Rainer M. Rilke (1875-1926) – On voudrait avoir les yeux toujours ouverts, pour avoir vu, avant le terme, tout ce que l’on perd.

Rainer Maria Rilke11
«On voudrait avoir les yeux toujours ouverts,
pour avoir vu, avant le terme,
tout ce que l’on perd».

Rainer Maria Rilke, Verzieri, Le poesie francesi. Introduzione e traduzione di Pierangela Rossi, Biblioteca dei Leoni, Castelfranco veneto (TV), 2018.

Rainer M. Rilke (1875-1926) – Non dimenticare mai di formulare un desiderio: i desideri durano a lungo, tutta la vita, tanto che non potremmo aspettarne l’adempimento.
Rainer Maria Rilke (1875 – 1926) – La pazienza è tutto
Rainer Maria Rilke (1875-1926) – E queste cose, che passano ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più di tutto, vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile cuore in – oh Infinito – in noi! Quale che sia quel che siamo alla fine.
Rainer Maria Rilke (1875-1926) – Occorre raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita. Anche i ricordi di per se stessi ancora “non sono”. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.
Rainer M. Rilke (1875-1926) – Sicurezza significa non sospettare di nulla, non tenere nulla a distanza, non considerare nulla come un Altro irriducibile, significa spingersi oltre ogni concetto di proprietà e vivere di acquisizioni spirituali e mai di possessi reali.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Aleksandr Nikolaevič Radiščev (1749-1802) – Vuoi sapere chi sono? cosa faccio? dove vado?Sono colui che ero e sarò sempre nella vita: uomo! Lo scrittore può essere profeta di verità o essere al servizio della menzogna.

Aleksandr Nikolaevič Radiščev - Jurij Michajlovič Lotman

Vuoi sapere chi sono? cosa faccio? dove vado?
Sono colui che ero e sarò sempre nella vita:
non bestia, né albero, né schiavo, ma uomo!
Ad aprire una strada non calcata da piedi,
per focosi temerari sia in prosa sia in versi,
ai cuori sensibili ed alla verità, io verso la paura
e verso il carcere di IIimsk mi dirigo.

Aleksandr Nikolaevič RadiščevStichotvorenija [Poesie], Leningrad, Sovetskij pisatel’, 1953.



Il testo su Aleksandr Nikolaevič Radiščev,  tradotto dal russo per la prima volta da Alessandro Niero (su «il manifesto» del 21-02-2006, p. 12), venne scritto dal grande critico letterario Jurij Michajlovič Lotman per la Ucebnik po russkoj literature (Manuale di letteratura russa).

Jurij Michajlovič Lotman

Il primo scrittore rivoluzionario in Russia

Logica conseguenza delle idee propagandate dall’illuminismo fu l’esigenza di libertà per tutti gli uomini, esigenza portata fino a riconoscere al popolo il diritto di conquistarsi questa libertà con la forza. Colui che, nella letteratura russa del XVIII secolo, formulò nel modo più completo e coerente questo pensiero fu Aleksandr Nikolaevič Radiščev. Di antica estrazione nobiliare, ancorché di una nobiltà non ricca, Radiščev studiò all’università di Upsia e nel 1790 pubblicò il libro Viaggio da Pietroburgo a Mosca, che gli costò la condanna alla decapitazione. La pena fu poi commutata nell’esilio in Siberia, dove visse fino al 1796, data della morte di Caterina II. Nel periodo in cui regnò Paolo, dal 1796 al 1801, Radiščev visse esiliato in un villaggio. Alessandro I nel 1801 lo restituì all’attività di Stato, affidandogli un alto incarico nella «Commissione per la stesura delle leggi». Tuttavia Radiščev nel 1802 si suicidò. Le cause del suo gesto non sono chiare: i contemporanei vi lessero una sfida al governo. Viaggio da Pietroburgo a Mosca è l’opera più importante di Radiščev: il libro è redatto in forma di note di viaggio dal punto di vista di un viaggiatore che percorre in carrozza postale il tragitto che separa le due capitali dell’impero russo. Gli amici chiamavano Radiščev «colui che non vedeva tutto rosa». Guardava in faccia alla realtà russa del suo tempo e con eccezionale coraggio sottopose a giudizio sia il dispotismo politico dominante in Russia – l’arbitrio delle autorità, la mancanza di diritti dei sudditi – sia la terribile condizione dei contadini. Radiščev riconosce il diritto del popolo alla rivolta, sebbene non rigetti anche la possibilità che un governo illuminato possa compiere trasformazioni pacifiche. La serie di questioni contemplate nel suo libro è straordinariamente ampia: oltre ad essere in possesso di una formazione specifica in campo giuridico, egli era anche un insigne economista, un filosofo e uno storico. Il suo libro è una vera e propria enciclopedia dell’illuminismo del XVIII secolo.
Proprio con Radiščev ha inizio l’intreccio fra la letteratura russa e la lotta per la libertà e la felicità del popolo, che di quella letteratura divenne il tratto caratteristico. Riservando nella lotta di liberazione un posto speciale alla parola dello scrittore, Radiščev era persuaso che è efficace soltanto quella parola per cui lo scrittore è disposto a pagare con la propria vita. Lo scrittore può essere profeta di verità o essere al servizio della menzogna. Pagando con il sangue le proprie parole, egli si guadagna la fiducia dei lettori e la gratitudine dei posteri. Gli scrittori che aspiravano alla ricchezza e ai riconoscimenti, invece, erano chiamai da Radiščev «leccapiedi».
Con Radiščev ha inizio nella letteratura russa la tradizione rivoluzionaria. Egli stesso in un breve componimento [riprodotto qui sopra] disse di avere «aperto la strada» per la Siberia. Quella strada fu percorsa in seguito dai decabristi, da Fëdor Dostoevskij, da Nikolaj Gavrilovič Černyševskij e da molti altri scrittori russi.

