Giulia Angelini – Il nodo dell’èthos. A margine del libro di Claudia Baracchi, «L’architettura dell’umano: Aristotele e l’etica come filosofia prima».

Baracchi Claudia - Angelini Giulia

Giulia Angelini

Il nodo dell’ἦθος

A margine del libro di Claudia Baracchi,
L’architettura dell’umano: Aristotele e l’etica come filosofia prima.

Nato come ampliamento del precedente Aristotle’s Ethics as First Philosophy (Cambridge University Press, Cambridge 2008), L’architettura dell’umano: Aristotele e l’etica come filosofia prima (Vita e Pensiero, Milano 2014) di Claudia Baracchi è un’opera molto particolare che presenta, fin dall’inizio, due anime: se si può inserire nella più classica e scolastica tradizione degli studi aristotelici per il tema scelto e per l’ampia mole del materiale preso in esame e dei passi filologicamente analizzati, allo stesso tempo ha un’impostazione totalmente radicale che ne sorregge l’andamento. Alla traduzione e al fitto commento di numerosi passi dello Stagirita, che rimangono il canovaccio seguito per tutto il percorso, si accompagna, infatti, il tentativo di rivedere il senso complessivo della sua speculazione, complicandolo con dei nuovi elementi che ne scardinano l’impalcatura tradizionale per poi riassemblarla da capo.[1]
Concentrandoci su questo secondo aspetto, che è direttamente proporzionale all’alto rischio qui assunto, l’obiettivo che si vuole conseguire è espresso dallo stesso titolo: presentare l’etica aristotelica non tanto come una filosofia tra le altre, ma come la vera e propria, e l’unica, filosofia prima. Infatti, si vuole leggere «l’articolazione filosofica della conoscenza scientifico-teoretica […] come fondata sul vivere-in-azione, su dati fenomenologici, esperienziali e sensibili».[2] Se ne risulta che, proprio nello Stagirita, l’indagine teoretica si basa essenzialmente sul coinvolgimento della sensibilità e dell’azione, «allora l’etica (lo studio strutturale di tali ineludibili condizioni) è la disciplina che in modo cruciale, se non esclusivo, dischiude le origini, i principi e gli assunti della conoscenza e finanche della sapienza».[3] L’etica si configura, quindi, come la capacità di cogliere l’umano nella sua originarietà e a questo si deve il suo carattere primario tra le filosofie, che sancisce la sua stessa necessità per il posizionamento delle altre.[4]
Ora, anche se questo quadro preliminare potrebbe instillarne il dubbio, qui si è ben lontani da un’impostazione à la Gadamer e à la Arendt che, nel secolo precedente, hanno avuto al centro del loro pensiero queste tematiche, suscitando negli stessi critici reazioni contrastanti tra loro.[5]
Se ciò non avviene, è perché, riassumendo estremamente il movimento di L’architettura dell’umano, la posizione dell’etica al vertice della filosofia non vuole portare a un semplice ribaltamento della gerarchia delle scienze in Aristotele, quanto a un suo ripensamento che, in un certo senso, pone l’etica stessa come ontologia e, quindi, come ciò che fonda e struttura l’essere stesso degli uomini e la sua intelligibilità, che è anch’essa essenzialmente pratica. Infatti, non c’è un’etica incentrata solo sulla prassi che supera la teoreticità dell’ontologia e delle altre scienze mantenendo, in questa gerarchizzazione, un primato e, con esso, una separatezza rispetto a queste ultime, ma vi è il tentativo di far convergere i due orizzonti per porre l’etica all’inizio di esse. In altri termini, si tratta di pensare l’etica come il punto nevralgico di dispiegamento dello stesso mondo in un’interazione tra prassi e teoria che è sempre più necessario accettare per il fatto che né la teoria né la prassi si danno separatamente, quanto in un’ineludibile interazione reciproca.[6]

