«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Gatti che s’aggirano con la loro enigmatica presenza nella nostra vita, una natura che scatena le sue forze tra tempi sospesi e riflessioni filosofiche giocate con un linguaggio all’apparenza semplice, con i ritmi della filastrocca. Amedeo Anelli scrive di sogni sognati, guarda la vita passare come davanti ad una stazione con i treni che corrono. Che senso ha la vita? Intanto i gatti giocano, si aggrappano alle maniglie e ci guardano vivere come fanno anche i tigli lungo la strada. Una poesia che riflette sul linguaggio e sul senso del vivere, del mistero delle cose che esistono e ci circondano accompagnando la nostra vita, Parole alla ricerca di un senso, con uno sorriso che forse masconde uno sberleffo. Guido Conti accetta la sfida e illustra i versi dei quartetti di Anelli in un dialogo complice e divertito, con gli acquerelli che sciolgono e raggrumano le forme, in una dinamica continua. Anche il pennello cerca un segno che diventi senso. E così i quartetti diventano un libro d’arte dove parola e disegni s’inseguono in un gioco in divenire tra segno e forma.
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AMEDEO ANELLI si occupa di poesia, filosofia, critica, teoria della Letteratura e d’Arte con numerose pubblicazioni. Neve pensata (Mursia, 2017; ed. in francese Libreria Ticinum, 2020, traduzione di Irène Duboeuf), Polifonii (Ikon, 2019) in romeno e in italiano, traduzione Eliza Macadan, L’Alfabet du monde, Editions du Cygne, 2020, traduzione di Irène Duboeuf, sono le sue ultime raccolte poetiche. Nel 2016 è stato inserito in Poesia d’ oggi. Un’antologia italiana a cura di Paolo Febbraro (Elliot) e Antologia di poeti contemporanei. Tradizioni e innovazioni in Italia (Mursia) a cura di Daniela Marcheschi. Traduttore dal russo di diversi volumi di poeti novecenteschi ha pubblicato la raccolta di Nikolaj Gumilëv, Nel giorno in cui il mondo fu creato (Avagliano 2020). Ha fondato e dirige la rivista internazionale di poesia e filosofia «Kamen’». È membro di diverse istituzioni nazionali ed internazionali.
GUIDO CONTI è parmigiano, ha pubblicato antologie di racconti come Il coccodrillo sull’altare (Guanda, 1998, Premio Chiara); tra i suoi romanzi, I cieli di vetro (Guanda, 1999, Premio Selezione Campiello), Il tramonto sulla pianura (Guanda, 2005), e Le mille bocche della nostra sete (Mondadori, 2010) tradotto in Olanda e in Spagna. Ha curato la raccolta degli scritti di Cesare Zavattini, Dite la vostra (Guanda, 2002), ha scritto Giovannino Guareschi, biografia di uno scrittore, (Rizzoli, 2008, Premio Hemingway per la critica) e come saggista ha pubblicato Cesare Zavattini a Milano, Letteratura, rotocalchi, radio, fotografia, editoria, fumetti, cinema, pittura (Libreria Ticinum Editore, 2019). Per i ragazzi ha scritto e illustrato la saga della cicogna Nilou: Il volo felice della cicogna Nilou, (Rizzoli, 2015), Nilou e i giorni meravigliosi dell’Africa (Rizzoli, 2015) e Nilou e le avventure del coraggioso Hadì, (Libreria Ticinum Editore) tradotti in Corea del Sud, Grecia, Spagna, Austria e Cina; e la favola ecologica tratta da una storia vera Un giorno tornerò da te, (Libreria Ticinum Editore 2020). Per Parma Capitale della Cultura 2020-2021 ha pubblicato La città d’oro, Parma e la letteratura, 1200-2020, (Libreria Ticinum Editore, 2020 e Giunti ha nel 2018 il romanzo Quando il cielo era il mare e le nuvole balene.
Un tuffo …
… tra alcuni dei libri di Amedeo Anelli …
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
«Non c’è vera assenza se resta almeno il ricordo dell’assenza. […]
Se uno nin ha più la terra ma ha il ricordo della terra allora uno può sempre disegnare una mappa».
Anne Michaels, In fuga, Giunti, 1998
Una voce ci riscuote che non riconosciamo. Andiamo più vicini, tentiamo di distinguere bene le parole. È questo che fa cominciare o finire l’amore: cominciamo a capire le parole. Per salvarci doniamo e perdoniamo.