 

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Emiliy Dickinson (1830-1886) – Questo era un poeta: distilla straordinari sensi da significati ordinari e Essenze così immense dalle specie familiari che davanti alla porta perirono e ci meravigliamo che non fummo noi ad afferrarle, prima.

Emiliy Dickinson 115

Questo era un poeta: distilla
straordinari sensi
da signifIcati ordinari
e Essenze così immense

dalle specie familiari
che davanti alla porta perirono
e ci meravigliamo che non fummo noi
ad afferrarle, prima.

È lo scopritore di immagini,
è lui che, per contrasto
c’investe di disperata povertà

così ignaro del suo possesso
il furto non può turbarlo
lui per se stesso un tesoro
fuori dal tempo.

Emlly Dlcklnson, Questo era un poeta,  in Emlly Dlckinson, Sarà estate e altre poesie, traduzione e cura di Plera Mattei, Via del vento edizioni, Pistoia 2004.


 

Emily Dickinson nasce a Amherst, Massachussetts, il 10 dicembre 1830, nella casa costruita dal nonno paterno. In quella stessa casa morirà, il 15 maggio 1886, dopo avervi trascorso la maggior parte della vita. Il fratello William Austin è nato un anno prima e due anni dopo nascerà la sorella Lavinia (Vinnie). Quando, nel ’56, Austin si sposa, il padre gli fa costruire una casa accanto alla propria. La moglie di Austin è Sue Gilbert, con la quale Emily intratteneva un’appassionata amicizia (cfr.liriche 14 e 156). Nel 1858 inizia l’amicizia di Austin e Sue con i coniugi Bowels. Emily si lega molto a loro e a un’altra amica di Sue, Kate Anton Scott. Da quell’anno la produzione poetica diventa molto fluente, e raggiunge il suo massimo nel 1862. In quello stesso anno Emily apre una fitta corrispondenza con Thomas Wentworth Higginson, giornalista e scrittore, al cui giudizio sottoporrà una serie di cento poesie che egli le sconsiglia di pubblicare. Dal 1864 si confina nella propria stanza. Rifiuta di vedere estranei,veste solo di bianco, tutta chiusa in una sua avventura interiore registrata nelle liriche e nelle lettere. Alla morte di Emily,Vinnie che ha vissuto con lei fino all’ultimo, troverà nella camera, accuratamente raccolte in fascicoli, un’enorme quantità di liriche. Delle 1770 che l’edizione critica di Thomas H. Johnson ne ha ordinate nel 1955, solo sette erano state pubblicate in vita.

Emily Dickinson – Un’anima al cospetto di se stessa
Emily Dickinson (1830-1886) – La parola comincia a vivere soltanto quando vien detta.
Emiliy Dickinson (1830-1886) – Ciò che è lontano e ciò che è vicino
Emily Dickinson (1830-1866) – Semi che germogliano nel buio
Emily Dickinson (1830-1866)  – Dedicata agli esseri umani in fuga dalla mente dell’uomo
Emily Dickinson (1830-1866) – Distilla un senso sorprendente da ordinari significati
Emily Dickinson (1830-1886) – La bellezza e la verità sono una cosa sola. Bellezza è verità, verità è bellezza.
Emiliy Dickinson (1830-1886) – Molta follia è saggezza divina, per chi è in grado di capire. Molta saggezza, pura follia. Ma è la maggioranza in questo, in tutto, che prevale. Conformati: sarai sano di mente. Obietta: sarai pazzo da legare, immediatamente pericoloso e presto incatenato.

 

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Maura Del Serra – «Altro Teatro», rimanendo fedele alla mia vocazione, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere.

Maura Del Serra- Altro Teatro
Maura Del Serra

Atro Teatro

Introduzione di Marco Beck

ISBN 978-88-7588-243-3, 2019, pp. 208, Euro 18, Collana di Teatro “Antigone”.

indicepresentazioneautoresintesi

In questo volume, complementare del precedente (Teatro, 2015) la dimensione del sacro, propria di Maura Del Serra […] ha preferito, senza dissimularsi, assumere il colore e il calore di una «pietas civile e culturale». Mescolarsi in modo ancora più fraterno e solidale con le ansie, le sofferenze, le paure, i sogni e le speranze di donne e uomini […] che attraverso la finzione del teatro tutti ci rappresentano nella realtà della nostra esistenza. Ma non ha affatto rinunciato a scandagliare, sulle orme di Pascal, con le ragioni della ragione e le ragioni del cuore, il mistero della vita e della morte. A perseguire l’ideale di una bellezza assoluta […]. Non dall’alto ma dall’orizzontalità cordiale della sua cattedra di “drammaturgia d’idee”, Maura Del Serra ci induce a pensare. Ci costringe, anzi, a pensare, meditare, introiettare. Ci insegna, mediante la sua parola affidata a personaggi fatti di carne e ossa e anima, a «contare i nostri giorni» […] per «arrivare alla sapienza del cuore». Traccia, per sé e per noi, un arduo eppure affascinante itinerarium mentis ad sapientiam cordis.