Tuttavia, anche con questa precisazione, la paradossalità (da intendersi letteralmente e, quindi, come un qualcosa che va contro, sopra e scansa l’opinione comune) di presentare l’etica come filosofia prima rimane: tenendo conto di tutte le difficoltà del tema, così come delle varie interpretazioni, in Aristotele la filosofia prima è la scienza dell’ente in quanto ente e delle cause, diverse, della stessa realtà. Che la filosofia prima sia l’ontologia, la teologia e la metafisica – con tutte le complicazioni di quest’ultimo termine –, non significa nient’altro che porla nella sua necessità rispetto al darsi e al pensarsi del reale. Nessun’altra scienza teoretica può aspirare a questo titolo, e non lo possono tantomeno fare quelle pratiche e poietiche, che hanno altre finalità. Infatti, rimanendo aderenti ai testi aristotelici, l’impossibilità di assurgere l’etica a filosofia prima sta anche e soprattutto nel fatto che essa, con tutte le difficoltà di tematizzazione che presenta, non ha nemmeno come fine il sapere, ma, tradizionalmente, quell’azione che l’allontana di nuovo dalla primarietà di quella che poi è diventata l’ontologia propriamente detta – o, di nuovo, la teologia e la più complicata metafisica. La filosofia prima si rivolge alla conoscenza delle realtà immutabili, e non all’azione e alla produzione.[7]
Ora, per far fronte a questa situazione, si svela il vero e proprio asse portante del libro, che non è rappresentato tanto della rilettura degli Analitici Secondi e di alcuni libri della Metafisica, a cui pure si dedica molto spazio, ma dall’apertura dell’idea tradizionale di etica, che ne esce totalmente trasformata.
Sullo sfondo di un’analisi molto dettagliata, ci si concentra su Omero, Esiodo, Erodoto[8] e perfino Platone[9] per scavare sul senso abituale di etica, problematizzando quell’“ἦθος” da cui poi essa è derivata. Se “ἦθος” significa, nella classicità, “carattere”, ma anche “costume”, “tradizione” e “abitudine”, in origine indicava la dimora di determinati animali e la casa di una particolare popolazione, finanche del sole. Al di là di quello che poi l’etica è andata a esprimere, Omero, Esiodo, Erodoto e, in un frangente, anche Platone non hanno mai tematizzato un “ἦθος” che, fin da subito, indica quelle qualità degli uomini che successivamente si sono condensate nella stabilità del “carattere”, ma con esso ci si rapporta a un qualcosa che interessa il dispiegarsi originario della vita stessa e il suo legame con un determinato mondo. È proprio questo l’aspetto che qui si vuole mantenere – e lo si fa anche proiettandolo sull’esperienzialità umana, che trova nell’“ἦθος” la sua condizione di possibilità.
Alla luce di ciò, sulla scorta di un sentire che, al di là di una certa filosofia araba,[10] si riallaccia molto al Brief über den „Humanismus” di M. Heidegger, che in queste pagine ci sembra trovare una grande eco,[11] si può sì sostenere che l’etica sia la filosofia prima, ma purché si abbandoni una sua definizione stretta, che è quella che invero si desume dalle tre Etiche e da opere a esse contigue. L’etica non attiene semplicemente alle virtù e alla felicità umana, ma è il prodursi e il venire al mondo degli stessi esseri viventi. Quindi, non bisogna assumere l’etica nella limitatezza della disciplina sul comportamento corretto o scorretto degli uomini, oppure sulla scorta di una delle altre accezioni ricavate dalle Etiche e da altri testi aristotelici, ma si deve intenderla come ciò che riguarda il fenomeno umano nel suo complesso e nel suo complessivo dispiegarsi. Proprio per questo motivo l’etica può essere detta filosofia prima, essendo che la filosofia prima si occupa, da sempre, della e delle manifestazioni originarie del mondo.
Tuttavia, mettendo per un momento da parte un’analisi più puntale dell’opera, sorge già una domanda, che non riguarda direttamente il suo contenuto, ma è un nodo ermeneutico che per forza di cose si impone durante la lettura: si può forzare così tanto la categoria dell’etica per poi leggere, attraverso essa, l’intera filosofia di Aristotele, che nella sua vera e propria formulazione non la contiene?
Per delineare una risposta, bisogna cominciare dall’omonimia, ovviamente voluta, con l’Éthique comme philosophie première[12] di E. Lévinas,[13] che, per quanto non sia minimante un testo su Aristotele, ci sembra contenere lo spirito dell’opera che stiamo analizzando: con Lévinas si ha l’occasione di pensare l’etica nella sua primarietà perché è questo che, nel concreto, compone la stessa vita – ineffabile se non nella pratica, che oltrepassa, di fatto, la razionalità tradizionale. Al di là del binarismo tra vero e falso e di tutti gli altri teoricismi, bisogna porre la stessa verità in termini irriducibilmente diversi e altri da quelli a cui siamo stati abituati. Quindi, si tratta di raffigurarla, proprio con Lévinas, attraverso l’originarietà dell’etica e dello stare insieme degli uomini, che ha alla sua base un mistero che impedisce all’etica stessa di essere colta, e determinata, una volta per tutte. Per quanto ci caratterizzi, l’etica sfugge a quella cristallizzazione che la razionalità discorsiva le impone.[14]
Ora, se è palese il background a cui guarda l’Autrice, che ci permette di leggere Aristotele tramite Lévinas, ma anche Lévinas tramite Aristotele, è perché, al di là di ogni storicismo, il motore della ricerca risulta essere il seguente: si tratta di tenere aperta, sempre e comunque, la possibilità dell’interpretazione e di innervarla ogni volta dandole nuova linfa. Al di là dei riferimenti, la filosofia risulta attraversata dagli stessi ineludibili nodi, che si devono riattivare e portare alla luce anche capovolgendo quelle che sono le sue formulazioni più abituali. Tenendo conto del terreno da cui muove, la filosofia deve continuare a interrogarsi, con l’impossibilità di terminare una volta per tutte le interpretazioni che la caratterizzano, anche perché qualsiasi risposta che si dà ha poi la necessità di essere nuovamente riaffermata.[15]
Detto ciò, lasciando inevitabilmente sullo sfondo una discussione più profonda di questo nodo, che travalica anche lo spazio di un commento, bisogna riconoscere che, se la chiave interpretativa utilizzata è molto forte, a onor del vero è sostenuta coerentemente dall’inizio alla fine di tutta l’opera, su cui si mette costantemente alla prova.
Infatti, a quest’altezza del discorso, quello stesso legame con la teoria precedentemente messo in campo inizia a farsi più chiaro: ampliare il significato di etica permette di leggere nella loro eticità l’inizio della conoscenza – e, quindi, l’αἴσθησις – ma anche lo stesso principio di non contraddizione, che è alla base della validità di qualsiasi asserzione, soprattutto scientifica. Di nuovo, non si tratta di porre la loro eticità tramite delle ricadute e delle conseguenze pratiche che essi possono avere, ma, all’opposto, come l’empiricità e la praticità del terreno da cui scaturiscono. Non potendo essere dedotti da nessun ragionamento, così come da nessuna ragione in senso forte, il sostrato dell’αἴσθησις e quello del principio di non contraddizione sono etici – e non possono che essere tali. In altri termini, non c’è un pensiero che, in origine, non sia incarnato e corporale e, soprattutto, che non si sviluppi dallo stare insieme degli uomini e dal manifestarsi, frammentario in sé, dell’umano.
Riprendendo un’osservazione dell’Autrice, che però ha alle spalle lo scarto tra il λόγος e il νοῦς, così come una disamina della dialettica, si afferma questo:

«Non è che l’etica soltanto, nella sua imprecisione e nel suo concentrarsi sul pratico, possa avere un fondamento esclusivamente dialettico. Piuttosto, le scienze stesse, ognuna di esse, sono in ultima analisi basate su principi definiti dialetticamente – dove, ovviamente, definiti dialetticamente significa articolati attraverso le pratiche della comunicazione e della comunanza, e quindi essenzialmente appartenenti alla fenomenicità e alla fenomenologia dell’ethos umano».[16]

