Francesco Petrarca (1304-1374) – Frugati dentro severamente. Anche il conoscere molte cose, che mai rileva se siete ignoti a voi stessi?

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Secretum, Copertina di un'edizione del 1470

Secretum, Copertina di un’edizione del 1470.
Prima edizione originale tra il 1347 e il 1353.

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«Frugati dentro severamente [Excute pectus tuum acriterJ, e troverai che tutto ciò che sai, se lo paragoni a quanto ignori, pareggia la proporzione di un ruscello destinato a seccarsi per gli ardori estivi, confrontato con l’Oceano. Benché, anche il conoscere molte cose, che mai rileva se, quando bene abbiate apprese le dimensioni del cielo e della terra, l’estensione del mare e le orbite degli astri, le virtù delle erbe e delle pietre e gli arcani della natura, siete ignoti a voi stessi?».

Francesco Petrarca, Secretum o De secreto conflictu curarum mearum (“Riguardo al segreto conflitto delle mie angosce”).

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Francesco Petrarca (1304-1374) – Gloria effimera è cercar fama solo nel barbaglio delle parole: il mio lettore, almeno finché legge, voglio che sia con me. Non voglio che apprenda senza fatica ciò che senza fatica non ho scritto.

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Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Che cosa sono i secoli di fronte all’istante in cui due esseri si presagiscono e si accostano? Ancor prima che uno sapesse dell’altra, noi ci appartenevamo

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«Che tutto cambi radicalmente!
Dalle radici dell'umanità germogli il nuovo mondo!».
 Iperione

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«Che cosa sono i secoli
di fronte all’istante
in cui due esseri si presagiscono e si accostano?».

***

E più oltre, parlando del suo rapporto con Diotima:

«Ancor prima che uno sapesse dell’altra, noi ci appartenevamo».

Friedrich Hölderlin, Iperione o l’eremita in Grecia, Bompiani, 2015.


Friedrich Hölderlin (1770-1843) – L’uomo che pensa deve agire, deve dispiegarsi. Egli può molto, stupenda è la sua parola che strasforma il mondo. Un potente anelito, con radici profonde, lo spinge verso l’alto.
Friedrich Hölderlin (1770-1843)– Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine. Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è soltanto come un supervisore.
Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Quando un popolo ama il bello l’egoismo si scioglie. Se così non è, sempre più aridi e più desolati divengono gli uomini, cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo. Così il mondo intorno a noi diviene un deserto e il passato si sfigura in un cattivo auspicio per un futuro senza speranza.
Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Dobbiamo uscire dalla pigra rassegnazione, dove non si vuole nulla, non ci sicura di nulla. L’originalità è intensità, profondità del cuore e dello spirito.

Pietro Canonica, L’abisso, 1909, Museo Canonica, Roma

Immagine in evidenza: Pietro Canonica, L’abisso, 1909, Museo Canonica, Roma.


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Renato Curcio – La materia più preziosa al mondo è l’anima degli umani, il loro immaginario. L’impero virtuale non è che la storia recente di una nuova e più insidiosa strategia di colonizzazione dell’immaginario.

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«[È emersa] una nuova oligarchia economica esperta nell’esercizio del potere digitale […] Uno sviluppo del capitalismo globale, una tecnologia innovatrice, un nuovo panottico di sorveglianza, una possibilità di controllo a distanza dei lavoratori, una produzione di identità virtuali, un’opportunità per mille operazioni di hackeraggio benefiche e malefiche, una possibilità di velocizzare e ampliare le nostre comunicazioni orizzontali e tante, tantissime altre cose ancora» (pp. 8-9).

«L’iperconnessione, la schiavitù mentale, l’app-dipendenza, l’alienazione della memoria, il furto dell’oblio, e il deterioramento della sensibilità relazionale» (p. 10).

«La materia più preziosa al mondo non è il petrolio, né l’oro e neppure l’energia. No, più prezioso di ogni altra cosa, come aveva già intuito il Papato ai tempi delle prime Crociate, è l’anima degli umani, il loro immaginario. L’impero virtuale non è che la storia recente di questa appropriazione, di una nuova e più insidiosa strategia di colonizzazione dell’immaginario» (p. 16).

