«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
[…] noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l’anima dell’Italia che risorgeva, dell’Italia moderna; quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l’educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento. […]
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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DIDIER A. CONTADINI è ricercatore in Storia della filosofia presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca. Insegna Teoria dello spazio urbano nel Corso di perfezionamento in Teoria critica della società, per cui è anche membro del comitato organizzatore e scientifico. È segretario di redazione della rivista Quaderni materialisti e della collana Quaderni di teoria critica della società. È membro della redazione della rivista Scienza e filosofia. Si occupa degli autori che si iscrivono nella cosiddetta teoria critica, da Th. W. Adorno, S. Kracauer e W. Benjamin a J. Butler, a cui ha dedicato diversi articoli e due volumi. Si occupa altresì del pensiero marxiano e della tradizione marxista, in particolare francese. Si dedica anche a tematiche di filosofia morale, disciplina per la quale ha ottenuto l’ASN nel 2014, quali la violenza, la menzogna e la costruzione del senso comune a partire dalla riflessione della filosofia kantiana e post-kantiana
ANDREA IGNAZIO DADDI è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione e collabora con le Cattedre di Filosofia morale e Pratiche filosofiche all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Docente di scuola secondaria di secondo grado, pedagogista e analista filosofo in formazione, è particolarmente interessato ai rapporti tra formazione, vita filosofica e psicologie del profondo e ha al suo attivo svariate pubblicazioni tra cui la monografia Filosofia del profondo, formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta (Ipoc, 2016) e la traduzione italiana del volume a cura di Alan Bainbridge e Linden West, Educazione e psicoanalisi. Un dialogo da riavviare (Ipoc, 2017). Fondatore di Philo Liguria, ha scritto in Aprire mondi. Un percorso nella pedagogia di Riccardo Massa (a cura del Centro Studi Riccardo Massa, FrancoAngeli, 2020) ed è tra i curatori del volume collettaneo Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo (Petite Plaisance, 2020)
CARLA DI QUINZIO, pedagogista e analista filosofa, svolge privatamente attività di analisi biografica a orientamento filosofico ed è consulente educatrice professionale presso un SerD di Milano. Svolge attività di formazione rivolta a educatori e docenti e conduce laboratori di pratiche filosofiche e di scrittura autobiografica nella cura delle dipendenze. Collabora con il centro culturale di Philo – Pratiche filosofiche e con l’associazione Smallfamilies per la quale ha ideato, insieme a Benedetta Silj, lo sportello di analisi biografica a orientamento filosofico per madri sole e padri soli. Ha inoltre scritto un saggio nel libro collettivo L’analisi filosofica. Avventure del senso e ricerca mito-biografica (a cura di P. Bartolini e C. Mirabelli), Mimesis, Milano-Udine, 2019
SUSANNA FRESKO è analista filosofa e lavora in ambito formativo su autobiografia e mitobiografia, in particolare attraverso il ricorso alla parola, scritta e orale, come strumento conoscitivo di sé e del mondo attorno a sé. Per Philo – Pratiche filosofiche è docente e responsabile del coordinamento didattico di Mitobiografica – Percorsi per il mestiere di vivere. Dal 2013 si occupa inoltre della gestione organizzativa delle attività di Philo nel suo insieme. Tra le sue pubblicazioni la monografia Dall’intimità del roveto. Verso la terra del dono (Ipoc, 2014). Ha inoltre scritto un saggio nel libro collettivo Qual è il tuo mito? Mappe per il mestiere di vivere (a cura sua e di Chiara Mirabelli, Mimesis, 2016). Un suo contributo è presente anche nel volume collettaneo L’analisi filosofica. Cura del senso e ricerca mito-biografica (a cura di P. Bartolini e C. Mirabelli, Mimesis, 2019) e nel più recente Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace (a cura di M. Montanari e S. Oliva Boch, AnimaMundi, 2022).