In questo senso, si può ora aggiungere che, se l’inizio della conoscenza insito nell’αἴσθησις è un qualcosa di irriducibilmente etico, è perché niente è già dato nella mente umana e tutto si forma nel momento in cui si esperisce quello che ci sta intorno, dove l’accoglimento di questa datità, che è una delle espressioni dell’αἴσθησις, sblocca anche il sapere e tutte le sue potenzialità intrinseche. Lo stesso valga per il principio di non contraddizione, il quale, come fondamento di ogni conoscenza, è indimostrabile per chi voglia farlo se non nel momento in cui lo si nega, motivo per cui la dimostrazione, nella sua impossibilità teoretica, rimane essenzialmente pratica e, quindi, etica.
Ponendo sempre l’accento su questo aspetto, si è poi proposta una rilettura del famoso incipit della Metafisica, che fa perno sullo stretto collegamento tra la conoscenza e la stessa vista, fonte particolare della prima. Infatti, non è scorretto dire che «tutti gli uomini per natura tendono al conoscere (τοῦ εἰδέναι ὀρέγονται)», ma sarebbe meglio affermare che «essi per natura desiderano aver visto (τοῦ εἰδέναι ὀρέγονται)». La conoscenza è sempre sensibile e sensoriale e lo stesso verbo che qui viene scelto, εἰδέναι, ha un rimando ineludibile alla vista, per cui ogni sapere non può fare a meno di un qualsiasi organo sensorio – e la vista sarebbe solo un esempio. Se gli uomini conoscono, è sostanzialmente perché “hanno visto”, motivo per cui rendere la celebre asserzione in questi termini, non farebbe altro che scavare sul suo vero e proprio senso.
Nella stessa direzione, gli uomini non tendono semplicemente al conoscere, ma desiderano questa conoscenza e, se lo fanno, è perché essa è un qualcosa che è quasi connaturato alla loro natura. Si è attratti dalla realizzazione di sé in quanto esseri umani ancor prima di qualsiasi decisione si possa prendere a tal proposito. Se si desidera aver visto, è perché si esperisce questa necessità dall’interno.[17]
Sviluppando le osservazioni fin qui condotte, l’Autrice ha poi potuto affermare l’anacronistico anticartesianesimo di Aristotele: nel momento in cui Aristotele affronta il dubbio iperbolico, si arriva a capire come «il pensiero e le sue strutture logiche non sono separabili dall’esperienza, dalla dimensionalità dell’ambito fisico e, nel senso più ampio, dal coinvolgimento nell’azione».[18] I non-detti del nostro pensiero, «che comportano la massima conseguenza in relazione a cosa e come pensiamo»,[19] non solo sono indeducibili, ma ci caratterizzano fino in fondo e Aristotele stesso l’ha affermato con chiarezza. Proprio per questo motivo, bisogna accettare al di là di ogni dubbio la verità dell’esistenza – soprattutto di fronte alle incongruenze che il pensiero, di per sé, provoca e in cui continua a incagliarsi.
Ad ogni modo, se quello appena emerso è uno dei pilastri fondamentali dell’opera, ci sembra però che essa conti su un altro fondamentale passaggio, che, se non compiuto, avrebbe portato all’invalidazione di tutto il percorso.
Anche a fronte della rimodulazione di questa nozione, in cui, a torto o a ragione, si è intravista una forte impronta heideggeriana, la maggiore difficoltà di porre l’etica come filosofia prima non la si ha tanto con il confrontarsi con la filosofia prima propriamente detta, ma con la messa in campo della politica: non solo Aristotele chiama la politica, e non già l’etica, la scienza architettonica,[20] che ordina tutte le altre scienze all’interno della città, ma in vari passi lo Stagirita afferma che l’etica è addirittura una parte della politica, senza che però venga meglio precisata la qualità della subordinazione.[21] In questo senso, la vera e propria scienza è esclusivamente quella politica, che è chiamata a decidere delle altre scienze utili, o meno, alla comunità in cui si trova. Non ci può essere un’etica che prescinda da quest’ultima, o che addirittura la scavalchi.
Per far fronte a questa situazione,[22] che contiene un’eccessiva forzatura nel finire con il sostenere l’architettonicità della stessa etica,[23] si cerca di leggere la politica come etica, o meglio, l’etica come politica, mantenendo però un decisivo scarto tra le due che, se ne sancisce lo stretto collegamento, ne precisa anche la rispettiva autonomia.
Con un esempio che isoliamo dal testo,[24] che ha l’indubbio pregio di non nascondere le stesse criticità che, agli occhi di noi moderni, si presentano nella lettura dei classici, la filosofia pratica di Aristotele si presenta in questo modo: se si afferma che tutti gli uomini – e, quindi, il cittadino, lo schiavo e la donna – sono, nei precetti aristotelici, “animali politici”, è pur vero che la realizzazione di sé in quanto uomo è appannaggio del solo cittadino, che è quello che interpreta la politica e il politico nel senso stretto del termine. Da una parte, infatti, c’è un’accezione ampia di politicità che abbraccia tutti gli uomini come “animali politici” senza distinzioni di alcun tipo – motivo per cui anche lo schiavo e la donna possono esserlo –, ma, dall’altra, vi è la politicità escludente del tempo, che fa sì che solo dei determinati uomini siano liberi e che, quindi, possano realizzarsi in quanto tali.
Sviluppando il quadro, ci sembra che prenda sempre più piede questa convinzione: la politica, nella sua storicità, risulta la stessa cristallizzazione di un ordinamento ben determinato, che può produrre delle divisioni che l’originario stare insieme degli uomini, che è uno stare insieme fondamentalmente etico, non dovrebbe avere. Questo è il caso che lo schiavo e la donna testimoniano, essendo che, al di là del loro essere “animali politici”, essi mai e poi mai potranno vivere pienamente alla maniera del cittadino, cosa che invece dovrebbero aver modo di fare e che il loro essere uomini permette.
Stando così le cose, è per questo motivo che l’etica, e non già la politica, può essere definita filosofia prima: la politica risulta essere troppo istituzionalizza ed escludente per essere la vera e propria filosofia prima, titolo che invece l’etica, per il suo carattere aperto, può arrogarsi. La politica rischia di produrre delle contorsioni che il terreno dell’etica non ha, con la conseguenza che, se si ponesse la sua primarietà, che pure è uno sconfinamento che l’etica come politica prevede, le differenze e le gerarchie che porta con sé sarebbero giustificate a un livello superiore, che, però, non deve esserci proprio per mantenere l’apertura dello spazio etico originario, di contro alla chiusura e all’istituzionalizzazione di un certo tipo di politico. L’etica è più aperta ed è da ciò che deriva la sua superiorità.
Ad ogni modo, quello di cui abbiamo parlato finora è solo un aspetto de L’architettura dell’umano, che si è accentuato a scapito di moltissimi altri, come, ad esempio, quello del legame tra giustizia e amicizia, oggetto del capitolo finale del libro, che, se riassume tutto il percorso compiuto in quelli precedenti, ne affronta contestualmente i suoi possibili sviluppi.
Anche se gran parte della Rehabilitierung der praktischen Philosophie[25]ha sottovalutato questa questione (oltre a Gadamer e Arendt, ma anche a Heidegger stesso, si sta pensando a J. Ritter, M. Riedel, G. Bien, ecc.),[26] si è fatto qui doppiamente bene a sottolineare l’importanza della giustizia nell’ordine del discorso aristotelico: non solo nella giustizia si riassume ogni virtù, ma non c’è una virtù più perfetta e completa. Infatti, se tutte le virtù dei singoli si possono analizzare nella loro autonomia, le stesse hanno bisogno della giustizia per avere la loro vera e propria giustificazione e, quindi, per porsi nella loro diretta derivazione dalla città, che altrimenti non si spiegherebbe. Infatti, la giustizia finisce per riassumere ogni virtù, che è specifica, nell’ottica dell’utile della comunità, motivo per cui essere virtuosi in un singolo aspetto significa far del bene alla città e, quindi, essere giusti. La giustizia non è una semplice virtù, ma è quella virtù che permette la ricomprensione di tutte le altre.[27]
In una frase ormai celebre, Aristotele dice:

«Si ritiene che la giustizia sia la virtù più eccellente, e non sono ammirate tanto quanto lei la stella della sera o la stella del mattino (καὶ διὰ τοῦτο πολλάκις κρατίστη τῶν  ρετῶν εἶναι δοκεῖ ἡ δικαιοσύνη καὶ οὔθ› ἕσπερος οὔθ› ἑῷος οὕτω θαυμαστός), citando il proverbio, noi diciamo che “Nella giustizia si riassume ogni virtù” (ἐν δὲ δικαιοσύνῃ συλλήβδην πᾶσ› αρετὴ ἔνι)».[28]