«[Dobbiamo] raffigurarci l’utilizzatore della piattaforma come un lavoratore-consumatore che opera volontariamente per un’azienda produttiva senza percepire alcun salario; che produce con il suo lavoro valore, ma lo fa gratuitamente, volontariamente, e nella maggior parte dei casi senza esserne neppure consapevole; e che, infine, riceve nei suoi strumenti digitali inviti mirati all’acquisto di prodotti ai quali in qualche modo si è interessato (un volo, un libro, un tablet, un’auto, un appartamento). Ricordando che il popolo irretito nell’impero virtuale raggiunge attualmente circa tre miliardi di persone non stupisce che il gruzzolo finale raggiunga cifre astronomiche» (p. 36).

«Mentre i legami in presenza si generano, si consolidano e si sciolgono attraverso parole e messaggi non verbali che i corpi si scambiano reciprocamente, le connessioni elettroniche si affidano alle immagini morte, ai filmati, ai simboli e alla scrittura, vale a dire ai tipici sistemi di segni ai quali, da sempre, ricorrono i linguaggi dell’assenza» (pp. 63-64).

«Un ‘tweet’ qui e un ‘mi piace’ là. Un messaggino e uno scambio di fotografie. Esorcismi contro la solitudine, ma anche angoscianti domande. […] Il numero e non la qualità. Questo è lo specchio di qualunque Narciso virtuale. […] Nell’ordine di realtà virtuale a cui Narciso si consegna, la sua gloria e il suo destino dipendono dall’aritmetica» (70).

«Affidando i nostri ricordi alle implacabili memorie esterne, queste memorie ricorderanno di noi anche quello che noi non ricordiamo più o di cui ci siamo liberati. Figlie del pensiero quantitativo esse ignorano l’arte sottile e benefica dello scarto e dell’abbandono: esse ricorderanno per sempre anche quanto noi non vorremmo più ricordare. Ricorderanno nonostante noi e la nostra volontà, e saranno soltanto esse, infine, a costruire, giudicare e decidere quale debba essere il significato dei nostri trascorsi dimenticati.
Va detto ancora che la memoria senza oblio è anche una memoria senza storia, una memoria ‘morta’, rigida come un cadavere e patologicamente dissociata. È una memoria ‘cattiva’ che genera malessere. Tutto ciò che essa conserva ‘dorme’ fino a che l’oligarchia non ritenga di doverlo risvegliare per una sua qualsiasi ragione; dimora in un obitorio dell’impero in attesa di essere un giorno oscenamente scrutata da algoritmi curiosi in cerca di sempre nuove e imprevedibili associazioni» (77).

«[…] parole finte, contatti virtuali spacciati per legami amicali, maschere intercambiabili e ologrammi in marcia nelle piazze vuote» (99).

Si tratta della «schiavitù mentale» della quale parla Chomsky, «la schiavitù di cui sono vittime gli entusiastici abitanti dell’impero» (68), il quale si presenta «come una società della trasparenza identitaria; una società degli alias digitali accreditati e domiciliati in account, con-vinti e attivi, ma sempre trasversalmente monitorati senza alcuna pausa» (pp. 100-101).

«[Internet è] dentro il mondo, ma il mondo non si riduce a Internet. Il futuro passa anche dall’esterno di questa ragnatela e fuori dalle sue ossessioni» (p. 98).

«Stando all’evidenza storica tutti gli imperi esistiti sono anche crollati. Non vedo perché proprio questo dovrebbe fare eccezione» (p. 101).

Quarta di copertina

Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.

 

 

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Marino Gentile (1906-1991) – È necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica.

Marino Gentile 001

 

 

«Nel dare inizio a un corso di lezioni sul tema: come si pone il problema metafisico, è necessario anzitutto rammentare e riconoscere l’ampiezza delle ostilità e delle perplessità che suscita, nella cultura filosofica e non filosofica contemporanea, il nome stesso della metafisica».