Dalla Introduzione di Marco Beck


 

Indice

Introduzione di Marco Beck

Tecnostar

Zelda pazza di gloria

Baci scritti per Milena

Voci dei Nessuno
da foto segnaletiche di prigionieri ignoti

Torquato Tasso
Libretto d’opera liberamente ispirato all’omonimo dramma in versi di J. W. Goethe


 

Vedi pagine di Maura del Serra

Vedi i suoi libri ed altro

Vedi Maura Del Serra in Wikipedia

Vedi pubblicazioni di Maura Del Serra


 

Maura Del Serra.
Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864
Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora
Maura Del Serra – Al popolo della pace.
Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.



 
Maura Del Serra

Teatro

Introduzione di Antonio Calenda

ISBN 978-88-7588-138-2, 2015, pp. 864, Euro 35. Collana di Teatro “Antigone”.

indicepresentazioneautoresintesi

I 23 testi inclusi nel volume – scritti dal 1985 al 2015 – sono preceduti dall’Introduzione di Antonio Calenda e accompagnati da un’Appendice contenente le Introduzioni che comparivano nelle singole edizioni. Il prezzo di copertina del libro (864 pagine) è di Euro 35,00.
I primi 100 lettori che faranno richiesta del volume direttamente all’editrice  (info@petiteplaisance.it) al momento dell’uscita del libro lo riceveranno al loro recapito al prezzo speciale di Euro 28,00.

Il teatro di Maura Del Serra, qui riunito nella molteplice complessità del suo arco cronologico trentennale, abbraccia una pluralità di forme sceniche, ora corali ora dialogiche ora monologanti, che spaziano con incisiva e vivace profondità dall’“affresco” epocale alla fulminea microcellula drammatica e a forme singolari di teatro-danza sempre sorrette da un inventivo simbolismo di luci, colori, voci fuoriscena e suggestioni scenografiche. L’organon di questa scrittura – in versi e in prosa – fonde il nitore visionario con un senso vivace e concreto del phatos quotidiano, spesso nutrito da uno humour tipicamente affidato a personaggi “terrestri” fino al farsesco, secondo la tradizione della commedia antica. Il teatro decisamente anti-minimalista della Del Serra mostra infatti il suo grato debito creativo verso i classici della tradizione drammaturgica e poetico-letteraria europea, dai tragici e lirici greci al barocco inglese e ispanico, al decandentismo e alle avanguardie artistiche del Novecento.
I suoi personaggi, a vario titolo esemplari fino all’archetipo, sono scolpiti e dominati da una solitudine “eroica” non astratta bensì coerentemente testimoniale, tormentati e salvati dalla grandezza antistorica e metastorica del loro dono “eretico” che si oppone geneticamente alla forza oppressiva del potere nelle sue varie espressioni, da quelle canoniche politico-sociali a quelle suasive dell’intelletto, fino a quelle della “sapienza senza nome” della vita. Ed è perciò sempre agonico il rapporto fra la certezza di una verità ultima e inattingibile e l’illusione soggettiva, mediante l’utopia salvifica affidata all’ardore dei protagonisti. Motore e forma privilegiata di queste compresenze è l’eros generatore e multiforme, espresso in tutte le sue pulsioni, dall’amicizia alle polarità maschili e femminili, fino ad una complessa androginia psicologica e spirituale.
In questa straordinaria galleria evocativa di presenze, che spaziano dall’ellenismo alla contemporaneità al futuro, le voci interiori dell’autrice si incarnano di volta in volta, come la poesia ed ogni arte, per “sognare la verità del mondo”.

Maura Del Serra, poetessa, drammaturga, traduttrice e critico letterario, ha riunito la sua opera poetica nei volumi: L’opera del vento e Tentativi di certezza, Venezia, Marsilio, 2006 e 2010. Ha tradotto dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo e ha dedicato monografie e saggi critici a numerosi scrittori italiani ed europei.


 

Indice

Introduzione di Antonio Calenda
Nota cronologica ragionata

La fonte ardente. Due atti per Simone Weil
L’albero delle parole
La Fenice
La Minima
Andrej Rubljòv
Il figlio
Lo Spettro della Rosa
Specchio doppio. Favola drammatica
Agnodice. Commedia drammatica
Guerra di sogni. Mito futuribile
Stanze. Versi per la danza
Trasparenze. Versi per la danza
Sensi. Versi per la danza
Kass
Dialogo di Natura e Anima
Trasumanar. L’atto di Pasolini
Isole. Poema scenico
Eraclito
Scintilla d’Africa
Specchi. Cellula drammatica
La vita accanto
Isadora
La Torre di Iperione. Hölderlin e gli altri

Appendice

Mario Luzi: Introduzione a La fonte ardente
Daniela Belliti: Introduzione a La fonte ardente
Nino Sammarco: Introduzione a L’albero delle parole
Mario Luzi: Introduzione a La Fenice
Daniela Marcheschi: Introduzione a La Minima
Ugo Ronfani: Introduzione a Andrej Rubljòv
Giovanni Antonucci: Introduzione a Agnodice
Giovanni Antonucci: Introduzione a Guerra di sogni
Misha Van Hoecke: Nota a Stanze
Ugo Ronfani: Introduzione a Isole
Jacopo Manna: Introduzione a Eraclito
Marco Beck: Introduzione a Scintilla d’Africa
Cristina Pezzoli: Nota di regia a La vita accanto



 