Tuttavia, questo è solo un aspetto della giustizia, dato che nella sua accezione più ampia essa finisce per essere il vero legame tra le Etiche e la Politica: la giustizia non è un qualcosa di esterno che si impone sulla comunità soffocandola, ma serve a quest’ultima per esserci e per mantenersi stabile senza soccombere su se stessa per tutti i dissidi interni che, inevitabilmente, si vengono a creare. Essa riguarda l’ordinamento e, soprattutto, il buon governo della comunità, che, per funzionare, ha bisogno che tra i suoi membri ci sia giustizia nelle varie attività svolte, così come nel sovrintendere alle stesse.[29]
In questo senso, con un’impostazione che, nel gioco delle parti, ci sembra apertamente antischmittiana, non è assolutamente un caso che, sulla scorta di Etica Nicomachea VIII, si sottolinei la sua identità e la sua differenza con l’amicizia, con un sottotesto per cui, quando si è amici, non c’è nemmeno bisogno della prima:[30] se la giustizia e l’amicizia sono fondamentali per il legame sociale, «l’amicizia eccede di gran lunga la giustizia intesa nel suo senso più ristretto, come legalità».[31] L’amicizia, infatti, è una sorta di rispecchiarsi diretto dell’eticità originaria – senza quelle prescrizioni che la giustizia prevede. In questo senso, «in qualità di sistema giuridico-normativo che garantisce stabilità e protegge la polis dal dissenso o dalla discordia, la giustizia è la condizione necessaria per l’istituzione, la sussistenza e la continuazione della polis».[32] La giustizia, in tutte le sue innumerevoli sfaccettature, è uno dei cardini su cui la città si regge. Tuttavia, l’amicizia è forse più etica perché, nella sua essenza, non prevede quelle imposizioni che la giustizia inevitabilmente porta con sé.
Nel rapporto appena istauratosi, che riproduce su un diverso piano la coincidenza, nello scarto, che c’è tra l’apertura dell’etica e la chiusura della politica, si ha la potenzialità nascosta dell’amicizia: essa è «il più alto conseguimento concepibile della politica, o perfino […] il superamento di sé da parte della politica».[33] Proprio perché attua immediatamente ciò su cui ogni città deve pronunciarsi, «l’amicizia segnerebbe il superamento della politica come mero programma gestionale, volto a istituire norme che mantengano la coesistenza entro parametri di tollerabilità».[34] Infatti, con l’amicizia si armonizzerebbe lo stare insieme degli uomini, con il superamento delle imperfezioni che qualsiasi legge, anche solo per il fatto di essere tale, ha al suo interno.
Ora, tutt’altro che un’analisi a sé stante, è proprio qui che si inserisce un’ulteriore tesi del libro, che non solo non è ricavabile dal pensiero aristotelico, ma per la sua ispirazione «genuinamente moderna»[35] non vuole nemmeno esserlo.
Mettendo in gioco I. Kant, che, paradossalmente, riavvicina quest’opera proprio a quegli autori da cui finora si è distaccata,[36] ci si rivolge al legame tra trascendenza e immanenza, ma anche tra il singolo e la comunità – fino al profilarsi della stessa possibilità del cosmopolitismo. Si è sempre dei singoli uomini che devono vivere in un preciso raggruppamento, ma, alla fine, si sente anche l’esigenza di scavalcare questo confine per poterlo ripensare – ed è qui che viene introdotto il tema del cosmopolitismo. Esso è ciò che, di fatto, potrebbe risolvere tutti i particolarismi su cui ogni comunità ristretta si fonda, permettendo poi a ogni singolo uomo di realizzarsi in quanto tale. Si tratta di pensare a quest’orizzonte come a un’universalizzazione della stessa umanità, che è permesso anche dal carattere trascendente che appartiene all’essere umano, che non è mai definito nella sua datità.
È proprio rispetto allo slancio di questa conclusione, di cui si è riassunto solo un aspetto, che si riconferma sotto un’altra luce quel dubbio ermeneutico espresso in precedenza: al di là di qualsiasi classico venga analizzato, l’etica come filosofia prima si delinea come un impegno che si prende per tenere aperto, ora, lo stesso presente, con tutte le variazioni e le costanti che lo stare insieme degli uomini prevede nell’accavallarsi delle epoche. Non c’è solo il tentativo di assumere la primarietà dell’etica come chiave di volta di un determinato autore, ma di attivarla e poterla sempre riattivare per i tempi che incombono. Lo stare insieme degli uomini si muove sulle stesse costanti cangianti – in un nesso ineludibile tra ciò che si è e ciò che, tendendovi, si può diventare, senza che questa tensione venga mai meno.

Giulia Angelini

 

Note

[1] Si segnala fin da ora che una riproposizione di questa tesi, che ha un carattere sicuramente più divulgativo di quello che qui è stato adottato, si può trovare in C. Baracchi, Di nuovo su Aristotele e l’etica come filosofia prima, in L. Grecchi (ed.), Teoria e prassi in Aristotele, Petite Plaisance, Pistoia 2017, pp. 191-219.

[2] C. Baracchi, L’architettura dell’umano: Aristotele e l’etica come filosofia prima, Vita e Pensiero, Milano 2014, p. 7.

[3] Ibidem.

[4] Per quanto riguarda la composizione dell’opera, essa è così formata: dopo l’introduzione, in cui si fissano il problema principale e i termini in cui verrà discusso, si ha un primo capitolo – intitolato Preludio. Prima dell’etica: Metafisica A e Analitici posteriori B.19 –, e un secondo sui primi sette libri dell’Etica Nicomachea. Quasi a metà si trova un interludio su Metafisica IV, la cui prima sezione è chiamata Aporiai della scienza “dell’essere in quanto essere”. Come conclusione, l’ultima sezione è dedicata ai tre restanti libri dell’Etica Nicomachea, che completano l’analisi condotta sui precedenti.

[5] Per quanto riguarda il rischio intravisto nelle posizioni di H. G. Gadamer e di H. Arendt, si rimanda al classico F. Volpi, La rinascita della filosofia pratica in Germania, in L. Iseppi-C. Natali-C. Pacchiani-F. Volpi, Filosofia pratica e scienza politica, a cura di C. Pacchiani, Aldo Francisci Editore, Abano Terme (Padova) 1980, pp. 11-97.

[6] Come viene subito affermato dall’Autrice, «il punto non è rispondere al tradizionale privilegio della sapienza teoretica dando invece preminenza alla pratica o “riabilitando” il pensiero pratico. Piuttosto, lo scopo qui è comprendere questi registri dell’attività umana nella loro irriducibilità, certo, eppure allo stesso tempo nella loro inseparabilità. Più precisamente, l’indagine dovrebbe far luce sul modo in cui le considerazioni pratiche segnano in modo decisivo l’inizio o la condizione della contemplazione come pure di ogni investigazione discorsiva» (C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., p. 7).

[7] Per quanto riguarda una delle più note formulazioni aristoteliche, che si sviluppa nel contrasto con la fisica, cfr. Aristotele, Metaph., VI 1, 1026a 27-32 (trad. it. Aristotele, Metafisica, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2010): «Orbene, se non esistesse un’altra sostanza oltre quelle che costituiscono la natura, la fisica sarebbe la scienza prima (ἡ φυσικὴ ἂν εἴη πρώτη ἐπιστήμη); se, invece, esiste una sostanza immobile, la scienza di questa sarà anteriore (alle altre scienze) e sarà filosofia prima, e in questo modo, ossia in quanto è prima, essa sarà universale (εἰ δ’ ἔστι τις οὐσία κίνητος, αὕτη προτέρα καὶ φιλοσοφία πρώτη, καὶ καθόλου οὕτως ὅτι πρώτη), e ad essa spetterà il compito di studiare l’essere in quanto essere, cioè che cosa l’essere sia e quali attributi, in quanto essere, gli appartengono».

[8] Per quanto riguarda le occorrenze di ἦθος in Omero, Esiodo ed Erodoto, così come il rispettivo commento delle stesse, cfr. C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., pp. 61-63.

[9] Anche se nella maggior parte dei casi ἦθος è utilizzato da Platone nel suo significato classico, vi è però un’importante occorrenza, preziosa proprio per la sua rarità, dove sembra ritornare il senso antico, essendo che qui ἦθος va a indicare il giardino e il luogo che, per Platone stesso, è predisposto alla crescita e alla fioritura delle piante e anche degli stessi discorsi umani: cfr. Plat., Phaedr., 276e-277a.

[10] Con un’osservazione molto generale, nel testo, o meglio, nelle note ai vari capitoli sono numerosi i riferimenti alla filosofia araba e, in particolare, alla sintesi che ne fa al-Farabi, sia perché «l’indagine (invero la scienza) dell’etica ricerca i principi intellettuali inerenti all’essere umano, e quegli atti e stati del carattere con cui l’essere umano si adopera al perfezionamento di sé» (C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., p. 18, n. 1), ma anche per il motivo che nella sua teorizzazione si capisce l’importanza della vita in comune e dell’associazione politica «per realizzare quella perfezione per quanto possibile» (ivi, p. 234, n. 21).

[11] Al di là delle diverse finalità, si può leggere che: «Ora, se in conformità al significato fondamentale della parola ἦθος, il termine “etica” vuol dire che con questo nome si pensa il soggiorno dell’uomo, allora il pensiero che pensa la verità dell’essere come l’elemento iniziale dell’uomo in quanto e-sistente è già in sé l’etica originaria. Ma questo pensiero non è nemmeno etica per il fatto che prima è ontologia. L’ontologia, infatti, pensa sempre e solo l’ente (ὄν) nel suo essere. Ma finché non è pensata la verità dell’essere, ogni ontologia resta senza il suo fondamento» (M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1995, p. 93).