LUCA GRECCHI collabora con le Cattedre di Filosofia morale e Storia della filosofia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. È direttore dal 2003 della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia. Ha pubblicato recentemente, nella collana Questioni di filosofia antica delle Edizioni Unicopli, i volumi Natura (2018) e Uomo (2019), e, per Morcelliana, Leggere i Presocratici (2020). Ha curato inoltre tre volumi aristotelici: Sistema e sistematicità in Aristotele, Immanenza e trascendenza in Aristotele, Teoria e prassi in Aristotele (Petite Plaisance, rispettivamente 2016, 2017, 2018).
ROMANO MÀDERA è filosofo e psicoanalista. Ha insegnato presso le Università della Calabria, Ca’ Foscari di Venezia e Milano-Bicocca. Ha ideato e sviluppato la proposta nel campo della ricerca e della cura del senso denominata «analisi biografica a orientamento filosofico», fondando nel 2007 SABOF Società degli Analisti Filosofi a Orientamento Filosofico. Tra le sue opere più recenti ricordiamo: Il nudo piacere di vivere (Mondadori, 2006); La carta del senso. Psicologia del profondo e vita filosofica (Cortina, 2012); Una filosofia per l’anima. All’incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche, a cura di C. Mirabelli (Ipoc, 2013); Carl Gustav Jung. L’opera al rosso (Feltrinelli, 2016); Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche (Mimesis, 2018); Il caos del mondo e il caos degli affetti (con G. Cappelletty, Claudiana, 2020); Il metodo biografico come formazione, cura, filosofia (Cortina, 2022).
MONICA MARINONI è pedagogista e Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione. Dal 2013 al 2016 è stata Cultrice della materia per le cattedre di Filosofia morale e Pratiche filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e ha collaborato alla realizzazione dei Seminari Aperti di Pratiche Filosofiche. Si occupa di temi ambientali, relazioni tra umano e natura e intercultura ed è attivamente impegnata in campo politico per promuovere un nuovo immaginario ecosostenibile. Dal 2017 presenta contributi al Convegno Internazionale ‘Educazione Terra Natura’ presso la Libera Università di Bolzano. Tra le sue pubblicazioni: Dalla parte del Mondo. Per una cura della sua Anima attraverso il pensiero di James Hillman (Feltrinelli, 2014); Ambiente e educazione all’ecosostenibilità: alcune indicazioni da una ricerca, in M. Giusti (a cura di), Pratiche didattiche di partecipazione e inclusione (Universitas Studiorum, 2018); Abitare la terra difendendone la bellezza: la prospettiva di James Hillman, in M. Gallerani, C. Birbes(a cura di), L’abitare come progetto, cura e responsabilità (Zeroseiup, 2019).
CHIARA MIRABELLI è analista biografica a orientamento filosofico e formatrice. Lavora da diversi anni nell’ambito della formazione degli adulti – sui temi dell’autobiografia, della cura attraverso la narrazione e della mitobiografia – per associazioni, scuole ed enti. A Philo è docente della Scuola in Abof e di Mitobiografica, responsabile organizzativa della Scuola in Abof, del Centro culturale e curatrice del sito. Con Ivano Gamelli è autrice di Non solo a parole. Corpo e narrazione nell’educazione e nella cura (Cortina, 2019). Ha scritto in Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo vademecum per la pace (a cura di M. Montanari e S. Oliva Boch, AnimaMundi, 2022), I gesti di Eros. L’amore e le sue parole (a cura sua e di P. Bartolini, Mursia, 2020), L’analisi filosofica. Avventure del senso e ricerca mito-biografica (a cura sua e di P. Bartolini, Mimesis, 2019), Qual è il tuo mito? Mappe per il mestiere di vivere (a cura sua e di S. Fresko, Mimesis, 2016) e Philo. Una nuova formazione alla cura (a cura sua e di A. Prandin, Ipoc, 2015). Ha inoltre curato il libro di Romano Màdera, Una filosofia per l’anima. All’incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche (Ipoc, 2013). È autrice di articoli sulla Rivista di psicologia analitica
STEFANO PIPPAha conseguito un PhD in Philosophy presso il Centre for Research in Modern and Contemporary Philosophy della Kingston University, Londra. È stato Lecturer in Philosophy all’università di Wolverhampton dal 2016 al 2018 ed è attualmente ricercatore in Filosofia politica presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca, dove ha fatto parte del progetto dipartimentale Education for Social Justice. I suoi interessi di ricerca si collocano nell’ambito della teoria critica contemporanea e delle teorie della giustizia. Dal 2020 tiene un corso di Filosofia politica all’interno del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società (Università di Milano-Bicocca). Ha pubblicato due monografie sul pensiero di Louis Althusser (Althusser and Contingency, Mimesis, 2019; Il soggetto surinterpellato. Ideologia, resistenza e conflitto in Althusser e Pêcheux, Mimesis, 2022) e numerosi articoli su riviste italiane e internazionali (Radical Philosophy, Rethinking Marxism, Quaderni materialisti, Soft Power, Stasis, MeTis). Fa parte del comitato editoriale della rivista Quaderni materialisti e della collana Quaderni di Teoria Critica.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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felici perché si vive bene, perché la vita ha acquisito un peso, una direzione, un orientamento, perché la vita si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice e anonima sussistenza, trasformandosi in una vita dotata di senso, in una individuale e particolarissima consistenza […] felicità intesa come pienezza di vita lungo tutto il suo tragitto. Arianna Fermani, Vita felice umana.
