Aristotele (384-322 a.C.) – «Protreptico. Esortazione alla filosofia». La felicità della vita non consiste nel possesso di grandi sostanze, quanto piuttosto nel trovarsi in una buona condizione dell’anima. La conoscenza e il pensiero filosofico costituiscono il compito proprio dell’anima. Questa è la cosa più desiderabile per noi.

Aristotele- Protreptico
Aristotele, Protreptico. Esortazione alla filosofia, a cura di Enrico Berti, UTET, Torino 2008.

La felicità della vita non consiste nel possesso di grandi sostanze,
quanto piuttosto nel trovarsi in una buona condizione dell’anima.

Si può chiamare felice soltanto quell’anima che sia educata, e soltanto l’uomo educato,
non colui che è ornato di splendidi beni esterni, ma che personalmente non vale nulla.

Bisogna considerare uomini meschini
coloro per i quali l’acquisizione di qualche ricchezza è più importante del loro carattere
.

La saggezza filosofica  è il risultato del proprio più serio impegno e della ricerca
di quelle cose che la filosofia ci pone in grado di cercare; perciò dobbiamo dedicarci alla ricerca filosofica
.

Dobbiamo diventare filosofi se vogliamo attendere rettamente
agli affari dello stato e ordinare utilmente la nostra vita privata.

Il filosofo soltanto vive mirando costantemente alla natura ed al divino.
Come il buon capitano di una nave, egli ormeggia la sua vita a ciò che è eterno e costante,
là getta l’ancora e vive padrone di sé.

Coloro che si dedicano alla filosofia
non ne hanno dagli uomini una ricompensa che li possa spronare a tali sforzi
.

La saggezza filosofica è una parte dell’eccellenza dell’anima e della vita felice.

La conoscenza e il pensiero filosofico costituiscono il compito proprio dell’anima.
Questa è la cosa più desiderabile per noi
.

La gioia che deriva dal pensiero costituisce la più eminente delle gioie della vita.

Per gli uomini non c’è nulla di divino e di beato all’infuori di quell’unica cosa che sola merita i nostri sforzi,
cioè quanto esiste in noi di intelligenza e capacità della mente.


lI tuo desiderio di sapere e i tuoi sforzi, mio caro Temisone, per conseguire l’eccellenza e una vita felice, mi sono noti per sentito dire, ed io sono convinto [B1] che nessuno è in condizioni più propizie delle tue per accostarsi alla filosofia, dal momento che tu sei ricco, sicché puoi prodigare del denaro a questo scopo, e la tua posizione è eminente. Ora la maggioranza delle persone pensa che una vita felice si fondi sul possesso dei beni esterni, e non del tutto senza ragione, perché vediamo che ad alcuni tutto procede per il meglio, e il successo arride, sebbene siano stolti. Ma certamente tu hai anche sperimentato dei casi in cui accade il contrario. Sia, quindi, dalla tua conoscenza del passato, che per la tua personale esperienza ti verranno in mente molti casi in cui l’orgogliosa grandezza è caduta in rovina; tu hai conosciuto degli uomini che riponevano troppa fiducia nella ricchezza, nella felicità e nel potere, e che quindi dovettero provare una repentina caduta nell’infelicità. Quanto maggiore fu il loro successo, tanto più grave sentono l’insuccesso e l’infelicità, e si vergognano perché la loro attuale posizion [B2] impedisce loro di prendere l’iniziativa di compiere ciò che considerano il loro dovere. E poiché vediamo le disgrazie di queste persone, dovremmo evitare una sorte simile, e tenere presente che la felicità della vita non consiste nel possesso di grandi sostanze, quanto piuttosto nel trovarsi in una buona condizione dell’anima. Anche per quanto riguarda il corpo, nessuno dirà che è favorito perché è avvolto in abiti magnifici, ma piuttosto si dice così di quello che è dotato di buona salute e si trova in buona condizione, dovessero pure mancargli tutti quegli ornamenti esterni. Allo stesso modo, si può chiamare felice soltanto quell’anima che sia educata, e soltanto l’uomo educato, non colui che è ornato di splendidi beni esterni, ma che personalmente non vale nulla. Così è anche per un cavallo; può portare un morso d’oro e finimenti preziosi, ma se per il resto non vale nulla, non lo apprezziamo affatto, e diamo invece la preferenza a quello che possiede delle buone qualità. [B3] Inoltre accade che, quando gente dappoco giunge in possesso di grandi sostanze, spesso apprezzi queste proprietà perfino più dei beni dell’anima, che è la cosa fra tutte più vergognosa. Se un signore apparisse da meno del suo servo, sarebbe oggetto di derisione; allo stesso modo, bisogna considerare uomini meschini coloro per i quali l’acquisizione di qualche ricchezza è più importante del loro carattere.

[B4] Così è in realtà; poiché, come dice il proverbio, sazietà genera insolenza; e quando la mancanza di educazione si accompagna al potere, ne nasce la megalomania. A coloro la cui anima è mal disposta, né la ricchezza, né la forza, né la bellezza sono utili, ma invece quanto più abbondantemente essi posseggono queste cose, tanto più profondamente e per modi più numerosi questo possesso li danneggia, se non è accompagnato da saggezza. Il detto “al bambino non dare un coltello” significa “non dare potere alle persone da poco”. [B5] La saggezza filosofica per contro – su questo punto tutti concorderanno – è il risultato del proprio più serio impegno e della ricerca di quelle cose che la filosofia ci pone in grado di cercare; perciò dobbiamo dedicarci alla ricerca filosofica senza cercar scampo in pretesti. [B6] L’espressione “filosofare” significa da un lato chiedersi se bisogna dedicarsi alla filosofia, e dall’altro dedicarsi alla filosofia. [B7] Poiché ci rivolgiamo a uomini, e non a quegli esseri la cui vita è divina, allora dobbiamo aggiungere a quelle anche altre esortazioni che siano di utilità pratica nella vita sociale. Si dirà dunque così. [B8] Ciò che abbiamo a disposizione per vivere, cioè il corpo, e ciò che serve al corpo, costituisce per noi come una sorta di strumento. L’uso di questi strumenti è esposto a pericolo: per le persone che non li sanno usare nel modo retto, essi producono per lo più l’effetto opposto. Noi dobbiamo dunque aspirare a quella forma di sapere che ci possa aiutare ad adoperare nel modo migliore tutti questi strumenti, dobbiamo conseguirla ed usarla in modo appropriato. Dobbiamo diventare filosofi, se vogliamo attendere rettamente agli affari dello stato e ordinare utilmente la nostra vita privata.