Marino Gentile

 

 

267 ISBN

Marino Gentile
Come si pone il problema metafisico

Introduzione di Carmelo Vigna

indicepresentazioneautoresintesi

 


coperta 99

Marino Gentile
La metafisica presofistica
Il valore classico della metafisica antica

Introduzione di Enrico Berti

indicepresentazioneautoresintesi

«Quest’opera è un esempio perfettamente riuscito di confluenza tra impegno storiografico, di valore ineccepibile, e impegno teoretico, ovvero filosofico, di grande respiro. Essa perciò costituisce il modello di un modo di fare storia della filosofia e filosofia teoretica insieme, che restò poi a caratterizzare altri lavori storici di Marino Gentile, in cui nessuna delle due discipline è sacrificata all’altra […] ma ciascuna valorizza l’altra.
[…] La maniera del tutto particolare, e innovatrice, di intendere la metafisica classica da parte di Marino Gentile, rappresenta la gloria maggiore del maestro, quella per cui vale ancora la pena dichiararsi con orgoglio suoi allievi».

ENRICO BERTI



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Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.

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Compendio di metafisica umanistica

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«L’anima è, in certo modo, tutte le cose».
Aristotele, De anima, 431 b 21

Pubblico in questa sede il testo, lievemente modificato, della relazione da me tenuta, il giorno 1 dicembre 2016, all’Università degli studi di Macerata, all’interno del convegno intitolato Sistema, sistematico, asistematico. Chiarimenti per un concetto ambiguo, organizzato dai professori Arianna Fermani e Maurizio Migliori. Si tratta della sintesi di ciò che in questi anni ho definito più volte “metafisica umanistica”, struttura teoretica che costituisce l’oggetto di un libro che annunciai già nel 2003, ma che sono continuamente costretto a rimandare per il problema, ben noto a chi fa ricerca, che più si studia e più si comprende di essere ignoranti (ossia che mancano ancora – ad oggi: spero non per sempre – alcuni necessari elementi per poter costituire compiutamente il discorso). In ogni caso, poiché diversi amici mi hanno da tempo richiesto di esporre quanto meno una sintesi della metafisica umanistica, ossia di quella che ritengo essere la struttura sistematica meglio in grado di descrivere fondatamente la realtà sul piano onto-assiologico, ho colto l’occasione di questo convegno per effettuarne una esposizione, non sapendo ancora quanto tempo mi ci vorrà per concludere la sistematizzazione complessiva.

[…] Ritengo necessario affrontare il tema veritativo anche sul piano politico-sociale. Come può infatti la metafisica, il sapere dell’intero e del fondamento, trascurare quanto più caratterizza oggi l’intero (la crematistica impone ovunque le proprie modalità: non solo alla società, ma anche alla natura), e quanto più nega il fondamento (la natura razionale e morale dell’uomo)? Come detto, per essere coerente con il proprio carattere onto-assiologico, l’approccio veritativo della metafisica umanistica non può limitarsi a descrivere come le cose sono (sul piano sociale, descrivere il modo di produzione capitalistico), e nemmeno a valutare l’attuale stato di cose (valutarlo negativamente, come poc’anzi fatto). Deve fare di più, ossia deve dire come, almeno nelle sue linee generali, un modo di produzione sociale dovrebbe strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico, ossia per realizzare le potenzialità razionali e morali presenti negli uomini, consentendo loro la felicità. Dato che la natura umana è determinata, ossia dotata di stabili caratteristiche costitutive (e non di qualsiasi caratteristica), è normale che essa possa realizzarsi solo in una totalità sociale determinata, ossia dotata di conformi caratteristiche (e non in qualsiasi totalità sociale): da qui la necessità anche teoretica della progettualità.

Luca Grecchi

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In copertina:
Paul Klee, Der Seiltänzer [Il funambolo], 1923.

Il funambolo di Klee cerca di trovare un nuovo equilibrio sospeso a mezz’aria su una corda tesa, nel suo essere uomo in uno spazio di-segnato in basso da strutture leggere, tra loro correlate in profondità, ma protese nella comune tensione verso l’alto. L’artista e il funambolo anelano ad un distacco smaterializzante, ma non perdono il contatto necessario e insieme vincolante con la realtà e con il mondo terreno, senza comunque soccombervi, e cercando invece di elevarsi alla compiuta umanità dell’esser uomo, proprio perché l’Uomo è l’unico ente in grado di pensare l’essere.


Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
Luca Grecchi – Sulla progettualità
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.


