«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«La bellezza è tale solo se riflette la singolarità della persona e la sua prismatica complessità. Come l’opera d’arte, essa viene uccisa dalla mimesi e dalla serialità, e fiorisce invece laddove si sottrae al confronto narcisistico e alla dinamica invidiosa, imponendosi, nella sua aura e nella sua unicità, con la regale dignità della bellezza senza specchio».
Elena Pulcini, «Specchio, specchio delle mie brame…». Bellezza e invidia, Orthotes, Nocera Inferiore (SA) 2017, p. 108.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
«La seduzione di oggi non dipende più né dalla politica, né dal sacro, né dall’ideologia, ma da un’offerta concreta, multiforme, continuamente cangiante, che si rivolge all’individuo privato e ai suoi piaceri: alla seduzione politico-ideologica è subentrata una seduzione privatizzata ed esperienziale centrata sul rapporto con se stesso. Una forza di attrazione sostenuta non dall’immaginario di un futuro migliore per l’umanità, ma dalle promesse di godimenti immediati dell’individuo».
Gilles Lipovetsky, Piacere e colpire. La società della seduzione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019, pp. 218-219.
«Tutta la vita delle società nelle quali regnano moderne condizioni di produzione si rivela come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione.
Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale».
«Gli strumenti, già all’epoca paleolitica, possono essere considerati come “concetti di pietra”, essi collegano i bisogni e i pensieri degli uomini al livello di realtà delle cose».
Arnold Gehlen, Urmensch und Spiitkultur. Philosophische Ergebnisse und Aussagen (1975); tr. it. Le origini dell’uomo e la tarda cultura, il Saggiatore, Milano 1994, pp. 17-18.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
«Quasi tutto il mondo è turbato e, nel turbamento, l’uomo perde la sua caratteristica essenziale: la possibilità di meditare, di raccogliersi in se stesso, per porsi d’accordo con se stesso e definire ciò che crede e ciò che non crede; quello che veramente stima e quello che veramente detesta. Il nervosismo lo obnubila, lo acceca, lo obbliga ad agire meccanicamente in un frenetico sonnambulismo. Da nessun’altra parte all’infuori del giardino zoologico, davanti alla gabbia dei nostri antenati, le scimmie, ci rendiamo meglio conto del fatto che la facoltà di meditare è in effetti la caratteristica essenziale dell’uomo. Il passero e il crostaceo sono forme di vita abbastanza distanti dalla nostra, perché, confrontandoci con essi, possiamo percepire qualcosa d’altro che grosse differenze, astratte, vaghe, puramente eccessive. La scimmia però assomiglia tanto a noi che ci invita ad esaminare il paragone, a scoprire differenze più concrete e produttive. Se siamo in grado di rimanere un momento quieti a contemplare passivamente la scena scimmiesca, subito risalterà, come spontaneamente, una caratteristica che giunge a noi come un raggio di luce. È che quelle diaboliche bestiole sono costantemente attente, in perpetua inquietudine, guardando, ascoltando tutti i segnali che arrivano da ciò che le circonda, attente senza sosta al contorno, come se temessero che da lì possa arrivare sempre un pericolo al quale è doveroso rispondere automaticamente o con la fuga o con un morso, nello scatto meccanico di un riflesso muscolare. La bestia, in effetti, vive in perpetua paura del mondo, e a volte nella perpetua brama delle cose che in esso ci sono e che in esso appaiono, una smania indomabile che si sprigiona anche senza freno, nè possibili inibizioni, lo stesso che il timore».
José Ortega y Gasset, Concentrazione e Alterazione, ousia, p. 4
«[…] quando seguo con gli occhi sul quadrante di un orologio il movimento delle lancette […] non misuro una durata, come pare si creda, mi limito a contare delle simultaneità, il che è molto diverso».