[12] Per quanto riguarda la prima pubblicazione di questa conferenza, che poi è uscita anche come volume a parte, cfr. E. Lévinas, Éthique comme philosophie première, in Id., Justifications de l’éthique, Editions de l’Université de Bruxelles, Bruxelles 1984.

[13] Oltre a E. Husserl, non è assolutamente un caso che uno dei riferimenti di E. Lévinas sia di nuovo Heidegger.

[14] Nel saggio successivo a cui si è già fatto riferimento, l’Autrice ha scritto: «Già traspare dalle considerazioni esposte finora che non ritengo insostenibile l’ipotesi interpretativa che segue da Lévinas. Che, anzi, credo colga un aspetto cruciale del pensiero aristotelico e, più ampiamente, greco […]. Ma vale sottolineare che non si tratta tanto, né semplicemente, di ipotizzare un cripto-aristotelismo in Lévinas, né di proiettare il discorso levinasiano su Aristotele. Si tratterebbe piuttosto di rigenerare il senso stesso di queste diciture (“aristotelico”, “levinasiano”), di ridare energia a contenuti e confronti che faticano a emergere e a precisarsi perché eccentrici rispetto a paradigmi abituali, istituzionali, specialistici» (C. Baracchi, Di nuovo su Aristotele e l’etica come filosofia prima, cit., p. 198).

[15] All’osservazione precedente, si aggiunge subito che: «La posta in gioco è, come sempre, l’interpretazione. Ed è salutare che l’interpretazione rimanga materia contestata, che i testi vengano ascoltati nella loro inesauribilità, per quello che può essere ancora impensato in essi, e dunque per quello che resta a venire» (ibidem).

[16] C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., p. 83.

[17] Per questa particolare questione, cfr. ivi, pp. 24-25: «Sia il desiderio di “aver visto” che l’inclinazione a “prendere in sé” puntano alla passione e alla passività che variamente segnano la condizione umana. Gli esseri umani avranno, in quanto tali, sempre già subìto l’impulso, la spinta desiderante a perseguire la visione, e con essa la consapevolezza. A sua volta, l’impulso a perseguire la visione sarà stato suscitato in virtù di un ulteriore patimento dell’anima, ancora più elementare: il patire che ha luogo come apprensione percettiva, in essa e tramite di essa. Visto alla luce della fondamentale traccia di passività, l’essere umano emerge già nella sua apertura e ricettività di fronte a ciò che non è umano. Nella sua ospitalità nei confronti di ciò che esso non è, nel suo essere abitato (se non invaso) da ciò che lo eccede, l’essere umano si manifesta dal principio come una strana struttura ontologica che si definisce attraverso l’alterità, una struttura la cui definizione comporta l’alterità da sé, e, quindi, una certa infinità, una certa mancanza di determinazione e delimitazione».

[18] Ivi, p. 263.

[19] Ibidem.

[20] Cfr. Aristot., EN, I 2, 1094a 18-1094b 2.

[21] Per le occorrenze più significative, cfr. Aristot., EN, I 2, 1094b 11-12; Rhet. I 2, 1356a 29-32 e MM, I 1, 1181a 23-26.

[22] Per questa questione, cfr. C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., pp. 66-68.

[23] Anche se non c’è nessun riscontro in Aristotele, spesso e volentieri l’etica viene chiamata scienza architettonica e questo viene fatto sulla base del legame istaurato tra l’etica stessa e la politica. Tuttavia, proprio perché, nell’opera che stiamo analizzando, se ne sancisce anche lo scarto, non si capisce come l’etica possa comunque avvalersi di tale attributo. Tra l’altro, è proprio quello che non fa essere la politica la filosofia prima, che rende la politica la scienza architettonica – e viceversa. Per questo motivo, non si spiega perché questo titolo venga ancora riferito all’etica. Sempre seguendo il filo del libro, se non lo fosse, l’etica non perderebbe certo il suo primato come filosofia tra le filosofie, anche perché quest’ultimo non è assolutamente legato alla questione dell’architettonicità, che è un problema diverso.

[24] Cfr. C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., pp. 137-139.

[25] Per questa questione, che costituisce lo sfondo della maggior parte degli interpreti qui utilizzati, si rimanda ancora a F. Volpi, La rinascita della filosofia pratica in Germania, cit. pp. 11-97.

[26] Di questo, ad esempio, ha avuto modo di lamentarsi G. Zanetti, che, dovendo trattare della categoria della giustizia nella filosofia aristotelica, ha constatato come la Rehabilitierung non l’avesse, purtroppo, mai tematizzata. Come fa sempre notare Zanetti, questo non è tanto un problema di per sé, ma risulta strano che questo nodo non venga affrontato in un fenomeno come quello della Rehabilitierung che ha avuto proprio al centro delle sue speculazioni e nei suoi interessi il tentativo di riattualizzare il versante pratico della filosofia aristotelica, che ha proprio nella giustizia uno dei suoi perni e leganti. Per la seguente osservazione, cfr. G. Zanetti, La nozione di giustizia in Aristotele: Un percorso interpretativo, il Mulino, Bologna 1993, pp. 9-11.

[27] A tal proposito, nell’opera si è costantemente fatto leva sulla specificazione del πρὸς ἕτερον, che è una delle qualifiche più importanti della giustizia.

[28] Aristot., EN, V 3, 1129b 27-30 (trad. it. Aristotele, Etica Nicomachea, a cura di C. Natali, Laterza, Roma-Bari 2001).

[29] Come scrive l’Autrice, rimarcando il carattere che la giustizia svolge nella comunità nelle varie forme che Aristotele stesso ci presenta: «Sebbene regoli la vita in comune al di là delle inclinazioni particolari, delle predilezioni e dei legami di affetto (venendo così a trovarsi in una certa tensione rispetto all’amicizia), la giustizia non si manifesta solo come indifferente imposizione normativa. Essa presuppone piuttosto un certo tenore dei rapporti umani, e in effetti risulta essa stessa da un certo clima socio-relazionale, per così dire. La giustizia come legalità, che si dice ordini la polis, mantenendola coesa e garantendone la continuità unitaria, richiede per la propria operazione che alcune caratteristiche numerico-strutturali siano date, che la polis sia una. La giustizia come esercizio della normatività presuppone una giustizia intesa in senso più primordiale: la giustizia che costitutivamente rende solidi e solidali i legami in seno alla comunità, e in questo modo tutela l’integrità dell’organismo politico» (C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., p. 155).

[30] Per l’importanza, riportiamo in maniera estesa il passo aristotelico: «A quanto pare l’amicizia tiene unite le città (ἔοικε δὲ καὶ τὰς πόλεις συνέχειν ἡ φιλία), e i legislatori si preoccupano di essa più che della giustizia, infatti si ritiene che la concordia sia qualcosa di simile all’amicizia e i legislatori perseguono soprattutto questa, mentre tengono fuori dalla città soprattutto l’inimicizia, come una nemica (ἡ γὰρ ὁμόνοια ὅμοιόν τι τῇ φιλίᾳ ἔοικεν εἶναι, ταύτης δὲ μάλιστ’ ἐφίενται καὶ τὴν στάσιν ἔχθραν οὖσαν μάλιστα ἐξελαύνουσιν). Tra gli amici non c’è nessun bisogno di giustizia, mentre i giusti hanno ancora bisogno dell’amicizia, e il culmine della giustizia è considerato un sentimento vicino all’amicizia (καὶ φίλων μὲν ὄντων οὐδὲν δεῖ δικαιοσύνης, δίκαιοι δ’ὄντες προσδέονται φιλίας, καὶ τῶν δικαίων τὸ μάλιστα φιλικὸν εἶναι δοκεῖ)» (Aristot., EN, VIII 1, 1155a 22-29).

