenza assunto nel saggio è la definibilità del bene, una volta che ci si occupi di esso non in quanto assoluto e irraggiungibile, ma piuttosto vedendolo come bene umano, praticabile e realizzabile. Come tale, esso è l’oggetto delle aspirazioni umane e concretamente indicato nei diritti fondamentali, nelle varie libertà e nei diritti politici, che documenti ufficiali hanno ormai sancito. Da Aristotele fino alla sua ripresa da parte di Martha Nussbaum, la felicità, per quanto fragile, si sostanzia proprio di questi beni, che possono essere presentati come vere e proprie “capacità”. Completa il testo un intervento di Berti sull’Etica nicomachea di Aristotele, da cui emerge il carattere pratico di una filosofia che punti a definire che cos’è il bene, ossia aristotelicamente la felicità, per l’uomo.


Aristotelismo, il Mulino, 2017.

A partire dagli autori fondativi, le diverse correnti di pensiero vengono caratterizzate attraverso l’esposizione dei loro temi portanti e delle figure in cui si sono concretati.


Guida ad Aristotele.
Logica, Fisica, Cosmologia, Psicologia, Biologia, Metafisica, Etica, Politica, Poetica, Retorica
, Laterza, 2017.

Un manuale in cui i maggiori studiosi di Aristotele analizzano e descrivono in modo sistematico e completo il pensiero del filosofo, attraverso le singole opere, seguendo un metodo rigorosamente storico, senza interpretazioni ideologiche o di parte.


Introduzione alla metafisica,
seconda edizione, UTET, 2017.

La nuova edizione dell’Introduzione alla metafisica di Enrico Berti ripropone la concezione originale della metafisica che l’Autore va presentando da anni, la quale ha suscitato l’interesse degli studiosi di filosofia, come dimostrano le traduzioni dell’opera in altre lingue. Essa contiene alcune correzioni rispetto all’edizione precedente, dovute a ulteriori studi, e soprattutto è corredata da cinque appendici, costituite da altrettanti articoli sul tema, pubblicati dall’Autore negli anni più recenti. L’opera comprende una parte storica, che illustra le diverse forme di metafisica elaborate nella filosofia occidentale, e una parte teoretica, che difende le ragioni di un certo tipo di metafisica, caratterizzata come «metafisica dell’esperienza», sviluppando gli spunti forniti in questa direzione dalla «scuola padovana» facente capo a Marino Gentile. Nel complesso si tratta di una delle rare proposte italiane di una filosofia autenticamente metafisica, in linea con la grande tradizione della «metafisica classica» di ispirazione aristotelica, ma al tempo stesso essenzializzata e aggiornata in modo da tenere conto delle critiche e delle esigenze del pensiero contemporaneo. Il rifiorire di interesse per la metafisica, manifestatosi soprattutto nell’ambito della filosofia analitica, conferma l’attualità dell’opera.


Tradurre la “Metafisica” di Aristotele, Morcelliana, 2017.

«Essendomi recentemente cimentato con l’arduo compito di tradurre la Metafisica di Aristotele, il libro forse più difficile dell’intera storia della filosofia, mi sono imbattuto in una serie di problemi, alcuni dei quali previsti e altri invece imprevisti, che hanno reso l’impresa, oltre che ardua, anche affascinante». Affrontando problemi inerenti alla trasmissione del testo, alla traduzione e alla interpretazione, Berti mostra – contro una lettura teologizzante, di origine neoplatonica – il tratto problematico della filosofia aristotelica: la metafisica non è né teologia, né ontologia, ma scienza delle cause prime.


Aristotele Eubulo e la ricchezza. Dialogo immaginario con Platone, Guida, 2019.

Il dialogo qui presentato è la ricostruzione immaginaria di un dialogo perduto di Aristotele, intitolato Della ricchezza, del quale si sono conservate solo tre citazioni. Si tratta chiaramente di un falso, confezionato tuttavia secondo criteri di verosimiglianza, cioè sulla scorta di notizie storiche accertate sull’Atene dell’epoca e sulle vite dei personaggi in esso coinvolti, nonché di brani tratti dalle opere conservate di Platone e di Aristotele. Il dialogo ha luogo nell’Accademia platonica, nell’anno 350 a. C., cioè tre anni prima della morte di Platone, e ha come personaggi Platone, lo stesso Aristotele, Speusippo, Senocrate e Teofrasto. Nella finzione esso porta come titolo Eubulo, nome di un imprenditore, noto soprattutto per la sua ricchezza, che realmente governò Atene a quel tempo.


Storia della Metafisica (a cura di), Morcelliana, 2019.

Sulla base del presupposto unanimemente riconosciuto che la metafisica, quale che sia il suo valore, ha avuto una storia, il volume individua i momenti salienti di quest’ultima in alcuni grandi filosofie correnti di pensiero: Platone, Aristotele, il platonismo antico, la metafisica arabo-islamica, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Suárez, Cartesio, Kant, Hegel, Rosmini, Heidegger, il neotomismo, la filosofia analitica. Ne risulta una storia equilibrata, ricca e coinvolgente, forse unica nel suo genere, di indubbio interesse per chiunque si occupi di filosofia.


Carrellata di copertine


Costanzo Preve (1943-2013) – Il Kant della fondazione individualistica della morale ed il rifiuto dell’etica comunitaria come eteronomia.

Costanzo Preve versus Immanuel Kant
Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia.
indicepresentazioneautoresintesi
Immanuel Kant in un ritratto del pittore tedesco Adolf von Heydeck (inizio del IXI secolo).

Costanzo Preve

Il Kant della fondazione individualistica della morale

ed il rifiuto dell’etica comunitaria come eteronomia

La teoria kantiana della morale è ampiamente nota, ed ha avuto anche una grande fortuna all’interno del movimento operaio di ispirazione marxista (professori universitari di ispirazione neokantiana nella socialdemocrazia tedesca fra il 1890 e il 1914, ecc.). E tuttavia una sua interpretazione storico-genetica ed ontologico-sociale può essere di una certa utilità. Solo attraverso di essa, infatti, è possibile comprendere le ragioni di fondo del suo indiscutibile successo negli ultimi duecento anni, che rileverò subito per comodità del lettore, anche se sarebbe stato meglio “svelare” il loro segreto solo alla fine della mia trattazione. In primo luogo, la morale kantiana ha avuto successo non tanto nonostante sia inapplicabile, ma proprio perché è del tutto inapplicabile, e questo svela la sua natura profondamente religiosa. Le morali religiose, infatti, devono essere inapplicabili, in quanto la loro funzione non consiste nel poter essere applicate, ma al contrario nell’offrire uno sfondo compensatorio ideale al modo concreto e quotidiano peccaminoso ed immorale in cui si vive necessariamente in una società classista di qualunque tipo (asiatico, schiavistica, feudale, capitalistica, socialistico-burocratica, ecc.). In secondo luogo (e questo punto è altrettanto importante del primo), la morale kantiana ha avuto successo perché rompe decisamente con qualunque posizione comunitaristico-solidale della fondazione della morale, fondando la morale stessa nella coscienza individuale, e soltanto in essa. Come è noto, questo passaggio dalla fondazione comunitaristico-solidale della morale alla fondazione individualistico-coscienziale di essa è stato realizzato da Kant sotto lo schermo della preferenza per la cosiddetta “autonomia” rispetto alla cosiddetta “eteronomia”.

Fissiamo dunque bene i due punti essenziali, quello della impossibilità della sua concreta applicazione come ragione essenziale del suo successo, quello del passaggio dalla fondazione comunitaristico-solidale, definita negativamente in termini di eteronomia, allo fondazione individualistico-coscienziale (morale dell’intenzione), definita positivamente in termini di autonomia. In questo modo, la metafisica morale di Kant è diventata a tutti gli effetti una religione laica, ed ha così pienamente incorporato il principio di ogni religione, quello di essere ritualizzato la domenica (o il sabato, o il venerdì, poco importa), e di non essere ovviamente per nulla pratica negli altri giorni “feriali” della settimana.

La teoria morale di Kant si basa sulla distinzione preliminare fra massime ed imperativi. Le massime sono soggettive, per cui qualcuno ha come massima l’andare al mare e qualcun altro l’andare in montagna, c’è chi è vegetariano e chi non lo è, ecc. C’è chi di vendica di ogni offesa che riceve (è l’esempio scelto da Kant), e chi invece ha come massima il perdonare chi lo ha offeso. Ma per Kant evidentemente è impossibile fondare una morale universale sulle massime soggettive. Ci sono poi gli imperativi, che sono oggettivi in quanto rivolti a tutti, e che Kant distingue ulteriormente in ipotetici e categorici. Gli imperativi ipotetici si distinguono a loro volta in “regole dell’abilità” (se vuoi essere promosso, devi studiare”) e “consigli della prudenza (“se vuoi avere una vecchiaia sicura, devi risparmiare, se vuoi farti ben volere, sii cortese e generoso con gli altri). Ma Kant, ovviamente, così come ha respinto la morale arbitraria e soggettiva fondata sulle massime, nello stesso modo respinge la morale utilitaristica fondata sulle regole dell’abilità e sui consigli della prudenza. Non accetta infatti il principio ipotetico del nesso “se … allora”. Il nesso “se … allora” non può dar luogo ad una morale universalistica, o più esattamente con pretese universalistiche.

Kant dà tre formulazioni distinte e convergenti del suo imperativo categorico: agisci in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre, al tempo stesso, come principio di una legislazione universale; agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, e mai come semplice mezzo; agisci in modo che la volontà, con la sua massima, possa considerarsi come universalmente legislatrice rispetto a se medesima. Le tre formulazioni sono largamente complementari, ma la prima insiste soprattutto sulla legge (oggettiva), mentre la terza insiste invece sulla volontà (soggettiva). La seconda, invece, appare come una sostanziale secolarizzazione del vecchio motto evangelico «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te».

Per poter mettere in atto un comportamento stabilmente ispirato all’imperativo categorico, è necessario che si possa presupporre la libertà del volere umano. Kant sa bene che la cosiddetta «libertà del volere» è altrettanto indimostrabile dell’esistenza di Dio, e non cerca neppure di farlo, avendo anche escluso questa possibilità nell’esame delle antinomie dell’idea di mondo nella terza parte della Critica della Ragion Pura. Egli la definisce quindi curiosamente come un fatto della ragione, l’uni­co giudizio sintetico a priori non fenomenico. Kant esclude che la libertà sia conoscibile, in quanto per conoscerla dovremmo avere un’intuizione intellettiva, cosa impossibile perché a sua volta la libertà non è un fenomeno, ma anzi è il solo modo di sfuggire alla catena di nessi causali che caratterizza il mondo dei fenomeni stessi. È evidente che questa concezione filosofica kantiana di libertà è interessante, ed è meritevole di uno studio particolare.