Galleria di copertine

e … passeggiando tra i suoi libri …

Ladder of Oaths

Ladder of Oaths

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Scala dei giuramenti

Scala dei giuramenti

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Tentativi di certezza

Tentativi di certezza

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Voce di voci

Voce di voci

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Canti e pietre

Canti e pietre

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Scintille

Scintille

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Infinito presente

Infinito presente

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Infinite Present

Infinite Present

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L'opera del vento

L’opera del vento

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Adagio con fuoco

Adagio con fuoco

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Congiunzioni

Congiunzioni

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L'età che non dà ombra

L’età che non dà ombra

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Za solecem i nociju vosled

Za solecem i nociju vosled

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Aforismi

Aforismi

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Elementi

Elementi

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Dietro-il-sole-e-la-notte_b

Dietro il sole e la notte

 

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Corale

Corale

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Sostanze

Sostanze

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senza niente

senza niente

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Concordanze

Concordanze

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Meridiana

Meridiana

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La gloria oscura

La gloria oscura

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L'arco

L’arco


Teatro

 

Teatro

Teatro

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La vita accanto

La vita accanto

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Guerra di sogni

Guerra di sogni

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La fonte ardente

La fonte ardente

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Andrej Rubliòv

Andrej Rubliòv

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Eraclito. Due risvegli

Eraclito. Due risvegli

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Isole. Poema scenico

Isole. Poema scenico

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Scintilla d'Africa

Scintilla d’Africa

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Agnodice

Agnodice

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Dialogo Natura e Anima

Dialogo Natura e Anima

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Rosens ande

Rosens ande

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Lo spettro della rosa

Lo spettro della rosa

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La fenice

La fenice

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La Minima

La Minima

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L'albero delle parole

L’albero delle parole


Critica

 

Una rara pietà

Una rara pietà

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Simone Weil. 'intelligenza della santità

Simone Weil: l’intelligenza della santità

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Di poesia e d'altro, III

Di poesia e d’altro, III

***

Di poesia e d'altro, II

Di poesia e d’altro, II

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Di poesia e d'altro, I

Di poesia e d’altro, I

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Crescita e costruzione. Immagini del giardino

Crescita e costruzione. Immagini del giardino

***

Le foglie della sibilla

Le foglie della sibilla. Scritti su Margherita Guidacci

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L'uomo comune. Claudellismo e passione ascetica in Jahier

L’uomo comune. Claudellismo e passione ascetica in Jahier

***

Clemente Rebora. Lo specchio e il fuoco

Clemente Rebora. Lo specchio e il fuoco

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Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli

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Ungaretti

Ungaretti

***

Dino Campana

Campana

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L'immagine aperta

L’immagine aperta

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Mostra bio.bibliografica su Dino Campana

Mostra bio-bibliografica su Dino Campana


Traduzioni

 

 

R. Ughetto, Poesie

R. Ughetto, Poesie

 

R. Tagore-V. Ocampo, Non posso tradurre il mio cuore

R. Tagore –  V. Ocampo, Non posso tradurre il mio cuore

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Tagore, Ricordi di vita

Tagore, Ricordi di vita

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Cicerone, Manualetto elettorale

Cicerone, Manualetto elettorale

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K. Mansfield, Poesie e prose liriche

K. Mansfield, Poesie e prose liriche

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Mansfield, Tutti i racconti

K. Mansfield, Tutti i racconti

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D. Barnes, Disincanto

D. Barnes, Disincanto

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Victor Segalen, Odi

Victor Segalen, Odi

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Le poesie di Simone Weil

Le poesie di Simone Weil

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F. Thompson, Il Segugio del Cielo

F. Thompson, Il Segugio del Cielo

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Orlando n

V. Woolf, Orlando

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V. Woolf, Orlando

V. Woolf, Orlando

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V. Woolf, Orlando

V. Woolf, Orlando

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K. Mansfield, Tutti i racconti

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K. Mansfield, Tutti i racconti

K. Mansfield, Tutti i racconti

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K. Mansfield. Tutti i racconti

K. Mansfield. Tutti i racconti

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Una stanza

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

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V. Woolf, Una stanza tutta per sé

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

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V. Woolf, Una stanza tutta per sé

V. Woolf, Una stanza tutta per sé

***

Molto rumor per nulla

W. Shakespeare, Molto rumor per nulla

 

***

Shakespeare molto-rumore-per-nulla_1479_

W. Shakespeare, Molto rumore per nulla

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W. Shakespeare, Molto rumore per nulla

W. Shakespeare, Molto rumore per nulla

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M. Hamburger, Taccuino di un vagabondo europeo

M. Hamburger, Taccuino di un vagabondo europeo

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E. LASKER-SCHÜLER, Caro cavaliere azzurro

E. LASKER-SCHÜLER, Caro cavaliere azzurro

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Vi. Woolf, Le onde

Vi. Woolf, Le onde

***

M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto

M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto

***

G. Herbert, Corona di lode

G. Herbert, Corona di lode

***

E. Lasker-Sculer, Ballate ebraiche e altre poesie

E. Lasker-Schuler, Ballate ebraiche e altre poesie

 

 

Curatele

 

 

Kore. Iniziazioni femminili

Kore. Iniziazioni femminili

***

M. Guidacci, Le poesie

M. Guidacci, Le poesie

***

Poesia e lavoro

Poesia e lavoro

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Egle Marini, La parola scolpita

E. Marini, La parola scolpita

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G. Boine, La città

G. Boine, La città

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Gianna Manzini, Bestiario

Gianna Manzini, Bestiario

***

P. Parigi, Noi lenti e le stelle

P. Parigi, Noi lenti e le stelle

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Czesław Miłosz (1911-2004) – Bisogna evitare la compagnia delle persone che glorificano il nulla. Non è ammesso lasciarsi dominare dalla disperazione a causa dei nostri sbagli, perché il passato non è chiuso e riceve il suo senso dalle nostre azioni future.