In copertina: Cornice lignea contenente come iscrizione le prime parole del libro di Aristotele, Metafisica, I, 980 a 21: «Πάντες ἄνθρωποι τοῦ εἰδέναι ὀρέγονται φύσει», «Tutti gli esseri umani per natura desiderano sapere»
Arianna Fermani
Il concetto di limite nella filosofia antica
ISBN 978-88-7588-355-3, 2022, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Il giogo” [151].
«Non si deve, in quanto esseri umani, limitarsi a pensare cose umane né, essendo mortali, limitarsi a pensare cose mortali, come si consiglia, ma, per quanto è possibile, ci si deve immortalare [ἀθανατίζειν] e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi [καὶ πάντα ποιεῖν πρὸς τὸ ζῆν κατὰ τὸ κράτιστον τῶν ἐν αὑτῷ]».
Aristotele, Etica Nicomachea, X, 7, 1177 b 30-34
La filosofia nasce contrassegnata dal limite. Come testimonia Diogene Laerzio,1 infatti, Pitagora, che «per primo […] usò il termine “filosofia” e si chiamò filosofo», lo fece nella consapevolezza che «nessuno […] è saggio, eccetto la divinità».2 Si narra anche che, un paio di secoli dopo, Diogene il cinico «a chi gli disse: “Tu non sai nulla e pure fai il filosofo”, rispose: “Aspirare alla saggezza, anche questo è filosofia”».3
L’assunzione delle intrinseche limitazioni dell’essere umano costituisce, pertanto, l’atto di nascita di una forma di conoscenza che intende distanziarsi immediatamente dal sapere assoluto, ovvero da quel possesso conoscitivo pieno ed esclusivo che, in quanto tale, è proprio solo della divinità. Lo stesso nome filo-sofia si colloca, quindi, nello spazio di questo “distanziamento”, come testimonia ulteriormente la celeberrima icona, offerta dal Simposio platonico, del filosofo come «amante di sapienza» e, in quanto tale, situato a metà strada tra sapienza e ignoranza:
Diotima – desideroso di saggezza [φρονήσεως ἐπιθυμητὴς], pieno di risorse [καὶ πόριμος], amante di sapienza per tutta la vita [φιλοσοφῶν διὰ παντὸς τοῦ βίου] […] a metà strada tra sapienza e ignoranza [σοφίας … καὶ ἀμαθίας ἐν μέσῳ ἐστίν]. […] Nessuno degli dèi fa filosofia, né desidera diventare sapiente – infatti lo è già – né fa filosofia chiunque altro sia già sapiente. Ma neppure gli ignoranti fanno filosofia né desiderano diventare sapienti.
Socrate – Ma allora – dissi io – chi sono coloro che fanno filosofia, se non sono né i sapienti né gli ignoranti?
Diotima – Ormai – disse – dovrebbe essere chiaro perfino ad un bambino che sono coloro che stanno a metà strada fra gli uni e gli altri [οἱ μεταξὺ τούτων ἀμφοτέρων].4
L’intento di questo breve contributo consiste, allora, nel riattraversare alcune delle molteplici curvature che la nozione di limite riceve nel pensiero greco e le sue ricadute sul versante gnoseologico, etico e politico.