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Salvatore Bravo – L’abitudine alla mera sopravvivenza diviene abitudine a subire. Ma possiamo scoprire, con il pensiero filosofico, che “oltre”, defatalizzando l’esistente, c’è la buona vita.

Christopher Lasch

  L’io minimo all’epoca della società della sola sopravvivenza

L'io minimo

L’io minimo

L’io minimo – dopo l’identità fluida di Bauman – è un’immagine sostanziale e non solo metaforica della condizione dell’uomo all’epoca del cretinismo economico. Il testo di Christopher Lasch L’io minimo descrive lo sfaldarsi della comunità mondiale, e non solo occidentale, sotto la pressione del capitalismo totale. La tecnica ed i suoi apparati, gestell, operano per una riduzione dell’identità dell’io: senza di esso non vi è comunità, né possibilità di fondare con il logos percorsi dialettici per cercare verità e costruire progetti politici. La naturalizzazione dell’esistente ha trovato un alleato nel processo di vittimizzazione di un’intera società. Lasch descrive il senso di dipendenza diffuso nella società del benessere, del totalitarismo dell’azienda. La democrazia è diventata scelta solo all’interno di un orizzonte di cose. In realtà la libertà è solo apparente, dietro la patina epidermica dell’oggetto si nasconde il nulla dell’uguale. Per cui la trasgressione ha solo il fine di indurre alla scelta desimbolizzzata in nome dell’economia. Il malessere è gestito da figure specializzate ed adattive, per cui l’evoluzione autonoma dell’io è aggredita nella sua genesi. Si delega, si abdica, ci si rifugia nelle figure dell’iperspecializzzazione acquisendo un senso di impotenza, di vittimizzazione la quale diviene incapacità di sentirsi parte attiva e partecipata di una comunità. La comunità politica è attaccata nel suo fondamento, la dialettica che sviluppa l’io è in tal modo annichilita. Resta un senso di vittimizzazione, di impotenza generale che si stratifica in una vita che è un mero sopravvivere. Un clima darwiniano in cui si è chiamati alla rinuncia, in nome delle cose, dei morti che dominano i vivi, delle merci che divengono autonomi soggetti della storia. Il clima darwiniano, la sopravvivenza, vorrebbe ribaltare la natura umana, ridurla ad una mero calcolo per sopravvivere:«La mentalità della sopravvivenza porta a una svalutazione dell’eroismo. Le situazioni limite, scrive Goffman, danno rilievo “ai piccoli atti della vita”, non alle “grandi forme di lealtà e di inganno”. Le istituzioni totali organizzano un massiccio “attacco all’io”, ma nello stesso tempo impediscono una resistenza efficace, costringendo gli internati a ricorrere, invece che alla “recalcitranza”, al distacco ironico, alla chiusura in sé, e a quella combinazione di conciliazione e di non cooperazione che Goffman ha definito “making out”. Le istituzioni totali hanno affascinato Goffman perché, tra le altre ragioni, costringono chi vi è dentro a vivere giorno per giorno, dato che concentrarsi sull’immediato è la migliore speranza di sopravvivere a lungo. Il lavoro di Goffman sulle istituzioni totali parte dalle stesse premesse da cui partono i suoi studi sulla “presentazione del sé nella vita quotidiana”: anche nelle situazioni più laceranti, gli individui si rivelano più pienamente negli eventi non eroici dello scambio quotidiano che non in atti straordinari di abilità e coraggio» (C. Lasch L’io minimo, Feltrinelli, Milano 2010, p. 35).

L’abitudine alla sopravvivenza, alla cattiva vita diviene abitudine a subire, a giustificare ogni azione in funzione del calcolo della sopravivenza, per cui l’alienazione diventa aberrante. La nuova alienazione induce a consumare il proprio tempo attimo dopo attimo al fine di sopravvivere, si esclude la vita come dialettica, come qualità di vita. Il fine della trasformazione della società in una immensa azienda dell’esclusione, della competizione, porta a vivere nel disimpegno poiché l’unico futuro possibile è la sopravvivenza.