L’elemento paradossale sta in ciò, che non appena la libertà come fatto della ragione che non richiede alcun tipo di “dimostrazione logica” è evocato, immediatamente essa viene identificata con l’asservimento volontario. La libertà, quindi, coincide con la servitù volontaria. Qui sta la specifica secolarizzazione kantiana del cristianesimo, perché ciò che in Paolo di Tarso era l’asservimento volontario di tutte e tre le classi della società schiavistica romana all’unico salvatore (cfr. Lettera ai Corinzi, 7, 20-4), in è Kant l’asservimento volontario di tutti i membri unificati idealmente del genere umano alla Legge Morale. La legge morale, quindi, è la secolarizzazione del salvatore cristiano. Ma il salvatore cristiano (almeno in Paolo) era ancora il portatore di una speranza escatologica di tipo egualitario e di una soluzione “redentrice” dei conflitti sociali sanguinosi evocati nella Apocalisse di Giovanni. Qui invece la realizzazione della legge morale esclude esplicitamente ogni redenzione meccanica della società. Ed infatti la libertà astratta a priori come “fatto della ragione” della filosofia politica liberale deve escludere in ogni forma la sua concretizzazione egualitaria. Si tratta di una libertà di individui che partecipano alla comune “società civile” borghese. La loro “formalità” a priori ha come a posteriori il mondo del mercato capitalistico regolato dalle leggi. Per questa ragione Kant resta il massimo filosofo politico liberale, anche se non si è mai “speso” per una irrilevante classificazione scolastica delle forme di stato e di governo. I condottieri lasciano questi particolari poco importanti ai furieri.

L’idea secondo la quale la libertà del volere umano non abbia bisogno di essere “dimostrata”, essendo un fatto intuitivo della ragione (Faktum der Vernunft) non deriva in Kant da una concezione ottimistica preliminare, in quanto Kant dice apertamente che l’uomo è un “legno storto”, che non si può pensare realisticamente di raddrizzare. E tuttavia, legno storto o meno, bisogna presupporre la libertà del volere umano come un fatto intuitivo della ragione. Non si cerca di sciogliere il nodo gordiano degli innumerevoli argomenti pro o contro la libertà del volere umano, ma li si taglia con l’intuizione immediata del fatto della ragione. Michel Foucault ha introdotto l’ipotesi che alle spalle di questa decisione kantiana ci sia stato l’”entusiasmo” per la rivoluzione francese del 1789. E nonostante il fatto che la teoria kantiana della libertà del volere come fatto della ragione sia stata enun­ciata prima dell’anno 1789, è possibile dire che nell’essenziale Foucault ha ragione, perché l’atmosfera di “attesa” della possibilità della rivoluzione precedeva il 1789 nella coscienza della parte migliore degli intellettuali di quel periodo.

Poca gente oggi dichiara che la libertà del volere dell’uomo è un fatto ovvio ed indiscutibile della ragione, e questo per un insieme di ragioni che qui sarà ne­cessario compendiare. In primo luogo, mentre Kant esprimeva il suo entusiasmo per la rivoluzione del 1789 (salvo ovviamente esprimere il suo “orrore” per l’esecuzione di Luigi XVI e per l’”estremismo” dei giacobini – ma questo è un classico del pensiero moderato, che vorrebbe sorvegliare il decorso rivoluzionario come si sorveglia la bollitura dell’acqua per la colazione), tutta la generazione intellettuale di oggi al potere negli apparati giornalistici, editoriali ed universitari, scottata dalla sua riconversione dal gesticolare sessantottino alla depressione sociologica posteriore, ha trasformato il 1917 russo in modello demonologico dell’utopia che si trasforma inevitabilmente in terrore, ed ha ripiegato come “male minore” nel dominio imperiale USA sul mondo, che ci difende con le sue armi nucleari contro barbuti fondamentalisti islamici e contro baffuti dittatori “populisti”.

L’entusiasmo si è dialetticamente rovesciato nel sorrisino di scherno dell’«ultimo uomo» nicciano, che sa bene che ormai «Dio è morto», e per questo appunto tutto diventa possibile. In secondo luogo, la psicoanalisi di Freud ha interamente secolarizzato la vecchia teoria luterana della predestinazione divina, attribuendo la predestinazione dei comportamenti umani che si vorrebbero soggettivamente liberi alla fatalità dello svolgimento degli stadi psicologici dell’infanzia e dell’adolescenza, per cui le varie fissazioni di origine orale ed anale ed i vari complessi di Edipo non risolti rendono del tutto illusoria l’idea che l’adulto possa autodeterminarsi liberamente nelle sue scelte consapevoli. Come è noto, l’infantilizzazione che inevitabilmente ne deriva, con i complessi di colpa che accompagnano questa infantilizzazione generalizzata, rappresenta il principale argomento per la medicalizzazione psicologica dell’intera società, per l’indebolimento del potere paterno (e come può pretendere di comandare il padre, se il suo Super-Io è il frutto di fissazioni sadico-anali, di regressioni orali e di elaborazioni sublimate dell’odio verso il padre, la madre, o il cugino Filippo?), e per la totale espropriazione del prestigio degli insegnanti, sostituiti da ridicole bande invasive di pedagogisti pazzi, di psicologi maniaci, di assistenti sociali soffocanti e di sindacalisti assatanati. In questa società medicalizzata, ovviamente, della libertà del volere non ne è più nulla. Il lettino dello psicoanalista ha sostituito qualunque progettualità rivoluzionaria. Marx era certamente figlio di un complesso di Edipo non risolto, e del fatto che voleva distruggere la società capitalistica perché ci vedeva in essa l’ombra ingombrante del padre. In quanto a Lenin, la sua violenza era certamente dovuta ad una sua fis­sazione sadico-anale. Più tempo sul vasino, e probabilmente non avremmo avuto il 1917?

In terzo luogo, infine, la teoria di Heidegger sul perfezionamento anonimo ed impersonale del Dispositivo (Gestell) tecnico del mondo non è certamente soltanto una sofisticata ipotesi filosofica sul destino della società occidentale, ma è ormai un dato psicologico che si è addirittura “travasato” nelle riviste femminili della “donna moderna” (Umberto Galimberti). E quando una concezione filosofica arriva fino alle riviste femminili del ceto medio, insieme a consigli sulle creme, i profumi, l’arredamento, i viaggi “intelligenti” ed i consigli erotici, possiamo pro­prio concluderne che la metafisica si è ormai ridotta in tecnica di riproduzione sociale anonima ed impersonale del KapitalGestell. In questa situazione epocalmente nuova nella storia universale dell’umanità non c’è più ovviamente spazio per il programma dell’Io di superamento del Non-Io (Fichte), per il programma di Hegel di adeguamento del reale (wirklich) e del razionale, ed infine per il programma di Marx di superamento sociale consapevole del nesso alienazione/sfruttamento.

L’incrocio fra Popper, Freud e Heidegger ha certamente dato un colpo (provvisorio, comunque) all’intuizione autoevidente di Kant sulla libertà del volere come Faktum der Vernunft. E tuttavia Kant non ne è certamente responsabile, se oggi il meccanismo culturale universitario-giornalistico-editoriale diffonde l’idea che la libertà consista nel riuscire a vincere la concorrenza imprenditoriale dell’India e della Cina (nonostante il fatto che i nostri lavoratori purtroppo sono ancora troppo pagati rispetto ai cinesi e agli indiani), ed infine nello scegliere un luogo per “vacanze intelligenti” in cui non incontrare la solita marmaglia dirottata alle Maldive o a Sharm el-Sheikh. Vorrei però insistere sul fatto che il grande successo della morale kantiana risiede proprio nel fatto di essere inapplicabile, così come il grande successo della religione cristiana, superata l’imbarazzante fase estremistica di tipo messianico, è consistito nel rinvio in un innocuo (e francamente incredibile) consesso di suonatori d’arpa assisi sulle nuvolette. Il concetto di dovere (Pflicht) è certamente un «nome sublime e grande», che però «esige la sottomissione», in quanto «presenta semplicemente una legge che penetra da se sola nell’animo e si procura venerazione». Questa dichiarazione apodittica è stata a suo tempo “smontata” da molti pensatori, da Schopenhauer e Nietzsche, che hanno mostrato come questo imperativo categorico nascondeva in realtà un imperativo ipotetico sottostante, perché il vero movente psicologico del trattare gli altri come fine e non come mezzo non poteva che essere la paura della reciprocità, del fatto cioè che essendo gli altri più forti di noi avrebbero potuto cominciare loro a trattarci come mezzo e non come fine. Ma questo per me non è un argomento contro Kant, in quanto Kant è del tutto disinteressato alla “credibilità pratica” di quanto dice. Egli ha infatti voltato talmente le spalle alla phronesis di Aristotele da non essere più accessibile a ragionamenti di tipo aristotelico (o hegelo-marxiano). Il dovere (kathekon, Pflicht), infatti, esiste veramente, ma può esistere soltanto come dimensione comunitario-solidale, non certamente come “nome sublime e grande che esige la sottomissione”.

Il totale disinteresse di Kant per l’argomentazione pratica ispirata alla phronesis aristotelica è rivelato da un curioso episodio che generalmente i manuali non riportano, ma che è ovviamente noto agli studiosi. Kant riteneva la veridicità, e cioè il dire sempre sinceramene la verità, un presupposto formale a priori dell’agire morale, in quanto ovviamente se mento non posso più agire moralmente (su questo, le regole dell’abilità ed i consigli della prudenza del medico portano peraltro il medico stesso ad agire spesso diversamente). Fu chiesto a Kant come avrebbe dovuto agire l’uomo giusto se un fuggiasco inseguito da un feroce assassino avesse cercato rifugio nella sua casa e se l’assassino, giunto alla sua porta, gli avesse chiesto se colui che inseguiva si trovava nella sua casa. Dalle sei scuole filosofiche greche principali al cristianesimo, da Spinoza all’empirismo inglese fino allo scettico Hume, comprendendo tutte le persone ispirate dal buon senso (che poi Lukács ha definito in termini di «rispecchiamento quotidiano»), chiunque risponderebbe: «Non ho mai visto quello che lei cerca. Anzi, l’ho visto mezz’ora fa che stava scappando in quella direzione» (indicando ovviamente la direzione della più vicina stazione dei carabinieri). Ma Kant afferma che persino in quel caso non è consentito mentire, in quanto la formalità della veridicità come precondizione universale della morale non tollera eccezioni. E tuttavia, sostiene Kant, posso sempre “sperare” che l’inseguito riesca a scappare per i tetti (sic!), ed in ogni caso non potrei mai essere ritenuto penalmente responsabile (!).