***
1 Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, I, 12; in Id., Vite dei Filosofi, a cura di M. Gigante, vol. I, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 6-7.
2Ibidem.
3Ibidem, VI, 64; vol. I, p. 226.
4 Platone, Simposio, 203 d 6 – 204 b 2; traduzione mia.
Arianna Fermaniinsegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: Vita felice umana: in dialogo con Platone e Aristotele (2006); L’etica di Aristotele, il mondo della vita umana (2012); By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach (2016). Ha tradotto, per Bompiani: Aristotele, Le tre Etiche (2008), Topici e Confutazioni Sofistiche (in Aristotele, Organon, 2016).
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Ripensare l’abitare. Feuerbach, Heidegger e il problema del rapporto uomo-natura
di Franco Toscani
in: AA.VV., Cambiamento o catastrofe? La specie umana al bivio, a cura di Tiziana Drago e Enzo Scandurra, Prefazione di Piero Bevilacqua e Postfazione di Laura Marchetti, Castelvecchi 2022.
La minaccia che ci concerne
Nella sua etimologia il termine greco καταστροφή (catastrofe) esprime un rivolgimento, un rovesciamento, uno sconvolgimento e, nella tragedia greca antica, indica secondo Aristotele l’esito luttuoso del dramma. Oggi viene sovente chiamato catastrofista chi, con un pessimismo che si ritiene esagerato, tende a prevedere disastri e sciagure. Come si sa, le catastrofi possono verificarsi in natura indipendentemente dalle azioni e dai comportamenti umani e sembra certo che, probabilmente fra tempo immemorabile, cesserà ogni forma di vita sul nostro pianeta in conseguenza dell’esplosione del sole che, come tutte le stelle, prima o poi esploderà, ponendo fine agli umani sogni di immortalità e di eternità.
È un dato di fatto che, nella nostra epoca, la specie umana è in grado da sola di preparare le condizioni per l’estinzione di tutti gli esseri viventi. Ciò è diventato ancor più evidente dopo l’esplosione, nel 1945, delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, che sancirono la fine della Seconda guerra mondiale. Sembra incredibile, ma la follia umana del potere, davvero senza limiti, proprio in questo periodo storico, dopo l’invasione russa dell’Ucraina (cominciata il 24 febbraio 2022) e la guerra che ne è conseguita tra Russia e Ucraina, sta adombrando la possibilità di una terza guerra mondiale che, con l’impiego possibile delle armi nucleari, avrebbe un indubbio esito catastrofico.
Oggi è noto anche ai ragazzi che l’inquinamento ambientale globale e il riscaldamento climatico stanno avvicinando sempre più il pericolo estremo. La minaccia incombente della distruzione della Terra e dell’umanità non è un’invenzione di qualche catastrofista o menagramo, ma è ammessa quasi universalmente. Il grido d’allarme lanciato tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo da Pier Paolo Pasolini sulla “mutazione antropologica” allora in corso è più che mai attuale. Il “vaso di Pandora” contenente i mali che ci affliggono non è chiuso, è da molto tempo aperto e chiunque può rendersi conto di ciò che il vaso contiene, ma uno dei nostri massimi problemi è proprio quello della presa di coscienza, che non è affatto scontata e ovvia, perché molte e ingombranti cose la ostacolano, a cominciare dal sistema economico e sociale capitalistico imperante, dal feticismo delle merci e della tecnica, dal vero e proprio culto del denaro, del potere e del capitale, dall’edonismo e dal consumismo sfrenato che caratterizzano la nostra società sirenico-spettacolare, dal primato del profitto che pone sistematicamente in secondo piano la salvaguardia dell’ambiente, la dignità umana, la salute dei cittadini e dei lavoratori. Tutto ciò, nel mondo della tecnica e dell’economia globalizzata, mira sistematicamente a sviare, a manipolare e a stordire le coscienze.
