Aristosseno (375-322 a.C.) – Il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze, perché l’amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni.

Aristosseno

«Diceva Aristosseno che il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l’amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della vita è, se mai, la spoglia del vero amore».

Giovanni Stobeo, Florilegium, III, 1, 101.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Aristotele (384-322 a.C.) – Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso che offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo.

Aristotele-Berti autenticamente filosofo

«Per studiare il processo della generazione, cioè della nascita, in tutte le sue fasi, nulla di meglio che rileggere il De generatione animalium, dove tale processo è oggetto di una descrizione famosa».

Enrico Berti, Natura e generazione degli animali in Aristotele,
in «Kriterion», Revista de Filosofia, vol. 51 no. 122, Belo Horizonte,  July/Dec. 2010.


«E perfino circa quegli esseri che non presentano attrattive sensibili, tuttavia, al livello dell’osservazione scientifica la natura che li ha foggiati offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo […]. Non si deve dunque nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso».

Aristotele, De partibus animalium ,I, 5, 645 a 7-17 (traduzione di Enrico Berti).


Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare
Aristotele (384-322 a.C.) – In qualunque campo si raggiungerebbe la migliore visione della realtà, se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo e fin dalla prima origine.
Aristotele (384-322 a.C.) – Il fatto di vivere è comune anche alle piante. Ciò di cui andiamo in cerca per l’uomo è qualcosa di specifico. Il bene umano risulta essere l’attività dell’anima secondo virtù in una vita umana compiuta, in atto nel senso più proprio. un solo giorno o un breve periodo di tempo non rendono beato e felice nessuno.

Nell’immagine in evidenza:

Ristampa dell’edizione del 1524. Contiene i tre principali trattati di biologia di Aristotele (De historia animalium, De partibus animalium e il De generatione animalium) conosciuti a partire dal Cinquecento con il titolo di De Animalibus, nella traduzione di Teodoro Gaza e in quella parziale di Pietro Alcionio. Cfr. Schreiber, Colines 96.


Enrico Berti
Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.
Enrico Berti – Per una nuova società politica
Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.
Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.
Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno
Enrico Berti – È risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica. Di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Anche le più famose negazioni di essa sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa.
Enrico Berti – Nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, ma deve costar caro […].
Enrico Berti – «Scritti su Heidegger».
Enrico Berti – Recensione al libro di Maurizio Migliori, «Il “Sofista” di Platone. Valore e limiti dell’ontologia». Per migliori il “Sofista” mostra che in Platone l’amore del dialogo supera ogni desiderio di affermare tesi particolari.
Enrico Berti – La crematistica va contro la stessa natura dell’uomo, è ingiusta e immorale. Vorrei una città in cui l’uomo realizzi tutte le proprie capacità, non solo fisiche, ma anche spirituali, per mezzo dell’educazione, dell’arte, della scienza, della filosofia.
Enrico Berti – Aristotele non era un teologo.
Enrico Berti – La fortuna di Aristotele nella storia della cultura. Oggi le sue idee sono tornate in auge in tanti modi: come l’irreversibilità del tempo di I. Prigogine, l’unità mente-corpo o il continuo matematico in R. Thom. Fanno sorridere le accuse rivolte ad Aristotele da Heidegger e dai suoi inconsci epigoni.
Enrico Berti – Pensare con la propria testa? La filosofia deve essere insegnata a tutti per sviluppare in ciascuno la razionalità, lo spirito critico, la capacità di “pensare con la propria testa”. Filosofare significa fare filosofia insieme con i grandi filosofi, “confilosofare” con loro.
Enrico Berti – Il platonismo ha il grande merito di mostrare che c’è un’altra possibilità, che dunque la giustizia è possibile. Un messaggio che lascia indifferente chi se la spassa, ma non chi soffre, lotta e spera. Non si tratta, con buona pace di Nietzsche, di nichilismo, né passivo né attivo, né, con altrettanta pace di Heidegger, di oblìo dell’essere, ma di autentico impegno, filosofico, etico e politico.
Enrico Berti – Nuovi studi aristotelici. Volume V – Dialettica – Fisica – Antropologia – Metafisica
Enrico Berti – Il dio di Aristotele.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Theodor L. Adorno (1903-1969) – Il fatto che la filosofia metafisica, quale storicamente coincide in sostanza coi grandi sistemi, abbia più splendore di quella empiristica e positivistica non è un elemento meramente estetico.