[B9] Esistono, ora diversi tipi di conoscenza; quella conoscenza che produce i beni della vita, e quella che se ne serve. Un’altra partizione è questa: ci sono tipi di conoscenza subordinati, ed altri che impongono l’ordine. Questi ultimi occupano il posto più elevato, e presso di loro si trova il bene in senso autentico. Se ora soltanto quella sorta di sapere che è capace di esprimere un giudizio esatto, che usa la ragione ed ha di mira il bene nella sua totalità, vale a dire la filosofia, sa servirsi di tutti gli altri tipi di conoscenza e dirigerli in accordo ai princìpi della natura, questo è un ulteriore argomento che indica che dobbiamo dedicarci alla filosofia. Infatti soltanto la filosofia include in sè l’esattezza di giudizio e l’infallibile saggezza, la quale ha la capacità di determinare con i suoi ordini che cosa bisogna fare e che cosa no. […]

[B40] Tutti gli uomini decidono a favore di ciò che ha maggiore consonanza con il loro carattere, così per esempio il giusto sceglie la vita giusta, il valoroso la vita valorosa, l’uomo temperato la vita secondo la temperanza. Similmente è chiaro che l’uomo dotato di capacità intellettuali si deciderà per la filosofia, perchè il filosofare è compito di quella capacità. Da questo giudizio, espresso con la maggiore sicurezza possibile, risulta chiaramente che la capacità dell’intelletto è il più alto di tutti i beni. [B41] Con ancora maggiore chiarezza la verità di questa tesi risulta dai seguenti argomenti. La riflessione e la conoscenza sono desiderabili dagli uomini di per sè, in quanto senza di esse non è possibile vivere una vita degna di un uomo. Ma esse sono anche utili per la vita pratica, perché nulla ci appare buono, se non è portato a compimento con la riflessione e mediante un’attività avveduta. Ora, la vita felice, può consistere nella gioia e nel benessere, o nel possesso dell’eccellenza morale, o nell’esercizio della capacità intellettuale: in ognuno di questi casi, comunque, bisogna dedicarsi alla filosofia, perché un giudizio chiaro su queste cose si può conseguire soltanto mediante la filosofia.

[B42] Chi cerca da ogni forma di scienza un risultato diverso da essa ed esige che ogni scienza debba essere utile, ignora completamente quale fondamentale differenza ci sia tra ciò che è buono e ciò che è necessario; è, infatti, una differenza straordinariamente grande. Perché quelle cose che noi desideriamo in vista di qualcos’altro, e senza le quali non è possibile vivere, le chiamiamo necessarie e concause; ciò , invece, che desideriamo per se stesso, anche se non ci procura null’altro, lo chiamiamo bene in senso proprio. Infatti una cosa non è desiderabile sempre in vista dell’altra, e così avanti all’infinito: da qualche parte ci deve essere un punto fermo. E’, di fatto, completamente ridicolo cercare ovunque un’utilità che sia diversa dalla cosa stessa, e chiedersi: “quale vantaggio ne abbiamo?”, e “a cosa può servire?“. Chi parla così, in nessun modo, come s’è detto, risulta simile a colui che conosce il bello ed il bene e sa distinguere tra causa e concausa. […]

[B44] Non dobbiamo perciò preoccuparci se la filosofia non si dimostra utile o vantaggiosa perché non affermiamo innanzi tutto che sia vantaggiosa, ma piuttosto che è buona, e che la si debba scegliere non per qualcos’altro, ma per se stessa. […] [B45] Così ora abbiamo preso le mosse dal finalismo della natura per un’esortazione alla filosofia, convinti che il dedicarsi alla filosofia costituisca un bene ed è nobile cosa già per sé, anche se non ne dovesse derivare alcuna utilità per la vita pratica.

[B46] Che però la speculazione filosofica sia realmente utile anche per la vita pratica di ogni giorno si comprenderà facilmente se lo si esemplifica con le arti e le professioni. […] Allo stesso modo anche il politico deve avere certi termini di riferimento, che desume dalla natura stessa e dalla verità, con l’aiuto dei quali potrà giudicare che cosa è giusto, che cosa è bello e che cosa è conveniente. Infatti, come gli strumenti del tipo di cui abbiamo parlato sono i migliori nelle attività professionali, così anche il miglior termine di riferimento è quello che in massimo grado si conformi alla natura. […] [B50] Infatti il filosofo soltanto vive mirando costantemente alla natura ed al divino. Come il buon capitano di una nave, egli ormeggia la sua vita a ciò che è eterno e costante, là getta l’ancora e vive padrone di sé. [B51] Ora questa conoscenza è di per sè teoretica, però ci offre la possibilità di regolare su di essa ogni nostra azione. Come cioè, la vista non crea né produce nulla, perché la sua funzione è soltanto quella di distinguere a rendere evidenti ognuna delle cose visibili, però ci pone in grado di fare certe cose ricorrendo ad essa, e ci offre l’aiuto più importante per l’azione (infatti saremmo pressoché completamente incapaci di muoverci, se non la possedessimo), così anche risulta chiaro che mediante questo sapere noi compiamo innumerevoli azioni, sebbene esso sia teoretico; con il suo aiuto decidiamo se una certa cosa deve essere ricercata, un’altra evitata; ma soprattutto, mediante questa conoscenza, conseguiamo tutto ciò che è buono.

[B52] Chi si propone di verificare ciò che abbiamo detto, deve avere ben chiaro che tutto ciò che per l’uomo è buono e utile alla vita sta nell’esercizio e nell’azione, e non nella sola conoscenza del bene. […] ciò che importa più di tutto, non viviamo una vita più bella e più nobile perché conosciamo qualcosa dell’essere, ma piuttosto perché il nostro agire è buono; questa infatti è veramente la vita felice. Ne consegue che anche la filosofia, se è davvero utile come noi asseriamo, o è un esercizio di azioni rette, oppure è giovevole per tali azioni. [B53] Quindi non bisogna fuggire la filosofia, se davvero la filosofia è, come io credo, acquisizione e applicazione della sapienza, e si annovera la sapienza tra i beni più alti. Se per amore del denaro si viaggia fino alle colonne d’Eracle e ci si espone a molti rischi, perché non si dovrebbe affrontare qualche fatica e qualche spesa per la filosofia? E’ tipico dell’uomo comune, in realtà, di desiderare la vita e non la vita buona, di seguire le opinioni del volgo invece di aspettarsi che sia esso a dare ascolto alla sua opinione, di essere avido di denaro, ma di non occuparsi per nulla delle cose nobili. (B54) L’utilità e l’importanza dell’oggetto mi sembrano ormai sufficientemente provate. Ci si dovrebbe poi convincere che è molto più facile conseguire la conoscenza filosofica che qualsiasi altro bene in base a quanto segue. [B55] Coloro che si dedicano alla filosofia non ne hanno dagli uomini una ricompensa che li possa spronare a tali sforzi. Essi possono aver dedicato molta fatica per conseguire altre capacità, e tuttavia in tempo minore compiono rapidi progressi verso la scienza esatta; questo mi sembra indicare con quale facilità si può conseguire la conoscenza filosofica. [B56] Un ulteriore argomento è che tutti gli uomini si sentono a loro agio nella filosofia, e volentieri si dedicano ad essa, mentre lasciano ogni altro interesse. Anche questo costituisce una prova non piccola che è un piacere occuparsi di essa, giacché, se fosse semplicemente una fatica, nessuno si tormenterebbe a lungo con essa. Inoltre l’attività filosofica ha un altro grande vantaggio rispetto a tutte le altre; non si ha cioè bisogno di un particolare strumento, né di una sede particolare per esercitarla, ma in qualunque punto della terra uno si ponga all’opera con il pensiero, dovunque gli sarà allo stesso modo possibile afferrare la verità, come se essa fosse presente. [B57] Così dunque è provato che è possibile dedicarsi alla filosofia, che essa è il maggiore di tutti i beni, e che è facile conseguirla. Per tutti questi motivi, vale la pena di coltivarla con passione.