Mostrare la pedantesca e filistea idiozia di Kant sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. E tuttavia abbiamo qui il cuore del tentativo titanico di Kant di creare una morale che escluda ogni componente psicologica e sociale di tipo eteronomo. Egli fa l’esempio del deposito di denaro che ci è stato affidato da un padrone che nel frattempo è morto e non ha lasciato nessun scritto a questo riguardo. Secondo Kant, soltanto il senso del dovere ci potrebbe spingere a restituire il deposito, visto che nessuno ne saprebbe mai niente. In realtà, ci sarebbero certamente dei furbacchioni (o più probabilmente, dei poveracci) che si terrebbero il deposito, ma ci sarebbe probabilmente anche una (esigua) maggioranza che lo restituirebbe agli eredi legittimi, per un insieme differenziato di ragioni psicologiche (introiezione fin dall’infanzia del senso di colpa, introiezione dei sentimenti comunitari di giustizia, paura del giudizio di Dio dopo la morte, sentimenti di simpatia verso gli eredi del lascito, ecc.). Ma sono appunto questi motivi che Kant vuole escludere. Deve restare soltanto il «dovere per il dovere», senza altre componenti. Ora, di fatto nessuno agisce così, ed (aggiungo io), è un bene che nessuno agisca così. Atomi insensibili, privi di motivazioni psicologiche, che agiscano solo in base alla formalità astratta del dovere, formerebbero una società da incubo. E del resto, Kant ha teorizzato con maniacale argomentazione teutonica che la masturbazione è una buona alternativa alle noie di una famiglia, che possono distogliere dall’attività di pensiero. Attenzione, non ha detto che la masturbazione è un piacere solitario, un frutto della solitudine, oppure che fa diventare ciechi (minacciosa teoria della mia nonna materna). No, ha detto che è una ragionevole alternativa alle noie di famiglia.

Non intendo affatto “accanirmi” con Kant. Intendo soltanto sottolineare con pittoresca insistenza che non solo tutte le morali del mondo sono eteronome, e non potrebbero essere diversamente, ma che è anche bene che siano eteronome, e bene ha fatto Hegel non solo a distinguere fra la moralità e l’eticità (distinzione impossibile in Kant, in quanto tutte le forme di eticità devono necessariamente essere “sciolte” e ricomposte in un unico modello formale di moralità categorico-trascendentale), ma anche a rimettere al loro posto le motivazioni soggettive del comportamento. C’è infatti una fortissima omogeneità fra il modo con cui Kant aveva ricostruito in modo gnoseologico l’intera storia della filosofia precedente (lo scontro fra razionalisti ed empiristi e la sua soluzione alternativa, ecc.), ed il modo in cui riscrive la storia dell’etica.

Dal momento che il criterio metodologico di Kant è quello di “purificare la forma” del comportamento isolandone ed in questo modo eliminandone progressivamente le motivazioni “materiali”, egli distingue nella sua tavola delle “distruzioni” quattro tipi di motivazioni “eteronome”, i motivi soggettivi interni ed esterni, ed i motivo oggettivi interni ed esterni. Rimandando alla (necessaria) lettura diretta di Kant, si ha qui il rifiuto delle motivazioni in base all’educazione (Montaigne, ma anche Cartesio, che sostenevano che ci si dovesse conformare agli usi ed ai costumi del proprio paese), alla costituzione civile (Mandeville nella Favola delle Api, per cui i fini individuali, soggettivamente cattivi, si trasformano per conto loro in fini sociali, oggettivamente buoni), al sentimento fisico (Epicuro, che fondava la sua etica sul sentimento del piacere), al sentimento morale (Hutcheson, ed il suo sentimento della giustizia e della simpatia insito nella natura umana, da cui poi anche Hume e Smith), alla perfezione (stoici antichi e Wolff), ed infine alla volontà di Dio (la morale fondata in modo teologico). È interessante notare (in quanto in questi casi le assenze sono ancora più significative delle presenze) che in questa tipologia in sei parti manchi del tutto la motivazione principale che uno si aspetterebbe, e cioè la ricerca dell’approvazione degli altri membri della comunità. E tuttavia, questa assenza è la chiave interpretativa principale di tutta questa elaborata tassonomia kantiana.

Sospendiamo provvisoriamente queste considerazioni su Kant e torniamo ad esaminare le origini del processo di costituzione del pensiero umano (capitolo secondo). Ricostruendo questo processo storico-genetico di costituzione (processo storico-genetico che per definizione è assente nell’approccio formalistico, destori­cizzato e desocializzato di Kant), appare evidente che non nasce prima la religione, e poi l’etica da cui viene “dedotta”, ma l’etica e la religione nascono storicamente insieme intrecciate strettamente, in quanto l’etica si basa sulle regole solidali-comunitarie che permettono la sopravvivenza fisica del gruppo nelle condizioni “naturali” date (il che può implicare ovviamente in caso di penuria di risorse l’abbandono dei vecchi e l’eliminazione dei bambini malformati), regole tribali-comunitarie in cui l’individuo cerca naturalmente l’approvazione e la simpatia dei suoi simili, e la religione “assicura” simbolicamente la permanenza “eterna” di queste regole etiche dandone una garanzia divina.

E quindi, anche se storicamente l’etica e la religione nascono insieme, “logicamente” nasce prima l’etica (la funzione della sopravvivenza comunitario-solidale del gruppo) e poi la religione (la garanzia simbolica del fondamento divino di queste regole sociali riproduttive). Quanto dico qui sommariamente è stato “dimostrato” da innumerevoli studi etnologici comparati, ed è comprensibile a tutti coloro che vogliano rifletterci sopra (al di fuori, ovviamente, dei sostenitori del “ritorno a Kant”).

Come si spiega, allora, il fatto che nonostante queste solari evidenze di tipo comunitario-solidale, storico-genetico ed ontologico-sociale si continui a predicare l’impossibile ed inapplicabile “morale kantiana”, e non la si storicizzi come prodotto teorico “superato” di un’epoca ormai del tutto trascorsa? L’ho già detto in precedenza, ma repetita juvant. In primo luogo, lo scopo segreto di questa formulazione kantiana della morale non è quello di fornire un insieme applicabile di norme etiche, ma al contrario di fornire un ideale “asintotico” di morale programmaticamente inapplicabile, che funga da compensazione “festiva” per lo scatenamento “feriale” degli animal spirits dell’accumulazione capitalistica. In secondo luogo, è evidente che l’uomo borghese non può pensarsi ed autorappresentarsi come membro solidale di una comunità, ma deve pensarsi come individuo sovrano ed originario.

Questo individuo è titolare di una assoluta sovranità politica nella società civile liberale, da cui sono escluse tutte le “classi pericolose” il cui accesso al suffragio universale (cfr. Costituzione giacobina del 1793, mai entrata in vigore) avrebbe messo sicuramente in pericolo la proprietà privata (siamo infatti in una fase storica precedente alla economizzazione del conflitto salariale, alla nazionalizzazione imperialistica e razzistica delle masse ed alla loro integrazione consumistica nella società manipolata dello spettacolo mediatico).

Questo individuo ha diritto alla proprietà privata originaria fondata sul suo lavoro robinsoniamente inteso (Locke), ed agisce in base a costanti antropologiche comportamentali della natura umana (Hume). Kant non fa altro che portare a termine sul piano teorico-astratto il processo di costituzione formalistica del soggetto iniziato con Cartesio e la rappresentazione destoricizzata e desocializzata del suo comportamento. La “formalizzazione”, tanto amata dai neokantiani, coincide infatti con la destoricizzazione e con la desocializzazione, e nello stesso tempo offre un’alternativa individualistica radicale a qualunque riproposizione dell’agire comunitario, spacciato per autoritarismo organicistico “eteronomo”. Che poi questo neokantismo individualistico si presenti in vesti di “destra” o di “sinistra”, questo è irrilevante per ogni severo esame filosofico, e può interessare solo i lettori di rivistine di gossip politico-parlamentare (amanti del premier, Sarkò insieme a Karlà, ristoranti gratuiti per parlamentari mangioni, ed altre perle di ciò che a suo tempo Heidegger ha chiamato chiacchiera, Gerede, curiosità, Neugier, ed equivoco, Zweideutigkeit).

E tuttavia non posso finire in questo modo con Kant. Kant è stato ovviamente un pensatore strategico per la visione borghese del mondo, ma è anche stato un “donatore” di alcune fra le concezioni più geniali della storia della filosofia. La sua teoria estetica, consegnata nella mirabile Critica del Giudizio, (si sarà già capito che per chi scrive si tratta della migliore fra le tre Critiche di Kant), resta oggi attualissima, e non ne parlo solo perché il suo contenuto è estraneo alla linea principale delle mie analisi. Ma è soprattutto l’interpretazione del giudizio teleologico che merita un’analisi particolare. Quando scrisse della natura del giudizio teleologico, Kant non poteva ancora sapere che nel secolo successivo si sarebbe formata una metafisica teleologica della storia, quella del marxismo. Kant non lo sapeva, ma noi invece lo sappiamo, ed abbiamo quindi il permesso di rifletterci sopra spregiu­dicatamente.

Spinoza aveva già rilevato che l’essenza del cerchio sta nella sua produzione, e cioè nella mano che lo disegna. E sulla sua scia Kant rileva che il cerchio è il princi­pio della soluzione geometrica di una grande quantità di problemi, ma questo non significa affatto che il cerchio sia l’unità finalistica dei problemi che grazie ad esso vengono risolti. La finalità del fiume Nilo non è quella di consentire l’agricoltura agli antichi egizi, anche se noi possiamo spiegarci perché sulle rive di quel fiume sono sorti grandi insediamenti umani. La ragione per cui viene prodotto un orologio non sta nella natura meccanica dell’orologio, ma sta al di fuori dell’orologio stesso, nella finalità per cui l’orologiaio lo ha costruito e per cui i suoi acquirenti lo compreranno.

Kant ha ragione. Quando visse, la scienza che dettava il modello per tutte le altre era la fisica, non la biologia, ed era evidente che la finalità interna degli organismi naturali non potesse essere conoscitivamente determinata, ma solo “riflessa” dal pensiero (giudizio detto riflettente). Il massimo che si poteva raggiungere era una spiegazione meccanicistica. E la stessa filosofia della storia di Kant era costituita in questo modo: nel corso storico possiamo soltanto “sperare” che si vada verso il meglio, non possiamo pretendere di determinare con sicurezza che “certamente sta andando verso il meglio”. Che dire? In breve, che Kant su questo punto ha perfettamente ragione, ed il successivo marxismo deterministico e necessitaristico ha avuto invece completamente torto. È bene che non lasci dubbi su questo punto, perché su quasi tutte le questioni fondamentali della filosofia sono un allievo di Hegel e di Marx ed un avversario di Kant (e gli ultimi due capitoli lo dimostrano ampiamente). Ma su questo punto la mia opinione è invertita: su questo punto Kant ha avuto ragione, e se qualcuno su questo punto (e solo su questo punto) mi propone “un ritorno a Kant”, ebbene, gli andrei volontariamente dietro. E tuttavia, la questione è di tale importanza da meritare una discussione ulteriore. Dovrò anticipare così temi che tratterò nei prossimi capitoli, e tuttavia – data la crucialità della questione – sono sicuro di fare cosa gradita al lettore.