La descrizione di Lasch ci deve indurre a riflettere sulla capacità trasformativa della filosofia. Guardare e vivere il mondo in modo olistico per riattivare la forza razionale della speranza. La filosofia ha la sua vocazione a ricategorizzare il mondo, a renderlo dinamico, ma non fluido, ricostruisce percorsi dialettici senza i quali la comunità è inesistente. Lasch ci invita a riflettere sul costo umano della sopravvivenza: una società senza orizzonti ideali e comunitari, incapace di guardare oltre la mole della merce è segnata da un’infelicità perenne. L’indifferenza è l’effetto della vittimizzazione sostenuta da tanta “incultura” della sopravvivenza: «I sopravvissuti devono imparare dei trucchi per osservare gli eventi della propria vita come se succedessero ad altri. Una delle ragioni per cui la gente non si sente più soggetto di narrativa è che non si sente più soggetto, ma piuttosto vittima delle circostanze; e questa sensazione di essere agiti da forze esterne incontrollabili spinge a un’altra forma di equipaggiamento morale, all’abbandono dell’io assediato, per rifugiarsi nei panni di un osservatore distaccato, stupefatto, ironico. Sentire che quello che sta succedendo non succede a me mi aiuta a proteggermi dal dolore e a controllare le espressioni di risentimento e di ribellione che servirebbero solo a procurarmi altre torture da parte di chi mi tiene prigioniero. Ancora una volta ricompare nei manuali del successo una tecnica di sopravvivenza imparata nei campi di concentramento, dove era raccomandata come metodo affidabile per trattare con i “tiranni”. Chester Burger, autore di Dirigenti sotto il fuoco e Sopravvivenza nella giungla dirigenziale, dà per scontato che la resistenza nei confronti dei superiori arroganti sia fuori questione; ma consiglia anche i suoi lettori di non “adulare i tiranni”. Devono piuttosto cercare di prendere le distanze» (ibidem, p. 46).

Solo l’azione teoretica filosofica può indicare che oltre la «sopravvivenza» c’è la buona vita: essa inizia con la partecipazione, col pensiero condiviso che defatalizza l’esistente per risimbolizzarlo.

Salvatore Bravo

 



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Alberto Cavallari (1927-1998) – Tre sono le letture che s’impongono come principali su Robinson Crusoe: quelle fatte da Rousseau, da Kant, da Marx.

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«Il vero simbolo della conquista britannica, la profezia dell’impero, è Robinson Crusoe. […] È il vero prototipo del colonizzatore britannico». James Joyce, Conferenza di Trieste, 1913

 

 

Robinson Crusoe, Feltrinelli, 1993

Robinson Crusoe, Feltrinelli, 1993


«[…] Generalmente tre sono le letture che s’impongono come principali: quelle fatte da Rousseau, da Kant, da Marx. Certamente Rousseau ha contribuito a fare di Robinson il personaggio-chiave del rapporto tra individuo e società moderna: nell’Emile dichiara che Robinson è il primo libro su cui deve fondarsi la formazione dell’uomo nuovo del ‘700 perché significa “il più felice trattato di educazione naturale”. Per lui la parabola del naufrago che si salva senza l’aiuto dei suoi simili, col solo conforto della ragione e di una Fede puramente deista, è quasi una voce dell’Encyclopédie: mostra un uomo naturalmente buono, che inventa tecniche e arti di sopravvivenza, che si allea a un altro uomo naturalmente buono, il selvaggio Venerdì. Ma Kant va più in là: nelle sue Congetture sull’origine della storia del 1786 fa di Robinson un simbolo dell’etica progressista: perché significa l’uomo moderno nostalgico d’inesistenti età dell’oro, d’impossibili ritorni alla vita naturale, però cosciente d’aver messo in moto lui stesso un processo di civilizzazione che gl’impedisce di rientrare nell’antico stato d’innocenza; un uomo consapevole che l’innocenza non può bastargli, che lui stesso non la desidera veramente, e così rispecchia le vere caratteristiche della natura umana e del percorso umano “che va dal peggio al meglio, non dal bene al male”. Quanto a Marx, che ne scrive nell’Introduzione alla critica dell’economia politica e nel Capitale, Robinson, il “sobrio Robinson”, ha tutte le caratteristiche del borghese del ‘700. è un uomo che dice di credere (come gli economisti pre-marxisti) alla Provvidenza, alla “mano invisibile”, ai meccanismi naturali del processo produttivo, come se il mondo fosse uguale nelle società primitive e in quelle moderne. Ma in effetti poi mostra che nelle società moderne anche l’individuo isolato agisce all’interno di una società nella quale i rapporti sociali s’incrociano con la cosiddetta natura. Infatti  in Robinson isolamento e dipendenza  dalla società si sovrappongono.  Nell’isola deserta egli diventa imprenditore di se stesso: “salva dal naufragio orologio, libro mastro, penna e calamaio, e comincia da buon inglese a tenere la contabilità della vita, persino della Provvidenza” […]».