Ci riguardano sfide che interrogano anche il pensiero. La terra in dis-grazia e in rovina richiede pure un nuovo pensiero filosofico capace, nel dialogo più stringente e fruttuoso con gli altri saperi e con le altre scienze, di riproporre il problema dell’abitare umano al di là di ogni illusoria volontà illimitata di dominio e di potenza sugli uomini, sulle cose, sulla natura. Nella direzione di un nuovo pensiero capace di ripensare e rifondare l’abitare, faremo qui rapidamente riferimento a due grandi filosofi come Feuerbach e Heidegger che, in epoche e in modi assai diversi fra loro, pongono in merito alcune questioni essenziali. Cercheremo quindi di ricavare qualche lume per il presente e per il futuro della civiltà planetaria, se un futuro per essa vi sarà.
[…]
La cura della terra e del mondo.E’ ancora possibile ripensare e rifondare l’abitare umano?
Seguendo una fertile e celebre indicazione hölderliniana (“pieno di merito, ma poeticamente abita/ l’uomo su questa terra”), Heidegger pone il tema dell’abitare dei mortali fra terra e cielo, nell’unità del Geviert. Molto forte è qui il nesso istituito tra Denken (pensare) e Wohnen (abitare). Abitare non vuol dire dominare il pianeta, ergersi illusoriamente a padroni degli enti e signori dell’universo, ma esistere nell’Aperto (das Offene) come mortali, ospiti, viandanti, via via soggiornanti. Significa riscoprire la dignità dell’uomo come essere pensante e interrogante, deporre le armature e le illusioni umanistiche con cui ci poniamo come Fondamento assoluto del reale.
Mostrando la Heimatlosigkeit (spaesatezza) di ciascuno nel mondo in cui viviamo, riscoprire il senso autentico dell’abitare conduce soprattutto a essere, ad aver cura, a prendersi cura e non, innanzitutto, ad avere, a manipolare, a dominare. Ciò che di meglio vi è per noi è prendersi cura e aver cura di noi stessi, degli altri, di tutti gli esseri viventi, delle cose, del mondo, del pianeta malato, della verità. La cura e il riguardo della terra e del mondo possono forse ancora darsi a partire dalla coscienza della interconnessione, interrelazione e interdipendenza di tutti i fenomeni e le cose. E’ quella che il buddhismo chiama la “co-produzione condizionata” o “genesi interdipendente” di tutti i fenomeni e di tutte le cose, per cui nessuna cosa può essere considerata nella sua separazione da tutto il resto, non vi possono essere alcuno “splendido isolamento” e alcuna “anima bella”.
Si lamenta spesso il fatto che le nostre città e metropoli siano prive di “anima”. Ma hanno o ritroveranno esse ancora un’anima? E’ possibile una nuova etica del soggiorno, ritornare ad abitare, nel suo senso più pregnante, il pianeta? E’ ancora possibile imparare ad aver cura e a prendersi cura oppure siamo e saremo tutti sempre più irretiti nel meccanismo gigantesco del capitalismo edonistico-consumistico, dei nostri usi e costumi consueti di vita, delle nostre cattive abitudini? Possono ancora cambiare il nostro sguardo e il nostro stile di vita?
La vera crisi delle nostre città e metropoli, dell’intera civiltà planetaria è da mettere in relazione all’incapacità di abitare dell’uomo odierno, a causa della cieca furia prassistico-consumistica che lo caratterizza e che sta rendendo il nostro pianeta sempre più inabitabile. Riproporci il problema dell’abitare ci conduce a ritrovare la nostra peculiare essenza e dignità di mortali, la povertà e la ricchezza dell’essenza umana. Anche qui Heidegger non può fornirci tutte le indicazioni di cui abbiamo bisogno, ma la sua riflessione sull’abitare può servirci per cercare di arginare l’attuale inaridimento del senso e la crescente devastazione del pianeta, per riscoprire l’umanità e la meraviglia dell’uomo, l’essere-cosa delle cose, l’essere-mondo del mondo.
