Copertine e schede editoriali (311-320) – Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta, Maurizio Migliori, Giovanni Casertano, Claudio Iozzo, Sergio Arecco, Antonio Vigilante, Alberto Gajano, Daniela Marcheschi, Eros Barone, Alberto G. Biuso, Salvatore Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo.

311-320

311
Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta, Teoria e prassi in Aristotele, a cura di Luca Grecchi.
ISBN 978-88-7588-254-9, 2018, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [95]. In copertina: Il busto di Aristotele a Calcide.

312
M. Antunes, C. Arcangelo, G. Conti, N. Dal Falco, S. Gavriilidis, U. Kindl, W. Louw, P. Macadré, D. Marcheschi, P. Merchant, P. Paolicchi, L. Pascale, A. Rita, La Favola nelle Letterature Europee. Atti del II Seminario Internazionale di studi sulla Favola, promosso dal Centro Internazionale di Studi Europei Sirio Giannini. A cura di D. Marcheschi e C. Tommasi.
ISBN 978-88-7588-252-5, 2018, pp. 152, formato 140×210 mm., Euro 12. In copertina: Guido Conti, Lupo e cane.

313
Giulio A. Lucchetta, L’olio profumato di Itaca. La coltivazione esemplare dell’ulivo e il proficuo modello produttivo dell’olio nell’Odissea.
ISBN 978-88-7588-250-1, 2018, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 5 – Collana “Il giogo” [96]. In copertina: Rappresentazione della raccolta delle olive. Anfora attica, VI sec. a.C., British Museum, Londra.

314
Eros Barone, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Arianna Fermani, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo, Per una scuola vera e buona
ISBN 978-88-7588-248-8, 2018, pp. 272, formato 170×240 mm., Euro 25 – Collana “Il giogo” [98]. In copertina: Marc Chagall, L’Acrobata (The Acrobat), 1914.

315
Maurizio Migliori, La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni. Introduzione di Luca Grecchi.
ISBN 978-88-7588-247-1, 2019, pp. 592, formato 140×210 mm., Euro 38 – Collana “Il giogo” [100]. In copertina: Vasilij Kandinskij, Verso l’alto (Empor), 1929, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia.

316
Claudio Iozzo, Il silenzio malato. Storie di recovery in salute mentale. Introduzione di Paolo Pini. ISBN 978-88-7588-249-5, 2019, pp. 160, formato 130×200 mm., Euro 15. In copertina: Vasilij Kandinskij, Molle durezza, 1927.

317
Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.
ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

318
Giovanni Casertano, Venticinque studi sui preplatonici. Introduzione di Luca Grecchi.
ISBN 978-88-7588-251-8, 2019, pp. 488, formato 170×240 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [99]. In copertina: Statue di filosofi greci: Socrate, Antistene e altri. British Museum di Londra. In quarta: Anassimandro, bassorilievo. Roma, Museo Nazionale Romano.

319
Antonio Vigilante, L’essere e il tu. Aldo Capitini in dialogo con Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin.
ISBN 978-88-7588-166-5, 2019, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15. In copertina: Max Ernst, Configuration N.16. 1974.

320
Alberto Gajano, Dialettica della merce. Introduzione allo studio di Per la critica dell’economia politica di Marx. Postfazione di Roberto Finelli: Il peso storico di un’astrazione: tra logica e realtà. ISBN 978-88-7588-205-1, 2019, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15. Collana “Divergenze” [62]. In copertina: Wassily Kandinsky, Rose Fondant, 1928.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Copertine e schede editoriali (361-370) – Costanzo Preve, Massimo Bontempelli, Maura Del Serra, Luca Grecchi, Giulia Angelini, Diego Lanza, Gherardo Ugolini, Marco Gallo, Vincenzo Brandi, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Michele Di Febo, Alessandro Dignös, Lorenzo Dorato, Arianna Fermani, Alessandra Filannino Indelicato, Marco Guastavigna, Claudio Lucchini, Fernanda Mazzoli, Giancarlo Paciello, Franco Toscani, Sergio Rinaldelli.

361-370

361
Costanzo Preve, La fine dell’URSS. Dalla transizione mancata alla dissoluzione reale. Seconda Edizione.
ISBN 978-88-7588-300-3, 2020, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [20]. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.

362
Massimo Bontempelli, Filosofia e Realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo. Seconda Edizione.
ISBN 978–88–7588-301-0, 2020, pp. 288, formato 140×225 mm, Euro 25 – Collana “Il giogo” [124]. In copertina: Albrecht Dürer, Civetta, 1525.

363
Maura Del Serra, In voce. 55 poesie lette dall’autrice. Il libro è in vendita con CD allegato.
ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 12. In copertina: Foto di Maura Del Serra.

364
Costanzo Preve, Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci. Dialogo sulla progettualità, ovvero su come cambiare il mondo. Introduzione di Giulia Angelini. Seconda Edizione riveduta e ampliata.
ISBN 978–88–7588-299-0, 2020, pp. 320, formato 140×210 mm, Euro 27 – Collana “Il giogo” [125]. In copertina: Rilevo votivo di Atena pensosa, 460 a.C., marmo pario. Atene, Museo dell’Acropoli.

365
Diego Lanza, Il tiranno e il suo pubblico. Introduzione di Gherardo Ugolini: La tirannide come “ideologia” secondo Diego Lanza. ISBN 978–88–7588-303-4, 2020, pp. 400, formato 140×210 mm, Euro 30 – Collana “Il giogo” [126]. In copertina: Frammento di vaso attico a figure nere di Sophilos, VI sec. a.C., Museo Archeologico Nazionale di Atene.

366
Marco Gallo, Santiago Express. Appunti di viaggio. A cura di Ilaria Rabatti.
ISBN 978–88–7588-304-1, 2020, pp. 120, formato 130×200 mm, Euro 10. In copertina: Verso Santiago.

367
Costanzo Preve, Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente. Seconda Edizione ISBN 978-88-7588-265-5, 2020, pp. 240, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Divergenze” [70]. In copertina: Paul Klee, Maske der Furcht [Maschera di paura] (1932).

368
Vincenzo Brandi, Conoscenza, scienza e filosofia. Profili di scienziati e filosofi della scienzada Talete alla fisica contemporaneaISBN 978-88-7588-269-3, 2020, pp. 512, formato 170×240 mm., Euro 30 – Collana “Divergenze” [71]. In copertina: Costruttori di una cattedrale per l’uomo, metafora del lavoro di ricerca scientifica, rilievo in pietra (XII secolo) Santa Maria, Girona (Spagna).

369
Giulia Angelini, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Michele Di Febo, Alessandro Dignös, Lorenzo Dorato, Arianna Fermani, Alessandra Filannino Indelicato, Marco Guastavigna, Claudio Lucchini, Fernanda Mazzoli, Giancarlo Paciello, Franco Toscani, Tempi covid moderni. A cura di Alessandro Dignös.
ISBN 978–88–7588-273-0, 2020, pp. 256, formato 170×240 mm, Euro 25 – Collana “Il giogo” [127]. In copertina: René Magritte, Golgonde, olio su tela, 1953, The Menil Collection, Houston.

370
Sergio Rinaldelli, Solo l’irraggiungibile. Frammenti di cronaca interiore.
ISBN 978-88-7588-277-8, 2021, pp. 208, formato 130×200 mm., Euro 15. In copertina: Sergio Rinaldelli, I fiori del silenzio, 2006, olio su tavola, 97,5 x 67,5.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (321-330) – Luca Grecchi, Gabriella Putignano, Salvatore A. Bravo, Arianna Fermani, Sergio Rinaldelli, Mino Ianne, Costanzo Preve, Margherita Guidacci, Ilaria Rabatti, Giancarlo Chiariglione, Alberto Giovanni Biuso, Carmine Fiorillo, Massimo Bontempelli.

321-330

321
Luca Grecchi, Scritti brevi su politica, scuola e società.
ISBN 978-88-7588-209-9, 2019, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [101].
In copertina: Volta dell’Eremo di San Galgano, sec XII, Chiusino, Siena.

322
Gabriella Putignano, Flash di poesia, dipinti di versi. Prefazione di R. Pellegrino. Postfazione di F.  Malizia.
ISBN 978-88-7588-213-6, 2019, pp. 88, formato 140×210 mm., Euro 10.
In copertina: Tommy Ingberg, Reveal.