[31] C. Baracchi, L’architettura dell’umano, cit., p. 295.

[32] Ibidem.

[33] Ivi, p. 317.

[34] Ibidem.

[35] Ivi, p. 298.

[36] Anche se per motivi totalmente differenti da quelli di quest’opera, gran parte dei membri della Rehabilitierung è partita da Kant per impostare le coordinate della sua indagine, con la conseguenza che molti testi aristotelici sono stati letti con questo retroterra. La Rehabilitierung non ha mai utilizzato Aristotele in maniera neutrale, ma, appunto, è sempre stata interessata alla delineazione di una nuova razionalità e al superamento delle dicotomie della contemporaneità, vedendo in Kant stesso un riferimento imprescindibile per la sua comprensione.


Il saggio di Giulia Angelini è già stato pubblicato in
«Syzetesis», Rivista di filosofia,
VI/1 – Nuova serie – (2019), pp. 215-228.


Giulia Angelini – Gli uomini si costituiscono in una koinonía solo se c’è un «télos» che soggiace, costituisce e precede la loro unione. non bisogna assolutamente ridurre questo télos alla mera sopravvivenza di un insieme. Senza un télos si può dare solo un raggruppamento casuale di uomini e non già un insieme.

Un tuffo …

… tra alcune pubblicazioni di Giulia Angelini …




 
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Arianna Fermani, Daniele Guastini, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Maurizio Migliori, Angelo Tonelli – Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo

Arianna Fermani, Daniele Guastini, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Maurizio Migliori, Angelo Tonelli

Arianna Fermani, Daniele Guastini, Alberto Jori,
Giulio A. Lucchetta, Maurizio Migliori, Angelo Tonelli

Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo

ISBN 978-88-7588-263-1, 2020, pp. 272, Euro 30 – Collana “Il giogo” [120]

A cura di
Elena Bartolini, Andrea Ignazio Daddi, Alessandra Filannino Indelicato

Atti del Convegno di Studi «Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo»,
Università degli studi di Milano Bicocca, 27-28 Marzo 2019.
Moderatori: Claudia Baracchi, Luca Grecchi

indicepresentazioneautoresintesi

Questo volume, curato da Elena Bartolini, Andrea Ignazio Daddi, Alessandra Filannino Indelicato, raccoglie gli Atti del Convegno di Studi «Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo», promosso dall’Università degli studi di Milano Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, e dalla Associazione «Philo. Pratiche filosofiche», il 27-28 Marzo 2019. Moderatori: Claudia Baracchi, Luca Grecchi.

Si evidenziano i relatori e i temi trattati:

Daniele Guastini
Inattualità e attualità della paideia poetica

***

Angelo Tonelli
«La Sapienza greca tra Oriente e Occidente.
Dioniso, Eleusis, Parmenide, le Upanishad e il “Mongolo di Taranto”

***

Alberto Jori
Ippocrate ‘filosofo’: dal sapere ontologico alla scienza funzionale

***

Arianna Fermani
”In ogni caso si deve filosofare”. Aristotele e l’attualità della filosofia

***

Maurizio Migliori
Platone. Amico di Socrate, l’uomo più giusto del suo tempo

***

Giulio A. Lucchetta
«Quale rischio corre Dione a Boristene?
Un bilancio della cultura greca in età ellenistico-imperiale

Elena Bartolini – Andrea Ignazio Daddi – Alessandra Filannino Indelicato

Premessa

Il presente volume raccoglie gli interventi proposti nel corso del convegno Il futuro dell’antico, svoltosi il 27 e 28 Marzo 2019 presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca: due giornate di studio volte ad esplorare, nel passato, potenzialità e insegnamenti ancora da pensare, dunque contemporanei. Studiosi importanti si sono incontrati per offrire agli studenti e alla cittadinanza l’occasione di un incontro con il pensiero antico, troppo spesso trascurato, soprattutto nelle sue connessioni con il presente, nonché nei suoi slanci verso un futuro inesplorato. Dell’antico si sono così messe in luce la densa e ancora contemporanea vitalità, nonché le conseguenti suggestioni e implicazioni sul piano formativo, etico e politico. Coordinatori scientifici del convegno sono stati la Prof.ssa Claudia Baracchi e il Dott. Luca Grecchi, il cui precipuo interesse, insieme al comitato organizzativo rappresentato dagli stessi curatori degli atti (Dott.ssa Elena Bartolini, Dott. Andrea Ignazio Daddi e Dott.ssa Alessandra Filannino Indelicato), è da sempre quello di mantenere vivo e vitale il contributo sapienziale filosofico-antico nel suo nesso con l’analisi della vita quotidiana, in tutti i suoi molteplici aspetti.
Come vedremo, l’antico risulta costantemente carico di “novità”, per cui i contributi qui presentati, pur differenti nell’impianto generale per contenuti e per approcci, hanno questo in comune: l’effervescente afflato, sentito con prioritaria urgenza, di vivere il contemporaneo non indifferenti all’amore per la saggezza che nell’antico trova origini e sviluppi ancora tutti da riscoprire e da esplorare. Quella che, allora, attraversa i vari testi come un filo rosso, potrebbe essere una sola grande domanda: quale futuro per l’antico?

***

Il primo saggio è presentato da Daniele Guastini, che offre un’analisi della paideia poetica nei suoi aspetti di inattualità ed attualità. Con l’espressione “paideia poetica” egli intende riferirsi ad una formazione dell’essere umano declinata attraverso gli elementi caratterizzanti dell’epos, delle arti visive, della pittura, della scultura e dell’architettura secondo i canoni dell’antichità classica. Fin da subito l’autore ci avverte di evitare di sovrapporre o equiparare paideia poetica ed educazione estetica, considerando quest’ultima secondo i criteri imposti dal neoclassicismo. Guastini evidenzia che la maggiore distanza tra queste due prospettive si riscontra, più che nella mancanza di centralità dell’arte nel contesto contemporaneo, nel tipo di esperienza che si ha rispetto agli oggetti indicati dalla teoria estetica come “opere d’arte”. Il momento cruciale in cui si avvera la divergenza tra queste due diverse possibilità esperienziali sarebbe da trovare nella proposta estetica di Hegel, convinto sostenitore della storicità del concetto di arte e del necessario superamento di questa da parte di religione e filosofia, e in quella di Kant, secondo cui l’arte viene a identificarsi con la creatività del genio. È con Kant che si sancisce l’inutilità pratica dell’esperienza estetica e dell’arte in genere, così come la contenuta delimitazione gnoseologica a cui questa può aspirare.
Oltre ad esporre le dinamiche di tale divergenza, Guastini ne approfondisce i motivi storico-filosofici, ripercorrendo le vie teoriche che ne hanno permesso lo sviluppo. Infine, nella terza e ultima parte del suo scritto, egli ci fornisce spiegazione circa le ragioni che portavano i greci a considerare la paideia poetica propedeutica non solo alla formazione ma soprattutto al sapere, intravedendone risvolti propositivi per la contemporaneità.