Il rifiuto kantiano di determinare il corso storico del futuro, e di limitarsi di “speranze” di un giudizio riflettente di tipo teleologico tratto dalla considerazione della natura, cui Kant non applicava consapevolmente le categorie del determinismo fisico e della precisione matematica, non era soltanto qualcosa di saggio e di razionale da rivendicare ancora oggi, dopo la consumazione e la smentita delle “previsioni scientifiche” del marxismo storico novecentesco e del suo codice ideologico staliniano. Questo rifiuto era comune a quasi tutte le filosofie della storia illuministiche di quel periodo, inglesi, francesi, tedesche, ecc. E questo non è un caso, perché le filosofie settecentesche della storia ignoravano la nozione positivi­stica di “legge scientifica”, intesa come insieme di regolarità accertabili del corso storico che avrebbero permesso la “previsione certa” del futuro storico dell’umanità. Certo, esisteva l’ideologia del progresso, che in precedenza ho interpretato in termini di necessaria unificazione trascendentale-riflessiva della temporalità ideologica borghese. Ma questa robustissima ideologia del progresso (che soltanto Rousseau ed alcuni pochi altri osarono rifiutare esplicitamente, ben prima di Walter Benjamin e di Georges Sorel) non si fondava sulla concezione di “legge storica” come previsione scientifica del corso storico. Questa concezione deterministico-necessitaristica, adottata da Engels nel suo scritto fondativo sul passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza, era assente sia nel pensiero illuministico che nel posteriore pensiero idealistico.

In Fichte c’è certamente una filosofia della storia, ed anzi la sua teoria sulla cosiddetta “epoca della compiuta peccaminosità” è addirittura fondante per intenderne il pensiero. E tuttavia la stessa accusa di Hegel, di proseguire cioè il “cattivo infinto” indeterminato di Kant, ci mostra indirettamente quello che comunque ri­sulta dai testi fichtiani, e cioè che in Fichte non c’è nessun determinismo e nessun necessitarismo storico. Per Fichte la storia, come per Kant, continua ad essere il luogo ideale di un giudizio riflettente, anche se ovviamente sono sempre determinabili i passaggi in cui l’Io (e cioè l’unità concettuale e metaforizzata dell’intera umanità intesa come soggettività attiva e trasformatrice) modifica il Non-Io (e cioè l’insieme degli “ostacoli” che il mondo del pregiudizio e della corruzione ci mette invariabilmente davanti). Il passato è razionalmente ricostruibile, il presente è logicamente determinabile, ma il futuro resta privo di qualunque determinazione teleologico-necessitaristica.

Si dirà che Hegel, con la sua critica al “cattivo infinito” indeterminato di Kant e Fichte, ha invece messo un tassello per la costruzione di una filosofia della storia necessitaristico-deterministica. Non è così. In un suo mirabile e dettagliato studio sulla Scienza della Logica di Hegel, letta in controluce con le concezioni di Engels sulle presunte “leggi dialettiche” della natura e della società, lo studioso svedese Eric Liedman ha accertato che il concetto di “legge dialettica” non esiste in Hegel, mentre invece (ahimè) è presente nel primo libro del Capitale di Marx pubblicato nel 1867. Ed il fatto che questo concetto sia assente nello Hegel del 1812 e sia invece presente nel Marx del 1867 non si può spiegare che in un modo, e cioè che nel frattempo era intervenuto il positivismo (ed anche il darwinismo), che invece si nutriva del concetto di legge scientifica intesa come previsione certa dell’esito di processi di temporalità future che ci concepivano come il proseguimento lineare omogeneo delle temporalità passate e presenti. Liedman (ma non solo lui) dimostra così che Hegel avrà magari avuto tutti i difetti del mondo, ma non ha mai difeso una concezione della filosofia della storia come previsione scientifica del futuro sulla base estrapolazione logica delle regolarità storiche e sociali del presente. Il fatto è – detto in breve – che Marx si è fatto “intrappolare” dalla concezione positivistica delle leggi scientifiche, e di lì è poi sorta l’applicazione ideologica sviluppata dalla coppia Engels-Kautsky fra il 1875 ed il 1895.

Althusser ha quindi ragione nell’auspicare una “scienza marxista” della struttura del modo di produzione capitalistico depurata dalle tre nozioni “ideologiche” di Origine, Soggetto e Fine. Ha invece torto nel credere che il “marxismo” possa essere questo, laddove il “marxismo” realmente esistito al di fuori di alcuni cenacoli catacombali è proprio stato questo e non poteva che essere questo (e cioè una grande narrazione deterministico-teleologica dell’origine, del soggetto e del fine). E non poteva che essere questo, ovviamente, per gli scopi funzionali per cui era stato creato, la rassicurazione metafisica di un soggetto subalterno, e quindi religioso per sua profonda essenza sociale. Ha anche torto nel rifiutare l’eredità idealista, perché questa eredità idealista non coincide in alcun modo con la metafisica deterministico-teleologica della grande narrazione dell’origine, del soggetto e del fine, ma ne è anzi a tutti gli effetti il più sicuro antidoto teorico e filosofico.

 

Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Petite Plaisance, Pistoia, 2013, pp. 235-244.

Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.
Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare
Costanzo Preve (1943-2013) – Teniamo la barra del timone diritta in una prospettiva di lunga durata. La “passione durevole” per il comunismo coincide certo con il percorso della nostra vita concreta fatalmente breve, ma essa è anche ideale, nel senso che va al di là della nostra stessa vita.
Costanzo Preve (1943-2013) – Telling the truth about capitalism and about communism. The dialectic of limitlessness and the dialectic of corruption. Dire la verità sul capitalismo e sul comunismo. Dialettica dell’ illimitatezza, dialettica della corruzione.
Costanzo Preve (1943-2013) – Su laicismo, verità, relativismo e nichilismo
Costanzo Preve (1943-2013) – Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico.

Da bambini ci viene insegnato che bisogna dire sempre la verità. Ma quando diventiamo adulti, se continuiamo a dire la verità sempre e in ogni caso, la nostra vita diventa un inferno. Nel 1796, Benjamin Constant scrive che il dovere morale di dire la verità, inteso incondizionatamente, rende impossibile ogni tipo di società. Risponde Kant con “Sul presunto diritto di mentire per amore dell’umanità” e sostiene che la menzogna resta un crimine anche se detta a un assassino che ci chiedesse se nascondiamo un amico da lui perseguitato. Ma il tema della veridicità assoluta, come documentano i testi raccolti qui, attraversa tutta l’opera di Kant, alla ricerca di quella trasparenza in cui vita e verità sfumano l’una nell’altra, senza zone d’ombra: il sogno della filosofia. Oppure il suo più terribile incubo?


 IL CURATORE 

Andrea Tagliapietra insegna Storia della filosofia, Storia delle idee e Filosofia della cultura all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Sincerità (2012) e Esperienza. Filosofia e storia di un’idea (2017).

 

Rassegna stampa per Bisogna sempre dire la verità?

È giusto dire sempre la verità?
Bisogna sempre dire la verità?
Verità: è saggio dirla sempre?
Se Woody ha ragione e Kant no.
Critica della trasparenza pura.
Kant: bisogna sempre dire la verità?
Siamo sicuri che sia meglio dirla?

Jean-Paul Sartre (1905-1980) – Penso che la speranza faccia parte dell’uomo. Non è un’illusione lirica. Appartenendo alla natura stessa dell’azione non può essere di principio destinata a uno scacco assoluto e inevitabile.

J.-P. Sartre_o4

«Date al disperato una possibilità e il disperato riprende lena, si rianima,
perché l’uomo senza possibilità è come se gli mancasse l’aria».
                                S. Kierkegaard, La malattia mortale, Sansoni, Milano 1993.

«Se senti una voce dentro di te che dice “non puoi dipingere”,
allora a tutti i costi dipingi e quella voce verrà messa a tacere»
.
                                   Vincent van Gogh

«Ho sempre pensato che ognuno viva con la speranza, cioè creda che qualsiasi cosa intraprenda, o che lo riguarda, o che concerne il gruppo sociale al quale appartiene, sia in corso di realizzazione, si realizzerà, e sarà positiva per lui come per coloro che costituiscono la sua comunità. Io penso che la speranza faccia parte dell’uomo; l’azione umana è trascendente, cioè mira sempre a un oggetto futuro a partire dal presente, nel quale noi progettiamo l’azione e tentiamo di realizzarla. Essa pone il suo fine, la sua realizzazione nel futuro. E, nella modalità dell’agire c’è la speranza, ossia il fatto stesso di porre un fine come se dovesse essere realizzato. […] ogni uomo, al di là che i suoi fini siano in ogni istante teorici o pratici e che riguardino per esempio questioni politiche o di educazione, ecc., al di là di tutto questo, ogni uomo ha un fine, un fine che chiamerei, se vuoi, trascendente o assoluto, e tutti i fini pratici non hanno senso che in rapporto a questo fine. Il senso dell’azione di un uomo è dunque quel fine, che è del resto variabile a seconda degli uomini, ma che ha questo di particolare: che è assoluto. […] E poi, dall’altro lato, dal 1945, ho pensato sempre di più – e oggi lo penso assolutamente – che una caratteristica essenziale dell’azione che si intraprende, come ti dicevo poco fa, è la speranza. E la speranza significa che non posso intraprendere un’azione senza fare affidamento al fatto che riuscirò a realizzarla. E non penso, come ti ho detto, che questa speranza sia un’illusione lirica, ma che appartenga alla natura stessa dell’azione. Vale a dire, che l’azione, essendo allo stesso tempo speranza, non può essere di principio destinata a uno scacco assoluto e inevitabile. Ciò non vuol dire che l’azione debba realizzare necessariamente il suo fine, ma che debba presentarsi come una realizzazione del fine, posto nel futuro. E c’è anche una sorta di necessità nella speranza. L’idea di scacco non ha in questo momento un fondamento profondo in me: invece, la speranza, in quanto è situata nel rapporto dell’uomo con il suo fine, rapporto che esiste anche se il fine non viene raggiunto, è ciò che è sempre più presente nei miei pensieri».

Jean-Paul Sartre, La speranza oggi. Le interviste del 1980,  Mimesis, 2019. A cura di Maria Russo, un libro che raccoglie le ultime interviste concesse da Sartre a Benny Lévy prima di morire, rilette e validate dal filosofo francese.