[B58] Affrontiamo ora il problema del compito specifico della conoscenza filosofica, e per quale motivo a essa tutti aspiriamo. Vorrei giungere a una risposta procedendo da un diverso punto di partenza. […] [B68] Sicché nessuna delle virtù particolari, di cui si parla comunemente, costituisce l’opera della saggezza filosofica; infatti essa è superiore a tutte queste. Il fine conseguito è sempre superiore alla conoscenza mediante la quale lo si consegue. Per altro non ogni eccellenza dell’anima è un risultato della saggezza filosofica, e neppure la vita felice. Se infatti la saggezza filosofica fosse produttiva, allora produrrebbe qualcosa di diverso da se stessa, così come l’architettura fabbrica le case, pur senza essere una parte della casa; la saggezza filosofica, invece, è una parte dell’eccellenza dell’anima e della vita felice. Infatti io affermo che la vita felice, o ne deriva, oppure è essa stessa.

[B69] In base a questo argomento, la saggezza filosofica quindi non può essere una scienza produttiva; il fine deve stare al di sopra della via che conduce ad esso; ma non esiste nulla di più alto della vita filosofica, se non forse una delle cose che abbiamo menzionato prima, cioè eccellenza e vita felice: ma la loro opera non è niente altro che la vita filosofica. Bisogna quindi tener per fermo che la conoscenza di cui parliamo è teoretica, dal momento che il suo fine non può essere una produzione. [B70] La conoscenza e il pensiero filosofico costituiscono dunque il compito proprio dell’anima. Questa è la cosa più desiderabile per noi, paragonabile, io credo alla vista, che certamente si apprezzerebbe anche nel caso in cui grazie ad essa non si ottenesse altro risultato se non appunto e soltanto il vedere. […] [B89] Parimenti chiamiamo vita felice quella vita felice la cui presenza dà felicità alle persone che la vivono; non parliamo di vita felice nel caso di persone che nel vivere hanno gioia da qualche cosa, ma nel caso di coloro per i quali la vita stessa costituisce una gioia, e che appunto provano gioia nel vivere. (B90) In base a queste considerazioni, diciamo che chi è desto vive in maggior grado di chi dorme, chi è intelligente in maggior grado di chi manca di intelligenza, e riteniamo che la gioia nella vita dipenda dall’uso che si fa dell’anima; l’attività dell’anima costituisce realmente la vita. (B91) Si può essere attivi con l’anima in diversi modi, però l’attività più importante di tutte è comunque quella di pensare quanto più intensamente si può. E’ un punto acquisito, quindi, che la gioia che deriva dal pensiero costituisca l’unica, o la più eminente delle gioie della vita. Vivere felicemente e provare la vera gioia è dunque una prerogativa esclusiva o preminente del filosofo. Infatti l’esercizio dei nostri pensieri più veri, che traggono alimento dai più alti princìpi dell’essere e custodiscono continuamente e con saldezza la compiutezza che a essi è accordata, è proprio quella che procura in massimo grado la gioia della vita fra tutte le altre attività. [B92] Proprio per gustare le gioie vere e buone gli uomini intelligenti devono dunque dedicarsi alla filosofia.

[B102] Anche la paura della morte che è propria dell’uomo comune attesta il desiderio di conoscenza dell’anima. Essa infatti fugge ciò che le è ignoto, l’oscurità ed il mistero, e per sua natura cerca ciò che è visibile e conoscibile. […]

[B104] Si potrebbe capire questa stessa cosa anche in base a ciò che diremo ora, se soltanto si considerasse la vita umana spassionatamente. Allora si scoprirebbe che tutte quelle cose che appaiono importanti agli uomini, altro non sono che un gioco delle vane ombre. Perciò a ragione si dice anche a ragione che l’uomo è un nulla, e che nulla delle cose umane ha stabilità. Infatti la forza, la grandezza e la bellezza sono cose risibili, e prive di ogni valore; esse ci appaiono tali soltanto perché non siamo in grado di vedere nulla rettamente.

[B105] […] Onore e reputazione, le cose a cui solitamente l’uomo aspira più che ad ogni altra, sono piene di indescrivibile stoltezza; infatti chi ha visto qualcuna delle realtà eterne giudica assurdo faticare per tali scopi. Che cosa c’è tra le cose umane che viva a lungo o abbia una durata consistente? Soltanto per la nostra debolezza e per la brevità della nostra vita, a mio giudizio, anche queste ci appaiono grandi. […] [B108] Per gli uomini non c’è dunque nulla di divino e di beato, all’infuori di quell’unica cosa che sola merita i nostri sforzi, cioè quanto esiste in noi di intelligenza e capacità della mente. Di tutto ciò che è nostro, questo solo sembra incorruttibile.

Aristotele, Protreptico. Esortazione alla filosofia, a cura di Enrico Berti, UTET, Torino 2008.


Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare
Aristotele (384-322 a.C.) – In qualunque campo si raggiungerebbe la migliore visione della realtà, se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo e fin dalla prima origine.
Aristotele (384-322 a.C.) – Il fatto di vivere è comune anche alle piante. Ciò di cui andiamo in cerca per l’uomo è qualcosa di specifico. Il bene umano risulta essere l’attività dell’anima secondo virtù in una vita umana compiuta, in atto nel senso più proprio. un solo giorno o un breve periodo di tempo non rendono beato e felice nessuno.
Aristotele (384-322 a.C.) – Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso che offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo.
Aristotele (384-322 a.C.) – Moralmente bello significa fare il bene senza mirare al contraccambio. L’uomo moralmente retto ricerca per sé il bello morale e antepone il bello a tutto il resto.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tra tutti i beni quelli scelti in vista di se stessi sono fini. Tra questi, poi, sono belli tutti quelli che sono degni di lode. Infatti questi sono quelli da cui derivano azioni che sono degne di lode ed essi stessi sono degni di lode.
Aristotele (384-322 a.C.) – La moneta è nata per convenzione. Essa ha il nome di moneta (nomisma), perché non esiste per natura ma per legge (nomos), e dipende da noi cambiarne il valore e porla fuori corso.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Anna Beltrametti – «La letteratura greca. Tempi e luoghi, occasioni e forme». L’intento è di contrastare periodizzazioni secche, di mostrare come le forme si modifichino o si conservino non solo nel tempo o in funzione delle occasioni a cui rispondono, ma anche in relazione ai luoghi segnati da cerimonie e rituali specifici, da consuetudini culturali precise.