Theodor Ludwig Adorno 004

«Il fatto che la filosofia metafisica, quale storicamente coincide in sostanza coi grandi sistemi, abbia più splendore [Glanz] di quella empiristica e positivistica non è un elemento meramente estetico [ …] e neppure un adempimento di desiderio psicologico. La qualità immanente di un pensiero: ciò che in esso si manifesta come forza, resistenza, fantasia, come unità dell’ elemento critico con il suo contrario, è se non un index veri, almeno un sintomo».

Theodor Ludwig Adorno, Dialettica negativa, trad. it. di C.A. Donolo, Einaudi, Torino 1970, pp. 347-348.


Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – L’idea di un fare scatenato, di un produrre ininterrotto attinge a quel concetto che è servito sempre a sancire la violenza sociale come immodificabile.
Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.
Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – Una società emancipata è la realizzazione dell’universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore dovrebbe richiamare l’attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi […] e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura.
Theodor L. W. Adorno (1903-1969) – È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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John B. Rawls (1921-2002) – Non è necessario che gli uomini si rassegnino a subire. Il sistema sociale non è un ordinamento immutabile. La possibilità stessa di un ordine sociale diverso non è una pura e semplice possibilità logica, ma si collega alle tendenze e alle inclinazioni profonde del mondo sociale.

John B. Rawls 01

«[…] non è necessario che gli uomini si rassegnino a subire […]. Il sistema sociale non è un ordinamento immutabile al di là del controllo umano, ma è invece un modello di azione umana».

John B. Rawls, Una teoria della giustizia, trad. iL di U. Santini, Feltrinelli, Milano 1982, p. 99.

«[…] sono convinto che la possibilità stessa di un ordine sociale [diverso] può di per sé riconciliarci con il mondo sociale. Questa possibilità non è una pura e semplice possibilità logica, ma si collega alle tendenze e alle inclinazioni profonde del mondo sociale. Infatti, fin quando abbiamo buone ragioni per credere nella possibilità, sia all’interno sia all’estero, di un ordine politico e sociale ragionevolmente giusto e capace di durare autonomamente nel tempo, possiamo ragionevolmente sperare che noi o altri, un giorno o in qualche luogo, lo realizzeremo, e possiamo quindi fare qualcosa per realizzarlo. Questo solo, e in via del tutto indipendente dal nostro successo o fallimento, è sufficiente a bandire i pericoli della rassegnazione e del cinismo».

John B. Rawls, Il diritto dei popoli, a cura di S. Maffettone, trad. it. di G. Ferranti, Edizioni di Comunità, Torino 2001, p. 170.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Per il fiorire del nostro essere umani è necessario relazionarsi con il dono delle parole. Senza parole di senso si è condannati alla condizione di un’impossibile animalizzazione

Lev Semenovich Vygotsky-Bravo

La coscienza si riflette nelle parole che pronunciamo.
La parola è il microcosmo della coscienza umana.
L. S. Vygotsky

Salvatore Bravo

Per il fiorire del nostro essere umani è necessario relazionarsi con il dono delle parole.
Senza parole di senso si è condannati alla condizione di un’impossibile animalizzazione

 

Comunità e parola
La comunità è il luogo della comunicazione, [1] ogni comunità è tale se condivide significati, se le parole sono veicolo di unità e scambio. La parola è il primo dono, la parola è il luogo dell’incontro, è la soglia sulla quale ci si conosce per non restare stranieri ed estranei. Sull’uscio delle parole per la prima volta si scopre di essere parte di un tutto e di appartenersi senza padroni. La comunità è viva sulla soglia delle parole, perché nello scambio dei significati non vi è il semplice transito di informazioni: le parole uniscono il passato con il presente per orientarsi sul futuro.
Le parole sono un dono, nessuno le possiede, esse sono la testimonianza della storia che vive nel presente. Le parole sono il guscio fonetico della storia degli uomini e delle donne. Il significato delle parole ha la sua genealogia nell’uso che uomini e donne hanno fatto di esse, nell’urto che hanno provato nel vivere i significati. La parola è il dono che ogni comunità fa ai propri membri, è un passaggio di significato che esige il rispetto del presente e del passato. Trasmettere significati non è un atto neutro o meccanico, ma un atto etico: la parola ci vincola al rispetto del significato, alla trasparenza che unisce.
La parola è comunità, in quanto è un patto: nello scambio ammettiamo non solo un legame umano, ma anche la fedeltà alla promessa. Nominare significa trascendersi, è un appello all’alterità, una promessa che non solo unisce, ma implica la cura (Sorge) dell’altro e della comunità tutta. Per avere cura della comunità e dei singoli bisogna, in primis, assumersi l’impegno silenzioso di rispettare i significati.
La parola è simbolo[2] che racchiude il significato: in quanto simbolo unisce non divide, non manipola. Senza la parola non vi è concetto. Si diventa persone con le parole con le quali si scopre la dualità insita in ogni persona; ogni “io” se non parla con se stesso, non è pienamente umano. Socrate ed il suo demone: quest’ultimo è la parola resa consapevole, è il concetto che ha pensato il mondo attraverso se stesso.