Anne Michaels, Anna, da The Weight of Oranges (1986)
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
«Inghiotti tutto in un boccone. Il tuo assolo. Non è grammatica il silenzio imperativo tuo. Ognuno ha la sua». (Vita?) «Non fiatare cospira, con il cortese senso comune. Se guaisci rompi i vetri della distanza giustiziera il freddo che ci vuole per appendere il tuo respiro all’ albero. E correre forte, Via».
Non volevo l’appello dell’amore volevo la conoscenza non volevo l’intesa volevo la verità nuda, la via d’uscita tremante. Volevo essere la tua camicia. La neve che veglia il pane. Questo sentimento buio è tutto quello che ho, ripiegato in tasca del mio grande cappotto come un fazzoletto di una volta.
La volta in cui si incontravano le domande e la loro sete.
Alberi acque respiri montagne esistono davvero, quando la narrazione tace. La punteggiatura vuole che dorma senza sillabe di sonno, gli animali della notte aspettano che spenga la discrezione per sussurrare la fame. Non spengono me. La sveglia del tuo silenzio dice che devo andare. Prima di allora il silenzio si chiamava musica. Un addio sta sconfinato sotto terra.
Chandra Livia Candiani, Ascoltando quello che tu non dici, in Id., La domanda della sete (2016-2020), Einaudi, Torino 2020, pp. 51-52.
Un uomo che arriva in ospedale non è un uomo, è un mondo. Curare un essere umano significa curare una persona immersa nel mondo e il mondo che è immerso in lui. Curare un uomo significa prendersi cura del tutto che è in tutti. Un buon medico dovrebbe essere anche un poco filosofo e poeta e teologo.
Un essere umano non è mai una cosa piccola, la sua malattia è la malattia dell’aria, è un piccolo guasto nel moto degli astri.
Un ospedale è un osservatorio astronomico. È anche un reparto di geologia: la malattia viene dalle radici, dal fitto mormorio che alimenta la vita degli organi. Negli ospedali si deve tener conto del respiro prima di tutto. Un corpo respira il mondo ed è respirato dal mondo. In questo scambio perenne e implacabile ci può essere un guasto. La medicina cosmica diluisce la paura: non perdiamo la salute, la cediamo agli altri. E quando moriamo diamo il cambio, non ci assentiamo, partecipiamo al gioco in una forma che non sappiamo, ma il gioco non finisce per nessuno.
Franco Arminio, La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica, Bompiani, Milano 2020, p. 15.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
“Gabriela Mistral era un’extraterrestre e per questo non aveva né i nostri stessi bisogni né i nostri stessi desideri. […] Era solo un’aliena che si era smarrita in Cile, in America latina, e che non poteva comunicare con la nave madre perché venisse a recuperarla.” Roberto Bolaño
Canto que amabas
Yo canto lo que tú amabas, vida mía, por si te acercas y escuchas, vida mía, por si te acuerdas del mundo que viviste, al atardecer yo canto, sombra mía. Yo no quiero enmudecer, vida mía. ¿Cómo sin mi grito fi el me hallarías? ¿Cuál señal, cuál me declara, vida mía? Soy la misma que fue tuya, vida mía. Ni lenta ni trascordada ni perdida. Acude al anochecer, vida mía; ven recordando un canto, vida mía, si la canción reconoces de aprendida y si mi nombre recuerdas todavía. Te espero sin plazo y sin tiempo. No temas noche. neblina ni aguacero. Acude con sendero o sin sendero. Llámame adonde tú eres, alma mía, y marcha recto hacia mí, compañero.
Canto che amavi
Io canto ciò che tu amavi, vita mia, nel caso ti avvicini e ascolti, vita mia, nel caso ti ricordi del mondo che hai vissuto, nel rosso del tramonto io canto te, ombra mia. lo non voglio restare più muta, vita mia. Come senza il mio grido fedele puoi trovarmi? Quale segnale, quale mi svela, vita mia? Sono la stessa che fu già tua, vita mia. Né infiacchita né smemorata né spersa. Raggiungimi sul fare del buio, vita mia; vieni qui a ricordare un canto, vita mia; se tu questa canzone riconosci a memoria e se il mio nome infine ancora ti ricordi. Ti aspetto senza limiti né tempo. Tu non temere notte, nebbia o pioggia. Vieni per strade conosciute o ignote. Chiamami dove sei, anima mia, e avanza dritto fino a me, compagno.