Anna Beltrametti - Letteratura greca

Tempi e Luoghi, occasioni e forme della letteratura greca

L’impianto si regge sui due binomi – tempi e luoghi, occasioni e forme – sottolineati nel titolo e funzionali sia come rubriche di catalogazione e descrizione sia come categorie di analisi critica. La prima idea-guida è quella di ripresentare quanto ci resta della letteratura greca antica non solo secondo la sequenza cronologica, ma anche secondo la distribuzione geografica. Alla base c’è l’intento di contrastare periodizzazioni secche (il tempo non passa con la stessa velocità nei vari luoghi) e il consolidarsi di false prospettive, di mostrare come le forme si modifichino o si conservino non solo nel tempo o in funzione delle occasioni a cui rispondono, ma anche in relazione ai luoghi, profondamente e durevolmente segnati da cerimonie e rituali specifici, da consuetudini culturali precise: non hanno molto in comune i corali complessi, a uso liturgico, di Alcmane, nella Sparta della seconda metà del VII secolo, con le composizioni, affini nella strutturazione metrica e strofica, ma di tenore prevalentemente narrativo, di Stesicoro, nella Sicilia e nella Magna Grecia tra la fine del VII e i primi del VI secolo; Pindaro, nativo della Beozia, legato per nascita e frequentazioni alla nobiltà panellenica, viene ricondotto da molti studenti, interrogati d’acchito o anche richiamati sui tratti salienti del suo linguaggio poetico, all’età arcaica, mentre il suo contemporaneo Eschilo, eleusino di nascita e ateniese per attività, è collocato con certezza nel periodo classico; il teatro attico, tragico e comico, dei festival dionisiaci e dei concorsi pubblici, è contemporaneo, ma avvertito come posteriore a forme spettacolari meno istituzionalizzate e praticate nella cultura dorica, greca e italica, come la farsa megarese cui allude Aristofane negli Acarnesi e la farsa fliacica o il mimo di ambiente siceliota e italico apprezzato da Platone; per contro, la polis ateniese mantiene nel tempo le forme più specifiche della sua cultura, pur investendole di nuove tematiche e di nuovi intenti, attraverso discontinuità collegate agli sconvolgimenti politici e bellici, chiaramente percepibili, tra Erodoto e Tucidide come tra Eschilo ed Euripide, nella lunga durata della tragedia e del racconto storico.

Un secondo principio conduttore, collegato al binomio occasioni-forme, è quello di superare la categoria di “genere letterario”. La nozione di genere e di sistema letterario resta per molte ragioni imprescindibile e del tutto appropriata per la produzione stabilizzata prima dalla scrittura e dai concorsi drammatici, poi dalle scuole di retorica e filosofia, quindi rivisitata e profondamente ricodificata dai poeti-filologi delle biblioteche ellenistiche. Ma si rivela tuttavia troppo vincolante, meno adatta a cogliere e comprendere l’estrema variabilità di componimenti d’autore fuori scala, che sembrano sfuggire completamente al sistema, calibrati principalmente e primariamente per occasioni pubbliche d’eccezione, mirati a una fruizione orale e collettiva, anche quando la ricercatezza poetica supera ampiamente i clichés della composizione orale e l’estemporaneità della prima e singola esecuzione. Mentre la categoria di “genere letterario”, anche nell’accezione più dinamica e relazionale, induce a descrivere/analizzare le scritture in termini di adeguamento e scarto fisiologico rispetto alle regole codificate, il nesso occasioni-forme sembra più efficace a registrare i condizionamenti pragmatici, l’aspetto performativo specifico dei testi più antichi, arcaici e classici, senza sminuire le singolari impronte autoriali. Da una parte, non implica la sopravvalutazione delle basi ritmico-dialettali, più culturali che “letterarie”, in cui si genera la splendida poesia arcaica. Dall’altra, orienta a valorizzare meglio una produzione in cui, anche per effetto di una tradizione molto selettiva, i “maggiori” prevalgono sui “minori”, e le paroles degli autori, veri e propri capolavori dell’umanità, si pongono spesso non in tensione, ma in alternativa alla langue presupposta, ai codici e alle regole da essa previsti.

Incrociare tempi e luoghi, occasioni e forme; lasciar prevalere di volta in volta, a seconda dei testi e dei contesti di riferimento, l’attenzione per l’espressione o per il contenuto, il piano significante o quello referenziale; modificare continuamente punto di vista e metodo d’analisi e di descrizione: sono i punti chiave di una proposta che viene dal tentativo di scrivere una storia della letteratura greca, come se si scrivesse da sola. Mi sono lasciata guidare la mano dai testi che ancora ci sono e che si possono leggere, accettando che testi e autori si disponessero autonomamente per rimandi espliciti e affinità meno evidenti, affollandosi, talvolta, in aree sincroniche e/o geografiche molto coese di scritture che si implicano e si parlano nelle stesse condizioni storiche – è il caso dell’Atene classica –, disegnando, talaltra, linee di fuga, di rinvii diacronici nella lunga durata, come nel caso della catena storiografica che avrebbe dovuto proseguire ininterrotta da Erodoto oltre Polibio.

Ho affidato a quattro più giovani studiosi – Marzia Bambozzi, Andrea Rodighiero, Massimo Stella e Martina Treu – il profilo di alcuni grandi autori, sicura che il taglio nuovo delle loro ricerche sarebbe stato un arricchimento, che avrebbe aggiunto informazioni, offerto suggestioni e suggerito approcci non previsti nei miei pur liberi percorsi.

 

Anna Beltrametti, Le letteratura greca. Tempi e luoghi, occasioni e forme, Carocci editore, Roma 20155, pp. 9-10.




Anna Beltrametti – C’è anche un pensiero delle donne? Le donne del teatro greco sono laboratori di utopia infiniti. Sono talmente forti in questa loro energia utopica di un mondo da rifondare, da rinnovare, di un mondo possibile, che è la filosofia stessa ad attingere al loro pensiero.
Anna Beltrametti – Il punto più alto che Platone tocca nelle riflessioni sulla paura è proprio il reciproco implicarsi di potere personale e paura. Paura che l’uomo di potere riesce ad incutere ai suoi governati, ma anche paura provata dall’uomo di potere nei confronti di chi è migliore di lui, come pure della paura che ha di tutta la schiera di manutengoli che, dopo averlo lusingato, vogliono essere lusingati e pretendono lusinghe.
Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Anna Beltrametti – Populismo: da oggi alla scena originaria, comica e nera di Aristofane. Per contendersi il favore del Popolo, trasformato da soggetto politico in oggetto (in merce), i contendenti si rivelano per quello che sono: strumenti, burattini di un’élite che li manovra e li usa senza apparire.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Bisogna che l’uomo comprenda ciò che si chiama Idea, passando da una molteplicità di sensazioni ad una unità organizzata dal ragionamento.

Platone 021

δεῖ γὰρ ἄνθρωπον συνιέναι κατ’ εἶδος λεγόμενον,
ἐκ πολλῶν ἰὸν αἰσθήσεων
εἰς ἓν λογισμῷ συναιρούμενον·

«Bisogna che l’uomo comprenda ciò che si chiama Idea,
passando da una molteplicità di sensazioni ad una unità organizzata dal ragionamento».