 

Ambiente e mondo
Il mondo (Welt) è possibile solo se ci sono le parole, solo se i significati divengono il materiale plastico con cui dare forma al mondo. Con le parole si rompe la fosca immanenza per pensare il mondo che verrà, per scrutare i limiti del presente. Le parole umanizzano, sono la differenza ontologica tra la persona e l’animale non umano. L’animale è il suo ambiente (Umwelt), non ha parole, non può trascenderlo e simbolizzarlo, è parte integrante di esso, non immagina una possibilità altra, è addomesticato al suo eterno presente.
Il mondo c’è dove vi è comunità. Le parole uniscono, sono il logos vivo; esse uniscono e dividono, a volte confliggono; i significati possono essere portatori di dialettiche e tensioni. Ma anche nell’unità pregna di tensione vi è comunicazione. Vi è prassi se ci si sente all’altezza delle parole. Se perdono valore e significato, se indicano la doppiezza ancipite del mondo, smettono di parlarci, e lo spirito della storia (Geist) si ritrae dal presente.

 

Tradimento
La comunità (Gemeinschaft) che non riconosce il significato delle parole è solo società dei bisogni (Gesellschaft). Il tramonto dell’Occidente è l’inabissarsi delle parole, il loro uso mercantile; tradire il significato significa iniettare nella comunità la dispersione della stessa, sentire le parole e non avere fiducia che quanto detto corrisponda all’intenzione. È il tradimento del patto primo che non può che vivere della reciproca promessa di rispettare i doni ricevuti. Vi è in tal modo un doppio tradimento: verso il presente e verso il passato.
Le parole non ci appartengono, sono doni trasmessi, per cui il loro uso manipolato o retorico provoca una cesura tra il presente ed il passato. Si diventa creature astratte che non si riconoscono nella comunità del passato come del presente. La parola orwelliana è solipsismo; al suo posto vi è la chiacchiera (Gerede): nessuno ascolta la chiacchiera, la ripensa o la rielabora per fondare mondi e concetti (Begriff). Si sente, avviene lo scambio, ma si resta fuori dalla soglia-uscio che unisce, perché si è mossi dalla sola intenzione di mettere in atto il valore di scambio.
L’altro giunge a noi con le parole.
L’esito nichilistico del capitalismo nella sua fase estrema è la deflazione della parola: non vi è un linguaggio alto o basso, ma la parola è solo un’arma per arpionare il cliente, è lo slogan che parla alla pancia dell’elettore. La parola uncinata destruttura la comunità, la quale diventa, ora, solo l’insieme dell’atomistica delle solitudini.

 

Invidiare il gregge
Se le parole sono annichilite sotto i colpi della violenza dell’economicismo, l’essere umano è condannato alla disumanità, alla nuda vita. L’impotenza è l’effetto del nichilismo delle parole; se i significati corrispondono a niente, se il parlante è altro rispetto alle parole, l’impotenza regna sovrana, il pessimismo diventa sentimento comune. Si è persone se il patto con le parole è rispettato, per cui il tradimento delle parole divenuto sistema, la doppiezza del dire, non può che provocare la fuga dal linguaggio, al punto da invidiare gli animali non umani. L’ultimo uomo non crede alle parole, in quanto sono stare vendute al mercato, per cui invidia l’animale:

 