Jean-Paul Sartre (1905-1980) – Il desiderio si esprime con la carezza come il pensiero col linguaggio. Il desiderio è coscienza. Nel desiderio e nella carezza che l’esprime, mi incarno per realizzare l’incarnazione dell’altro. Così, nel desiderio, c’è il tentativo di incarnazione della coscienza.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) – L’essere umano non è nulla al di là del suo proprio progetto. Egli esiste solo nella misura in cui realizza se stesso.
Vincent van Gogh, Sulla soglia dell’eternità (Vecchio che soffre), 1890, Museo Kröller-Müller di Otterlo, dipinto realizzato utilizzando come modello un veterano di guerra, Adrianus Jacobus Zuyderland

Vincent van Gogh realizza Sulla soglia dell’eternità nel maggio 1890, mentre si trovava all’ospedale di Saint-Rémy-de-Provence per delle cure psichiatriche. Un uomo ormai anziano e privo di forze, sul punto di non essere più capace di reagire ai propri stati d’animo, un peso interiore che lo schiaccia . Nel dipinto vi sono pennellate dalla grande varietà di colori, con tonalità sgargianti e accese, ma allo stesso tempo fredde. Il freddo di questi colori trasmettono le sensazioni di un malessere costante, implacabile. Le tonalità emanano una percezione di distacco glaciale, come il blu, l’azzurro e gli sprazzi di bianco sui vestiti e il grigio dei capelli. È unriflesso della vita dell’artista, una reazione allo stato di salute mentale da cui non riesce a scappare, non riesce ad evadere, a trovare una via d’uscita. La sua via d’uscita  la trova nell’arte.

Antonio Fiocco – Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente

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Antonio Fiocco

Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente

Petite Plaisance, 2019, pp. 80



Il problema in discussione, la quistione, consiste se concepire una progettualità in quanto tale. Sembra non ci siano problemi nell’accettarla in linea di principio, ma permane l’idea che occorra indirizzare le forze su obbiettivi pratici immediati. Questo punto di vista, in apparenza ragionevole, vanifica lo scopo principale di migliorare realmente il mondo in cui viviamo e, invece di una reale progettualità comunitaria, si preferisce l’immediatezza della contingenza. Dunque, a quel se, di fatto, si oppone un no. La post-modernità (cioè la fase flessibile a tutti i livelli della modernità) per l’Autore non elabora spontaneamente una sua idea di comunismo, perciò si rende imprescindibile la progettualità. Per essere scoperte, utilizzate e verificate, le possibilità devono essere prima di tutto inventate. In questo senso, ogni uomo è progetto, creatore, poiché inventa ciò che è già a partire da ciò che non è ancora.



Indice

Incipit contingente-empirico

Gesù di Nazareth

Paolo di Tarso e la figura teologica del Cristo risorto

Giovanni l’evangelista e la nascita del Cristo-Dio

L’anti-pensiero di Max Weber

Hegel: il legame fra elaborazione del pensiero e prassi materiale

Lettori di Hege

Lenin non era un vero hegeliano

Pensando a Lenin, in cammino con György Lukàcs

Sartre e la sua svalutazione dell’essenza

L’uomo è essenzialmente progetto


Antonio Fiocco, nella più profonda indignazione per le ingiustizie e le falsità geo-politiche che devastano il mondo, e di cui sono piene le cronache e la storia del Novecento, con spirito dialogico-socratico si è impegnato fin dagli anni giovanili in studi filosofici e politici. Ma, proprio per non fare dello studio della filosofia una normale, ordinaria e rituale professione, a suo tempo si risolse a scegliere una facoltà scientifica. L’amore per le scienze dello spirito ha continuato ad animare la sua ricerca accre­scendo l’interesse anche per le discipline estetiche, la musica, la letteratura (le sue passioni: Shakespeare e Proust) e l’arte figurativa.



Incipit contingente-empirico

Il problema in discussione, la quistione, consiste se concepire una progettualità in quanto tale. Sembra non ci siano problemi nell’accettarla in linea di principio, ma permane l’idea che occorra indirizzare le forze su obbiettivi pratici immediati. Ci si sforzerà di indicare che questo punto di vista, in apparenza ragionevole, vanifica lo scopo principale di migliorare realmente il mondo in cui viviamo e a quel se, di fatto oppone un no, sia chiamando in aiuto esempi materiali che ricorrendo alle elaborazioni di alcuni grandi pensatori che hanno fatto la storia della religione e della filosofia. Impiegando concetti hegeliani, ci si propone di operare una contrapposizione fra sapere immediato e ragione filosofica.

In sintesi, indipendentemente dalle condizioni strutturali, una elaborazione teorica carente o incompleta porta comunque a risultati materiali insufficienti o controproducenti. Certo si tratta di una tesi non nuova,1 ma che è sempre utile corroborare. Si sono scelti alcuni nomi e argomenti, ma l’intendimento qui svolto è estensibile all’intera storia della filosofia, e con la convinzione che occorre non essere innovativi (chi ha cercato di esserlo in epoca recente, secondo chi scrive, ha fallito), bensì sia necessario cercare di ben interpretare quanto in essa filosofia è stato già elaborato.

Cominciamo da esempi concreti. Il giornalista e scrittore Giulietto Chiesa da una parte chiede il rispetto della Costituzione del 1948, ma poi propone improbabili soluzioni economiche compatibili con il sistema, senza porsi la questione del capitalismo e vorrebbe non uscire dall’Europa dell’euro, ma “cambiarne le regole”, ignorando che questa “Europa” è nata proprio per la volontà di imporre le sue regole iugulatorie. In altre parole, si vuole conciliare l’inconciliabile: indipendenza e subordinazione al tempo stesso. Per inciso ciò è plasticamente e schizofrenicamente espresso nella moneta da 2 euro coniata per commemorare la nostra Costituzione, che ne è la negazione assoluta! Comunque, non c’è niente da negoziare, niente da ridiscutere e non deve importare nulla di competere “capitalisticamente” con Cina o Giappone, quando il problema è il capitalismo in quanto tale. Anche se le proposte di Chiesa venissero praticate, si perpetuerebbero l’estrazione di plus-valore e il “sovrasensibile” balletto fra le merci nel mentre si usano gli esseri umani come strumenti per il loro spettrale dialogo. Qui comincia già a lampeggiare una carenza filosofica di fondo, una trascuratezza degli scomodi principi comunitari di Platone, Aristotele, Hegel. Del resto, è sufficiente leggere i libri di autori come Roberto Flamigni, Stefania Limiti, Paolo Cucchiarelli, e altri, per rendersi conto che l’infernale governo-ombra di “questi” U.S.A., con tutte le sue ragnatele mondiali, se si rimane all’interno dell’attuale sistema geo-strategico, non permetterà mai alcuna reale politica contraria ai propri interessi di preteso centro dominante e coordinatore del capitalismo globale. Nobili personalità che hanno cercato di fare gli interessi della nazione ne abbiamo avute, da Enrico Mattei ad Aldo Moro, e sappiamo quale destino sia stato loro riservato. Non è un paradosso pensare sia meno utopica una rottura radicale con l’intero attuale modo di produzione. Illusione? Ma qui ci viene in aiuto il precedente storico incancellabile della Rivoluzione d’Ottobre, ovviamente e sapientemente vittima di una damnatio memoriae.

Abbiamo un pullulare di movimenti, associazioni, piccoli partiti (dal destino “ultra-minoritario”, direbbe Costanzo Preve), che si prefiggono l’uscita dal sistema-euro e il ripristino delle prerogative dello stato nazionale, nonché, concetto inespresso, ma sottinteso, il ritorno, dunque, a un capitalismo “regolato”, con le zanne limate. Ma questa fase economica, con il welfare, ecc., è storicamente esaurita, come spiega Massimo Bontempelli nei suoi testi,2 e questi minimalisti anti-euro ricordano quanti, in altra epoca, all’alba tragica della “dittatura della borghesia”, ebbero nostalgia del vecchio ordine feudale, certamente meno disumano. Atteggiamento che Karl Marx si guardò bene dal con­dividere, poiché egli guardava avanti, alle prospettive future di socializzazione aperte dal nuovo modo di produzione, per quanto non iscritte necessariamente nella storia. Per cui, forzando l’estensione di una categoria temporale heideggeriana dalla analitica dell’esserci agli eventi storici, non sono da considerare “ad-venienti” le leggi e gli ordinamenti sociali, pur venerabili e mai abbastanza rimpianti, dei “trent’anni gloriosi 1945-1975”, bensì, più in profondo, il senso della comunità, ora estinto, che, sia pure in forme parziali, organicistiche, spesso coercitive, caratterizzò le epoche trascorse, prima del trionfo del modo di produzione capitalistico. Finalmente un senso comunitario da realizzare integralmente, secondo l’indicazione hegeliana, come frutto di libera scelta della libera individualità.

D’altra parte, quei movimenti e associazioni di cui sopra, anche quando non sono in aperto contrasto fra di loro, sembra non riescano comunque a coagularsi in una forza unica, tale da riunire le scarse disponibilità. Ciò ricorda irresistibilmente la frammentazione rivaleggiante dei gruppi extra-parlamentari di sinistra figli del Sessantotto, che pure, in linea di principio, sembravano tutti rifarsi agli stessi intendimenti generali. A questo proposito Costanzo Preve ci ricorda come questo fenomeno fosse dovuto (oltre che al narcisismo già individualistico-capitalistico di capi e capetti) alla debolezza della teoria di fondo, cioè il “marxismo” comune sia a ortodossi che a eretici, il quale, oltre alla inconsistenza degenerativa della fondazione kautskyano-engelsiana, pativa, ancora più a monte, anche una mancata elaborazione filosofica esplicita nel pensiero di Karl Marx. Per inciso, come ben sanno i lettori del compianto Costanzo Preve, egli ha evidenziato in Marx una matrice idealistica implicita, con argomenti difficilmente contestabili e che va ben oltre il semplice impiego del cosidetto metodo dialettico da parte dell’estensore del Capitale.

Ma permettiamoci una digressione. Martin Heidegger, nelle lezioni universitarie del 1925-1926,3 studiando Aristotele, dice (enigmaticamente?): “Il mettere insieme che fa vedere quel che è sempre separato deve allora necessariamente coprire; esso fa vedere qualcosa […] che non può mai essere in quel modo. Qui la simulazione è fondata necessariamente […] nel senso dell’impossibilità della composizione di quel che è sempre separato”. A cosa potremmo tranquillamente riferire questo criptico concetto, apparentemente banale? Per es., nella pubblicità abbiamo l’accostamento stridente (e offensivo per l’intelligenza) fra Amore, Amicizia, Libertà, Tradizione, Natura, Rivoluzione e … la forma merce. Ma, per rimanere nel nostro tema, abbiamo dei rimedi riformistici da sempre e per sempre separati dalla vera soluzione. Basterebbe questo per comprendere come la filosofia sia negletta e disprezzata, in quanto, se presa sul serio costituisce un tribunale inesorabile per il mondo capitalista e la debordiana società della spettacolo. Un altro esempio di cose che non possono stare insieme è costituito da una parte dalla dichiarata intenzione di pensare altrimenti e dall’altra dalla esposizione alla pubblicità mediatica e pseudo-politica, benevolmente e astutamente consentita dal sistema.