Platone, Fedro, 249 bc.


Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non esiste male maggiore che un uomo possa patire che prendere in odio i ragionamenti. L’odio contro i ragionamenti, e quello contro gli uomini, nascono nella stessa maniera.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È questo il momento nella vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano: quando contempla il bello in sé. La misura e la proporzione risultano essere dappertutto bellezza e virtù.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – L’educazione è l’orientamento dell’anima alla virtù. La virtù è il piacere verso ciò che bisogna amare e l’avversione verso ciò che bisogna odiare
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non il vivere è da tenere in massimo conto, ma il vivere bene. E il vivere bene è lo stesso che vivere con virtù e con giustizia. Per nessuna ragione si deve commettere ingiustizia.
Platone & Aristotele – Il principio della filosofia non è altro che esser pieni di meraviglia, perché si comincia a filosofare a causa della meraviglia.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È infatti la costituzione dello Stato che forma gli uomini, buoni, se essa è buona, malvagi in caso contrario.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Cosa di più bello avrei potuto fare nella mia vita se non affidare alla scrittura ciò che è di grande utilità per gli uomini e portare alla luce per tutti la vera natura delle cose?
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – La musica dà anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose.  Essa è l’essenza dell’ordine, ed eleva ciò che è buono, giusto e bello, di cui è la forma invisibile ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le forme di educazione al retto orientamento del piacere e del dolore vengono meno in gran parte agli uomini e si corrompono troppe volte nella vita. le opinioni vere e stabili è fortunato chi le possiede sulla soglia della vecchiaia.
Platone (428/427 – 348/347 a.C.) – il sogno raccomandava di creare musica, e siccome la filosofia è la musica massima, dunque io la facevo.
Platone (428/427 – 348/347 a.C.) – Non ti vergogni a darti pensiero delle ricchezze e invece della intelligenza e della verità e della tua anima non ti dai affatto né pensiero né cura? Non dalle ricchezze nasce virtù, ma dalla virtù nascono ricchezze e tutte le altre cose che sono beni per gli uomini.
Platone (428/427–348/347 a.C.) – Nell’uomo che ha imparato a contemplare l’infinito universo della bellezza, le sue parole e i suoi pensieri saranno pieni del fascino che dà l’amore per il sapere, per la filosofia.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non dimentichiamo che l’unica moneta autentica, quella con la quale bisogna scambiare tutte le cose, non sia piuttosto la saggezza, e che solo ciò che si compera e si vende a questo prezzo sia veramente fortezza, temperanza, giustizia.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non dimentichiamo che l’unica moneta autentica, quella con la quale bisogna scambiare tutte le cose, non sia piuttosto la saggezza, e che solo ciò che si compera e si vende a questo prezzo sia veramente fortezza, temperanza, giustizia.

Platone 020

Ὦ μακάριε Σιμμία, μὴ γὰρ οὐχ αὕτη ᾖ ἡ ὀρθὴ πρὸς ἀρετὴν ἀλλαγή, ἡδονὰς πρὸς ἡδονὰς καὶ λύπας πρὸς λύπας καὶ φόβον πρὸς φόβον καταλλάττεσθαι, [καὶ] μείζω πρὸς ἐλάττω ὥσπερ νομίσματα, ἀλλ’ ᾖ ἐκεῖνο μόνον τὸ νόμισμα ὀρθόν, ἀντὶ οὗ δεῖ πάντα ταῦτα καταλλάττεσθαι, φρόνησις, [καὶ τούτου μὲν πάντα] καὶ μετὰ τούτου [ὠνούμενά τε καὶ πιπρασκόμενα] τῷ ὄντι ᾖ καὶ ἀνδρεία καὶ σωφροσύνη καὶ δικαιοσύνη καὶ συλλήβδην ἀληθὴς ἀρετή, μετὰ φρονήσεως, καὶ προσγιγνομένων καὶ ἀπογιγνομένων καὶ ἡδονῶν καὶ φόβων καὶ τῶν ἄλλων πάντων τῶν τοιούτων·

«Stiamo attenti che non sia questo il giusto scambio nei riguardi della virtù, cioè lo scambiare fra loro piaceri con piaceri, dolori con dolori, paure con paure, cose più grandi con cose più piccole, così come se fossero monete. Ma non dimentichiamo che l’unica moneta autentica, quella con la quale bisogna scambiare tutte le cose, non sia piuttosto la saggezza, e che solo ciò che si compera e si vende a questo prezzo sia veramente fortezza, temperanza, giustizia».

Platone, Fedone, 69 ab.


Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non esiste male maggiore che un uomo possa patire che prendere in odio i ragionamenti. L’odio contro i ragionamenti, e quello contro gli uomini, nascono nella stessa maniera.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È questo il momento nella vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano: quando contempla il bello in sé. La misura e la proporzione risultano essere dappertutto bellezza e virtù.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – L’educazione è l’orientamento dell’anima alla virtù. La virtù è il piacere verso ciò che bisogna amare e l’avversione verso ciò che bisogna odiare
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non il vivere è da tenere in massimo conto, ma il vivere bene. E il vivere bene è lo stesso che vivere con virtù e con giustizia. Per nessuna ragione si deve commettere ingiustizia.
Platone & Aristotele – Il principio della filosofia non è altro che esser pieni di meraviglia, perché si comincia a filosofare a causa della meraviglia.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È infatti la costituzione dello Stato che forma gli uomini, buoni, se essa è buona, malvagi in caso contrario.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Cosa di più bello avrei potuto fare nella mia vita se non affidare alla scrittura ciò che è di grande utilità per gli uomini e portare alla luce per tutti la vera natura delle cose?
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – La musica dà anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose.  Essa è l’essenza dell’ordine, ed eleva ciò che è buono, giusto e bello, di cui è la forma invisibile ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna.
Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le forme di educazione al retto orientamento del piacere e del dolore vengono meno in gran parte agli uomini e si corrompono troppe volte nella vita. le opinioni vere e stabili è fortunato chi le possiede sulla soglia della vecchiaia.
Platone (428/427 – 348/347 a.C.) – il sogno raccomandava di creare musica, e siccome la filosofia è la musica massima, dunque io la facevo.
Platone (428/427 – 348/347 a.C.) – Non ti vergogni a darti pensiero delle ricchezze e invece della intelligenza e della verità e della tua anima non ti dai affatto né pensiero né cura? Non dalle ricchezze nasce virtù, ma dalla virtù nascono ricchezze e tutte le altre cose che sono beni per gli uomini.
Platone (428/427–348/347 a.C.) – Nell’uomo che ha imparato a contemplare l’infinito universo della bellezza, le sue parole e i suoi pensieri saranno pieni del fascino che dà l’amore per il sapere, per la filosofia.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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G. Deleuze (1925-1995) – F. Guattari (1930-1992) – Il capitalismo è la sola macchina sociale che si è costruita come tale su dei movimenti decodificati, sostistuendo a codici intrinseci un insieme di elementi assiomatici in forma di denaro.