«Considera il gregge che pascola di fronte a te: non sa che cosa sia ieri, che cosa sia domani, salta di qua e di là, mangia, riposa, digerisce, salta di nuovo, e così dalla mattina alla sera, giorno dopo giorno, poco legato al suo piacere e alla sua svogliatezza, cioè al paletto dell’istante, e perciò né malinconico né annoiato. È doloroso per l’uomo vedere questo, perché egli si pavoneggia della sua umanità di fronte all’animale e, nonostante ciò, osserva con invidia la sua felicità, perché questo solo egli desidera: vivere come l’animale né annoiato né soggetto al dolore, e lo desidera vanamente, perché non lo vuole come l’animale. L’uomo domandò una volta all’animale: “perché non parli con me della tua felicità e ti limiti a guardarmi?” Anche l’animale voleva rispondere e dire: “è che dimentico costantemente ciò che volevo dire”, ma dato che dimenticò anche questa risposta e tacque, l’uomo se ne meravigliò. Egli si meraviglia anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di rimanere attaccato al passato: per quanto possa correre lontano o velocemente, la catena corre con lui. È un miracolo: l’attimo in un batter d’occhio è qua, in un batter d’occhio è là, prima nulla, dopo nulla, torna come un fantasma e disturba la tranquillità di un attimo successivo. Di continuo si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade giù, svolazza, vola indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice: “Mi ricordo” e invidia l’animale che dimentica immediatamente e che vede davvero ogni attimo morire, sprofondare nella nebbia e nella notte, estinguersi per sempre. L’animale vive così in modo non storico, poiché si muove nel presente, come un numero, senza che ne rimanga una bizzarra frazione, non sa comprendere se stesso, non nasconde nulla e appare in ogni momento totalmente ciò che è, non può essere nient’altro che sincero. L’uomo, al contrario, si oppone al pesante e sempre più pesante carico del passato: questo lo schiaccia giù o lo spinge da parte, grava sul suo passo come un carico invisibile e oscuro, che l’uomo può far finta di rinnegare una volta e che anche in compagnia dei suoi simili rinnega volentieri, per risvegliare la loro invidia. Perciò lo tocca, come se si rammentasse di un paradiso perduto, il vedere il gregge al pascolo o, in una situazione di maggiore confidenza, il bambino che non ha ancora rinnegato nulla del passato e che gioca fra gli steccati del passato e del futuro in beata cecità».[3]

 

Resistere all’inverno dello spirito deve significare riportare il logos e la parola alla sua verità. Accettare che la parola sia sostituita dalla sua imitazione nichilistica è già complicità. La fatica del concetto è il dovere primo contro la tracotanza che vuole che tutto sia, come affermava Heidegger, sottomano/allamano, ovvero manipolabile e vendibile. Contro il silenzio del turbocapitalismo bisogna rivendicare il primato della parola, la quale riporta la passione dove vige la mortificazione del silenzio. Per essere umani è necessario relazionarsi con il dono delle parole. Senza le parole di senso si è condannati alla condizione di un’impossibile animalizzazione.

Salvatore Bravo

***

[1] Comunicazione, dal lat. communicare, der. di communis «comune».
[2] Simbolo, dal latino symbolum che a sua volta si origina dal greco σύμβολον [symbolon] (“segno”) che a sua volta deriva dal tema del verbo συμβάλλω (symballo) dalle radici σύν «insieme» e βάλλω «gettare, unire ciò che è separato».
[3] F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, traduzione a cura di Monica Rimoldi, pag. 3.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Friedrich Engels (1820-1895) – L’umanità deve ora costruire il mondo in un modo propriamente umano, secondo le esigenze della sua stessa natura – così risolverà l’enigma del nostro tempo.

Friedrich Engels04

«Fino ad ora la domanda era formulata: che cos’è Dio? E la filosofia tedesca ha risposto cosÌ: Dio è l’uomo. Dopo aver colto questa verità l’umanità deve ora costruire il mondo in un modo propriamente umano, secondo le esigenze della sua stessa natura – cosÌ risolverà l’enigma del nostro tempo».

Friedrich Engels, Review of Thomas Carlyle’s «Past and Present», in K. Marx, A. Ruge, Annali franco-tedeschi, trad. it. di A. Pegoraro Chiarloni e R. Panzieri, Massari, Bolsena 2001, p. 73.


Friedrich Engels (1820-1895) – Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili (in morte di K. Marx).
Friedrich Engels (1820-1895) – Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia.
Friedrich Engels (1820-1895) – Il senso comune, per quanto sia un compagno tanto rispettabile finché sta nello spazio compreso tra le quattro pareti domestiche, va incontro ad avventure assolutamente sorprendenti appena si arrischia nel vasto mondo dell’indagine scientifica
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Piero Calamandrei (1889-1956) – L’art. 3 della Costituzione dice che occorre rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, e dunque riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto, che bisogna rimuoverli, con un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare.