Alberto Cavallari, nel suo saggio introduttivo «L’isola della modernità» alla edizione del Robinson Crusoe di Daniel Defoe da lui tradotta per Feltrinelli (Milano, 1993, pp. 13-14, 17-19).

 

Stampa originale del 1719 del libro Robinson Crusoe, di Daniel De Foe

Stampa originale del 1719 del libro Robinson Crusoe, di Daniel De Foe


Che ne pensava Karl Marx

Karl Marx commentò per la prima volta Robinson Crusoe in due scritti giovanili, La miseria della filosofia e i Grundrisse, pubblicati postumi. Nel primo, Marx critica Robinson sostenendo che si tratta di un eremita che produce solo per sé e che quindi non può rappresentare veramente il processo di produzione che interpreta come un fatto essenzialmente sociale. Ma nei Grundrisse, riprende la discussione in modo più completo, insistendo che «il cacciatore e il pescatore isolati da cui partono Smith e Ricardo» non appartengono al Robinson originale di Defoe ma «alle poco fantasiose riscritture delle storie di Robinson Crusoe [Robinsonaden]». Quindi per Marx le Robinsonate degli specialisti dell’economia sono fuorvianti; non così invece il romanzo originale di Defoe. Come scrive S. S. Prawer, La biblooteca di Marx, Garzanti: «Marx in verità attacca ‘il mito di Robinson Crusoe’ e non il libro in sé». Questo appare ancora più chiaramente nella discussione più esauriente e dettagliata che Marx fa di Robinson nel primo libro del Capitale: «Poiché l’economia politica predilige le robinsonate evochiamo per primo Robinson nella sua isola […] ha tuttavia bisogni di vario genere da soddisfare, e quindi deve compiere lavori utili di vario genere, deve fare strumenti, fabbricare mobili, addomesticare capre, pescare, cacciare ecc. Qui non parliamo delle preghiere e simili, poiché il nostro Robinson ci prende il suo gusto e considera tali attività come ricreazione. Nonostante la differenza fra le sue funzioni produttive egli sa che esse sono soltanto differenti forme di operosità dello stesso Robinson, e dunque modi differenti di lavoro umano […]. Il nostro Robinson che ha salvato dal naufragio orologio, libro mastro, penna e calamaio, comincia da buon inglese a tenere la contabilità di se stesso. Il suo inventario contiene un elenco degli oggetti d’uso che possiede, delle diverse operazioni richieste per la loro produzione, e infine del tempo di lavoro che gli costano in media determinate quantità di questi diversi prodotti. Tutte le relazioni fra Robinson e le cose che costituiscono la ricchezza che egli stesso s’è creata sono qui tanto semplici e trasparenti, che (è possibile) capirle senza particolare sforzo mentale. Eppure, vi sono contenute tutte le determinazioni essenziali del valore» (K. Marx, Il Capitale, 1970 pp. 108-109).

 



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Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.

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«[…] vi è più finalità e perfezione nelle opere della natura
che in quelle della tecnica».
Aristotele, Le parti degli animali, 639 b20.

 

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«Invero da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque, ma questa particolare creatura da questo seme particolare, né un seme deriva a caso da un corpo qualsiasi. Il seme è dunque principio di formazione di ciò che da esso deriva. Per natura ciò avviene: perché la nascita viene dal seme».

Aristotele, Le parti degli animali, 641 b 26-29.

 

 

Le parti degli animali

Le parti degli animali

 

 

Immagine in evidenza: V. Van Gogh, Il seminatore.

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Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.

 



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Antonio Prete – Leggere è far respirare, insieme, l’immaginazione e il pensiero, è custodia dell’interiorità, è un ascolto silenzioso, è fare esperienza del tempo, contro la dissipazione, la distrazione, la spettacolarizzazione.