Gabriela Mistral, Canto che amavi, in Id., Sillabe di fuoco, a cura di Matteo Lefèvre, con un testo di Octavio Paz, Bompiani, Milano 2020.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
E me ne devo andare via così? Non che mi aspetti il disegno compiuto ciò che si vede alla fine del ricamo. Ma quel che ho visto si è tutto cancellato. E quasi non avevo cominciato.
[…]
Ma prima di morire forse potrò capire la mia incerta condizione.
Forse per non morire continuo a non capire sicura in questa chiara confusione».
Patrizia Cavalli,Vita Meravigliosa, Einaudi, Torino 20220.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
Perché tanta inerzia al Senato? E i senatori perché non legiferano?
Oggi arrivano i barbari. Che leggi possono fare i senatori? Venendo i barbari le faranno loro.
Perché l’imperatore si è alzato di buon’ora e sta alla porta grande della città, solenne in trono, con la corona sulla fronte?
Oggi arrivano i barbari e il sovrano è in attesa della visita del loro capo; anzi, ha già pronta la pergamena da offrire in dono dove gli conferisce nomi e titoli.
Perché i nostri due Consoli e i Pretori stamane sono usciti in toga rossa ricamata? perché portano bracciali con tante ametiste e anelli con smeraldi che mandano barbagli? perché hanno in mano le rare bacchette tutte d’oro e d’argento rifinito?
Oggi arrivano i barbari, e queste cose ai barbari fan colpo. Perché non vengono anche i degni oratori a perorare come sempre?
Oggi arrivano i barbari e i barbari disdegnano eloquenza e arringhe.
Tutto a un tratto perché questa inquietudine e questa agitazione? (oh, come i visi si son fatti gravi). Perché si svuotano le vie e le piazze e tutti fanno ritorno a casa preoccupati?
Perché è già notte e i barbari non vengono. È arrivato qualcuno dai confini a dire che di barbari non ce ne sono più.
Come faremo adesso senza i barbari? Dopotutto, quella gente era una soluzione.
C. Kavafis
Konstantinos P. Kavafis, Settantacinque poesie, trad. di N. Risi e M. Dalmàti, Einaudi, Torino, 1992, pp. 37-39.
«Tranquillià benigna, figlia di Giustizia per cui le città fioriscono, tu che hai le chiavi supreme dei consigli e delle guerre […]. Tu che sai agire secondo dolcezza e tuttavia indirizzare con saldo procedere […]. Tu che, quando qualcuno alberghi nel cuore un risentimento amaro, contrastando alla forza degli avversari, precipiti nell’abisso l’hybris».
Pindaro, Pitiche, VIII, vv. 1-12.
Probabilmente una delle ultime odi composte da Pindaro, la Pitica VIII è dedicata al giovane lottatore Aristomene, vincitore nel 446 a.C. Apre l’inno un’invocazione alla Tranquillità personificata che regna in tempo di pace e che, in quanto figlia della Giustizia, sa opporsi alla tracotanza e, sapendo agire con dolcezza, rendere dolce la vitacon la fulgida luce della saggezza.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
«Una non vile educazione comporta il pudore e l’uomo addestrato al bene si vergogna di comportarsi da vile. La virilità si può insegnare, se a un bimbo si può insegnare a dire e ad ascoltare ciò che non sa. E quel che s’impara suole serbarsi fino alla vecchiezza. Educate perciò bene i vostri figli».
Friedrich Hölderlin, A Neuffer, marzo 1794, in Id., Tutte le liriche, (trad. di Luigi Reitani), Mondadori, Milano 2001.
Se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario, esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso.
Il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto.
Il bello, per come si espone nella realtà effettiva, assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge.
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Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
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L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna.
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Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo. Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
«Il vivente nella poesia è adesso ciò che occupa maggiormente i miei pensieri e i miei sensi. Avverto con così tanta profondità quanto io sia ancora lontano dal coglierlo e tuttavia la mia anima intera vi si sforza affannosamente, e io ne sono spesso così commosso da dover piangere come un bambino quando sento come alle mie rappresentazioni, in questo e in quel punto, manchi il vivente. Ma non riesco a tirarmi fuori dagli errori poetici tra i quali vago […]. Mi manca meno la forza della leggerezza, meno le idee delle sfumature, meno un tono principale di una molteplicità ordinata di toni, meno la luce dell’ombra, e tutto ciò dipende da una sola ragione. Io rifuggo troppo dall’ordinario e dal comune della vita reale […].