«IL CICLO STORICO DEL CAPITALISMO È A UN PUNTO IN CUI LO SFRUTTAMENTO DELLA NATURA È UNA STRADA SENZA RITORNO. È DIVENTATO IL CRINALE DIRIMENTE TRA FUTURO E INSENSATEZZA»
L’emergenza ambientale e sociale scatenata dallo sfruttamento dissoluto delle risorse naturali è giunta a uno stadio irreversibile che ammette, per il genere umano, soltanto due esiti. Da un lato, l’uscita di sicurezza: il tentativo di contenere i danni di questa crisi operando un cambiamento radicale dei modelli economici che l’hanno provocata. Dall’altro, la catastrofe inevitabile – l’estinzione – se a persistere saranno l’indifferenza o le mezze misure. In una prospettiva che interseca una pluralità di discipline (dall’ingegneria all’economia, dall’architettura alla sociologia e ai saperi umanistici), studiosi e studiose denunciano qui i disastri causati all’ambiente dalle logiche distruttive che hanno portato l’essere umano a sentirsi padrone del mondo e a rincorrere il progresso ad ogni costo. E affermano l’assoluta urgenza di dare spazio a quell’«approdo straordinario, quanto necessario, del sapere umano» che è l’ecologia. Con i testi di: Piero Bevilacqua, Romeo Bufalo, Amalia Collisani, Tiziana Drago, Mario Fiorentini, Maria Pia Guermandi, Pino Ippolito Armino, Ignazio Masulli, Francesco Novelli, Tonino Perna, Enzo Scandurra, Franco Toscani, Luigi Vavalà, Alberto Ziparo.
Tiziana Drago Grecista presso l’Università di Bari, attivista, blogger. Studia la letteratura erotica antica, l’epistolografia, le strategie allusive e le dinamiche intertestuali nelle letterature classiche. Si interessa inoltre di conoscenza nella scuola e nell’università. È tra gli autori di Aprire le porte. Per una scuola democratica e cooperativa (Castelvecchi, 2018) e ha curato, insieme a Enzo Scandurra, Contronarrazioni. Per una critica sociale delle narrazioni tossiche (Castelvecchi, 2021). Collabora a blog e riviste quali «MicroMega», «il Tetto», «Meno di zero», «Inchiesta», «La città futura», «laletteraturaenoi». Scrive per «il manifesto» ed è collaboratrice di «la Repubblica».
Enzo Scandurra Urbanista, saggista e narratore; già ordinario di Urbanistica presso l’Università Sapienza di Roma. Si occupa di problemi legati alle trasformazioni della città e a Roma in particolare, temi cui ha dedicato numerose pubblicazioni. Per Castelvecchi ha pubblicato i romanzi Fuori squadra (2017), Exit Roma (2019) e La disgrazia (2020) e curato, insieme a Tiziana Drago, Contronarrazioni. Per una critica sociale delle narrazioni tossiche (2021). Membro del comitato di redazione della rivista «Luoghi comuni» (Castelvecchi), collabora al quotidiano «il manifesto».
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COLLEGIO SANTA CATERINA DA SIENA Aula conferenze (Via San Martino 17)
Ore 9: Saluti istituzionali Ore 9.15: Elisa Romano, Università di Pavia Introduzione ai lavori
Ore 9.30 Valeria Andò, Università di Palermo Sotera Fornaro, Università della Campania Francesco Massa, Université de Fribourg Martina Di Stefano, Università di Pavia Omaggio ad Anna Beltrametti
Pausa
Ore 11: Maria Pia Pattoni, Università Cattolica di Brescia Alcesti nel Novecento, tra desiderio di emancipazione e spinte nichiliste Ore 11.40: Ester Cerbo, Università di Roma Tor Vergata Filottete e L’altra ferita: dopo Sofocle, Aldo Braibanti
***
UNIVERSITA’ DI PAVIA Aula Volta (Palazzo Centrale, Strada Nuova 65)
Ore 14.30: Maurizio Harari, Università di Pavia Un’ascia (anche) per Elettra Ore 15.10: Massimo Stella, Università Ca’ Foscari di Venezia L’Arcadia degli Spiriti: filologia e fantasmi dell’Antico Ore 15.50: Gherardo Ugolini, Università di Verona Berlino 1936: L’Orestea al tempo del nazismo
Pausa
Ore 16.45: Martina Treu, Università IULM di Milano Emozione di moltitudine: il coro ritrovato Ore 17.25: Raffaella Viccei, Università Cattolica di Brescia Cassandra nel XXI secolo: teatro e arte
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Per poter essere veicolo di verità ed emancipazione dobbiamo liberarci del marchio di Caino dell’utile e della competizione. Senza tale esodo interiore dalla distopia del presente ogni operazione di umwälzende Praxis non può che essere mera apparenza senza effettualità alcuna. Questo è il compito che ci attende.