«La durata assolutamente pura è la forma che prende la successione dei nostri stati di coscienza quando il nostro io si lascia vivere, si astiene da stabilire una separazione tra lo stato presente e quelli anteriori. Non vi è bisogno, per far ciò, di assorbirsi interamente nella sensazione o nell’idea che passa! ché allora, al contrario, si cesserebbe di durare. Non occorre nemmeno obliare gli stati anteriori, basta che, ricordandosi di essi, non li si giustapponga allo stato attuale, come un punto ad un altro punto, ma li si organizzi con quest’ultimo; come succede quando ci ricordiamo, fuse, per così dire, insieme, le note di una melodia. Non si potrebbe dire che, se tali note si succedono, noi le avvertiamo, non di meno, le une nelle altre, e che il loro assieme è paragonabile ad un essere vivente, le cui parti anche se distinte, si compenetrano per effetto stesso della loro solidarietà? La prova è che, se rompiamo la misura insistendo piú di quanto è necessario su una nota della melodia, non è la sua lunghezza esagerata, in quanto lunghezza, che a avvertirà del nostro errore, ma il cangiamento qualitativo, apportato da ciò all’insieme della frase musicale. Si può dunque concepire la successione senza la distinzione, e come una compenetrazione mutua, una solidarietà, una organizzazione intima di elementi, di cui ciascuno, rappresentativo del tutto, non se ne distingue, e non se ne isola, che per un pensiero capace di astrarre. Tale è senza alcun dubbio la rappresentazione che si farebbe della durata un essere, che, allo stesso tempo identico e cangiante non avesse alcuna idea dello spazio. Ma familiarizzati con quest’ultima idea, ossessionati addirittura da essa, la introduciamo a nostra insaputa nella nostra rappresentazione della successione pura; e giustapponiamo i nostri stati di coscienza in modo da avvertirli simultaneamente, non piú l’uno nell’altro, ma l’uno a fianco all’altro. In breve: noi proiettiamo il tempo nello spazio, esprimiamo la durata in estensione, e la successione prende per noi la forma di una linea continua, di una catena, le cui parti si toccano senza compenetrarsi».
Henri Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, Raffaello Cortina, Milano 2002.
«Che siamo, che cos’è il nostro carattere se non la sintesi della storia che abbiamo vissuto fin dalla nascita? […] Certamente noi pensiamo solo con una piccola parte del nostro passato, ma è con tutto il nostro passato […] che noi desideriamo, vogliamo ed agiamo».
Henri Bergson, L’Evoluzione creatrice, Raffaello Cortina, Milano 2002.
Aristotele, Etica Nicomachea, X, 1177 b 38: «inoltre si ritiene che la felicità risieda nel tempo libero, nell’occupazione studiosa».
«”We work in order to be at leisure.” […] Doesn’t this statement appear almost immoral to the man or woman of the world of “total work”? Is it not an attack on the basic principles of human society? Now I have not merely constructed a sentence to prove a point. The statement was actually made — by Aristotle [Nichomachean Ethics X, 7 (1177b4–6)]. Yes, Aristotle: the sober, industrious realist, and the fact that he said it, gives the statement special significance. What he says in a more literal translation would be: “We are not-at-leisure in order to be-at-leisure.” For the Greeks, “not-leisure” was the word for the world of everyday work; and not only to indicate its “hustle and bustle,” but the work itself. The Greek language had only this negative term for it (ά-σχολία), as did Latin (neg-otium). The context not only of this sentence but also of another one from Aristotle’s Politics (stating that the “pivot” around which everything turns is leisure [Politics VII, 3 (1337b33)]) shows that these notions were not considered extraordinary, but only self-evident. […] Could this also imply that people in our day no longer have direct access to the original meaning of leisure?
Josef Pieper, Leisure, the Basis of Culture (1948), Translation by Gerald Malsbary of two linked studies, Musse und Kult and Was heisst Philosophieren? (both 1948). South Bend, Indiana: St. Augustine’s Press, 1998, pp. 4-5.
«[…] il passato in quanto tale, appare e al tempo stesso si integra, emergono da esso nuove possibilità, poiché il passato feconda al tempo stesso in cui è fecondato, crea un piano temporale nuovo è più complesso. Più complesso e più prossimo all’unità. Poiché la vita è come una colonna a spirale che ascende creando nuovi piani. È vera e propria creazione. […] La coscienza lo raccoglie e lo fissa; trattiene il passato. Il pensiero fa il vuoto temporale, sospende la vita e crea il passato in quanto tale, lo fa apparire».
María Zambrano, I sogni e il tempo, Pendragon, Bologna 2004, p. 129.
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