Piero Calamdrei 001

La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi giovani di non sentire mai.

P. Calamandrei



«C’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’articolo 3 vi dice: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società n cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.».

Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione (1955), in Id., Lo Stato siamo noi, Chiarelettere, Milano 2011, pp.  5 ss.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lev Semenovich Vygotsky – La coscienza si riflette nelle parole che pronunciamo. La parola è il microcosmo della coscienza umana. La parola è l’espressione più pura della storicità essenziale della coscienza umana. La coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccolissima goccia d’acqua.

Vygotskij, Lev Semenovič 02

Lev Semenovich Vygotsky

 
 
«La nostra indagine ci porta alle soglie di un altro problema ben più profondo e grandioso di quello del pensiero: il problema della coscienza.
Fin qui noi abbiamo tenuto presente […] quell’aspetto della parola che era rimasto, come l’altra faccia della luna, invisibile alla psicologia sperimentale. Abbiamo tentato di considerare il rapporto della parola con l’oggetto, con la realtà; di indagare sperimentalmente il percorso dialettico dalla percezione al pensiero e di dimostrare che nel pensiero la realtà è riflessa in modo diverso che nella percezione, e che il tratto specifico fondamentale e inconfondibile della parola è il fatto che essa costituisce una riflessione generalizzata della realtà.
Ma a questo punto ci siamo imbattuti in un aspetto della natura della parola che varca i confini del pensiero in senso stretto e che può essere esaminato in tutta la sua pienezza soltanto nel contesto di un problema più vasto, il problema generale della coscienza.
Orbene: il pensiero ed il linguaggio – che riflettono la realtà in modo diverso dalla percezione –, sono la chiave per comprendere la natura della coscienza umana.
Se “la lingua è altrettanto vecchia quanto la coscienza”, se “la lingua è coscienza pratica esistente per gli altri e conseguentemente per me stesso”, se “la maledizione della materia e la maledizione di tutti gli strati mobili dell’atmosfera pesano fin dall’era primordiale sulla coscienza”, evidentemente non soltanto il pensiero, ma tutta l’attività cosciente nel suo divenire è implicata nello sviluppo della parola. […]
La parola, nell’ambito dell’attività cosciente, è quello che (per dirla con una espressione di Feuerbach) è assolutamente impossibile per uno solo ed è possibile per due.
La parola è l’espressione più pura della storicità essenziale della coscienza umana.
La coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccolissima goccia d’acqua.
La parola sta alla coscienza come un piccolo mondo a uno grande, come una cellula organica al suo organismo, come l’atomo al cosmo.
La parola è il microcosmo della coscienza umana».
 
***
 
Lev Semenovich Vygotsky, Pensiero e linguaggio, Giunti, 1971.
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György Lukács (1885-1971) – Nei giovani la dedizione entusiastica ad una causa può terminare al medesimo modo o nella fedeltà (lucida o ottusa) ad essa, o nel passaggio ad un diverso campo, oppure ancora nella perdita di capacità di dedizione in genere. Occorre esaminare se e fino a quale punto una dedizione è in grado di indurre l’individuo ad innalzarsi sopra la propria particolarità, oltre che a dar luogo ad una passione durevole.

György Lukács - passione durevole

«Nei giovani la frequente dedizione entusiastica ad una causa può terminare al medesimo modo o nella fedeltà (lucida o ottusa) ad essa, o nel passaggio ad un diverso campo, oppure ancora nella perdita di capacità di dedizione in genere […]. I movimenti giovanili così frequenti nell’ultimo mezzo secolo lo mostrano con la massima evidenza, e tanto più quanto più danno valore centrale alla giovinezza stessa […]. Occorre esaminare se e fino a quale punto una dedizione è in grado di indurre l’individuo ad innalzarsi sopra la propria particolarità, oltre che a dar luogo ad una passione durevole».

György Lukács, Ontologia dell’essere sociale. Vol. I, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale, Pgrego, Roma 2012.


«[…] qui nessuno ha bisogno del loro ardore e della loro passione […] qui le loro raffinatezze non troverebbero risonanza da nessuna parte; anche se scrivessero le loro poesie, non ci sarebbe nessuno che le amerebbe, se poi volessero realizzare nella vita i loro sogni, non ci sarebbe materia da cui potrebbero formare qualche cosa. Sono uomini spenti e delusi, guerrieri stancati prima della lotta, guerrieri feriti a morte prima dei combattimenti […]. E allora l’uno cade in basso anche esteriormente, l’altro diventa forse anche uno per bene, ma sarà spento, senza canto, senza ebbrezze, uno caduto dai sogni e dai desideri, un uomo qualunque, un uomo morto».