***
Gustav Klimt, La Medicina, 1901-1907. Particolare a colori di Igea, della serie per l’Università di Vienna.
Gustav Klimt, La Filosofia, 1899-1907Gustav Klimt, La Medicina, 1901-1907Gustav Klimt, La Giurisprudenza, 1903-1907
La tragedia del tempo presente non ha un centro, non è identificabile una causa prima da cui far discendere con chiarezza logica e adamantinasoluzioni e obiettivi. Il nichilismo crematistico è la logica che permea e si infiltra maligno in ogni istituzione. Non c’è un centro, è ovunque, come il dio di Cusano è in ogni punto vivente della realtà storica e contingente. Siamo tutti direttamente coinvolti, benché siano diversi i livelli di consapevolezza e di responsabilità. Bisogna prender atto che non vi sono istituzioni che possano essere laboratori dove si pensa il tempo storico in cui siamo implicati, dove si colgono le contraddizioni e si elabora un’alternativa. L’istituzione predisposta a tale operazione etica e politica dovrebbe essere l’Università. L’istituzione universitaria, invece, è parte sostanziale del problema. Al baronato si aggiunge l’adattamento servile al capitalismo e allo scientismo. Essa è l’istituzione nella quale il sistema si riproduce con la fede sempiterna nella forma mentis dell’economicismo aziendale e nel nichilismo crematistico conseguente. Le giovani generazioni sono addestrate a scegliere le facoltà secondo un ordine e una priorità esclusivamente economica e individualistica. La professione futura è scelta in funzione del reddito. La logica crematistica impera sovrana con i suoi processi di patologizzazione depressiva dell’intero organismo sociale. La si incentiva, la si consolida con l’abitudine alla competizione selettiva. L’iscrizione alle Università diviene il marchio di Caino: ai giovani studenti e alle giovani studentesse si insegna la selezione con i test di ingresso. Devono competere senza sosta sin dagli esordi della vita universitaria. L’altro è il nemico: se cade, si hanno maggiori possibilità di ingresso e di carriera. Le facoltà senza test d’ingresso, sono facoltà irrilevanti per il sistema. Si scoraggia l’iscrizione ad esse: non hanno test d’ingresso, e dunque non sono appetibili per il mercato. Senza il marchio di Caino si è perdenti in partenza. Il marchio di Caino è impresso sulla pelle e nella vita psichica, gli studenti devono disimparare ogni barlume di vita comunitaria e solidale. Si insegna loro, una volta superato il test, a guardare al mercato globale come ad una possibilità immensa e indefinita di occupazione e carriera. La globalizzazione è intesa come trionfo cosmopolita delle opportunità per i migliori. Naturalmente, spesso, i migliori sono gli studenti e le studentesse che per censo possono attingere alle Università che rispondono maggiormente alle richieste del mercato globale. Quest’ultimo non è fuori l’istituzione, ma è già all’interno. Nelle facoltà si vive secondo i desiderata del mercato, esse sono amministrate con criteri imprenditoriali: lo studente è un cliente, è un bonifico annuale da conservare. Le Università sono, dunque, parte del problema, da esse, in generale non possiamo aspettarci l’elaborazione di un contro-pensiero. Sono piegate e sussunte alla religione del mercato. Non formano la classe dirigente, ma sudditi fedeli, eticamente anonimi.