Antonio Prete 01

«La lettura è un ascolto silenzioso. […] Leggere è legare lettere tra di loro, e allo stesso tempo trasformare la frase in immagine, in paesaggio, in situazione […] tutto vive dinanzi a noi mentre leggiamo. Un mondo accade. […] Leggere è fare esperienza del tempo, della sua estensione: mentre leggiamo, il tempo sembra perdere la sua prima amara qualità, che è quella di essere irreversibile, e infatti quel che è scomparso riappare, quel che più non c’è torna a vivere, e persino ciò che non è ancora accaduto, e ciò che non può mai accadere, ha una presenza, una sua vita. Quel tempo finito può essere attraversato, ci si può soffermare in una stagione, indugiare in una giornata. O in un istante. […] Si può attraversare lo spazio. La lontananza, quando leggiamo, non è schiacciata nella superficie visiva di uno schermo, dando l’illusione del qui e ora, come spesso accade con le tecniche visive della comunicazione, ma è attraversata nella sua profondità: è una lontananza che percorriamo, riempiamo di paesaggi, di oggetti, di figure. E questo perché nella lettura colui che legge non è uno spettatore, ma un soggetto attivo. Il lettore collabora con il farsi della scrittura, la scrittura vive del lettore, con il lettore, dentro i lettori. Gli antichi esegeti medievali dicevano che «la scrittura cresce con i lettori» (scriptura cum legentibus crescit). E questo accade anche quando, invece di fare scorrere le pagine con la mano, tocchiamo con una falange la superficie di un display e seguiamo con gli occhi lo scorrere di un e-book. Le forme del libro possono cambiare, anche smaterializzarsi, farsi elettroniche, fugaci, fragili, vitree, luminose, ma in questo cambiamento di forme il lettore sa che la sostanza interiore dell’ atto che è proprio della lettura non cambia: non cambia il rapporto con la risonanza interiore di quel che leggiamo. Possono tuttavia modificarsi i tempi e i modi e le forme del nostro indugiare su una pagina o su una frase, come cambia il modo di sottolineare, scrivere al margine, annotare. E questa sparizione o anche solo attenuazione è certo amara se osservata dal punto di vista della lettura intesa come collaborazione attiva al divenire di un testo. Dal rotolo di papiro al codice in pergamena alla stampa con caratteri mobili su fogli cartacei, la forma-libro ha intrattenuto con il lettore un rapporto per dir così d’equilibrio: due presenze in dialogo. Per dire di questo dialogo la miniatura prima e poi la pittura hanno molte volte raffigurato lettrici e lettori. O mostrato situazioni in cui la lettura è accadimento e sorgente di nuove azioni. […] La parola letta dà corpo e tremore al desiderio. La poesia, la narrazione, ospitano lungo il tempo e in tutte le lingue lettori e scene di letture, dischiudono da una lettura un’altra lettura, e costruiscono personaggi libreschi, nati da libri e trasformati in libro, primo tra questi don Chisciotte: e alla ricerca di un’idea o di una figura o di un’azione amate in un libro questi personaggi si avventurano nel labirinto della vita. […] E una lettrice, Ludmilla, è personaggio attivo e presenza che muove la macchina narrativa nel più metaletterario dei romanzi di Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore.

Leggere è far respirare, insieme, l’immaginazione e il pensiero. Esercizio più che mai necessario nella nostra epoca: contro la dissipazione e la distrazione. Contro la spettacolarizzazione. Il tempo del leggere è custodia dell’interiorità. O anche, persino, riscoperta della propria interiorità. Agostino racconta nelle Confessioni che quando con altri amici andava a trovare Ambrogio, era colpito dal fatto che costui se ne stesse in silenzio a leggere e non si interrompesse all’arrivo delle visite: a quel silenzio erano invitati anche gli astanti, poiché la lettura, esercizio interiore, era prima e oltre la conversazione, prima e oltre l’incontro.