Gilles Deleuze – Felix Guattari

«Il capitalismo è la sola macchina sociale che si è costruita come tale su dei movimenti decodificati, sostistuendo a codici intrinseci un insieme di elementi assiomatici in forma di denaro».

Gilles DeleuzeFelix Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975, p. 278.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Diego Lanza (1937-2018) – Euripide porta sulla scena lo spettatore, l’uomo della vita di ogni giorno. Si delinea la figura del nuovo saggio.

Diego Lanza, lo spettatore sulla scena

Al critico della cultura non va a genio quella cultura alla quale sola egli deve il disagio che prova di fronte ad essa.

Theodor W.  Adorno


In Euripide non si fa tanto questione di giusta ricchezza, di mezzi modesti ma necessari per non cadere nell’accattonaggio e nella miseria sregolata; la preoccupazione principale appare un’altra: delineare la figura del nuovo saggio, del sophron che non pretende di fondare i valori del proprio comportamento morale su improbabili rapporti con la divinità, sulla disciplina della polis, ma piuttosto si scopre alla ricerca di un nuovo equilibrio. È questa figura che infrange gli schemi tradizionali dell’eroe del mito.


«Euripide porta sulla scena lo spettatore; l’uomo della vita di ogni giorno, e non soltanto vestendolo dei panni solenni degli eroi epici, ma addirittura con le sue proprie vesti. Euripide porta sulla scena gente comune, anonima, e non soltanto in ruoli tradizionalmente consentiti e riconosciuti: il pedagogo, la guardia, la nutrice. Il contadino dell’Elettra e l’altro contadino, questo soltanto evocato, in un logos angelikos ma non per questo di minore importanza, dell’Oreste, non sono personaggi al seguito degli eroi, né semplici elementi di comodo nello svolgersi della vicenda drammatica. La loro introduzione nelle tragedie è un fatto nuovo, reso possibile dal nuovo carattere che la tragedia è venuta assumendo. […]
Negli ultimi quarant’anni del V secolo a.C. si trasforma profondamente lo stesso valore semantico di termini come sophron, sophrosyne, sophronein. Come per altri termini, quali philos, eusebes, eleutheros, si attua per sophron un processo di interiorizzazione: una definizione sociale si trasforma in definizione psicologica, sì che la mente e l’anima dell’uomo possono essere esplorate con gli stessi strumenti che servono a descrivere la comunità sociale. Il platonico “l’uomo è simile alla città” non è che l’approdo teoricamente consapevole di una lunga pratica analogica, che ha trovato il suo costante presupposto non solo dei trattati di retorica, ma anche della invenzione e dell’elaborazione dei personaggi tragici.
Il personaggio della tragedia acquista in profondità e in complessità a misura che si rende esplicita la sua analogia di microcosmo col macrocosmo della città: le parti dell’anima tendono a riprodurre le parti della città e a riprodurne l’interna dinamica. Un siffatto processo sposta oggettivamente l’attenzione dello spettatore dai conflitti tra le persone ai conflitti interni all’anima del singolo personaggio, e avvia una dialettica che ha sempre meno riferimento con la realtà sociale della città.
Giunta a consapevolezza l’analogia tra città e uomo sortisce un doppio effetto: da una parte la corrispondenza di microcosmo psichico e di macrocosmo politico assicura immediatamente un ampio e fecondo sviluppo all’indagine psicologica e ne garantisce la validità, dall’altra parte rafforza il presupposto ideologico della concezione politica su cui riposa: che la polis sia un tutto organico e non un agglomerato di individui o di gruppi sociali. Si enfatizza in questo modo l’aspetto unitario ed organico della città offrendone una certezza intuitiva e trasparente. Le parti dell’anima sono la proiezione su un piano parallelo delle parti della città, ma la loro indiscutibile unità organica si riproietta a sua volta sul piano della città, e ne garantisce definitivamente la coesione. Così l’ideologia della città come di un tutto organico e indisgiungibile è oggettivamente rafforzata proprio nello spettacolo teatrale, e grazie all’invenzione del personaggio tragico, anche in assenza di una tematica direttamente politica.
Tuttavia il trasferimento della legge dell’equilibrio e della concordia sociale nell’individuo finiscono col comporre un modello di uomo autosufficiente che nel proprio intimo realizza i valori della città, ma con la quale paradossalmente non può non riconoscersi in conflitto, dalla quale finisce con l’apparire anche spazialmente separato. Il contadino che abita lontano dal centro della città, che frequenta poco il mercato e l’assemblea è chiamato a incarnare questa nuova figura ideologica, in lui si vuole riconoscere il più geloso custode dei valori patrii, l’unica parte sana di una città corrotta. Ciò è diverso dalla collocazione dei contadini come forza intermedia tra ricchi e poveri, come invece talvolta si è stati tentati di interpretare sotto l’evidente suggestione di Aristotele. In Euripide non si fa tanto questione di giusta ricchezza, di mezzi modesti ma necessari per non cadere nell’accattonaggio e nella miseria sregolata; la preoccupazione principale appare un’altra: delineare la figura del nuovo saggio, del sophron che non pretende di fondare i valori del proprio comportamento morale su improbabili rapporti con la divinità, sulla disciplina della polis, ma piuttosto si scopre alla ricerca di un nuovo equilibrio. È questa figura che infrange gli schemi tradizionali dell’eroe del mito. Dapprima essa si presenta ancora sulla scena sotto panni eroici, poi osa comparire con gli abiti della vita quotidiana, quelli appunto del contadino. È l’uomo della vita di ogni giorno, il contadino non il borghese, lo spettatore che si affaccia sulla scena. […]».

Diego Lanza, Lo spettatore sulla scena, in AA.VV., L’ideologia della città, Liguori Editore, Napoli 1977, pp. 57, 71-72.

Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune.

Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

indicepresentazioneautoresintesi

ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, , Euro 35 – Collana “Il giogo” [118].


Socrate, Till Eulenspiegel, Pinocchio, ma anche Solone, Bruto, i profeti di Israele, Bertoldo, Giufà, i «santi folli» di Bisanzio … Sono innumerevoli i personaggi che trasgrediscono il senso comune; figure spesso ridicole, ma portatrici tutte di verità inquietanti di cui la ragione dominante diffida, delle quali tuttavia non può fare a meno. Ciò che si mantiene nella fiaba, nel romanzo, nella letteratura filosofica e religiosa non è tanto la fisionomia dell’insensatezza quanto il suo rapporto conflittuale di esclusione/complementarietà con la ragione, con il sistema dei valori etici e affettivi accettati come fondamentale norma di convivenza. Lo stolto e la stoltezza non costituiscono un elemento chiaramente definibile e persistente della tradizione culturale europea, un topos, ma piuttosto un’incognita alla quale ogni volta si attribuisce ciò che disturba il senso comune. È il senso comune, cioè la razionalità riconosciuta da ciascun assetto sociale come sua propria, che stabilisce quel che deve apparire ripugnante, ridicolo, riprovevole. La figura dello stolto e l’immagine della stoltezza mutano perciò a misura dei cambiamenti del senso comune e della razionalità che le definiscono, serbando tuttavia, di mutamento in mutamento, importanti tratti del passato. Il viaggio intrapreso alla riscoperta delle molte e molto differenti raffigurazioni dello stolto conduce a interrogarci sul difficile ma tenace equilibrio che governa il gioco tra verità e riso, scherzo e ragione.