323
Salvatore A. Bravo, L’albero filosofico del Ténéré. Esodo dal nichilismo ed emancipazione in Costanzo Preve. Dalla metafora del deserto (Nietzsche-Arendt) al fondamento veritativo in Costanzo Preve.
ISBN 978-88-7588-231-0, 2019, pp. 176, formato 170×240 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [102].
In copertina: L’albero del Ténéré, deserto del Ténéré, nordovest del Niger.

324
Arianna Fermani, Divorati dal pentimento. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele.
ISBN 978-88-7588-246-4, 2019, pp. 64, formato 170×240 mm., Euro 7 – Collana “Il giogo” [103].
In copertina: William A. Bouguereau,The Remorse of Orestes (1862). In quarta di copertina: Michelangelo Merisi da Caravaggio, La Maddalena penitente, 1594-1595, Galleria Doria Pamphilj, Roma.

325
Sergio Rinaldelli, Come una foglia a primavera. Pagine di diario (2000-2018).
ISBN 978-88-7588-244-0, 2019, pp. 128, formato 130×200 mm., Euro 10.
In copertina: Sergio Rinaldelli, Giardino giapponese, olio su tavola, 2018.

326
Mino Ianne, Diremo addio ai filosofi greci? Il Cristianesimo deellenizzato del terzo millennio.
Prefazione di Arianna Fermani.
ISBN 978-88-7588-242-6, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [104].
In copertina: Il simbolo del pesce, in greco antico ΙΧΘΥΣ .

327
Costanzo Preve, Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico.
ISBN 978-88-7588-240-2, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “Divergenze” [63].
In copertina: Albrecht Dürer, Gesù tra i dottori (1506).

328
Margherita Guidacci, Sibille. Seguito da Come ho scritto “Sibille”. A cura di Ilaria Rabatti.
ISBN 978-88-7588-238-9, 2019, pp. 88, formato 140×210 mm., Euro 12 – Collana “Filo di perle”.
In copertina: Luca Lucherini, Sibilla (2019).

329
Giancarlo Chiariglione, Il discepolato di Ernesto De Martino. Tra religione, filosofia e antropologia. Prefazione di Alberto Giovanni Biuso.
ISBN 978-88-7588-236-5, 2019, pp. 56, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Il giogo” [105].
In copertina: Sascha Schneider, Eine vision, 1894-1895.

330
Koinè, L’essere della libera comunità e l’amore.
ISBN 978-88-7588-233-4, 2019, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Il giogo” [106].
In copertina: Henri Matisse, La danza, olio su tela, 1909. Ermitage di San Pietroburgo.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Carlo Collodi (1826-1890) – Salvatore Bravo: «Pensare che t’eri messo in capo di tornartene a casa per perdere il tempo a studiare!… Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure, ne convieni?».

Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure, ne convieni?
Emanuele Luzzati Pinocchio, il paese dei balocchi.
Salvatore Bravo
Pensare che t’eri messo in capo di tornartene a casa per perdere il tempo a studiare!…

***

Capitalismo e menzogna
Il simbolo-metafora veicola il processo di emancipazione, il processo dialettico necessita di figure per fendere la contingenza resa ipostasi dall’ideologia imperante.
Collodi,[1] con le avventure di Pinocchio, ci dona simboli e metafore con cui leggere il capitalismo. Collodi è stato profetico, perché ha decodificato il capitalismo che subentrava all’economia agricola nell’Italia di fine Ottocento cogliendolo nella sua sostanza: l’unica verità a cui il capitalismo risponde è il plusvalore. I mezzi per giungervi sono plurimi. Nelle avventure di Pinocchio, si descrive un mondo senza contraddizione. Gli appetiti smodati sono deregolamentati, poiché non vi è nessuna cultura critica, e specialmente, non vi è etica che contenga l’illimitato nella forma dell’entificazione di ogni esistente e vivente. Il sistema capitale è incorporato nella collettività, la quale ha smesso di essere comunità, per essere un vespaio, in cui ciascuno strumentalizza l’alterità. Collodi con il ”mondo dei balocchi” descrive l’antiumanesimo in grembo al capitalismo, e che oggi è completamente dispiegato. Nel paese del balocchi, nel paese del disimpegno edonistico, si assiste all’animalizzazione della persona.* Per poter estrarre plusvalore dai sudditi del capitale è necessario sottrarre loro la natura comunitaria e la razionalità critica. A tale operazione si giunge mediante un sistema organizzato sulla menzogna.

Menzogna e bugia
Le istituzioni che Pinocchio incontra sono mosse dalla menzogna, ovvero difendono interessi oligarchici mediante apparati che agiscono per perpetuare il capitalismo con l’inganno perenne. Pinocchio reagisce alla menzogna con la bugia. La menzogna è diversa dalla bugia, quest’ultima è la difesa del suddito dinanzi ai poteri forti, è l’espressione di una minorità sociale causata dall’autopercepirsi come plebeo e suddito di un mondo che soverchia e schiaccia senza pietà alcuna.
Pinocchio è il popolo plebeizzato e precarizzato che non può che difendersi con la bugia, perché non concepisce di essere protagonista della storia. Il plebeo mente dinanzi alla violenza di un sistema che non lascia scampo. La bugia termina quando inizia la lotta verticale: con essa il plebeo diventa cittadino che afferma diritti e doveri e si sottrae al clientelismo che dispensa favori in nome di “oligarchiche superiorità”.

Nel paese dei balocchi
Pinocchio ci racconta del presente, della plebeizzazione dei popoli mediante la società dello spettacolo. Il paese dei balocchi in cui Pinocchio rischia di perdere la sua umanità è un luogo in cui domina il chiasso. L’iperstimolazione uditiva impedisce l’ascolto e, quindi, la razionalità. L’industria del divertimento ha una doppia valenza, non solo produce plusvalore, ma specialmente struttura la sussunzione formale e materiale. I dominati si perdono nell’eccesso delle promesse edeniche con l’effetto di abdicare ad ogni attività politica per essere solo sudditi. L’intero sistema è organizzato per ridurre al silenzio intere generazioni nella violenza legalizzata del chiasso. Il circo mediatico, ed i pedagogisti all’ombra del potere, declamano la liberazione dal tempo della formazione per allungare il tempo dello sradicamento da ogni impegno, in modo da favorire le logiche di dominio. Il paese dei balocchi è il luogo di un esperimento antropologico: ridurre l’essere umano attraverso il principio di piacere ad animalità pura. Nel paese dei balocchi vi sono solo giovani, il divertimento è associato al godimento giovanile.

Nella trappola degli imbonitori
La distopia contemporanea è andata oltre: le generazioni sono equiparate in nome della giovinezza. Per essere giovani, padri e madri abdicano al ruolo genitoriale, i professori si liberano del ruolo di educatori per usare il linguaggio giovanile e diluiscono i contenuti in nome del successo formativo. L’applauso ingannatore e le parole buone per fare male sono profuse per sostenere la liberazione dai contenuti e dai valori classici. Il nichilismo avanza sulla punta della baionetta fatta di applausi e parole adulatorie. Pinocchio ci rammenta cosa accade all’umanità che cade nella trappola degli imbonitori. Il burattino dalle fattezze asinine non sa parlare, ma solo ragliare, con la perdita del linguaggio il pensiero si eclissa ed il potere si consolida:

«Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I più vecchi avevano 14 anni: i più giovani ne avevano 8 appena. Nelle strade, un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Branchi di monelli da per tutto: chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra un cavallino di legno: questi facevano a mosca-cieca, quegli altri si rincorrevano: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio, chi passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta: chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l’ovo: insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato, da doversi mettere il cotone negli orecchi per non rimanere assorditi. Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera, e su tutti i muri delle case si leggevano scritte col carbone delle bellissime cose come queste: viva i balocci! (invece di balocchi): non vogliamo più schole (invece di non vogliamo più scuole): abbasso Larin Metica (invece di l’aritmetica) e altri fiori consimili. Pinocchio, Lucignolo e tutti gli altri ragazzi, che avevano fatto il viaggio coll’Omino, appena ebbero messo il piede dentro la città, si ficcarono subito in mezzo alla gran baraonda, e in pochi minuti, com’è facile immaginarselo, diventarono gli amici di tutti. Chi più felice, chi più contento di loro? In mezzo ai continui spassi e agli svariati divertimenti, le ore, i giorni, le settimane passavano come tanti baleni.