***

Con incisività, il saggio di Angelo Tonelli, dal titolo quanto mai esaustivo, conduce il lettore verso l’immediata e provocatoria comprensione del debito contratto da una inesistente – al singolare – “grecità”, nei confronti del tutt’altro-che-occidentale. Grecità bastarda, meticcia, spuria, mostrata nella sua irriducibilità non soltanto al logos che facendo parola già tradisce il mondo, ma anche al duale e al dicotomico. “Grecità” ereditata e rifratta dalle complessità dello sciamanesimo iperboreo mongolico-siberiano e trace, ma anche egiziano, iranico, persiano; riverberata nell’occulto di antichissimi echi di un Oriente taoista e upanishadico e, ancora, in radicale fusione con le inattingibili origini del pensiero. E dunque, la nascita della filosofia, pure nella forma logico-razionale contemporanea, è chiamata a cum-prehendere la vita come pratica quotidiana contemplativa e partecipativa di sat, l’intero-verità, del cosmo-cuore, dell’immanentismo-panico. Dioniso, Eleusi e Parmenide sono tra le più nitide testimonianze di questo immenso movimento di radicamento nel panorama straniero, slancio altro e invito a rieducare lo sguardo all’antico e a riconsiderare il circolo di trasmissione-ricezione del passato. Sicuramente Tonelli ha il coraggio di mostrare il futuro incerto, assieme alla violenta brutalità e all’ostilità perpetrata da un contemporaneo ladro, dimentico – più che altro per brame di potere o per necessità storico-politiche – della forza trasformativa dell’intuito (nòos) e della necessità di una vita nel segno di quest’ultimo praticata. Per quanto oggettificato, strumentalizzato, peraltro morente – un resto, insomma, una scoria non meglio individuata del soma psichico-cosmico – nòos ci attraversa e ci compone, in quanto organo di connessione umano-divino, e ancora ci interroga sul rapporto tra essere e apparire, illuminando la via sapienziale che è occidentale e orientale insieme. E tutto questo soggiace a null’altra legge se non a quella che è protetta dal non dicibile, difesa dal silenzio di un’umanità in cammino nella direzione dello sprofondamento oscuro e totalizzante del tò eón, che è anche rinascita verso un futuro dove sia possibile ereditarsi nella propria interezza s-confinata e con-fusa di mondi, tutti quelli che ci compongono.

***

Alberto Jori analizza l’epistemologia ippocratica, prima testimone e promotrice del passaggio fondamentale, e rivoluzionario su più livelli – culturale prima di tutto -, tra il modello essenzialista (o ontologico-strutturale) e il modello funzionale (o storico-evolu­tivo). Il primo, in linea con la mitopoiesi e dominato dalla ricerca delle archai operata soprattutto dalla prima filosofia naturalista, utilizza il metodo genetico come una forma riduzionistica del concetto di storicità – forma caratterizzata da linearità, staticità, reversibilità e perenne ripetizione degli eventi e dunque impli­cante una temporalità intesa nella sua astoricità o antistoricità. Il secondo invece, prevalente nel Corpus Hippocraticum e sviluppatosi inizialmente in stretta opposizione al primo, si impone con il postulato metodologico secondo cui l’uomo è prima di tutto produttore e prodotto storico e culturale, differenziandosi dalle bestie per la produzione dei suoi propri strumenti. Questo modello, che presenta per Jori echi marxisti, non soltanto ruota attorno all’asse temporale diacronico, attribuendo alla storicità il compito di investire integralmente il piano ontologico ed epistemologico, rendendoli perfettamente sintonizzati, ma vuole anche “garantire la condizione di possibilità dell’itinerario storico-culturale che traccia, nel segno del progresso”. Per questo motivo, la iatrikè va salvaguardata da possibili sconfinamenti disciplinari – come per esempio la scienza medica della nutrizione e dell’alimentazione va differenziata dalla cucina, che pure veniva considerata una proto-medicina – e va ribadito fortemente il primato di quella su qualsiasi scienza, anche della natura. In conclusione, Jori mostra come sia proprio nel passaggio dalla vana investigazione archeologica delle essenze all’indagine strutturale delle relazioni – passaggio testimoniato anche da Platone, che nel Fedro supporterà questo nuovo modello – che si gioca la vera grande provocazione di Ippocrate, provocazione che viene lasciata ai posteri in forma di eredità da riscoprire e che non allontana il medico dalla via sapienziale ma, al contrario, ne riconferma il talento di grande filosofo.

***

Arianna Fermani conduce il lettore alla ri-scoperta del versante prettamente pedagogico-formativo del filosofare aristotelico, troppo spesso ignorato, sottolineando come la dimensione della paideia sia, per lo Stagirita, un elemento cruciale ai fini della piena “fioritura dell’umano”. Se, infatti, più in generale, la filosofia greca si pone, sin dalle origini, come una “teoria generale dell’educa zione”, è in particolare con Aristotele che formazione ed etica finiscono col fondersi inscindibilmente. Esaminando soprattutto gli scritti etici e politici, allora, la studiosa tratteggia i due diversi scenari che questo rapporto costitutivo assume nel pensiero del filosofo: l’educazione è, da un lato, la “precondizione dell’etica” e in quanto tale ha nell’acquisizione della virtù – cui la stessa prepara attraverso la relazione tra il soggetto in crescita e la figura del maestro e la conseguente imitazione di un modello – il suo esito; d’altro canto, essa al contempo coincide con l’etica quale continua “attività dell’anima secondo virtù”, che sola è “garante di pienezza e felicità” per l’individuo ormai adulto. Questo attento riesame delle posizioni etico-pedagogiche aristoteliche, quindi, ci mostra come già il filosofo avesse inaugurato la prospettiva, oggi diffusa, dell’educazione permanente e ci consente di cogliere l’attualità, tutta inattuale, di un messaggio che ammonisce la contemporaneità a non recidere troppo sbrigativamente i legami tra pratiche formative e ricerca della vita buona. Una particolare attenzione viene, inoltre, attribuita al ruolo che Aristotele riserva alle passioni e al desiderio nell’ambito dello stesso processo edu­cativo attestando, in tal modo, una misurata consapevolezza del coinvolgimento di tutto lo psichismo nell’attività di formazione dell’umano che precede di molto le elaborazioni freudiane. Infine Fermani rileva, con Aristotele, la costitutiva ambivalenza dell’apprendere e dell’educare che molto spesso si danno più come necessaria “correzione dolorosa” che come piacevole esperienza ludica, per quanto lo Stagirita, nuovamente precorrendo i tempi, inviti ad adottare pratiche formative attente a non snaturare le diverse specificità soggettive o, come diremmo oggi, individualizzate.

***

Maurizio Migliori si sofferma sulla relazione amicale che intercorre tra Platone e Socrate, “l’uomo più giusto del suo tempo”, portandola ad esempio della filosofia platonica nel suo insieme. Il passaggio su cui l’autore si sofferma è tratto dalla Lettera VII, in cui si fa riferimento anche al processo che ha visto coinvolto Socrate. La figura di Socrate, tuttavia, non viene mai definita con gli stessi termini lusinghieri negli altri testi platonici; anzi, la presenza e la caratterizzazione di Socrate trovano spazio nei dialoghi solo alla luce del “gioco” dialettico cui Platone invita il lettore – un gioco in cui via via la figura socratica va scomparendo. Migliori evidenzia come, in un certo senso, i primi dialoghi platonici siano da considerarsi una genuina derivazione rispetto all’indagine socratica, preminentemente incentrata sul «che cos’è (tì êsti)»: in tali testi, Platone si concentra sulla differenza che intercorre tra l’incertezza propria del mondo diveniente e l’ordine stabile delle idee. Altro è il Socrate del Simposio che, dopo esser stato maestro di Agatone, apprende da Diotima quale sia la vera natura di Eros e quale l’ascesa verso il vero sapere, in un intreccio altalenante di sapienza ed ignoranza. L’autore si sofferma poi sia sul Fedro che sul Fedone, esempi del filosofare giocoso che permettono a Platone di manifestare quelli che lui ritiene essere i limiti della filosofia socratica. In questo modo viene accentuato l’aspetto di ricerca insito nel sapere filosofico, ma viene anche accennato il rimando al mondo altro delle idee. L’amicizia tra i due, perfetto emblema dei rapporti in cui si declina la philia greca, non significa completa sovrapposizione di pensiero, ma coesione nella ricerca, accettando i rischi che questa richiede.