La televisione abbonda infatti di spot pubblicitari che invitano a finanziare la lotta contro le malattie rare, a contribuire economicamente a favore dei figli dei poveri e dei disoccupati, o per combattere la povertà in Africa, ecc., colpevolizzando l’uomo della strada e deresponsabilizzando le potenze sociali autrici dei mali in questione, facendone così un problema di beneficenza e generosità in­dividuale e proponendo iniziative “aventi le apparenze della pietà, ma prive di quanto ne forma l’essenza”.4 Oltretutto c’è il fondato sospetto che il Capitale osservi l’entità di queste contribuzioni, al fine di studiare l’eventualità di ulteriori riduzioni al salario globale della classe lavoratrice. E questo si può considerare anche un interessante esempio di quel “dono omeopatico”, a piccolissime dosi, emerso in una bella trasmissione radiofonica,5 quale antidoto del capitalismo per esorcizzare l’autentico Dono Gratuito, il quale, se appunto generalizzato, distruggerebbe l’intero sistema. In particolare, per quanto riguarda la disoccupazione – a parte la questione primaria, strutturale, dell’esercito industriale di riserva, necessario per concetto al modo di produzione capitalistico –, basti pensare alla partecipazione italiana alle sanzioni economiche contro la Russia per via della crisi ucraina, la quale, per chi voglia davvero informarsi, risulta di totale responsabilità occidentale. Queste sanzioni, imposte dagli U.S.A. ai Quisling nostrani, hanno comportato un danno enorme all’economia italiana con proporzionale perdita di posti di lavoro. Ma, e rientro nel tema, c’è la certez­za che qualunque forma di capitalismo, anche se “sovrano” e “indipendente”, porti a queste storture e sia inemendabile rimanendo al suo interno.

Scorrendo le immagini de Il trionfo della volontà – film documentario della grande cineasta tedesca Leni Riefenstahl sul congresso del partito nazista a Norimberga del settembre 1934 –, si osserva che ormai tali immagini hanno fortunatamente perso la loro immediata attualità. Infatti il nazismo storico si estingue nel 1945 (per quanto ne pensino in contrario i ragazzi dei centri sociali e altri meno ingenui, ma interessati a una legittimazione ideologica per la linea e l’esistenza stessa di partiti e sindacati che ormai hanno perso il loro originario ruolo storico), e non solo perché sconfitto militarmente, bensì perché non sussistono più le condizioni che lo fecero sorgere e prosperare. Ebbene …, la televisione italiana (più precisamente RAI 4), domenica 30 luglio 2017 manda in onda tale Tomorrowland (e già l’uso di un termine inglese la dice lunga), trasmissione diretta di un concerto rock di molte ore, con folla oceanica di giovani dall’entusiasmo fanatico simile a quello dei giovani in uniforme di Norimber­ga, con l’immagine di migliaia di volti stereotipati in una ininterrotta estasi, sublimata nell’adorazione di una personificazione-individuazione musicale della forma-merce, con annessa ideologia consumistica nell’illusorio individualismo di massa. Nel 1934 la Germania era reduce dalla faida interna al partito nazista della Notte dei lunghi coltelli e nel campo di Dachau erano imprigionati migliaia di comunisti dopo l’incendio del Reichstag: l’uniformità di massa era conseguente a una coercizione diretta. Invece il conformismo del falso anticonformismo “rock” è frutto di catene interiori e dunque infinitamente più efficace e pericoloso: è l’immagine-simbolo di un nuovo nazismo che non si lascia sconfiggere militarmente. In questo contesto, come la guerra di posizione politico-culturale dei decenni scorsi è paragonata da Costanzo Preve alla linea Maginot crollata in pochi giorni, non resta che pensare, quale principio gramsciano sempre valido, l’ottimismo della volontà, sebbene non abbia nulla di teorico. Ma se si pensa che la bruttezza e pericolosità sociale della musica rock siano qui esagerate, vale la pena riportare qualche parola del grande G. Anders a proposito della musica jazz, ma estensibile perfettamente al rock, anche se si dovrebbe leggere l’intero capitolo: “L’estasi è genuina, i ballerini, invece di essere se stessi, sono realmente ‘fuori di sé’, ma non già per sentirsi tutt’uno con le potenze ctonie, bensì con il dio della macchina: culto del Dioniso industriale […] ciò che il ballerino balla è una pantomima entusiasta della propria totale sconfitta […] che questo rito abbia l’effetto di ‘liquidare ‘realmente i ballerini e di far loro smarrire del tutto il loro ‘io’ è documentato da un fenomeno impressionante: cioè dal fatto che durante l’orgia perdono la loro faccia […] già più o meno stereotipa […] e non ci sarebbe nemmeno da meravigliarsi se durante l’orgia nascesse una nuova varietà di vergogna: la vergogna della faccia, la vergogna del ballerino di possedere una faccia in sé e per sé: di essere ancora sempre condannato a portare in giro con sé questo stigma della egoità quale dotazione coatta (corsivi di Anders)”.6

In queste tristi condizioni, lo scopo minimo immediato è l’assumere un ruolo storico simile a quello degli antichi conventi benedettini, quali isole di preziosa e futuribile civiltà in un contesto di circostante barbarie e tenendo presente, parafrasando Hegel, che nella situazione attuale la pianticella della filosofia (a dettare la prassi) si può innestare solo su singoli individui. A scanso di fraintendimenti, Domenico Losurdo ci ricorda che “l’atteggiamento del filosofo (Hegel) non si può certo dire elitario; è costante la sua tendenza a misurare la validità delle idee, non sulla base della loro astratta eccellenza interna, ma sulla base della loro capacità di informare di sé il reale, quindi anche di penetrare nella massa del popolo; ciò caratterizza Hegel in tutto l’arco della sua evoluzione”.7 Per inciso, ciò funge da risposta anche a quanti pensano che il grande filosofo abbia sostituito un mondo immaginario alla realtà, in linea con la distruzione della ragione idealistica imperversante dopo la morte di Hegel.

Conclusa questa parte introduttiva di critica “contingente-empirica” si inizia a corroborare la tesi centrale di queste pagine. Ogni evoluzione o frattura nella storia è stata preceduta o accompagnata da una giustificazione teorica. Ogni progetto di pensiero non cade dal cielo, ma è necessariamente calato nella realtà. Del resto, è facile trovare immediatamente un elemento d’aiuto per questa tesi nella imponente bibliografia del grande storico delle idee Domenico Losurdo, recentemente scomparso. Ci si propone di indicare alcuni esempi di questa apparente ovvietà, che tuttavia, a quanto pare, non è tenuta nel debito conto.

 

Antonio Fiocco

 

1 Basti pensare a C. Preve, Il convitato di pietra, Vangelista, 1991.

2 M. Badiale – M. Bontempelli, Il mistero della sinistra, Graphos, 2005; M. Badiale – M. Bontempelli, La sinistra rivelata, Massari, 2007; M. Bontempelli – F. Bentivoglio, Capitalismo globalizzato e scuola, ed. Labonia-Indipendenza, 2016.

3 M. Heidegger, Logica, il problema della verità, Mursia, 2015, p. 124.

4 IIa Lettera a Timoteo.

5 Oikonomia. Meditazioni sul capitalismo e il sacro, uomini e profeti, di Luigino Bruni, 17 marzo 2019.

6 G. Anders, L’uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, 2006, pp. 84-86.

7 D. Losurdo, Hegel e la Germania, Guerini e Associati, 1997, pp. 365-366.



Antonio Fiocco – Cenni sulla ristrutturazione del sistema orgaizzativo-produttivo d’impresa: da Taylor a Ohno
Antonio Fiocco – Emanuele Severino considera ineluttabile il trionfo della Tecnica (cioè il capitalismo): il suo ripristino dell’ontologia è apparente e fuorviante, dunque innocuo per il potere
Antonio Fiocco – Difendere in tutti i modi la progettualità.

Alessandra Filannino Indelicato – Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia, che eccede l’utilità abitando una dimensione più umana, spirituale. Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile.

Alessandra Filannino Indelicato 01

«Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia. Invece, soprattutto in ambito accademico, perplessità e domande sembrano essere diventate qualcosa da temere a fronte della minacciata ostracizzazione da parte della comunità scientifica, che pretende una produzione “in serie” della conoscenza, oltre alla coerenza, alla verificabilità, e alla ripetibilità di procedure calcolabili: operazioni senza resto. […] Io parlo di quel resto, e cioè di quanto del riferimento antico eccede l’utilità scientifica, anche solo su un piano intuitivo, abitando invece una dimensione più simbolica e sacra, più umana o, anche, spirituale. […] Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile […]. La filosofia del tragico riguarda una spinta tutta simbolica e mitologica di aderenza alla vita. […] Questo lavoro intende dimostrare come per praticare la filosofia sia assolutamente inevitabile e necessario sporcarsi le mani immergendole nella materia mitologica, rivelando uno sguardo diverso anche su materie settoriali e molto ben standardizzate, che non siamo soliti trattare con un orientamento filosofico. […] La filosofia del tragico ci costringerà inevitabilmente a mettere in discussione tutto ciò che viene avulso dal mondo, nel parlare del mondo, e cioè, avulso dal divenire».

Alessandra Filannino Indelicato, Introduzione



Alessandra Filannino Indelicato

Per una filosofia del tragico

Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco

Prefazione di Claudia Baracchi

Mimesis Edizioni, Milano 2019, pp. 216, Euro 20



14 Novembre 2019 – ore 20.30
Libreria “Les Mots”

INVITO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
di
Alessandra Filannino Indelicato
Per una filosofia del tragico.
Tragedie greche, vita-filosofica e altre vocazioni al dionisiaco
Mimesis, Collana Philo-Pratiche Filosofiche, 2019

Dialoga con l’Autrice
Andrea Ignazio Daddi, filosofo e pedagogista

INGRESSO LIBERO
Libreria LE MOTS, Via Carmagnola, Ang. Via Pepe, 20159, MILANO



 



«Pochi sanno che Dioniso, il nume tutelare del teatro antico, è padre tanto della tragedia quanto della commedia, e che nel teatro della vita, proprio come durante uno spettacolo, abbiamo il compito di guardare, capire e fare spazio a ciò che succede, nostro malgrado. […] Coprendo e ricoprendo l’autentica densità del mito in se stesso, ammutolendolo e assottigliandone la profondità, non facciamo che seguire una modalità consumistica, anche di ricercare e di studiare».