“Filologia filosofica” Potremmo aspettarci un sussulto di vita critica dalle facoltà di filosofia. Invece, in esse impera la filosofia analitica e l’allevamento al nichilismo. Il relativismo è rappresentato come liberatorio e inclusivo, in realtà si tratta di un’abile operazione ideologica. Se le prospettive si eguagliano, se non vi è un alto o un basso, se tutte le prospettive hanno la loro ragion d’essere, la verità è solo una chimera del passato. L’immobilità politica è coltivata con il relativismo, in quanto prospettive interscambiabili rendono impossibile con la critica radicale la fondazione di un’alternativa al sistema vigente. L’ostilità verso Hegel e Marx ne è la dimostrazione. Tali autori sono ammessi al simposio delle facoltà di filosofia solo se scientemente decaffeinati. Tale deriva è intrinseca all’affermarsi del capitalismo: in Nietzsche vi troviamo la sua chiara codificazione e concettualizzazione. Nietzsche denuncia la sottomissione delle facoltà di filosofia alla religione tradizionale sostituita, oggi, con la religione neoliberista:
«Sulla filosofia delle università. Il danno prevale. Il governo non assume gente che contraddice la religione. Conseguenza: conformità tra la filosofia delle università e la religione del Paese: il che scredita la filosofia. Esempio: lo hegelismo e la sua caduta. Scopi del governo nell’assumere professori di filosofia: l’interesse dello Stato. Conseguenza: la vera filosofia viene misconosciuta e passata sotto silenzio».1
La vera filosofia è radicale, non conosce feticci, ma è iconoclasta. Nelle facoltà di filosofia si erigono feticci, si dogmatizza il tempo presente rappresentandolo come eterno. Si uccide la passione creativa, l’eros platonico, si insegna e si studia ad occhi bassi. Il mercato è ovunque: non possiamo che prenderne atto. Si è installato in ogni punto del sistema istituzionale. In questo modo può prodursi e autoriprodursi con docile certezza. I sudditi sono formati al guinzaglio gerarchico.
L’azione è talmente radicale che nelle facoltà tutte si uccide la passione per le materie di studio con l’approccio analitico.
Ogni esperienza didattica è curvata all’analisi, alla divisione ossessiva in funzione della specializzazione. Si perde la visione del tutto che dona la bellezza e il senso di una disciplina. L’analisi, senza la visione d’insieme, riduce sia un testo e sia un corpo ad anatomia senza senso e bellezza. L’Università è un immenso obitorio.
L’approccio è di tipo filologico, la parte è astratta dal tutto, la parola o l’organo è solo un corpo morto. La visione d’insieme che viene a mancare addestra a non guardare la realtà sociale e storica in cui si è situati. Si insegna l’atomistica dell’analisi che diviene modo di vivere e di pensare. Il soggetto impara a dividersi dal tutto, la comunità è sostituita con l’individualismo astratto. Si pone in atto una vita senza bellezza e senza prassi, poiché bellezza e politica sono nello sguardo che coglie l’insieme. Siamo in un’epoca specialistica e filologica, in cui non vi è né politica né bellezza né passione:
«Aspettarsi dai filologi il più vivo godimento dell’antichità è come aspettarsi dallo scienziato (Naturforscher) il più vivo senso della natura e dall’anatomista il più raffinato senso della bellezza umana».2
L’elaborazione di una critica radicale e di un progetto alternativo non verrà dalle Università, malgrado vi siano eccezioni. Ciò ci deve indurre a un atteggiamento saggiamente anarchico. Solo fuori delle istituzioni, lontani dal guinzaglio del politicamente corretto, è, e sarà, possibile porre in atto la marxiana umwälzende Praxis (che Rodolfo Mondolfo nel suo Sulle orme di Marx,3 traduce «prassi che si rovescia», perché «in luogo d’alterare il genuino concetto marxistico, lo si esprime più integralmente, includendovi anche l’elemento – essenziale e non semplice sfumatura – della Selbstveränderung [autotrasformazione]). Questa è un’epoca di catacombe, in cui la verità dev’essere elaborata e diffusa all’ombra e nel silenzio, in attesa che la critica e la fondazione veritativa possa trovare le condizioni storiche per un’ampia circolazione. Per poter essere veicolo di verità ed emancipazione dobbiamo liberarci del marchio di Caino dell’utile e della competizione. Senza tale esodo interiore dalla distopia del presente ogni operazione di umwälzende Praxis non può che essere mera apparenza senza effettualità alcuna. Questo è il compito che ci attende.
1 Friederich Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869 – Omero e la filologia classica, Adelphi, Milano 1993, p. 162
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