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In copertina: Philipp Otto Runge (1777-1810), Papaveri.
«È questo nell’uomo il processo di creazione, in grado di portare il lettore a pensare come un filosofo».
J. Hersch, Storia della filosofia come stupore.
 
«Perché ci sia senso, occorre che ci sia un’intenzione, un movimento di libertà, orientato su un valore, su qualcosa che non è, ma che merita di essere».
J. Hersch, Rischiarare l’oscuro.
Che cosa ho imparato da Jeanne Hersch?

Che la ragione è un grande dono divino e che bisogna credere che è capace di conoscere il mondo.

Che si sono sbagliati questi, che non si fidavano della ragione, elencando da che cosa essa dipende: dalla lotta delle classi, dal libido, dalla volontà di potenza.

Che dovremmo essere consapevoli che siamo chiusi nel cerchio delle proprie sensazioni, ma non per ridurre la realtà ai sogni e alle fantasie della nostra mente.

Che la veracità testimonia la libertà e che dalla menzogna si riconosce la schiavitù.

Che l’atteggiamento giusto nei confronti della realtà è il rispetto, e allora bisogna evitare la compagnia delle persone che umiliano la realtà con il loro sarcasmo e glorificano il nulla.

Che anche se ci accusassero dell’arroganza, nella vita intellettuale bisogna seguire la regola di una stretta precisa gerarchia.

Che gli intellettuali del ventesimo secolo erano dipendenti del “baratin”, cioè della loquacità irresponsabili.

Che nella gerarchia dell’agire umano l’arte è superiore della filosofia, ma la cattiva filosofia può danneggiare l’arte.

Che esistono le verità oggettive, che vuol dire che da due definizioni contradette una è vera e altra falsa, con l’eccezione di certi casi quando la contradizione è giustificata.

Che indipendentemente dalle confessioni religiose dovremmo conservare una “fede filosofica”, cioè la fede in trascendenza, come un tratto essenziale della nostra umanità.

Che il tempo esclude e condanna ad essere dimenticati soltanto queste opere delle nostre mani e delle nostre menti, che si rivelano inutili nella costruzione, secolo dopo secolo, del grande edificio della civiltà.

Che nella propria vita non è ammesso lasciarsi dominare dalla disperazione a causa dei nostri sbagli e peccati, perché il passato non è chiuso e riceve il suo senso dalle nostre azioni future.

Risvolto di copertina

«Non ho alcuna esitazione nell’affermare che Czesław Miłosz è uno dei più grandi poeti del nostro tempo e forse il più grande» scriveva qualche anno fa un altro poeta, Iosif Brodskij. Poi giunse, nel 1980, il premio Nobel – e molti lettori in tutto il mondo cominciarono a scoprire l’opera complessa e intensa di questo scrittore, che da anni si trovava nella paradossale condizione di essere circondato da persone che non leggevano la sua lingua, mentre i suoi libri erano proibiti a coloro che la leggevano. Nato in Lituania nel 1911, esule dalla Polonia sin dal 1951, Miłosz «ha ricevuto quella che si potrebbe definire l’educazione standard dei paesi dell’Europa orientale, che ha incluso, fra l’altro, l’esperienza del cosiddetto Olocausto, già da lui profetizzata nelle liriche della seconda metà degli Anni Trenta». E «la sua terra, dopo essere stata devastata fisicamente, gli venne sottratta e distrutta spiritualmente» (Brodskij). Questo poeta metafisico, in perpetua complicità con l’invisibile, è stato costretto dalla storia a vivere l’invisibile innanzitutto nella sua forma più letterale e più ossessiva: come ressa dei morti e delle cose scomparse. Il poeta è qui sempre il sopravvissuto, che si mormora un verso sobrio e terribile. «E il cuore non muore quando sembra che dovrebbe». Quei morti sono subito «lontani come l’imperatore Valentiniano, / come i condottieri dei Massageti, di cui non si sa nulla», eppure tendono a riapparire, seduti a un caffè familiare, e guardano il sopravvissuto, «scoppiando a ridere». Che il passato sia connesso a una devastazione totale dà alla memoria, in Miłosz, una dimensione di conquista dell’immagine sul fondo del vuoto. Per questo ogni oggetto, ogni nome, ogni albero da lui nominato hanno una tale evidenza, lacerata ed estatica. Essi si pongono tutti vicino a quella «frontiera mobile / Oltre la quale colore e suono si compiono / E sono congiunte le cose di questa terra». Quella frontiera ci separa da una terra visionaria: Blake e Swedenborg ne hanno dato notizia, e la loro voce risuona in Miłosz. Nel suo verso spesso vibrano insieme una «vastità cosmica della visione» (per lui il primo criterio della grande poesia) e la pura attenzione, insegnata da Simone Weil. Allora, sottintesi tutti i naufragi, il poeta torna a essere «uno dei tanti / Mercanti e artigiani dell’Impero del Giappone / Che componevano versi sui ciliegi in fiore, / I crisantemi e la luna piena».



 

Victor Hugo, Il castello di Vianden visto attraverso una ragnatela. Casa di Victor Hugo, Parigi.