 

 

Ancora sentiamo levarsi dall’Antica Grecia il terribile pianto di un capro sacrificale. Alle urla strazianti di dolore si uniscono i canti commossi e le danze sfrenate in onore di Dioniso: la tragedia nasce come un sacro rituale di compartecipazione al ciclo di vita, morte e rinascita. Nell’epoca del consumismo e del “tutto subito”, abbiamo urgente bisogno di una filosofia del tragico, aperta alla complessità simbolica della vita. In questa direzione, l’Euripide di Baccanti ci consegna un Dioniso δαίμων (daimon), mediano, misterioso e contraddittorio; incarnazione dell’eccesso panico così come maestro di una puntuale presenza all’istante – l’autentico compito di ogni filosofia. Dioniso lo Straniero, ma secondo soltanto ad Atena nei festeggiamenti; Dioniso l’Androgino, l’irrazionale, l’addolorato: molteplici nomi tentano di definirlo, nessuno riesce mai a comprenderlo. Perché la filosofia dovrebbe dunque, e provocatoriamente, occuparsi del tragico? Cosa significa rispondere a una vocazione al dionisiaco? E perché questo ci riguarda?



 

Indice

Prefazione. Nello specchio di Dioniso
di Claudia Baracchi

Introduzione
Filosofie del tragico, mitologie e scienze umane

Prima parte

Capitolo I

La filosofia del tragico: scenografie rapsodiche, panorami insoliti

  1. Al cuore della filosofia del tragico: etica comefilosofia prima e vita filosofica
  2. Il tragico dell’origine: spinte genealogiche e miti originari a partire da Esiodo
  3. Appunti su μῦθος (mythos) e ἀλήθεια (alḕtheia) nellaRepubblica di Platone
  4. Sulla μίμησις (mìmēsis), sulla vita: Aristotele e l’arte omeopatica delle passion
  5. Cantando il capro, cantare la vita:Nietzsche e la tragedia come paesaggio d’anima
  6. Per un tragico entelechiale: il contributo di Ernst Bernhard
  7. Tracce e risonanze junghiane e kerenyane per una filosofia del tragico
  8. Nicole Loraux e la voce addolorata della tragedia antica

 

Capitolo II

Introduzione a Dioniso, il nume tutelare del teatro antico

  1. Dioniso il tragico, Dioniso il comico: una scelta di campo
  2. Feste rituali e festeggiamenti in onore di Dioniso
  3. Morte e rinascita come πολυμορφία (polymorphìa)

11.1 Il Polinomio: innumerevoli nomi, innumerevoli identità

11.2 L’animale, l’agreste e il vegetale: simboli sacri e rappresentazioni mondane

11.3 Δίγονος (Dìgonos) e Πενθεύς (Penthéus):il “nato-due-volte” e il “dio dalle insopportabili sofferenze”

11.4 Sussurri e segreti sui misteri dionisiaci: gli ἀπòῤῥητα (apòrrhēta)

 

Seconda Parte

Capitolo III

Ermeneutica simbolica e filosofia del tragico Dioniso nelle Baccanti di Euripide

  1. L’esercizio e il suo contesto
  2. Leggere il tragico

13.1 “Eccomi a Tebe”. Una divinità daimonica

13.2 “Dioniso, chiunque egli sia”. Un’identità inafferrabile

13.3 “Io lo vedevo e lui vedeva me” La disperante ambiguità dei dialoghi

13.4 “Un dio non dovrebbe assomigliare agli uomini nell’ira”. Dioniso, troppo umano

 

Conclusione. L’uscita danzante

Nel passaggio da εὐδαιμονία (eudaimonìa) a ἐνδαιμονία (endaimonìa)

 

Postfazione.
La tragedia che siamo, la tragedia che dovremmo essere consapevoli di essere
di Romano Màdera

Bibliografia




«[…] Alessandra Filannino Indelicato nella figura di Dioniso interroga la vita tragica, che è la vita in quanto tale, così come noi la conosciamo. Tragica perché sempre sul punto di andare in pezzi, tenuta insieme soltanto da uno sguardo che ne colga nessi e strutture là dove, nel fitto degli avvicendamenti e dei coinvolgimenti, ci adoperiamo ciecamente. Tenuta insieme da uno sguardo che ne colga l’unità narrativa, la sensatezza, la necessità. […] Ed è qui che la vita tragica, A. Filannino Indelicato ci mostra, si fa una con la vita filosofica, con l’impegno a una vita consapevole. E con la cura, l’accudimento. La vita tragica contemplata, attraversata con consapevolezza, è vita accompagnata, non lasciata allo stato brado ma coltivata, lavorata, esercitata: non lasciata sola ma seguìta, ricordata, riaccordata, raccontata, curata. […] La proposta di Alessandra Filannino Indelicato colpisce per audacia, urgenza e verità. Perché chiama a più livelli a un rinnovamento e a una serietà».

Claudia Baracchi, Prefazione.

*
***
*

«Questo libro è un contributo serio e generoso alla rinascita e al rinnovamento della filosofia come modo di vivere e, quindi, come insieme di pratiche filosofiche. Un contributo che rinnova ritornando, secondo una lezione classica che riconosce la rivoluzione proprio mentre ne rintraccia la più oscura genealogia. Qui, a differenza del reperto archeologico, portare alla luce, esporre all’aria, non dissolve, ma fortifica e acuisce la capacità di vedere».

Romano Màdera, Postfazione.




 

RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento speciale va a tutti gli amici che mi hanno incoraggiato a portare a termine questo lungo lavoro, durato quasi sei anni. In particolare, a chi mi ha aiutato nella revisione del testo: Marina Barioglio, Elena Bartolini, Andrea I. Daddi, Donata Feroldi, Luca Grecchi. Grazie a Claudia Baracchi e Romano Màdera, maestri dalla grande anima e insostituibili, ai quali sarò grata per tutta la vita. Agli amici immensi: Amos Badalin, Carmen Cocco, Gloria Diffidenti, Fabio Galimberti, Tommaso Giovenzana, Giusi Negroni. E a tutti gli amici di Philo. Grazie della philia. Un anemone e una viola a D., e un grazie per accompagnarmi alla scoperta di Dioniso, grazie per essere rimasta. Anche a te, Chandra, donna sangue-carezza, alla tasca di cangura, perché le tue poesie salvano me e molte altre, anche se, forse, tu continui a non saperlo davvero. Ermione, quanto ti devo? Mi hai adottato, piccola e selvaggia felina, maestra d’altrove, famiglia. Fabrizio, grande anima, la tua umiltà e il tuo cuore mi hanno insegnato a temere meno l’esposizione, e a legittimarmi l’arrivederci: e ora guarda, guarda tutto questo e il nuovo e l’America e tu, la tua America e le nostre gatte. Alle Filannino, donne che corrono coi lupi, in special modo alle mie sorelle Michela e Manuela, a mia cugina Marilena e, ovviamente, alla grande Lena, mia madre, che avrebbe voluto studiare psicologia e greco antico. Ai miei nipoti, tutti quanti, con la preghiera che si involino all’ascolto appassionato del loro daimōn. In ultimo, un grazie a chi, pur non conoscendomi, deciderà di spendere un po’ del suo tempo per leggermi.

Alessandra

Sono assegnista di ricerca in Filosofia Morale (M-FIL/03) e consulente pedagogica a orientamento filosofico. Faccio parte del Gruppo di Filosofia Morale, nello specifico collaboro con le cattedre di Filosofia Morale, Filosofia della relazione e del dialogo, Pratiche Filosofiche (Prof.ssa Claudia Baracchi). Alle favole ho da sempre preferito le epopee, i racconti epici, le mitologie e le cosmogonie di tutti i tempi. Fin dalla più tenera età, queste passioni non mi hanno abbandonata e in maniera del tutto naturale ho finito per intraprendere una vita di ricerca personale e professionale tra la psicologia del profondo junghiana, la mitologia e la tragedia greca, le pratiche filosofiche e le culture simboliche e l’utilità che il sapere filosofico-antico in genere ha nella contemporaneità, specie per le professioni di cura. Insieme al mio Gruppo di Ricerca , partecipo e conduco i Seminari Aperti di Pratiche Filosofiche  di Milano-Bicocca, dove approfondisco il tema della spiritualità laica e dell’importanza della filosofia praticata in gruppo. Collaboro con ScuolaPhilo, di cui sono socia. Sono docente di materie pedagogiche, filosofiche e psicologiche nei centri di formazione per figure professionali socio-sanitarie, ASA e OSS. Ho lavorato come coordinatrice di un servizio socio-assistenziale domiciliare rivolto all’anzianità. Oggi collaboro come consulente con i pazienti affetti da Alzheimer e demenze e i loro familiari con interventi al domicilio e in consulenze private.

Lista delle pubblicazioni di Allessandra Indelicato



Chandra Livia Candiani – Mappa per l’ascolto. Per ascoltare bisogna aver fame e anche sete. Dunque, abbraccia le parole come fanno le rondini col cielo, tuffandosi, aperte all’infinito

Chandra_Livia_Candiani1

Dunque, per ascoltare
avvicina all’orecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro,
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.

Accosta all’orecchio il vuoto
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.

Ripiega i pensieri
fino a ricevele in pieno
petto risonante
le parole in boccio.

Per ascoltare bisogna aver fame
e anche sete,
sete che sia tutt’uno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perché è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo, non è mai lo stesso
dell’andata.

Dunque, abbraccia le parole
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte all’infinito,
abisso del senso.

                                        Chandra Livia Candiani

 

 

Arianna Fermani – «Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele». Si è felici perché la vita ha acquisito un orientamento, si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice sussistenza. Una vita dotata di senso. Felicità come pienezza, come attingimento pieno del ‘telos’ lungo tutto il tragitto della vita.

Arianna Fermani_Nuova ed. Vita felice umana

«La felicità è la vita stessa quando viene vissuta al meglio: si è felici perché si vive bene, perché la vita ha acquisito un peso, una direzione, un orientamento, perché la vita si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice e anonima sussistenza, trasformandosi in una vita dotata di senso, in una individuale e particolarissima consistenza. […] felicità intesa come pienezza, come attingimento pieno del telos. Se il telos è interno all’energeia che lo produce, se il fine è contenuto nell’azione ed è indistinguibile da essa, allora è impossibile pensare ad una felicità che risieda escludivamente nel bersagio e non anche lungo i passi che conducono al suo raggiungimento […] lungo tutto il tragitto della vita».
                                                         Arianna Fermani, Vita felice umana, 2006.