— Oh! che bella vita! — diceva Pinocchio tutte le volte che per caso s’imbatteva in Lucignolo.

— Vedi, dunque, se avevo ragione? — ripigliava quest’ultimo. — E dire che tu non volevi partire! E pensare che t’eri messo in capo di tornartene a casa dalla tua Fata, per perdere il tempo a studiare!… Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure, ne convieni? Non vi sono che i veri amici che sappiano rendere di questi grandi favori.

— È vero, Lucignolo! Se oggi io sono un ragazzo veramente contento, è tutto merito tuo. E il maestro, invece, sai che cosa mi diceva, parlando di te? Mi diceva sempre: — Non praticare quella birba di Lucignolo, perché Lucignolo è un cattivo compagno e non può consigliarti altro che a far del male!…».[2]

 

Distopia mascherata da utopia
Presto svela la distopia: Pinocchio è venduto per la società dello spettacolo, ma un incidente gli impedisce di essere utilizzato nel circo. È venduto ad un compratore che vorrebbe farne pelle da tamburo. Il massimo del profitto deve arrivare con il minimo investimento è il sogno di ogni capitalista piccolo e grande; pertanto, per poterne estrarre la pelle si tenta di affogarlo. In una realtà dove ci sono solo compratori e venditori i deboli sono solo enti da usare. Pinocchio non è guardato da nessuno, è solo un oggetto da cui ciascuno cerca di trarre il proprio piacere e tornaconto: gli spettatori si divertivano per i numeri del ciuchino, l’omino che lo ha condotto nel paese dei balocchi soppesava il guadagno che avrebbe ricavato dalla vendita del ragazzo-ciuchino, e l’ultimo compratore non vede che la pelle del ciuchino da usare per un buon tamburo. Avvoltoi di diversa stazza si lanciano sulla vittima, ciascuno con un proprio “piano d’investimento”.
Il paese dei balocchi è la società-azienda in cui vi sono solo compratori e venditori che si muovono tra merci da capitalizzare:

«Quando si rizzò, era azzoppito, e a malapena poté ritornare alla scuderia.
— Fuori Pinocchio! Vogliamo il ciuchino! Fuori il ciuchino! — gridavano i ragazzi dalla platea, impietositi e commossi al tristissimo caso. Ma il ciuchino per quella sera non si fece più rivedere.
La mattina dopo il veterinario, ossia il medico delle bestie, quando l’ebbe visitato, dichiarò che sarebbe rimasto zoppo per tutta la vita. Allora il Direttore disse al suo garzone di stalla:
— Che vuoi tu che mi faccia d’un somaro zoppo? Sarebbe un mangiapane a ufo. Portalo dunque in piazza e rivendilo.  Arrivati in piazza, trovarono subito il compratore, il quale domandò al garzone di stalla:
— Quanto vuoi di codesto ciuchino zoppo?
— Venti lire.
— Io ti do venti soldi. Non credere che io lo compri per servirmene: lo compro unicamente per la sua pelle. Vedo che ha la pelle molto dura, e con la sua pelle voglio fare un tamburo per la banda musicale del mio paese.
Lascio pensare a voi, ragazzi, il bel piacere che fu per il povero Pinocchio, quando sentì che era destinato a diventare un tamburo!
Fatto sta che il compratore, appena pagati i venti soldi, condusse il ciuchino sulla riva del mare; e messogli un sasso al collo e legatolo per una zampa con una fune che teneva in mano, gli diè improvvisamente uno spintone e lo gettò nell’acqua».[3]

 

Rileggere Pinocchio è leggere il presente con le sue brutture dinanzi alle quali, non si fa che ripetere che non c’è alternativa. Collodi è ottimista, Pinocchio alla fine riuscirà ad emanciparsi dalle caverne, in cui è caduto. Sembra dirci che la storia, anche quando sembra sotto scacco di forze invisibili continua il suo carsico lavoro. Le autocoscienze non sono enti, ma conservano la possibilità della prassi. Il burattino diventerà essere umano, quando ritroverà il coraggio della prassi alimentata dalla ricerca delle sue radici: Geppetto.
Il capitale, oggi, è ostile ad ogni radicamento, poiché la motivazione alla lotta si materializza solo nell’appartenenza ad una comunità. Uomini e donne anonimi senza patria, lingua e cultura sono maggiormente esposti ai pericoli del “paese dei balocchi”. Le avventure di Pinocchio sono un monito: la motivazione alla lotta emerge dalla consapevolezza che non si è “atomi”, ma ciascuno è parte di una storia collettiva senza la quale non siamo che il nulla tra le forze invisibili della storia. Non ci saranno “fate turchine” a salvarci dalla distopia del presente, solo l’impegno individuale per la comunità può mantenere viva la speranza che indica un futuro diverso dal presente e dal recente passato.

Salvatore Bravo

***

[1] Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini (Firenze, 24 novembre 1826– Firenze, 26 ottobre 1890).

[2] Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Testo tratto dall’Edizione Critica edita dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi in occasione del Centenario di Pinocchio (1983), a cura di Ornella Castellani Pollidori con il patrocinio dell’Accademia della Crusca, pag. 72

[3] Ibidem, pag. 79.

[*] Salvatore Bravo, L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo, Petite Plaisance, Pistoia 2020.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Copertine e schede editoriali (351-360) – Arianna Fermani, Daniele Guastini, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Maurizio Migliori, Angelo Tonelli, Giancarlo Paciello, Mauro Peroni, David Ciolli, Salvatore A. Bravo, Fernanda Mazzoli, Costanzo Preve, Massimo Bontempelli, Elena Bartolini, Andrea Ignazio Daddi, Alessandra Filannino Indelicato

351-360

351
Arianna Fermani, Daniele Guastini, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Maurizio Migliori, Angelo Tonelli, Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo.
ISBN 978-88-7588-263-1, 2020, pp. 272, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [120]. A cura di Elena Bartolini, Andrea Ignazio Daddi, Alessandra Filannino Indelicato. Atti del Convegno di Studi «Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo», Università degli studi di Milano Bicocca, 27-28 Marzo 2019. Moderatori: Claudia Baracchi, Luca Grecchi.

352
Giancarlo Paciello, Piccola storia dell’Irlanda.
ISBN 978-88-7588-270-9, 2020, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 12, Collana “Divergenze” [63].
In copertina: Arpa irlandese. Emblema della Society of United Irishmen.

353
Mauro Peroni, Felicità possibile. Esercizi filosofici su sofferenza, desiderio e tempo.
ISBN 978-88-7588-268-6, 2020, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [122].
In copertina: Osvaldo Licini, Angelo di San Domingo (1957).

354
David Ciolli, Le porte del silenzio. Il libro degli insegnamenti di Imdah.
ISBN 978-88-7588-272-3, 2020, pp. 104, formato 105×155 mm., Euro 8 – Collana “lo spazio della vita” [4].
In copertina: Giovanna Incoronata Ghini, Selon que … (particolare), 2018

355
Salvatore A. Bravo, L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo.
ISBN 978-88-7588-274-7, 2020, pp. 192, formato 170×240 mm., Euro 20 – Collana “Divergenze” [66]. In copertina: Hieronymus Bosch, Giardino delle delizie, trittico a olio su tavola, 1480-1490, particolare dell’Inferno, Museo del Prado di Madrid.

356
Fernanda Mazzoli, Di argini e strade. Un racconto di pianura.
ISBN 978-88-7588-276-1, 2020, pp. 128, formato 130×200 mm., Euro 12.
In copertina: Marc Chagall, La passeggiata, olio su tela, 1917-1918, Museo di San Pietroburgo.

357
Costanzo Preve, Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su un fenomeno ideologico sempre più invasivo.
ISBN 978-88-7588-278-5, 2020, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 7 – Collana “Divergenze” [67].
In copertina: Un abito da non indossare.

358
Costanzo Preve, Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
ISBN 978-88-7588-211-2, 2020, pp. 96, formato 130×200 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [68].
In copertina: Wassily Kandinsky, Mit und Gegen (Con e contro), 1929.

359
Costanzo Preve, Individui liberati, comunità solidali. Sulla questione della società degli individui.
ISBN 978-88-7588-257-0, 2020, pp. 96, formato 130×200 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [69].
In copertina: Wassily Kandinsky, Diversi cerchi (Several Circles, Einige Kreise), 1926, Solomon R. Guggenheim Museum, New York.