«Questo libro fu scritto a Parigi nel 1951-1952, cioè in un periodo in cui gli intellettuali francesi, nella loro maggioranza, risentivano la dipendenza del loro Paese dall’aiuto americano e riponevano le loro speranze in un mondo nuovo all’Est, governato da un leader di incomparabile saggezza e virtù – Stalin». Così Miłosz, con delicato sarcasmo, ha descritto, nella premessa all’edizione italiana, la situazione in cui nacque e apparve per la prima volta La mente prigioniera (1953). Ma al lettore spetta di riconoscere che cosa è questo libro oggi: il libro che una volta per tutte, prima che il dissenso russo potesse manifestarsi, prima di Solženicyn, di Sinjavskij, di Zinov’ev, disse ciò che di essenziale vi è da dire sul sovietismo – e in particolare su quel colossale fenomeno di viltà dello spirito e cronico asservimento che ha contrassegnato il rapporto di milioni di intellettuali con il sovietismo stesso. A differenza di tanti dissidenti russi, Miłosz parla con una terribile pacatezza: troppo cupa è la vicenda che ha vissuto perché la sua voce possa alterarsi. Ed è la voce, lo si sente a ogni pagina, di un grande scrittore, di un abitante di quella vecchia, civilissima Europa dei popoli baltici, che furono «calpestati dall’elefante della Storia» senza che l’Occidente quasi se ne accorgesse. Questo libro non è un saggio, non è un racconto, non è un libro di memorie: è la dimostrazione inconfutabile, trasparente, di che cosa voglia dire nella vita di ogni giorno, per un numero sterminato di persone, l’obbedienza al Metodo, nome che qui designa il marxismo-leninismo, quella singolare dottrina che è «in grado di trasmettere per via organica una ‘visione del mondo’», come le pillole di Murti-Bing immaginate dal genio visionario di Witkiewics. Se fosse una qualsiasi posizione filosofica, tale dottrina sarebbe di una pochezza difficilmente uguagliabile. Ma esso è ben di più: un grandioso artificio che riesce davvero a «cambiare la vita»: il Metodo, una volta che stringe un mondo con le «tenaglie della dialettica», permette a chiunque di sorridere con superiore indulgenza di fronte a qualsiasi pensiero, invita dolcemente a sorvegliare e denunciare gli altri, insegna inebrianti misture di vero e di falso, concede la gioia di sentirsi al centro della corrente della storia e offre strumenti maneggevoli per far fuori i propri nemici. Alle devastazioni che il Metodo provoca nei singoli, alle prodigiose trasformazioni che esso produce nelle loro vite è dedicata la seconda parte del libro di Miłosz: qui egli traccia una sequenza di profili esemplari, carichi di intensità romanzesca – e costringe ogni lettore a percepire che cosa sia stata, in tutti i suoi passaggi, la sorte crudele di chi ha visto susseguirsi, sulla propria terra, il furioso orrore dei nazisti e la vischiosa oppressione dei sovietici. La rivolta di Varsavia, con i nazisti che uccidono e i sovietici che osservano compiaciuti dall’altra sponda della Vistola, è in certo modo l’esperienza simbolica di tutto il nostro secolo. Miłosz, che a essa è dolorosamente sopravvissuto, ha saputo trasmetterla in queste pagine a noi, eternamente sprovveduti occidentali, lasciando parlare i fatti e le fisionomie, come solo un poeta può fare.



 

Nei primi anni Ottanta, appena insignito del Nobel, Czesław Miłosz fu chiamato dall’Università di Har­vard a presentare, in sei lezioni, le sue idee sulla po­e­sia. E della poesia decise di privilegiare la funzione ai suoi occhi più importante, vale a dire la mi­ra­colosa capa­cità di offrire una testimonianza sul­l’epoca a cui ap­partiene: «non ho dubbi» afferma «che i po­steri ci leg­geranno nel tentativo di com­pren­dere che cosa è stato il Novecento, proprio co­me noi ap­prendiamo molto sull’Ottocento grazie al­le poesie di Rimbaud e alle prose di Flaubert». Ma quale testimonianza del No­ve­cento offre la poesia? Il «tono minore», il dub­bio, l’a­ma­rezza, la cupezza che paiono con­trad­di­stin­guerla derivano, certo, dal­la fragilità «di tutto ciò che chia­miamo civiltà o cul­tura», dal pre­sagio che quanto ci circonda «non è più garantito», e potrebbe scompa­rire. Resta nondimeno una via di salvezza: guardan­do al secolo dalla prospettiva di un’«altra Europa» ed eleggendo a guide Oscar Milosz e Simone Weil, Miłosz ci in­tro­duce infatti a una diversa con­cezione della poesia, quel­la che ne fa un «in­­se­gui­men­to ap­passionato del Reale» – giacché solo nel mai ap­paga­to desiderio di mimesi, nella fedeltà al par­ti­cola­re, nel «senso della gerarchia» delle cose sta «la possi­bilità di so­prav­vivere a periodi poco propizi».