Proust vedeva nel libro lo strumento offerto al lettore per scorgere quel che forse senza il libro costui non avrebbe potuto scorgere in se stesso. E andava più oltre: “In realtà, ogni lettore, quando legge, è soltanto il lettore di se stesso”, si dice in una pagina del Tempo ritrovato. Ma Barthes, il proustiano Barthes, conclude Critica e verità, del 1966, opponendo al tono assertivo e dichiarativo della critica sovrapposto alla “verità” dell’opera il rapporto di “desiderio” che è proprio del lettore: “Leggere è desiderare l’opera, è voler essere l’opera, è rifiutarsi di replicare l’opera al di fuori di ogni altra parola che non sia quella dell’opera stessa”».

Antonio Prete, Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità, Bollati Boringhieri, 2016, pp. 148-151.

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 Immagine in evidenza: Antonio Fontanesi, Solitudine, 1875, Musei Civici, Reggio Emilia.

Risvolto di copertina
Dentro di noi custodiamo un cielo nascosto, uno spazio-tempo altrettanto abissale dell'universo che ci sovrasta. Come è accaduto alla volta stellata, gli interni d'anima hanno attratto cosmografi fin dall'antichità: filosofi, scrittori, teologi e poeti hanno scrutato, contemplato, decifrato, versato in parole «fantasticanti e conoscitive» ogni transito di pensieri, ogni orbita di passioni, ogni ellissi del desiderio. Si è via via affinata una lingua per dire la mobilità dell'io e il teatro degli affetti, e si è scoperto nelle profondità della mente il punto di maggiore consonanza con il ritmo vivente del mondo. Questa pienezza di raffigurazione e il suo stesso oggetto - la vita interiore, concentrata nelle proprie fantasmagorie, ma anche persa in lontananze e silenzi siderali - rischiano oggi di smarrirsi, vittime dello spossessamento di sé indotto dalla seduzione della vicinanza virtuale e dal frastuono della comunicazione. In controtendenza rispetto ai tempi, Antonio Prete compie qui un prezioso gesto di restituzione. Mette la sua maestria di comparatista al servizio di una materia sconfinata, prelevandovi con levità figure tematiche e passaggi salienti, da Agostino a Joyce, da Montaigne a Proust a Calvino, e cedendo spesso il passo agli amatissimi Leopardi e Baudelaire. Sono tutti loro, insieme con gli artisti che nell'autoritratto hanno sfidato l'irrappresentabile, a costruire idealmente una «grammatica dell'interiorità», dove troviamo declinate le eterne forme del sentire, amorose o meditative, gioiose o dolenti, stupefatte o rammemoranti. Senza attingere a quel lessico, non potremmo neppure riconoscere ciò che ci accade dentro

 

 



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Riccardo Chiaradonna – «Cuore, sangue e cervello» è insieme una ricerca sulle teorie mediche antiche e sui loro fondamenti metodologici. ed epistemologici

Chiaradonna Riccardo 01

Coperta 148

Paola Manuli – Mario Vegetti

Cuore, sangue e cervello

indicepresentazioneautorisintesi

In copertina: Asclepio cura un malato, rilievo in marmo, V secolo a.C.

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«[…] l’opera non si limita a ricostruire i diversi atteggiamenti del pensiero scientifico antico in merito al problema di inquadrare la parte egemonica del complesso psicosomatico. Questo scopo è perseguito attraverso uno “sforzo intelligente e sistematico di integrare questi atteggiamenti all’interno di una serie di veri e propri paradigmi epistemologici”. Proprio su questo aspetto ci si soffermerà nella presente recensione […]» [Leggi l’integrale testo della recensione nel PDF allegato qui sotto].

Riccardo Chiaradonna

 

 

Riccardo Chiaradonna,
recensione a
Cuore, sangue e cervello

 

 

Asclepio cura, b e n

 

La recensione è stata già pubblicata sulla rivista «Elenchos», Fas. 1, 2010, pp. 155-162 [Bibliopolis, Edizioni di filosofia e scienze], e ripresentata anche dalla rivista «Magazzino di Filosofia».


Pubblicazioni di Riccardo Chiaradonna


Alcuni libri di Riccardo Chiaradonna

 

Il platonismo e le scienze, Carocci

Il platonismo e le scienze, Carocci

 

Plotino, Carocci

Plotino, Carocci

 

Storia della filosofia antica, Carocci

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Filosofia tardoantica, Carocci

Filosofia tardoantica, Carocci



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