Temo di raffreddare la calda vita che è in me al cospetto della storia gelata del giorno e questa paura deriva dal fatto che tutte le vicende distruttive in cui mi sono imbattuto sin da ragazzo, io le ho accolte in maniera più sensibile di altri, e tale sensibilità mi sembra che abbia in ciò il suo fondamento: che io, in rapporto alle esperienze che ho dovuto fare, non ero organizzato in maniera abbastanza solida e salda. Ora me ne rendo conto. […] Poiché sono più vulnerabile di altri, devo tanto più cercare di ricavare vantaggio dalle cose che agiscono in modo distruttivo su di me, non devo prenderle per come sono in se stesse, ma solo in quanto sono utili alla mia vita più autentica. Là dove le trovo, io devo già in anticipo assumerle come materia indispensabile, senza cui la parte più intima di me non potrà rappresentarsi mai completamente. Devo accoglierle in me stesso per disporle all’occasione (come artista se un giorno vorrò e dovrò essere artista) come ombre alla mia luce, per restituirle in quanto toni subordinati da cui emerge tanto più vivo il tono della mia anima. Il puro può rappresentarsi solo nell’impuro e se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario, esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso, e questo appunto perché il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto; perché il bello, per come si espone nella realtà effettiva, assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge, e questa forma non gli è naturale: diventa naturale solo per il fatto di considerare, accanto al bello, appunto anche quelle circostanze che gli diedero necessariamente una tale forma. […] Dunque senza l’ordinario non si può rappresentare alcun nobile: e io voglio ripetermelo sempre, quando mi imbatto nell’ordinario nel mondo: ti è tanto necessario quanto ai vasai la colla, perciò accettalo sempre, non allontanarlo da te, non averne paura».
F. Hölderlin a Neuffer, 12 novembre 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], a cura di M. Knaupp, vol. II, München-Wien 1992-1993, pp. 710-712; Friedrich Hölderlin, Tutte le opere. Prose, teatro e lettere. Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, 2 voll., LXVII-3887 pp., Mondadori, Milano 2020.
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Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
«La mia riflessione e i miei studi si sono quasi esclusivamente limitati a ciò che anzitutto mi premeva, la poesia, in quanto essa è arte vivente e scaturisce a un tempo da genio, esperienza e riflessione ed è ideale, sistematica e individuale. Ciò mi ha condotto a riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento e la sua Bestimmung, nella misura in cui esso è ideale e attivamente formante. Ancora: [ho riflettuto] su come l’impulso formativo, consapevole del suo fondamento e della sua propria essenza a partire dall’ideale, ma istintivamente secondo la sua materia, agisce come arte e come impulso alla formazione ecc. Ho creduto, alla fine delle mie ricerche, di essere riuscito a porre in maniera più vasta e comprensiva di quanto non mi fosse noto precedentemente il punto di vista della cosiddetta umanità (almeno nella misura in cui si intende con esso l’elemento unificante e comune nella natura umana e nelle sue direzioni, piuttosto che l’elemento differenziante, di cui comunque è necessario che si tenga conto). Aver raccolto questi materiali mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che sia poetico anzitutto perché vi si pratica la poesia, ma che anche istruisca sulla poesia, sia dal punto di vista storico che da quello filosofico, e, in generale, approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità».
F. Hölderlin, Lettera a Schelling, scritta tra l’1 e il 6 luglio 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, pp. 792-794.
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L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna
«L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna, generalmente falsa, oppure non trovi la sua dimensione specifica o, se pure l’ha trovata, si fermi a metà strada, ai mezzi che dovrebbero condurlo al suo scopo […]. E la ragione generale del tramonto di tutti i popoli è sempre stata, infatti, che la loro originalità, la loro propria natura vivente (ihre eigene lebendige Natur) ha soggiaciuto alle forme positive e al lusso che i loro padri avevano prodotto».
Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II,, pp. 62-63.
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Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo. Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
«Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo, […] per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa, e […] sono poi la singolarità e le circostanze ciò che in definitiva determinano l’uno verso una certa singolarità e l’altro verso un’altra. Questa singolarità, a dire il vero, è quella che più appare evidente, ma non è detto per questo che altri pregi, di cui avvertiamo la mancanza, manchino del
tutto in un carattere tipico, piuttosto rimangono in ombra».
Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, p. 67
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