«[…] il problema della vita nel suo complesso a qualcuno di noi può sembrare meno impellente di quanto non sembrasse a Socrate. Epure la sua domanda ci incalza ancora oggi e reclama l’impegno a riflettere sulla nostra vita nel suo complesso, e cioè nella totalità dei suoi aspetti e in tutta la sua profondità».
                                                                                                    Bernard Williams, L’etica e i limiti della filosofia, 1985.

Nel concetto della filosofia come domanda totale, problematicità pura, e perciò metafisica, risiede la classicità del pensiero antico. […] Se la filosofia rinuncia al suo carattere di domanda totale rinuncia al […] senso antico della filosofia, intesa come acquisizione perenne dello spirito, come vero κτῆμα εἰς ε [possesso pe sempre]».
                                                          Enrico Berti, Quale senso ha oggi studiare la filosofia antica, 1965.

 

«ὡς ἡδὺ καὶ μακάριον τὸ κτῆμα» [quanto soave e felice è il possesso della filosofia].
                                                                                                    Platone, Repubblica, 496 c.

«[…] il movimento nel quale è contenuto anche il fine è anche azione. […] Uno che vive bene, ad esempio, ad un tempo ha anche ben vissuto, ed uno che è felice, ad un tempo è stato anche felice».
                                                         Aristotele, Metafisica, IX, 6, 1048 b.

«κτῆμά τε ἐς αἰεὶ μᾶλλον ἢ ἀγώνισμα ἐς τὸ παραχρῆμα ἀκούειν ξύγκειται».
Tucidide, Storie, I, 22.

Note sul testo
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

Note sull’autore
Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: L’etica di Aristotele. Il mondo della vita umana, Brescia, Morcelliana, 2012; By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach, a cura di E. Cattanei, A. Fermani, M. Migliori, Sankt Augustin, Academia Verlag, 2016; Aristotele e l’infinità del male. Patimenti, vizi e debolezze degli esseri umani, Brescia, Morcelliana, 2019. Ha tradotto integralmente le Etiche di Aristotele (Aristotele, Le tre Etiche, Milano, Bompiani, 2008; Giunti, 2018) e ha collaborato all’edizione dell’Organon (a cura di M. Migliori, Milano, Bompiani, 2016).
 
Indice
Prefazione di Salvatore Natoli
 
Introduzione
 
Parte prima. Semantica della felicità
 
Capitolo primo. La felicità come domanda originaria
1.1. Domanda “di” felicità
1.2. Domande “sulla” felicità
1.2.1. Felicità: una questione terminologica
1.2.2. Felicità e forme di vita
 
Capitolo secondo. Felicità e dolore
2.1. L’esperienza del dolore
2.1.1. Il dolore come accadimento
2.1.2. Le forme del dolore
2.2. Cicatrizzazione del dolore e cura di sé
2.2.1. Approcci al dolore
2.2.2. Cura del dolore e cura di sé
2.2.3. L’assunzione del dolore
2.3. Concludendo
 
Capitolo terzo. Felicità e piacere
3.1. L’esperienza del piacere
3.2. Fenomenologia del piacere
3.2.1. Il piacere nell’orizzonte della corporeità
3.2.2. Dinamiche piacevoli e dolorose
3.2.3. Il corpo e i desideri: la veemenza di un fiume in piena
3.2.4. Anima e corpo di fronte al piacere
3.2.5. Piaceri e criteri di scelta
3.3. Il ruolo del piacere nella vita felice
 
Capitolo quarto. Felicità e realizzazione di sé
4.1. Profili della virtù: tentativi di un recupero
4.1.1. Virtù come eccellenza
4.1.2. Virtù come forza
4.1.3. Virtù come disposizione
4.1.4. Virtù come giusto mezzo
4.2. La virtù come architettonica della felicità
4.2.1. Vita felice e accordata: la virtù come musica
4.2.2. Vita felice e ordinata: la virtù come misura
4.2.3. La virtù come arte del vivere bene
 
Capitolo quinto. Felicità e beni esteriori
5.1. Primi approcci al problema
5.2. Felicità e fortuna
5.2.1. Lampi di felicità, colpi di fortuna
5.2.2. Fortuna e virtù
5.2.3. Felicità e fortuna: osservazioni conclusive
5.3. Felicità e amministrazione dei beni
5.3.1. Il possesso e l’utilizzo di due beni supremi: la sophia e la phronesis
 
Parte seconda. Prassi di felicità
 
Capitolo primo. Felicità e valorizzazione delle proprie risorse
1.1. Vita felice e buon utilizzo dei propri talenti
1.1.1. Per una eudaimonia nell’orizzonte della physis
1.1.2. Felicità al singolare, felicità al plurale
1.2. Eudaimonia come ritrovamento e buona allocazione del proprio daimon
1.2.1. Felicità come consapevolezza
1.2.2. Percorsi esistenziali e traiettorie di felicità
1.3. Saggezza e sapienza di fronte alla felicità
 
Capitolo secondo. Felicità come conquista di pienezza
2.1. Felicità tra esperienze di pienezza e pienezza di vita
2.1.1. Tentativi di articolazione della nozione di pienezza
2.2. Per una pienezza nell’orizzonte dell’energeia
2.3. La difficoltà di far spuntare le ali: la felicità come conquista
2.3.1. Felicità pienamente consapevole e pienamente umana
2.4. Riflessioni conclusive
 
Conclusioni
1. Per concludere
2. Vita felice umana: appunti di viaggio
 
Bibliografia
1. Dizionari e lessici
2. Testi antichi
3. Testi moderni e contemporanei
4. Letteratura critica e studi generali
 
Indice degli autori antichi e moderni
 
Note
In copertina: immagine di Alessandra Mallamo ©2019
Eudaimonia

«Le ferite non scompaiono mai del tutto, soprattutto se profonde […] tuttavia, anche se non scompaiono, possono cicatrizzare. In questa cicatrice, che è, contemporaneamente, segno del patimento e sintomo di guarigione, si gioca la possibilità, per l’uomo che ha incontrato la morte e il dolore e che di fronte ad essi ha sofferto, di “ricominciare” a vivere», A. Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele.

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Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele
Arianna Fermani – La nostra vita prende forma mediante il processo educativo, con una paideia profondamente attenta alla formazione armonica dell’intera personalità umana per renderla libera e felice.
Arianna Fermani – L’armonia è il punto in cui si incontra e si realizza la meraviglia. Da sempre armonia e bellezza vanno insieme.
Arianna Fermani – VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele. il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permette di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana
Arianna Fermani – Divorati dal pentimento. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele
Arianna Fermani – Mino Ianne, Quando il vino e l’olio erano doni degli dèi. La filosofia della natura nel mondo antico
Arianna Fermani – Nel coraggio, nella capacità di vincere o di contenere il proprio dolore, l’uomo riacquisisce tutta la propria potenza, la propria forza, la propria dignità di uomo. Senza coraggio l’uomo non può salvarsi, non può garantirsi un’autentica salus.
Arianna Fermani – Fare di se stessi la propria opera significa realizzarsi, dar forma a ciò che si è solo in potenza. attraverso l’energeia, e nell’energeia, l’essere umano si realizza come ergon, si fa opera. Chi ama, nutrendosi di quell’energeia incessante che è l’amore, scrive la sua storia d’amore, realizza il suo ergon, la sua opera. È solo amando che un amore può essere realizzato, esattamente come è solo vivendo bene che la vita buona prende forma
Arianna Fermani – Recensione al volume di Enrico Berti, «Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica».

Tra le molte pubblicazioni di Arianna Fermani


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristote

indicepresentazioneautoresintesi

anche in Educação e filosofia, 31, n. 61 (2017)

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 «Non è una differenza da poco il fatto che subito fin dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro ma, al contrario, è importantissimo o, meglio, è tutto» (Etica Nicomachea, II, 1, 1103 b 23-25).

Questo contributo mira a mettere a fuoco il tema dell’educazione di Aristotele, mostrando come tale riflessione risulti essere originale ed attuale. L’indagine prende avvio dall’esame delle occorrenze di alcuni lemmi all’interno del corpus del filosofo particolarmente significativi rispetto al tema della educazione, come ad esempio

paideia

Si intende mostrare come la riflessione aristotelica sulla paideia, oltre ad un utilizzare una specifica metodologia di indagine, si muova all’interno di due fondamentali scenari educativi: nel primo (che a sua volta si articola in una serie di sotto-questioni, come ad esempio il tema dell’insegnabilità della virtù o quello dell’emotional training e dell’educazione delle passioni) l’educazione precede l’etica, mentre nel secondo l’educazione consiste nell’etica, secondo il fondamentale modello teorico dell’energeia.


Arianna Fermani è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’ “International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana. Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.


Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Arianna Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, Editore: eum, 2006 [prima edizione]

Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

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L'etica di Aristotele
 

Arianna Fermani, L’etica di Aristotele: il mondo della vita umana, Editore: Morcelliana, 2012

Utilizzando tutte e tre le Etiche aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà “si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.

Sommario

Ringraziamenti
Premessa
I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni
II “Essere” e “dirsi in molti modi”
Introduzione
I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele
II. Autenticità delle tre Etiche
III. Obiettivi e struttura del lavoro

PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù
Capitolo primo: Giustizia e giustizie
Capitolo secondo: La fierezza
Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia
Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza
Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio”
Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio

SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione
Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca”
Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere
Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore

TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona
Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici
Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza
Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità
Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis
Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi
Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi

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Le tre etiche

Aristotele, Le tre etiche. Testo greco a fronte, Editore: Bompiani, 2008.

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

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Platone e Aristotele

Platone e Aristotele. Dialettica e logica

Curatori: M. Migliori, A. Fermani

Editore:Morcelliana, 2008

Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.

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Interiorità e animae
 

Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani, Interiorità e anima: la psychè in Platone

Vita e Pensiero, 2007

Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso l’”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero contemporaneo torna positivamente a misurarsi.

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Humanitas

Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.

Curatore: A. Fermani, M. Migliori

Editore: Morcelliana, 2016

Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas” 1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M. Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia. Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani, Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts, and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda. longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F. De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.

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Il Simposio di Platone

J. Rowe, Arianna Fermani, Il ‘simposio’ di Platon

Academia Verlag, 1998

Cinque lezioni sul dialogo con un ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata, Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.

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Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità;
Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203

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rivista di

ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE

Arianna Fermani

Vita e Pensiero, Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202

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Studi su ellenismo e filosofia romana

Studi su ellenismo e filosofia romana

Curatori: F. Alesse, A. Fermani, S. Maso

Editore: Storia e Letteratura, 2017

In questo volume vengono raccolti cinque saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e all’aristotelismo di epoca imperiale.

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Thaumazein cop

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”.
Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele

in THAUMÀZEIN; n. 2 (2014); Verona, pp. 225-246

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