360
Massimo Bontempelli, Un esempio di pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti «Psiche e techne». In Appendice: In cammino verso la realtà.
ISBN 978-88-7588-261-7, 2020, pp. 112, 130×200 mm., Euro 12 – Collana “Il giogo” [123].
In copertina: Lucio Fontana, “Concetto Spaziale”, Attese.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (341-350) – Arianna Fermani, Marino Gentile, Maurizio Migliori, Luca Grecchi, Rodolfo Mondolfo, Salvatore A. Bravo, Claudia Baracchi, Diego Lanza, Carmelo vigna, Gherardo Ugolini, Massimo Stella, Daniele Orlandi, Roberto Fumagalli.

341-350

341
Arianna Fermani, «Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato». La speranza “antica”, tra páthos e areté.
ISBN 978-88-7588-258-7, 2020, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 7 – Collana “Il giogo” [113]. In copertina: Joan Miró, La speranza, 1946.

342
Marino Gentile, Il problema della filosofia moderna.
ISBN 978-88-7588-260-0, 2020, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [114]. In copertina: Maurits Cornelis Escher, Mano con sfera riflettente (Autoritratto nello specchio sferico), 1935.

343
Maurizio Migliori, Luca Grecchi, Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli. Introduzione di Carmelo Vigna.
ISBN 978-88-7588-262-4, 2020, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [115]. In copertina: Paul Klee, Revolution des Viaducts (Rivoluzione del viadotto), 1937. Hamburger Kunsthalle, Amburgo.

344
Rodolfo Mondolfo, Alle origini della filosofia della cultura. Introduzione di Renato Treves.
ISBN 978-88-7588-264-8, 2020, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [116]. In copertina: La Metopa di Atlante del Tempio di Zeus a Olimpia (460-450 a.C. circa). Olimpia, Museo Archeologico.

345
Salvatore A. Bravo, L’umanesimo integrale di Massimo Bontempelli. Filosofia Storia Pedagogia.
ISBN 978-88-7588-176-4, 2020, pp. 128, formato 170×240 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [117]. In copertina: Paul Klee, Einst dem Grau der Nacht enttaucht … (Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte …), 1918, Berna, Kunstmuseum.

346
Claudia Baracchi, Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche.
ISBN 978-88-7588-245-7, 2020, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [111]. In copertina: Scultura Gandhara.

347
Diego Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune. Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.
ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [118]. In copertina: Anonimo, Il mondo sotto il berretto del matto, 1600 ca. Norimberga, Germanisches Nationalmuseum.

348
Daniele Orlandi, Scrivere il risentimento. Su Jean Améry.
ISBN 978-88-7588-259-4, 2020, pp. 112, formato 130×200 mm., Euro 12. In copertina: Giuditta Tanese, Ritratto di Jean Améry, 2019.

349
Rodolfo Mondolfo, Moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro.
ISBN 978-88-7588-266-2, 2020, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [121]. In copertina: J.-L. David, La morte di Socrate (particolare), 1786-1787. New York, The Metropolitan Museum of Art.

350
Roberto Fumagalli, Carlo Michelstaedter. Filosofo, poeta e mistico.
ISBN 978-88-7588-232-7, 2020, pp. 344, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [119]. In copertina: Carlo Michelstaedter, Autoritratto.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – La rete è simbolo effettuale di una pervasiva madre matrigna anaffettiva che ingloba l’umanità, la omogeneizza, privandola di ogni determinazione sino a renderla un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, inibibendo vera crescita e umanistica formazione.

panopticon e madre matrigna
Salvatore Bravo
La rete è simbolo effettuale di una pervasiva madre matrigna anaffettiva che ingloba l’umanità,
la omogeneizza, privandola di ogni determinazione sino a renderla un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, inibibendo vera crescita e umanistica formazione

Tecnologie e regressione
Il panopticon è la cifra dello sviluppo delle tecnologie, le quali nella propaganda sono presentate come servizio al cittadino, ma nella concretezza quotidiana sono i mezzi attraverso cui si attua il controllo globale. È da porsi il problema della motivazione del loro enorme successo, dell’accettazione fatale e dogmatica di esse. Ad una osservazione più attenta le tecnologie rispondono ad un bisogno profondo dell’umanità: la necessità di protezione. Le tecnologie divengono e sono il grande occhio che segue adolescenti ed adulti in ogni loro gesto: ogni ansia è calmierata dalla loro presenza, poiché difficoltà improvvise possono essere risolte mediante comunicazioni veloci. Il raggio d’azione di esperienze estreme si allarga, in quanto esse promettono contatti veloci in situazione di pericolo. Si pensi agli sport estremi per giovani alla ricerca di forti emozioni in mancanza di un senso etico profondo. Oppure il raggio d’azione si restringe, si vive in casa, in ambienti minimi, ma con un click si può comunicare e comprare merci al riparo dal mondo. Le tecnologie divengono, in quest’ultimo caso, delle feritoie virtuali da cui osservare il mondo. Contingenze opposte svelano in modo più immediato e chiaro il fine delle nuove tecnologie: rispondono ad un bisogno di sicurezza, sono paragonabili ad un cordone ombelicale invisibile, ciascuno reca con sé “una piacevole ed inconsapevole” regressione ad uno stato fetale.

 

La pancia globale
Ci si sente nella pancia del mondo globale. Nessuno osa smentire i magnifici successi dell’avanzare della grande madre virtuale e globale. La rete diviene il simbolo effettuale di un’infinita madre tecnologica razionale ed anaffettiva che ingloba l’umanità: madre matrigna che mentre protegge omogeneizza, priva l’esserci di ogni determinazione sino a renderlo “nulla”, ovvero un immenso indistinto nel quale le identità si assottigliano fino ad evaporare, poiché inibisce la crescita e la formazione. La dipendenza dalla grande madre rete forma creature che dietro la soglia delle tecnologie non hanno avuto la possibilità di porre ordine al caos delle loro emozioni, non hanno potuto conoscere il loro carattere e la loro resistenza alle frustrazioni. Le tecnologie sono donative: mentre offrono servizi e controllo, ben distribuiti per censo, riducono la conoscenza di sé e la scoperta del telos comunitario dell’umanità. Sostituiscono la relazione con l’offerta di siti da cui scegliere – dal catalogo virtuale – la momentanea compagnia. Agiscono per impedire ogni ricerca reale, ogni dolore con il quale saggiare la propria forza ed autonomia. La loro presenza è simile ad una madre invadente che continuamente controlla il proprio pargolo, ne invade lo spazio pubblico e privato fino a renderlo dipendente e fragile. La grande madre è matrigna, poiché non vuole l’autonomia dei suoi sudditi, ma li vuole tenere al guinzaglio. Apparentemente li lascia liberi, ma ne estrae informazioni con cui irrobustire il suo intervento sulla psiche di ciascuno. Vuole conoscere ogni capello dei suoi clienti-figli, in quanto la loro dipendenza è la sua forza. È la nuova divinità nella forma antropomorfa del femminile proiettato nelle tecnologie e specialmente nel loro utilizzo collettivo. La rete si nutre della destabilizzazione emotiva e psichica dei suoi sudditi. La rete è la gran madre matrigna usata da multinazionali, finanzieri e capitalisti per dominare il mondo con l’indebolimento emotivo e razionale dei nuovi sudditi globali. Si usa l’archetipo della madre che scorre come acqua carsica nella rete per abbattere ogni resistenza e consolidare un imperium tragico. Gli adulti (genitori, docenti, educatori) ne favoriscono il puntellamento in nome del mito della sicurezza, rinchiudono le nuove generazioni in spazi virtuali nei quali sono “vetrinizzati”, esposti e già in vendita. Nelle istituzioni si tace sugli effetti e sugli usi nefasti, le voci dissenzienti sono tacitate gettando su di loro ombre di ridicolo. Si occultano gli aspetti perniciosi dell’uso massivo delle tecnologie in nome del “ progresso” acefalo.