Diego Lanza, Lo stolto. Scheda editoriale

Si possono scaricare le 13 pp. in formato PDF.

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Un tuffo …

… tra alcune pubblicazioni di Diego Lanza …


Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti
Diego Lanza (1937-2018) – Appassionato filologo e grecista, innovativo nella lettura interdisciplinare dei testi, sempre in tensione etica, morale, filosofica, che ci consegna quale suggello, testimonianza vivificante e forte dono.

Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Massimo Stella – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Gherardo Ugolini – Ricordo di Diego Lanza. Gli amici, gli allievi, i colleghi che ne portano avanti l’eredità intellettuale gli sono debitori di molti insegnamenti.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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J. W. von Goethe (1749-1832) – Non c’è segno esteriore di cortesia che non abbia una profonda base morale. C’è una cortesia del cuore che è vicina all’amore.

Johann Wolfgang Goethe - Le affinità elettive

«Non c’è segno esteriore di cortesia che non abbia una profonda base morale […]. C’è una cortesia del cuore che è vicina all’amore. Da essa deriva la più conveniente cortesia del comportamento esteriore».

J.W. von Goethe, Le affinità elettive, Feltrinelli, Milano 2013


Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Non si può chiedere al fisico di essere filosofo; ma ci si può attendere da esso che abbia sufficiente formazione filosofica
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Qualunque sogno tu possa sognare, comincia ora.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Questa è l’ultima conclusione della saggezza: la libertà come la vita si merita soltanto chi ogni giorno la dovrà conquistare.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Ma le notti Amore mi vuole intento a opere diverse: vedo con occhio che sente, sento con mano che vede.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Nell’uomo vi è una scintilla più alta, la quale, se non riceve nutrimento, se non è ravvivata, viene coperta dalle ceneri della necessità e dell’indifferenza quotidiana.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Ciascun momento, ciascun attimo è di un valore infinito. Noi esistiamo proprio per rendere eterno ciò che è passeggero.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Per non rinunciare alla nostra personalità, molte cose che sono in nostro sicuro possesso interiore non dobbiamo esteriorizzarle.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – La mente deve essere addestrata, calzata e stretta in stivali spagnoli, perché s’incammini con prudenza sulle vie del pensiero, e non sfavilli come un fuoco fatuo.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Questo cuore è sempre costante, turgido come il più giovanile fiore. Io non voglio perderti mai! L’amore rende l’amore più forte. La vita è l’amore, e lo spirito è la vita della vita.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Chi è nell’errore vuol supplire con violenza a ciò che gli manca in verità e forza.
J. W. Goethe (1749-1832) – Possiamo e dobbiamo godere delle vere forze attive della vita terrena. Quanto più siamo aperti a questi godimenti, tanto più ci sentiamo felici. Se non vi partecipiamo, si manifesta la più grande malattia: considerare la vita come un peso nauseante.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Aristotele (384-322 a.C.) – La moneta è nata per convenzione. Essa ha il nome di moneta (nomisma), perché non esiste per natura ma per legge (nomos), e dipende da noi cambiarne il valore e porla fuori corso.

Aristotele - Moneta
«[…] come mezzo di scambio per soddisfare il bisogno è nata, per convenzione, la moneta.
E per questo essa ha il nome di moneta (nomisma),
perché non esiste per natura ma per legge (nomos),
e dipende da noi cambiarne il valore e porla fuori corso».[1]

***

[1] Dato che la connessione etimologica istituita da Aristotele tra i due termini νόμισμα (moneta) e νόμος (legge) è irriproducibile in italiano, è stato necessario riproporre i termini greci in forma traslitterata (nota di Arianna Fermani).

Aristotele, Etica Nicomachea, Libro V, 1133 a 30-32, in Id., Le tre etiche e il trattato sulle virtù e sui vizi, traduzione e cura di Arianna Fermani, introduzione di Maurizio Migliori, Bompiani, Milano 2018, pp. 650-651.

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare
Aristotele (384-322 a.C.) – In qualunque campo si raggiungerebbe la migliore visione della realtà, se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo e fin dalla prima origine.
Aristotele (384-322 a.C.) – Il fatto di vivere è comune anche alle piante. Ciò di cui andiamo in cerca per l’uomo è qualcosa di specifico. Il bene umano risulta essere l’attività dell’anima secondo virtù in una vita umana compiuta, in atto nel senso più proprio. un solo giorno o un breve periodo di tempo non rendono beato e felice nessuno.
Aristotele (384-322 a.C.) – Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso che offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo.
Aristotele (384-322 a.C.) – Moralmente bello significa fare il bene senza mirare al contraccambio. L’uomo moralmente retto ricerca per sé il bello morale e antepone il bello a tutto il resto.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tra tutti i beni quelli scelti in vista di se stessi sono fini. Tra questi, poi, sono belli tutti quelli che sono degni di lode. Infatti questi sono quelli da cui derivano azioni che sono degne di lode ed essi stessi sono degni di lode.
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Mario Vegetti (1937-2018) – Il dominio e la legge. La «Costituzione degli Ateniesi» è un testo violento, sia nel suo apparato teorico sia nel suo atteggiamento di fronte al sociale.

Mario Vegetti - Costituzione degli Ateniesi

La Costituzione degli Ateniesi, che la tradizione ci ha conservato in virtù di una falsa attribuzione a Senofonte, è un testo violento, sia nel suo apparato teorico sia nel suo atteggiamento di fronte al sociale: e da questa violenza deriva la sua unicità nell’intero panorama della letteratura del V secolo. Gli studi moderni, permeati in genere di classicismo, veicoli dunque della «ideologia della città» non meno della tradizione antica, ne hanno spesso ripetuta l’operazione: hanno cioè inconsapevolmente tentato di smorzare la violenza e di ridurre l’unicità di questo testo, inscrivendolo in qualcuna delle aree ‘canoniche’ del pensiero politico greco. Lo si è così avvicinato ora a Tucidide, ora a Protagora, ora, persino, allo stesso Senofonte; lo si è, in ogni caso, ricondotto al contesto della politica, allo spazio della polis, nell’ambito dei quali esso esprimerebbe posizioni sì oligarchiche, di radicale dissenso antidemocratico, ma pur sempre funzionali a quel comune terreno di confronto. Ciò che in questo modo viene tuttavia perduto, è proprio la irriducibile differenza che isola il nostro testo e lo istituisce nella sua unicità; ciò che si stenta a cogliere, è il carattere allogeno – rispetto al pensiero della città – dell’impianto teorico che lo governa, che gli consente una capacità di lettura del sociale qualitativamente diversa, che ne definisce, anche, una collocazione nella società del V secolo tutta esterna alla città. Sono questi gli aspetti della Costituzione degli Ateniesi che qui si tenterà di analizzare, anche per ricavarne – da ultimo – una nuova proposta di localizzazione storica del testo, che per ora ci limitiamo a collocare fra gli anni 450 e 440 a.C.