 

Tra l’inverno del 1955 e la primavera del 1956 Czesław Miłosz dà corpo alla sua originale concezione della poesia in una vera e propria sfida letteraria: un grande poema che, eludendo le cornici di genere e arricchendosi di elementi prosaici o colloquiali, mescolando citazioni eterogenee, imitazioni letterarie, valutazioni critiche ed e­nun­ciati filosofici, delinea un vasto affresco storico-culturale del Novecento polacco, tassello imprescindibile della storia europea. Un affresco che si compone di quattro parti, evocative di altrettanti scenari: il mondo della belle époque nella Cracovia di inizio secolo; la vita politica e artistica di Varsavia tra le due guerre, con ampie digressioni sui poeti del tempo; le devastazioni della seconda guerra mondiale e gli orrori dell’occupazione nazista, con la ri­vendicazione di una poesia capace di giudizio etico; la Natura e in particolare l’am­bien­te degli Stati Uniti, in cui Miłosz, dopo a­ver contemplato l’abisso in cui sono precipitate le culture europee, individua la dimensione ideale per trovare serenità ed e­quilibrio, senza peraltro sottrarsi al dovere di condividere con i fratelli polacchi le questioni cruciali del XX secolo. Il Trattato poetico ha la forza espressiva di un grande romanzo storico, l’into­na­zio­ne nostalgica di un poema sul tempo perduto, il suono straziante di un requiem in morte di un’epoca, l’accento pacato di u­na meditazione sulla storia, sul­l’arte, sulla coscienza individuale. E anche le Note del­l’Autore che chiudono il vo­lume si rivela­no una splendida creazione letteraria: un mosaico di schizzi e ritratti in miniatura che, come per magia, ricreano il mondo di una ormai lontana Europa.



 

Saffo (VII-VI sec. a.C.) – L’essere umano non può sfuggire la vecchiaia.

Saffo e la vecchiaia

«Voi, fanciulle, i bei doni delle Muse dal seno di viola
cercate e la lira armoniosa che accompagna il canto.
A me il corpo un tempo tenero ormai la vecchiaia
ha colpito, i capelli da neri sono diventati bianchi,
il mio animo si è fatto pesante, non reggono le ginocchia
che prima danzavano leggere come quelle dei cerbiatti.
Spesso cedo al lamento. Ma cosa si può fare?
L’essere umano non può sfuggire la vecchiaia.
Un tempo Titono, raccontano, Aurora braccia di rosa
per amore lo trasportò con sé ai confini del mondo
quando era bello e giovane. Ma anche lui raggiunse
col tempo la grigia vecchiaia, pur avendo una sposa immortale».

Saffo, Carme della vecchiaia, in La nuova Saffo: commento ai frammenti di Colonia e al papiro Obbink (P. Köln inv. 21351+ 21376, P. Sapph. Obbink), PDF, p. 36. La traduzione si basa sul testo costituito dall filologo inglese Martin L. West.
 
Saffo, Liber chronicarum, 1493, di Hartmann Schedel (Norimberga 1440-1514).

Nella filologia moderna, i frammenti di Saffo sono spesso editi con quelli di Alceo. Hanno segnato una svolta le edizioni di E. Lobel e D.-L. Page, Poetarum Lesbionun Fragmenta, Oxford 1955, e di Carlo Gallavotti. Saffo e Alceo, Napoli 1957. Vale come riferimento quella di Eva-Maria Voigt. Sappho et Alcaeus, Amsterdam 1971. Un commento importante è quello del tedesco Max Treu, Sappho, Monaco 1954.

Busto di Saffo conservato nei Musei capitolini a Roma
Saffo ( VII-VI sec. a.C. )  – La vera dolcezza di quella mela rosseggiante Saffo ci dice che può essere colta solo se raggiunta nell’alto della sua dimensione eidetica.
Testa di Saffo, copia romana da originale di età ellenistica, da Smirne, Museo archeologico di Istanbul.
La scultura “Saffo abbandonata” è stata realizzata nel 1857 da Giovanni Duprè, (1817-1882).
Alceo e Saffo, Vaso attico di figure rosse, ca. 480 a.C.
Ritratto di Saffo, Palazzo Massimo alle Terme, Roma. Foto di Paolo Monti, 1969.
Saffo, da Veterum illustrius philosophorum etc. imagines (1685) di Giovanni Pietro Bellori (1613-1696).
Saffo, seduta, legge re amiche-studentesse che la circondano, Vaso attico (hydrie o kalpis) di Vari, opera del gruppo di Polygnotos, 440-430 a.C. circa, Museo Archeologico Nazionale di Atene, n. 1260.
napoli-litalia-busto-in-bronzo-di-saffo-ca-610-580-ac-il-museo-archeologico-nazionale-di-napoli-g58haj
Saffo e Alceo a Mitilene, Lawrence Alma-Tadema (1881)

William H. Davies (1871-1940) – Che cos’è la vita se non abbiamo il tempo di fermarci e sostare? Nessun tempo per vedere fiumi pieni di stelle, come i cieli di notte. È una vita povera questa.

Davies William H. 01
Tempo liberato

Che cos’è la vita se, piena di preoccupazioni,
non abbiamo il tempo di fermarci e sostare?
[…]
Nessun tempo per vedere, quando si attraversano i boschi
dove gli scoiattoli nascondono le noci nell’erba.
Nessun tempo per vedere, in pieno giorno
fiumi pieni di stelle, come i cieli di notte.
[…]
È una vita povera questa, se piena di preoccupazioni
non abbiamo il tempo di fermarci e sostare.

William H. Davies

da Songs of Joy and Others (1911)

Margherita Guidacci (1921-1992) – Sono i pazzi quelli che hanno ragione, in una società disumana e soffocante come la nostra. Si impazzisce perché si ha l’impressione che il mondo non sappia che farsene dell’anima né delle sue facoltà più importanti, come ad esempio l’immaginazione.

Margherita Guidacci, Neuroisuite
«Sono i pazzi quelli che hanno ragione,
in una società disumana e soffocante come la nostra.
Si impazzisce perché si ha l’impressione che il mondo
non sappia che farsene dell’anima
né delle sue facoltà più importanti,
come ad esempio l’immaginazione».