 

Prometeo scatenato
Prometeo scatenato è tra di noi, ha l’aspetto della rete, di un immenso grembo in cui ricacciare l’umanità, che diviene la nuova caverna della contemporaneità: la più insidiosa di tutte, perché offre libertà di movimento, pulsioni in libertà, ma nel contempo sottrae autonomia, autodisciplina e consapevolezza, tutto avviene in modo automatico e lineare. La DAD è un esempio di questa logica dell’ipercontrollo che cresce, si dirama, invade ogni spazio: le comunicazioni tra docenti ed alunni sono continue, anche fuori l’orario di lezione, in questo modo agli alunni è sottratto il tempo per confrontarsi con le difficoltà didattiche, la soluzione è nel docente-mamma pronto a soccorrerlo. I genitori comunicano con i docenti quotidianamente; la rete si estende e si stringe intorno a tutti, è il “cappio” che tutto dissolve. Il flusso di informazioni non crea comunità, ma monadi parlanti che utilizzano le informazioni in funzione della competizione e della divisione mondiale. Gli spazi reali, gli unici nei quali si possono costruire luoghi di comunicazione comunitaria, sono sostituiti da incontri veloci e virtuali: la chiacchiera prende il posto del concetto. La rete è la madre infinita costituita da una miriade di punti materni-controllo. Il panopticon virtuale cela la sua verità: con il discredito mediatico e culturale sul maschile simbolico-valoriale e sul limite, il femminile si riproduce nelle tecnologie, la rete si estende e promette eterna protezione, il risultato ultimo è la dipendenza assoluta. Come si è arrivati a questo?

 

Senza padri
Ogni cultura è viva nel conflitto dialettico tra principi apparentemente opposti, ma in realtà l’uno equilibra l’altro, si pensi al polemos eracliteo. Il maschile ha il suo senso se si relaziona al femminile e viceversa. La distruzione del maschile, la perenne propaganda che lo rappresenta come omicida e pericoloso, inevitabilmente favorisce il trionfo del femminile, nel modello anglosassone, oggi massima espressione dell’asservimento alla società liquida. In assenza del limite, le tecnologie possono non solo essere usate e consumate senza che vi sia educazione al loro uso contestuale, ma specialmente il trionfo del femminile è l’affermarsi della cultura del controllo e dell’avversione ad ogni pericolo e frustrazione. Le tecnologie divengono l’estensione del femminile e l’espressione della sconfitta del maschile. Ovunque vi dev’essere omogeneità tra maschile e femminile, al maschile è concessa parola solo se ammette “la naturale superiorità e sensibilità del femminile”. Il maschile deve cedere il positivo e proficuo senso del limite in nome del principio femminile del controllo e del “dono” senza regole e razionalità. La violenza della maternità matrigna non è riconosciuta, per cui si plaude anche a sperimentazioni di nuove famiglie monosessuali che usano il grembo materno altrui per affermare il loro desiderio di paternità-maternità. Il centro deve tornare ad essere il concetto e non la rete, l’educazione deve avere come fine la formazione della persona e non l’uso meccanico delle tecnologie, l’antiumanesimo è la grande vittoria del Prometeo scatenato del capitale.

 

Nuovi pregiudizi
Una società sana vive della preziosa dialettica tra femminile e maschile, la diade è manifestazione di principi capaci di autolimitarsi per permettere la vita al plurale. Da abbattere sono i pregiudizi positivi e negativi: non esistono generi assolutamente negativi o positivi, ma bisogna imparare, in primis, che le persone in quanto unità complesse non possono essere ridotte all’unica variabile del genere. La diversità è la possibilità della convivenza fra prospettive diverse che si completano, e specialmente, palesano aspetti differenti della realtà, i quali colgono aspetti essenziali da relazionare. L’identità è possibile solo nella relazione con altre identità. Se prevale l’incultura del modello unico, maschile o femminile, non importa quale prevale, non può che esservi una regressione generale, le cui colpe cadranno sulle future generazioni che attraverseranno la storia nella cecità del pensiero unico e dei suoi perniciosi ed inaspettati effetti. Dovremmo avere il coraggio di rallentare o fermarci per capire cosa stiamo dando-donando e specialmente cosa stiamo togliendo alle nuove generazioni, ma anche a noi adulti. Non si tratta di rifiutare la contemporaneità per la conservazione, ma di disporci in modo critico ed intellettualmente onesto. I figli della rete non possono che essere il prologo per tempi inauditi. Dobbiamo armarci di coraggio civile per fermare l’inverno dello Spirito che avanza.

Salvatore Bravo

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Ad un popolo impaurito si può far accettare ogni provvedimento: Recovery fund e il MES.

Recovery fund e MES

Salvatore Bravo

Ad un popolo impaurito
si può far accettare ogni provvedimento: Recovery fund e il MES

Ad un popolo impaurito si può far accettare ogni provvedimento. Se il popolo è costituito da individui senza identità, se è una somma di elementi senza unità alcuna: non ha lingua, non ha cultura, non ha tradizioni popolari, non ha religione non è più un popolo, ma solo massa omogenea plasmata dalla finanza. Il popolo non è più popolo da decenni, al suo posto vi è una massa informe che vive di desideri indotti e disperazioni contingenti. A questo popolo diseducato dal capitale ad essere soggetto attivo, a sentire il suono della propria lingua, a vivere l’ambiente e la storia in cui è immerso, che non guarda, perché ha smesso di vedere in modo empatico per calcolare l’immediato. Ad un popolo tradito e vilipeso si può far accettare il Recovery fund e ora, probabilmente, anche il MES. Si consegna il destino di un popolo, ormai plebe in attesa di “soli ristori “, alla finanza internazionale. La sovranità perduta da decenni, è ora palese, ma specialmente il destino è segnato. Nei prossimi decenni l’agenda politica sarà dettata dalla finanza internazionale, la quale concederà i prestiti solo se il governo servitore attuerà “le riforme”: tagli ai diritti sociali, taglio alle pensioni, invasione violenta dei privati nella scuola, la quale non deve formare alla cittadinanza politica, ma ai bisogni del mercato, digitalizzazione per astrarre informazioni da vendere al mercato. La TV di Stato, mentre avviene l’ultimo tradimento, trasmette finanziata dai suoi cittadini-sudditi la disinformazione nella forma dello spettacolo leggero e volgare a reti unificate. La condizione italiana è estrema, non vi è politica, non vi è partito in cui poter essere sicuri che non sia venduto alla finanza. La democrazia del popolo è sostituita dall’oligarchia della finanza.

Covid 19 e finanza
Il Covid 19 è una ghiotta possibilità per la finanza e le multinazionali, in primis il popolo è stato addestrato alla separazione ad essere oggetto di provvedimenti senza che siano stati criticamente letti, nella divisione si amplifica la paura e, dunque, il popolo diventa come il topo davanti al gatto che gioca. Dove vige la separazione regna la paura e l’angoscia. Un popolo angosciato ed impaurito da tutto ed intimorito da un futuro minaccioso non può che accettare l’ancora di salvataggio della finanza che lo porterà a fondo. Decenni di attacchi alla formazione ed ai diritti sociali hanno portato via con la formazione il senso critico per sostituirlo con il consumo, con la pornografia del mercato che addestra all’impotenza collettiva ed alla guerra orizzontale dei sudditi. La paura nella forma della separazione è il grande successo della finanza, essa la usa per spingere governanti senza capacità politica e pronti a difendere i soli interessi personali ad accogliere l’indebitamento patrio come una risorsa per la salvezza delle loro carriere: sono separati dal popolo, ma dipendenti dalla finanza. In una nazione che ha un’evasione fiscale incalcolabile per recuperare denaro da utilizzare nella crisi sarebbe logico lottare contro la grande evasione, invece si punta alla svendita della nazione per non dispiacere coloro che sono stati la causa del problema con il loro individualismo asociale e feudale: gli evasori fiscali. La decadenza della nazione è palese: si continua a cementificare paesaggio e storia con il ricatto del lavoro. Si ruba non solo il futuro, ma anche il passato, in tal modo non vi è presente, non vi sono bussole etiche e valoriali su cui costruire un futuro comune. Stanno portando via tutto per sostituirlo con il nuovo regno in l’imperatore è io mercato. L’azione e l’attacco della finanza internazionale è plurima: indebitamento con taglio diritto sociali e feudalizzazione della società, smantellamento della formazione, eliminazione dalla visuale percettiva della possibilità di pensare la storia e costruire un futuro condiviso. La lingua con cui un popolo pensa è sostituita dall’angloitaliano con la quale destrutturare il pensiero e per comunicare un assoluto e quotidiano disprezzo verso la nazione. Se si è costretti a parlare l’inglese dei mercati ed assimilare la lingua nazionale nell’inglese mercantile il messaggio che arriva alle nuove generazioni è che l’identità nazionale è nulla e le culture locali meritano disprezzo. L’astratto divora il concreto per fondare una bieca rivoluzione antropologica il cui fine è il solo mercato europeo nella quale la religione della finanza regna e consuma ogni risorsa per il trionfo di pochi. La lotta di classe e delle comunità nazionali deve partire dalla possibilità di guardare negli occhi la medusa senza lasciarsi pietrificare. Siamo soli, e nessun Dio verrà a salvarci, da questa verità è necessario riprendere il cammino. “Lì dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva” (Friedrich Hölderlin ), risuonano i versi del poeta, ma dal pericolo estremo ci si salva con la prassi, con la riorganizzazione dal basso, altrimenti il pericolo divorerà il futuro, per ora si assiste al teatro delle parti, in cui tutti mentono, in quanto le decisioni sono stare già prese fuori dal parlamento, nei salotti buoni della “cattiva finanza”.