György Lukács, Jób novellái (Le novelle di Job), pubblicato prima in «Ventesimo secolo» e poi in Esztétikai kultúra (Cultura estetica), tr. it Roma, 1977, pp. 56-58. Cfr. György Lukács, Sulla filosofia romantica dell’esistenza: Novalis, e A lelki szegénységről (Sulla povertà di spirito).


György Lukács (1885-1971)  –  «Thomas Mann e la tragedia dell’arte moderna». Il momento puramente soggettivo, l’estraniarsi da ogni collettività, il disprezzare ogni comunità annulla ogni vincolo con la società e nell’opera stessa: autodissoluzione dell’arte in seguito a quella lontananza dalla vita ch’essa si pone per principio.
György Lukács (1885 – 1971) – Il fuoco che arde nell’anima partecipa all’essenza delle stelle. Perché il fuoco è l’anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco.
György Lukács (1885-1971) – Questo trasformarsi in merce di una funzione umana rivela con la massima pregnanza il carattere disumanizzato e disumanizzante del rapporto di merce.
György Lukács (1885-1971) – Considerazioni su «Marx, il cinema e la critica del film», un libro di Guido Aristarco (1918-1996). La tendenza generale è il dominio della manipolazione, a cui in misura sempre più vasta si va assoggettando anche, e tutt’intero, il campo dell’arte.
György Lukács (1885-1971) – Uno dei tratti più fecondi e caratteristici di Lenin è che egli non cessò mai di imparare teoricamente dalla realtà e che in pari tempo era sempre pronto ad agire.
György Lukács (1885-1971) – Il rapporto con Marx è la vera pietra di paragone per ogni intellettuale che prenda sul serio il chiarimento della propria concezione del mondo, lo sviluppo sociale, in particolare la situazione presente, la propria posizione stessa ed il proprio atteggiamento rispetto ad essa.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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György Lukács (1885-1971) – Il rapporto con Marx è la vera pietra di paragone per ogni intellettuale che prenda sul serio il chiarimento della propria concezione del mondo, lo sviluppo sociale, in particolare la situazione presente, la propria posizione stessa ed il proprio atteggiamento rispetto ad essa.

György Lukács -Nuovi argomenti

«Il rapporto con Marx è la vera pietra di paragone per ogni intellettuale che prenda sul serio il chiarimento della propria concezione del mondo, lo sviluppo sociale, in particolare la situazione presente, la propria posizione stessa ed il proprio atteggiamento rispetto ad essa. La serietà, lo scrupolo e l’approfondimento con cui egli si dedica a questo problema ci indica se ed in quale misura egli voglia, consciamente o inconsciamente, sottrarsi ad una chiara presa di posizione nelle lotte della storia attuale».

György Lukács, Mein Weg zu Marx, in «Internationale Literatur» (Mosca), n. 2 1933; La mia via al marxismo (con un post-scriptum del 1957),  trad. di Ugo Gimmelli, «Nuovi Argomenti», n. 33, luglio-agosto 1958].


György Lukács (1885-1971)  –  «Thomas Mann e la tragedia dell’arte moderna». Il momento puramente soggettivo, l’estraniarsi da ogni collettività, il disprezzare ogni comunità annulla ogni vincolo con la società e nell’opera stessa: autodissoluzione dell’arte in seguito a quella lontananza dalla vita ch’essa si pone per principio.
György Lukács (1885 – 1971) – Il fuoco che arde nell’anima partecipa all’essenza delle stelle. Perché il fuoco è l’anima di ogni luce, e nella luce si avvolge il fuoco.
György Lukács (1885-1971) – Questo trasformarsi in merce di una funzione umana rivela con la massima pregnanza il carattere disumanizzato e disumanizzante del rapporto di merce.
György Lukács (1885-1971) – Considerazioni su «Marx, il cinema e la critica del film», un libro di Guido Aristarco (1918-1996). La tendenza generale è il dominio della manipolazione, a cui in misura sempre più vasta si va assoggettando anche, e tutt’intero, il campo dell’arte.
György Lukács (1885-1971) – Uno dei tratti più fecondi e caratteristici di Lenin è che egli non cessò mai di imparare teoricamente dalla realtà e che in pari tempo era sempre pronto ad agire.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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