Margherita Guidacci, Lettera a Mladen Machiedo, 15 giugno 1970, in Id., Lettere di Margherita Guidacci a Mladen Machiedo, a cura di Sara Lombardi, Firenze University Press, 2015.

Prigione

Se il muro fosse di pietra e non d’aria,
se attraverso il muro non si toccassero gli alberi,
se le alte sbarre d’ombra che ti rigano l’anima
fossero l’ombra di vere sbarre a cui potersi aggrappare,
se ricordassi lo scatto d’una porta che si chiude
alle tue spalle e il tintinnìo delle chiavi
alla cintura del carceriere che si allontana:
quale sollievo ne avresti nell’orrore!
Perché ciò che si chiude può tornare ad aprirsi,
la rocca più imponente può essere distrutta.
Ma dove sei non è porta, e nessuna porta s’aprirà.
E non è muro: nessun muro sarà abbattuto.
Le sbarre d’ombra sono le vere sbarre,
non saranno divelte. Tu confini con l’aria,
tocchi gli alberi, cogli i fiori, sei libera,
e sei tu stessa la tua prigione che cammina.

Margherita Guidacci (1921-1992) – Il nostro mondo.
Margherita Guidacci, Margherita Pieracci Harvell – «Specularmente. Lettere, studi, recensioni». A cura di Ilaria Rabatti
Margherita Guidacci (1921-1992) – Voi, guardie e doganieri, perché non chiedete il passaporto al tordo e al colombaccio? Si faccia dunque un bando rigoroso perché ogni uccello resti confinato nel proprio cielo territoriale. Fino a quel giorno anch’io, con tutti gli uomini, rifiuterò le frontiere.
Margherita Guidacci (1921-1992) – «Sibille». Per tutto il tempo in cui rimasi in compagnia delle Sibille, le sentii sempre come delle presenze oggettive. erano per me delle persone reali, in carne ed ossa.
Margherita Guidacci (1921-1992) – Chi ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in questi vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo …


Margherita Guidacci (1921-1992) – Chi ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in questi vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo …

Margherita Guidacci-Eritrea

Sibille.
Seguito da Come ho scritto “Sibille”.

A cura di Ilaria Rabatti.

indicepresentazioneautoresintesi

Chi ha veramente a cuore la sapienza,
non la ricerchi in questi vani giri,
come di chi volesse raccogliere le foglie
cadute da una pianta e già disperse dal vento,
sperando di rimetterle sul ramo.
La sapienza è un pianta che rinasce
solo dalla radice, una e molteplice.
Chi vuol vederla frondeggiare alla luce
discenda nel profondo ...

Eritrea

Non qui, su questo sacro
suolo di Eritre, dove siete venuti
per riscrivere i libri che per impulso vostro
non avreste mai scritto, e che ora il fuoco
vi ha sottratto; non qui, dove in un tempo
lontano io rivelai la prima volta
la sapienza che vi era contenuta;
né a Samo o Delfi o Cuma (più vicina
a voi) da cui li trasse senza intenderli
il vostro re superbo; né in alcuno dei luoghi
che, come specchi successivi, mandarono
lampi arcani, voi troverete mai
quel che cercate. Troverete forse
un mormorio trasognato di vecchi
che storpiano parole già storpiate
dai loro padri: e di quello farete
i vostri nuovi libri, per illudere
il popolo e voi stessi. Ma se uno
ha veramente a cuore la sapienza,
non la ricerchi in questi vani giri,
come di chi volesse raccogliere le foglie
cadute da una pianta e già disperse dal vento,
sperando di rimetterle sul ramo.
La sapienza è un pianta che rinasce
solo dalla radice, una e molteplice.
Chi vuol vederla frondeggiare alla luce
discenda nel profondo, là dove opera il dio,
segua il germoglio nel suo cammino verticale
e avrà del retto desiderio il retto
adempimento: dovunque egli sia
non gli occorre altro viaggio.

M. Guidacci, Sibille. Seguito da Come ho scritto “Sibille”, a cura di Ilaria Rabatti, Petite plaisance, Pistoia 2018, p. 20.


Margherita Guidacci (1921-1992) – Il nostro mondo.
Margherita Guidacci, Margherita Pieracci Harvell – «Specularmente. Lettere, studi, recensioni». A cura di Ilaria Rabatti
Margherita Guidacci (1921-1992) – Voi, guardie e doganieri, perché non chiedete il passaporto al tordo e al colombaccio? Si faccia dunque un bando rigoroso perché ogni uccello resti confinato nel proprio cielo territoriale. Fino a quel giorno anch’io, con tutti gli uomini, rifiuterò le frontiere.
 
Margherita Guidacci (1921-1992) – Chi ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo.
Margherita Guidacci (1921-1992) – «Sibille». Per tutto il tempo in cui rimasi in compagnia delle Sibille, le sentii sempre come delle presenze oggettive. erano per me delle persone reali, in carne ed ossa.


Rainer Maria Rilke (1875-1926) – Occorre raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita. Anche i ricordi di per se stessi ancora “non sono”. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.

Rainer Maria Rilke07
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Garzanti, 2014

«Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d’infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per altri), a malattie dell’infanzia che cominciavano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso».

Rainer Maria Rilke, The Notebooks of Malte Laurids Brigge [1910], I quaderni di Malte Laurids Brigge, Garzanti, 2014


 

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