Salvatore Bravo

Salvatore Bravo – All’attesa heideggeriana bisogna opporre lo sguardo profondo della civetta filosofica per responsabilizzarsi nella prassi. La critica che si limita ad attendere la svolta, “l’evento”, diventa complice dello stato presente.

La brocca di Heidegger

Perchè il nulla dilaga?
– Perché la gente ha rinunciato a sperare e dimentica i propri sogni. Così il nulla dilaga.
– Che cos’è questo nulla?
– È il vuoto che ci circonda, è la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutarlo.
– Ma perché?
Perché è più facile dominare chi non crede in niente, e questo è il modo più sicuro di conquistare il potere.

Il terrifico
Il terrificante è tra di noi e con noi, l’ipertecnologia con le sue promesse edoniche si è ribaltata nel “terrificante”, si è immersi in esso, si è diventati parte di un sistema che nega la natura umana nella sua capacità di cogliere e vivere la percezione olistica del vivere dalla quale trarre il senso profondo dell’esserci. La distanza è la cifra del terrifico, le tecnologie sono l’espressione compiuta della rappresentazione fisica dell’oggetto, che cade nella “distanza” della rappresentazione. L’oggetto è ridotto a poche variabili “esclusivamente quantitative”, è solo ciò che “ci sta innanzi”, pronto all’uso. La vicinanza finalizzata al solo uso è attività di negazione, in quanto l’oggetto non è vissuto, non è colto nei suoi rimandi vitali e di senso, ma è soltanto immediatezza a disposizione. La distanza è divenuta “non distanza”, poiché la “distanza” implica la “vicinanza”, mentre la contemporaneità nega la “vicinanza” per cui “la distanza” non è colta nella sua verità, dato che solo la relazione distanza-vicinanza dà significato ad entrambe. Il pensiero unico annichilisce ogni comprensione che collassa sotto il giogo dell’omologazione. Il terrifico è l’astratto, nega ogni relazione logica, etica ed ontologica. L’astrazione irrompe nel quotidiano, portando il terrifico che l’accompagna. La rappresentazione dell’oggetto è il luogo astratto su cui si agisce per manovrarlo, in questo modo vi è la totale sostituzione dell’atto percettivo vitale con la rete simbolica che matematizza e smaterializza la vita, la riduce a simboli su cui praticare la delirante onnipotenza globale. Il terrificante è il gelo della corrente fredda che pervade ogni relazione con gli oggetti, con l’ambiente fino ad investire le relazioni umane. Queste ultime sono nel segno del calcolo, l’altro come le istituzioni sono mezzo, sono oggetto della razionalità organica al plusvalore nelle sue forme plurali: dal guadagno all’estorsione delle informazioni fino al narcisismo patologico, per cui, mentre aumentano le informazioni analitiche il mondo scompare falcidiato dalla violenza non riconosciuta. Il progresso nella versione liberista è un calcolo terrifico, si determinano i tempi di vita e di morte di ogni ente, si concede la vita fin quando il calcolo ne svela le potenzialità d’uso e di guadagno, esaurite tali potenzialità lo si lascia cadere nella morte. In realtà già nell’uso vi è una dichiarazione di morte, perché la “distanza” è estraneità, solitudine elevata a sistema nel silenzio del linguaggio e della relazione:

«Il terrificante è quello che pone fuori dalla sua essenza precedente tutto ciò che è. Che cos’è questo terrificante? Esso si mostra e si cela nel modo in cui ogni cosa è presente, nel fatto cioè che, malgrado ogni superamento delle distanze, la vicinanza di ciò che è assente».[1]

 

Distanze senza volto
Il terrificante è l’ovvio della contemporaneità illuministica. Hegel ha insegnato che la filosofia è pensare il proprio tempo, per cui il terrifico, è parte integrante del vissuto quotidiano e come tale non è colto. La filosofia, invece, deve pensare ciò che non è concettualizzato, per cui il mondo necessita dello sguardo e della lingua filosofica. Il terrifico è nella propaganda dei circoli mediatici esposto con indifferenza, in quanto l’unico fondamento del liberismo è il nulla. L’assurdo si coniuga con il nichilismo. La normalità del terrifico emerge nelle cronache ed è accolta con “distanza”. Nelle ultime settimane vi è la proposta, già approvata in Olanda e in alcuni paesi anglosassoni, di liquefare i cadaveri, in quanto smaltimento più efficiente e green. Il corpo del caro estinto è portato in acqua e liscivia a centossessanta gradi, la pressione elevata lo scompone nei suoi elementi chimici, l’acqua è smaltita nelle fogne. Il corpo che è stato abitato dalla vita ed ha una sua storia è ridotto ad ente tra gli enti senza significato. La persona sarà associata alla scomposizione chimica da liberare nelle pubbliche fogne. La morte con i suoi significati, con la pietà che si deve alla cura del corpo è sostituita con lo smaltimento veloce, con un’operazione chimica di nessun significato etico-religioso, per essere solo azione orientata all’efficienza che non riconosce le differenze tra l’umano e il non umano. Il disumano è in questa cecità emotiva e razionale divenuta la regola del vivere nel tempo del capitalismo integrale. La “distanza” non riconosciuta è il pericolo che logora la contemporaneità senza volto:

«Il terrificante si manifesta e si cela nel modo in cui nell’ovvio che giace vicino (das Naheliegende) la vicinanza rimane assente. Che cosa significa ciò? Significa che la cosa non coseggia; la cosa non è presente in quanto cosa. Il mondo non mondeggia».[2]

 

Silenzio ed irrilevanza
Il nulla è il silenzio del riduzionismo quantitativo. Il nulla ci parla, pertanto il mondo si oblia in un silenzio mortale. L’ipertrofia della razionalità scientifica è incapace di dare un significato al mondo, che quindi tramonta travolto da numeri e cifre. Il soggetto che li utilizza non è capace di significarli nell’ascolto, ma semplicemente costruisce la distanza dal mondo, regredisce allo stato di animale razionale e calcolante. L’irrilevanza diviene la regola del suddito globale: ogni ente è categorizzato in parametri sempre eguali e semplici. La rete simbolico-matematica che determina la “distanza”, mentre offre immense possibilità di uso e di accumulo di cui non è chiaro il fine, pone ogni agire come ogni esistente sul piano dell’irrilevanza, per cui si può scomporre un cadavere per smaltirlo nelle fogne come fosse un rifiuto. Si rimuove l’abisso inquietante della contemporaneità con le giornate in ricordo dell’olocausto per occultare che esso è tra di noi, abbiamo smesso di riconoscerlo e pensarlo. L’irrilevanza è il concetto non pensato e perennemente irriso dal circo mediatico con il suo servidorame:

«Ogni cosa acquista il tratto fondamentale dell’equi-valente (das Gleiche – Gultige), per quanto varie cose possano di quando in quando starci ancora a cuore come frammenti perduti. Il riguardo dell’equivalente è lo strappo in avanti (Fortriβ) nell’indifferente che non va e non sta e non cade né vicino né lontano».[3]

 

La brocca
Heidegger per pensare la contemporaneità riporta l’esempio della brocca che ha smesso di “coseggiare”. La brocca nella rappresentazione fisico-matematica è solo un oggetto che accoglie il liquido, il quale sostituisce l’aria. La brocca non è vissuta, ma usata come mezzo, definita nei parametri della fisica, si nullifica tra le mani di chi la usa, non ha provenienza, è solo presenza che si dà per essere manipolata, usata e gettata, è la metafora di un mondo disumano senza centro ontologico ed assiologico:

«Non appena però acconsentiamo a indagare scientificamente la brocca reale guardando alla sua realtà, emerge uno stato di cose diverso. Quando versiamo il vino nella brocca, l’aria che già la riempie è solamente scacciata e sostituita da un liquido. Dal punto di vista scientifico, riempire la brocca significa rimpiazzare un contenuto con un altro.
Queste indicazioni della fisica sono corrette. Con esse la scienza rappresenta qualcosa di reale a cui si conforma in termini obiettivi. Ma questo qualcosa di reale è davvero la brocca?».[4]

Heidegger mostra che l’irrilevanza è una forma di annientamento dell’altro. La “distanza” divenuta il principio fondamentale del “vivere sociale” dell’Occidente è una forma non mediata dialetticamente di nullificazione. Prima ancora dell’atomica l’alterità è nullificata dall’utile scientifico, l’atomica è il punto d’arrivo di un processo di smaterializzazione dell’altro in funzione del dominio. L’atomica diviene punto d’arrivo e nuovo snodo per un salto di qualità terrifico con cui si minaccia la vita nella sua totalità e si educa alla morte-distanza. La DAD è il compimento dell’immenso ingranaggio della nullificazione, la sua normalizzazione, un esperimento per saggiare reazioni e specialmente per comprendere se i tempi sono maturi per l’irrilevanza totale: l’altro è solo un’immagine da accendere e spegnere, la relazione è solo un involucro al cui interno vi è il nulla. Solo la macchina è protagonista:

«Il sapere della scienza, cogente nel suo ambito – quello degli oggetti –, ha annientato le cose in quanto cose ben prima che esplodesse la bomba atomica, la cui deflagrazione è solo la più rozza di tutte le rozze conferme di un annientamento della cosa già accaduto da molto tempo, la conferma cioè che la cosa in quanto cosa rimane nulla (nichtig)».[5]

 

Passività e verità
Per Heidegger il trionfo dell’ontico sull’ontologico è il destino dell’Occidente, e ora che il pericolo è totale, ora che la verità della tecnica è svelata è possibile che giunga a noi la fine della metafisica e l’inizio di una nuova era in cui l’essere umano sia il ritrovato pastore dell’essere. L’analisi di Heidegger è votata alla passività, all’attesa della metamorfosi che pensi e viva i rimandi, per i quali la brocca smette di essere un recipiente oggetto di leggi fisiche per diventare parte del mormorio della vita: 

«La riunione del duplice accogliere nell’atto di versare, che solo in quanto insieme costituisce la piena essenza del donare, la chiamiamo “dono” (das Geschenk). Il carattere di brocca della brocca è essenzialmente nel dono di ciò che è versato. Anche la brocca ottiene la sua essenza dal dono, sebbene una brocca vuota non consenta un versare fuori. Questo non consentire, tuttavia, è proprio della brocca e solo della brocca, mentre una falce o un martello sono incapaci di non consentire tale versare. Il dono di ciò che è versato può essere una bevanda.
Vi sono acqua e vino da bere.
Nell’acqua del dono permane la sorgente. Nella sorgente permangono la roccia e ogni oscuro sapore della terra che assorbe la pioggia e la rugiada del cielo. Nell’acqua del cielo permane lo sposalizio di cielo e terra».[6]

 

La critica che si limita ad attendere la svolta, “l’evento”, rischia di essere complice dello stato presente. Le categorie marxiane possono essere di ausilio per ridefinire nel segno della prassi le critiche heideggeriane nelle quali non è difficile cogliere l’eco di Marx. L’attesa del dono, dell’ascolto, del trascendere la patologia dell’entificazione totale già in Marx assurge ad elemento sostanziale riportato al modo di produzione ed alla storia. L’astoricismo heideggeriano, invece, rischia di essere complice del terrifico, poiché la cultura del dono e dell’emancipazione dal produttivismo è solo attesa, i soggetti devono ridisporsi all’ascolto. Passività ed elezione divengono un connubio che consolida il “terrifico”, mentre il dono rischia di essere esperienza che si svela solo a taluni, un’illuminazione improvvisa che allontana il pericolo senza risolverlo:

 

«Nel dono di ciò che è versato, che è un bevanda, permangono a modo loro i mortali. Nel dono di ciò che è versato, che è una bevanda, permangono a modo loro i divini, che ricevono il dono del mescere come dono dell’offerta. Nel dono di ciò che è versato permangono in modo ogni volta diverso i mortali e i divini. Nel dono di ciò che è versato permangono la terra e il cielo».[7]

 

All’attesa heideggeriana bisogna opporre lo sguardo profondo della civetta filosofica che con il suo volo deve pensare per responsabilizzarsi nella prassi, altrimenti il “terrifico” diverrà la “liquidazione” della storia e dell’umano.

Salvatore Bravo

 

[1] Martin Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, pag. 20.
[2] Ibidem, pag. 42.
[3] Ibidem, pag. 47.
[4] Ibidem, pag. 25.
[5] Ibidem, pag. 26.
[6] Ibidem, pag. 28.
[7] Ibidem, pag. 29.

Paul Gauguin, Brocca a forma di testa. Autoritratto, 1889
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – La filosofia è cura di sé e della comunità. Dove trionfa l’utile individuale vige il regno del silenzio, mentre l’essere umano è fatto per la parola significante. Senza la libera ricerca l’umanità resterebbe estranea all’infinito che reca dentro di sé. Socrate è l’esempio vissuto del limite che si coniuga con la grandezza della verità.

Mauro Bonazz, Processo a Socratei 001

Salvatore Bravo

La filosofia è cura di sé e della comunità.
Dove trionfa l’utile individuale vige il regno del silenzio,
mentre l’essere umano è fatto per la parola significante.
Senza la libera ricerca l’umanità resterebbe estranea all’infinito che reca dentro di sé.
Socrate è l’esempio vissuto del limite che si coniuga con la grandezza della verità.

Socrate e la meraviglia
Socrate è l’archetipo della filosofia, è la personificazione dell’eterna ricerca, sempre sulla soglia delle istituzioni, perché il filosofo serve la comunità, ma non le appartiene completamente. La filosofia vive nelle istituzioni, senza esserne organica, per cui è sempre sul limitare; l’attività critica esige l’autonomia senza solitudine. Dove vi è umanità, vi è filosofia, perché l’essere umano cerca la verità. In quanto dotato di logos, nell’atto della ricerca mette in atto processi di riorientamento, si oggettivizza, analizza se stesso per trascendersi: senza tali atti speculativi non è che individualità acefala, e pertanto senza fondamento.
La ricerca lo scopre creatura altra rispetto agli animali non umani. La meraviglia[1] non è nella verità, ma nel tendere verso di essa: l’atto dialettico consente di cogliere, di comprendere, il sublime che alberga nell’umanità. Lo sgomento – dinanzi all’anima umana e al logos – è nello scoprire l’infinito nel finito: mentre si vive la finitezza dello spazio-tempo si svela – in un lungo processo – la verità e, quindi, l’universale. Tale meraviglia è il fondamento –silenzioso e vivo – di ogni civiltà. Senza la libera ricerca l’umanità resterebbe estranea all’infinito che reca dentro di sé. Socrate è l’esempio vissuto del limite che si coniuga con la grandezza della verità limitrofa alla doxa, della razionalità critica sempre sul limite dell’abisso. Ma senza il pericoloso sentiero non vi è umanità, bensì solo addomesticamento del gregge al consenso. La ricerca è “meraviglia panica”, perché ci si può perdere nei suoi sentieri.
I sentieri della filosofia non portano fuori della comunità, ma conducono al suo cuore pulsante senza il quale non vi che l’atomismo delle solitudini. La filosofia insegna a non fuggire dalle istituzioni, ma a conservare la distanza critica che impedisce il consenso automatico ad esse.
Socrate è l’esempio archetipico del dialogo con se stesso e con l’alterità, è l’immagine della sospensione dell’azione in funzione della sua comprensione e della conseguente valutazione etica. Il bene, in Socrate, non è mai definito in un contenuto determinato, in quanto è il processo del pensiero ad essere “il bene”. Il pensiero interrogante inibisce il male, limita gli effetti non voluti dell’agire, poiché non si consegna all’immediatezza dell’azione, ma la media con i processi logici ed argomentativi, i quali non sono solitari, ma si rafforzano nell’intreccio nella parola, nell’incontro con il proprio “io” e con l’alterità.
Il capitale ha timore del logos socratico/filosofico, in quanto la legge, il nomos[2] è sempre mediato dalla ragione comunitaria. Tra la natura e il logos vi è l’attività pensante umana che intenziona la natura, la legge e la tradizione. Il dubbio non è semplice postura, il dubbio è pensiero in atto che cerca la chiarezza di sé, che si sottrae al gioco delle forze naturali, politiche e delle tradizioni per non subirle, ma per rimapparle. In tal modo l’essere umano diviene soggetto e si sottrae alla fatalità che incombe sul suo destino:

«Fondamentale, nella prima accusa, è l’impiego del verbo nomizein. Derivato dal termine nomos, che indica sia l’abitudine sia, più specificatamente, la legge, esso può essere inteso in due modi differenti: può indicare il rifiuto di rispettare le pratiche culturali della città oppure, più rapidamente, la negazione dell’esistenza degli dèi. Nel primo caso la traduzione corretta sarebbe “non rispetta gli dèi”, nel secondo “non crede agli dèi”. Nell’Apologia platonica il significato del verbo sembra essere il secondo, intendendo la frase in senso radicale: se Socrate può irridere il suo accusatore, è perché l’accusa è di non credere agli dei in assoluto (e non soltanto agli “dei che la città riconosce”). Una volta che Meleto ha concesso questo punto, Socrate ha buon punto nel confutarlo, sfruttando il secondo capo d’imputazione: se introduce nuovi daimonia. Esseri demoniaci o divini, è evidente che non può negare le divinità».[3]

 

Processo a Socrate
Socrate ed il suo processo (399 a.C.) simboleggiano l’eterna tensione tra la filosofia e le istituzioni. Queste ultime vorrebbero tacitare il potenziale eversivo della filosofia “accademizzandola”, rendendola un eunuco, pronta a consegnarsi al silenzio dell’impotenza. Il pensiero, invece, è duale, nasce dialettico e comunitario, poiché la dualità interiore è già comunità inscritta nel pensiero, nella sua attività che prende forma con la dualità significante. Socrate ascolta la sua voce divina, la quale è il segno del logos, della profondità senza confini che abita il corpo vissuto. Socrate è stato processato perché insegnava l’ascolto di essa, formava invitando a mettersi in contatto con l’io interiore, a dis-alienarsi dal taglio della cieca obbedienza al potere. Dove vi sono relazioni di dominio si cerca di silenziare la voce del logos e dell’autocoscienza. Il potere in ogni epoca cerca di ridurre la vita umana a poche variabili controllabili; affinché ciò possa avvenire, è necessario sviluppare l’abitudine all’obbedienza ed ipostatizzare leggi e tradizioni.
La filosofia disincrosta i pregiudizi, libera la mente dai ceppi invisibili delle ossificazioni indotte. In Platone l’immagine di Glauco marino, incrostato dai sedimenti del tempo, è la metafora che esprime il lavoro filosofico, il suo liberare l’anima dalle prigioni delle sovrastrutture. Socrate fa e farà sempre paura, perché personifica il bisogno di autenticità e pratica la filosofia per fendere la caverna con le sue stratificazioni ideologiche:

«Per cominciare, andrebbe osservato un elemento linguistico. Troppo raramente si è prestata la dovuta attenzione al fatto che nell’accusa il termine impiegato è l’aggettivo daimonion e non il sostantivo daimon. Come ha opportunamente osservato Louis-André Dorion, nel linguaggio del V secolo daimonion, usato spesso come sostantivo con l’aggiunta dell’articolo to, vale a dire un sinonimo di theos o theion; esso indica la “divinità” o, più genericamente “il divino”. Niente a che vedere, dunque, con il celebre “demone” (daimon) di Socrate, che è in realtà un’invenzione dei platonici della prima età imperiale: in Platone e in Senofonte non si fa mai menzione di un “demone”, ma sempre qualcosa di “demoniaco”. Quando parlava di questa “voce” o di questo “segno”, Socrate non faceva altro che rivendicare un rapporto privilegiato che avrebbe avuto con il mondo della divinità: ciò serve a delineare, una volta di più, che Socrate non era ateo, ma non giustifica la tesi secondo cui Socrate opporrebbe il suo demone (tanto più che nell’accusa si allude a ta daimonia, al plurale) agli dèi tradizionali».[4]

 

Filosofia ed oligarchia
Socrate dimostra l’assurdo che si cela dietro norme apparentemente razionali. La filosofia ha il compito di discernere tra la razionalità critica e la razionalità ideologica. La democrazia ateniese si fonda sulla costrizione alla partecipazione e sull’estrazione degli incarichi. La democrazia non può essere partecipazione “su pressione pubblica”, né distribuzione degli incarichi pubblici con criteri non razionali. Il potere si consolida con il falso egualitarismo. Socrate è avverso alla democrazia che si auto-fonda sull’irrilevanza, in tal modo la democrazia non è che la maschera dell’oligarchia. Solo la competenza e la consapevolezza del bene pubblico permettono la vera partecipazione. L’oligarchia paludata da democrazia distribuisce gli incarichi su paradigmi egualitaristici, in modo da poter condizionare l’attività dell’inesperto di turno. Gli incarichi sono “servizio” alla comunità, per cui rivestire un ruolo sociale deve implicare motivazione e perizia. Socrate svela che la democrazia di Atene è una plutocrazia senza futuro:

«L’apragmosyne è l’opposto esatto della partecipazione, che Pericle celebra come la virtù principale del buon cittadino democratico nell’epitaffio tucidideo. A questo proposito è interessante ricordare la già menzionata descrizione tucididea di Antifonte (VIII 68, 1), che si era sempre tenuto in disparte dalla vita politica di Atene: nel caso il significato antidemocratico della scelta era evidente. Anche se non può essere ricondotto solo a questo, il contesto politico potrebbe aver giocato un ruolo importante pure nel caso di Socrate. Nella stessa direzione vanno anche le perplessità che riguardano alcune pratiche fondamentali della democrazia ateniese. Pur nelle loro divergenze, le fonti antiche ci restituiscono compatte l’immagine di un Socrate decisamente avverso alla pratica del sorteggio».[5]

 

Filosofia è cura di sé e della comunità
Socrate, in piena sofistica e crematistica è uno scandalo, in quanto si occupa in modo disinteressato della cura dei suoi cittadini ed in particolare delle nuove generazioni. Il potere non può tollerare che si dimostri con l’esempio vissuto che è possibile un altro modo di vivere che metta in discussione l’individualismo trasformato in sistema e visione antropologica. Socrate vuole insegnare il bene, non come formula, ma come processo in cui la soggettività ritrova la comunità, e non il collettivismo dogmatico. La scelta di accettare il percorso maieutico è individuale, ma la pratica è comunitaria, la libertà è nell’universale concreto, nel quale la soggettività è in tensione con l’universale:

«Sono solo alcuni esempi, che confermano nella relazione specifica con Alcibiade quello che Socrate è stato per Atene: l’unico che si è preoccupato del bene dei suoi cittadini; più precisamente: del bene della loro anima, e in particolare dei giovani. Parlare dell’amore è servito a chiarire il senso del suo insegnamento: una lezione che ha riguardato la vita prima ancora delle nozioni grammaticali o delle tecniche argomentative».[6] 

La filosofia è cura di sé e della comunità, l’una è speculare l’altra, non vi può essere benessere individuale senza il bene pubblico. Socrate ha testimoniato che nessuno si salva da solo, che ogni comunità è sana solo se smaschera le oligarchie travestite da democrazie, ed i lupi camuffati da cani, come dirà il suo discepolo Platone. Socrate ci parla, oggi, più di prima, in quanto l’economicismo abietto votato all’illimitatezza ci mostra una società senza comunità, in cui è plurale solo l’infelicità. Ciascuno è infelice a proprio modo, dato che ogni legame con la verità e la dialettica sono stati recisi in nome dell’utile immediato e della mutilazione razionale ed emotiva di ciascuno. Dove trionfa l’utile individuale vige il regno del silenzio, mentre l’essere umano è fatto per la parola significante.

Salvatore Bravo

[1] Meraviglia da thaûma (sgomento).

[2] Nomos dal greco Νόμος: legge, tradizione.

[3] Mauro Bonazzi, Processo a Socrate, Laterza Bari, 2020, pp. 73-74.

[4] Ibidem, pag. 79.

[5] Ibidem, pag. 51.

[6] Ibidem, pag. 119.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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