Mario Vegetti, Il dominio e la legge, in AA.VV, L’ideologia della città, Liguori Editore, Napoli 1977, p. 31.


«la felicità ha […] bisogno di durata e di costanza, e di qui nasce il suo rischio. Se è certamente vero che non si tratta di un dono della sorte (tyche) ma di un premio spettante a una prassi tenacemente virtuosa, è altrettanto vero che essa è esposta alla vicenda del tempo. Poiché non si tratta di una condizione privata, chiusa nell’individualità, ma di un’attività tutta socializzata, essa risulta ulteriormente esposta ai colpi della sorte che la contingenza dei rapporti umani può in ogni momento inferire».

Mario Vegetti, L’etica degli antichi, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 175.


 
Mario Vegetti – La filosofia e la città: processi e assoluzioni .
Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.
Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.
Mario Vegetti – Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.
Mario Vegetti (1937-2018) – «Scritti sulla medicina galenica». Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività.
Mario Vegetti (1937-2018) – Il tempo, la storia, l’utopia. Cè il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione della kallipolis attuata. L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile).
Mario Vegetti (1937-2018) – Il sognatore che pensa,  il pensatore che sogna nel «Racconto del Saggio del Capitale».
Mario Vegetti (1937-2018) – Mario Vegetti a due anni dalla morte ci lascia alcuni messaggi. Tenere aperto lo spazio dell’incertezza. Resistere al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero. Resistere alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”. Restare fedeli, insomma.
E. Berti, L. Canfora, B. Centrone, F. Ferrari, F. Fronterotta, S. Gastaldi – «La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti». Introduzione di G. Casertano e L. Palumbo
Mario Vegetti (1937-2018) – È attraverso il linguaggio, e non attraverso i sensi, che la verità si presenta all’anima. La parte essenziale dell’uomo è l’anima. È l’anima del concreto soggetto vivente a giocare un ruolo centrale nella morale socratica.

Mario Vegetti (1937-2018) – La felicità ha bisogno di durata e di costanza ed esige una prassi tenacemente virtuosa.


Mario Vegetti 332

Enrico Berti – Luciano Canfora – Bruno Centrone
Franco Ferrari – Francesco Fronterotta – Silvia Gastaldi

La filosofia come esercizio di comprensione

Studi in onore di Mario Vegetti

indicepresentazioneautorisintesi

Introduzione di
Giovanni Casertano e Lidia Palumbo

Mario Vegetti


Enrico Berti

Aristotele: quinto nucleo tematico di interesse per Vegetti?

Vedi pubblicazioni di Berti Enrico



Luciano Canfora

Mario Vegetti nei «Quaderni di storia»

Vedi pubblicazioni di Canfora Luciano



Bruno Centrone

Quindici lezioni e non solo.
La Lezione (metodologica) di Mario Vegetti su Platone

Vedi pubblicazioni di Centrone Bruno



Franco Ferrari

Al di là dell’essere: la dynamis tou agathou.
Gli studi di Mario Vegetti sull’idea del Buono in Platone

Vedi pubblicazioni di Ferrari Franco



Francesco Fronterotta

L’anima, il corpo, il medico

Vedi pubblicazioni di Fronterotta Francesco



Silvia Gastaldi

Gli studi di Mario Vegetti sull’etica antica: un approccio innovativo

Vedi pubblicazioni di Gastaldi Silvia



Giovanni Casertano

Introduzione

Vedi pubblicazioni di Casertano Giovanni



Lidia Palumbo

Introduzione

Vedi pubblicazioni di Palumbo Lidia



Fiorinda Li Vigni

Nota di saluto

Vedi pubblicazioni di Li Vigni Fiorinda



Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Massimo Stella – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Casa della cultura di Milano – «Per Mario Vegetti» * Scritti di: Ferruccio Capelli, Michelangelo Bovero, Eva Cantarella, Fulvia de Luise, Franco Ferrari, Silvia Gastaldi, Alberto Maffi, Fulvio Papi, Valentina Pazé, Federico Zuolo.

Silvia Gastaldi, Una rivoluzione negli studi di antichistica

Eva Cantarella, MADRE MATERIA, Studi pioneristici sul femminile nell’antichità

Franco Ferrari, L’inattualità di Platone. Politica e utopia

Fulvia de Luise, La scrittura dell’utopia. Come mettere in moto un paradigma normativo

Alberto Maffi, Trasimaco fra Platone e Aristotele

Fulvio Papi, Per Mario Vegetti

Michelangelo Bovero, Pensare la politica con Mario Vegetti

Valentina Pazé, La schiavitù tra natura e artificio

Federico Zuolo, Radicalità e attualità. Sull’uso contemporaneo dei classici

Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico

Silvia Fazzo – Grazie Mario Vegetti! Per la lucidità luminosa delle tue intuizioni. Amavi la vita per tutto ciò che ha di più vero. Hai formato una intera generazione di allievi e di allievi degli allievi.

Ricordo di Mario Vegetti – Rai Filosofia
 Addio a Mario Vegetti, l’utopia di Platone e i suoi chiaroscuri – La Stampa
Mario Vegetti,  filosofo studioso di Platone – Corriere della Sera

ADDIO A MARIO VEGETTI

Mario Vegetti – La filosofia e la città: processi e assoluzioni .
Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.
Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.
MARIO VEGETTI filosofi al potere – YouTube
Mario Vegetti e Mauro Bonazzi “LO SPECCHIO DI ATENE” – YouTube
Mario Vegetti: SAPERE E SAPER AGIRE: sophia e … – YouTube
Mario Vegetti “Festival Filosofia” – YouTube
Mario Vegetti – YouTube
Associazione Marx XXI – Mario Vegetti – YouTube
Mario Vegetti – Aventino Frau: Socrate contro Trasimaco … – YouTube
Mario Vegetti: “La filosofia e la città greca” FILOSOFIA E … – YouTube
Le domande dei non credenti – YouTube

Mario Ricciardi, Simona Forti e Mario Vegetti “il Novecento … – YouTube

Mario Vegetti – Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.

Mario Vegetti (1937-2018) – «Scritti sulla medicina galenica». Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività.

Mario Vegetti (1937-2018) – Il tempo, la storia, l’utopia. Cè il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione della kallipolis attuata. L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile).


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Henri Matisse (1869-1954) – Nel campo dell’arte, il creatore autentico non è solo un essere particolarmente dotato, è un uomo che ha saputo ordinare in vista del loro fine un insieme di attività, delle quali l’opera d’arte è il risultato finale.

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«Nel campo dell’arte, il creatore autentico non è solo un essere particolarmente dotato, è un uomo che ha saputo ordinare in vista del loro fine un insieme di attività, delle quali l’opera d’arte è il risultato finale».

Henri Matisse, Scritti e pensieri sull’arte, Einaudi, Torino 1979.

 


Henri Matisse (1869-1954) – L’espressione essenziale di un’opera dipende quasi interamente dalla proiezione del sentimento dell’artista. Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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