***

Il volume si chiude con il contributo di Giulio A. Lucchetta che ci porta sulle tracce di Dione di Prusa, di ritorno dalla lontana Boristene, e offre una reinterpretazione della sua Orazione XXXVI. Se il retore, celebre per abilità e moderazione, narra le difficoltà con cui si è scontrato una volta giunto all’estremità dell’ecumene, e ammette il fallimento della sua strategia comunicativa presso un uditorio apparentemente fuori dal tempo, è per denunciare i limiti del logos ellenistico che, ormai “abusato e rinsecchito” da una “razionalità astratta e inconcludente”, può ben poco di fronte al riemergere di quanto, di una grecità arcaica ancora in dialogo con l’Oriente, sembrava andato perduto: di fronte all’irrompere del numinoso e dell’immaginifico, di fronte all’esperienza del thaumàzein, il dire scientifico-razionale cede il passo al silenzio oppure di metafore atte a ornare il logos”. E il mito può osare l’altrimenti indicibile. L’incontro tra Dione e la comunità boristenita, fieramente greca dai tratti ancora omerici e al contempo profondamente influenzata dalle popolazioni barbariche che la circondano, è, allora, l’esito di un viaggio che il sofista compie tanto nello spazio quanto nel tempo e il suo racconto, lungi dall’essere un mero argomento di interesse storiografico, costituisce per noi, oggi, un monito a restare aperti all’Alterità: a quella che ci circonda e a quella che ci in-forma, ci abita, dice della nostra provenienza non meno che del nostro destino.

Il convegno si è rivelato una preziosa occasione di condivisione e confronto, un vitale momento di dialogo costruttivo all’interno della comunità filosofica. Nel rendervi testimonianza, dando spazio alla pluralità di voci coinvolte così come alla diversità di approcci, questo testo vuole essere un invito a guardare l’antico con occhi nuovi, disincantati, scevri da giudizi precostituiti, per immergersi nel non ancora pensato che lì trova la sua inesauribile sorgente.

 

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Claudia Baracchi – Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche

Claudia Baracchi, Filosofia
Claudia Baracchi

Filosofia antica e vita effimera

Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche

ISBN 978-88-7588-245-7, 2020, pp. 112.

indicepresentazioneautoresintesi

I testi qui raccolti ripercorrono due seminari residenziali in cui confluivano studi di filosofia antica e un’insolita composizione di temi: il rapporto tra greco e non greco, e le peripezie del pen­siero tra il Mediterraneo degli Elleni, il Levante, l’Egitto, in onde migratorie che saranno costitutive dell’Europa; il rapporto tra filosofia e vita, soprattutto la vita sofferente, quale è variamente ma senza eccezioni la vita mortale, esposta e vulnerabile a ogni rovescio; il rapporto tra l’esercizio della ragione e ciò che la ec­cede, si chiami natura, dio, intelletto o in altro modo; al limite, il rapporto tra theoria e praxis. Volgersi al passato in una modalità interrogativa significa soprattutto ricalibrare la nostra domanda su noi stessi, chiederci come siamo diventati quello che siamo, attraverso quali vicende, ma anche e soprattutto attraverso quali dimenticanze, quali sparizioni, quali discontinuità e ricadute nella latenza. Vale a dire: come siamo giunti qui dove ci troviamo, per quali percorsi consapevoli, ma anche inconsci e bui – giacché il passato (tanto individuale quanto collettivo) è saturo di ciò che, di esso, non è stato ancora mai visto e deve ancora accadere.

 


Indice

Introduzione. Teoresi delle farfalle

Primo incontro: seminario d’autunno
Heidegger: la fine e l’inizio
Esercitare la vita

 

Secondo incontro: laboratorio di primavera
Aristotele, i poeti, Eros rilucente
Aristotele, gli antichi, gli dèi
Spazio, tempo, contraddizione

 

Immagini sulla soglia di Platone
L’albero
Il fuoco
Il rasoio e i cavalli

 

Il guerriero e la morte
Compito del guerriero
Il mito del guerriero

Riferimenti bibliografici

Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.
Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.
Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.


Claudia Baracchi, Diventare madre – YouTube


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Claudia Baracchi …


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Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

«Uomini e donne».

Platone, Apologia di Socrate, 41b-c.

L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma.
Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte che contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva

« […] la concezione antica dell’anthropos mostra che non c’è contraddizione, né incompatibilità, tra il mio interesse e quello degli altri […]. Per l’umano così inteso, l’amicizia è il fondamento di ogni registro e variazione relazionale. È il luogo in cui il singolo si realizza e in cui può darsi la solidarietà che rende l’insieme coeso. Ed è qui, in questa esperienza concreta, vissuta, singolare, che si radica lo sviluppo universale.
L’universalità non è una invenzione cristiano-moderna; gli antichi conoscono bene la prospettiva “secondo il tutto“, ma pervengono ad essa per una via completamente differente. L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, ovvero nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma.
Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte, ovvero in uno sguardo che, divenuto più capiente, contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva.
Così intesa, l’universalità si articola su uno sfondo esperienziale, mantiene il contatto con la concretezza dei vissuti, sempre differenti e cangianti, eppure anche visti nell’insieme. È così che diventa possibile comprendere la relazione, l’essere in comunione e comunanza non come insidia o camicia di forza per il singolo, ma come risorsa. […]
L’amicizia pensata more graeco […] suggerisce che stare insieme non è un caso da sopportare malvolentieri, per contratto, con rassegnazione, ma un piacere, e una possibilità di realizzazione. E soprattutto: più che un limite alla mia libertà di individuo, l’altro, gli altri, il “noi” sono ciò che rende possibile il mio essere, sono costitutivi del mio essere quello (quella) che sono, proprio l’individuo singolare che io sono.» (pp. 17).

«Noi abitanti della modernità tarda siamo a malapena in grado di intendere quello che dicono gli antichi: per loro essere buoni significa essere felici, sentirsi dischiudere nella vastità della vita, ricercandone l’inveramento» (p. 57).

Noi moderni della tarda ora siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, eampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete
«Noi moderni della tarda ora, venendo dopo Kant, abbiamo creduto di poterci emancipare dal bene-dovere rovesciandolo, appunto, in parodia. […] Resta molto arduo, per noi, intendere del bene altri risvolti, altre configurazioni possibili. E per questo, nella nostra epoca tarda, termini o espressioni come “bene comune”, “cittadinanza”, “comunità”, rischiano di perdere il senso concreto e la prossimità viva. Non riconoscendo il bene come realizzazione di sé in seno a un noi, crediamo di trovare libertà e felicità in comportamenti puramente arbitrari e sconnessi.
Oppure siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, e tramite “la macchina” comunichiamo globalmente, ormai ampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete. Ma, così intesa, la connettività è contraffazione della comunità degli amici, così come la “realtà aumentata” è contraffazione della pienezza della vita» (p. 58).

Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso,
in quell’apertura al possibile e nel possibile.
«Preso da una indominabile visione di felicità, il filosofo intravede una possibilità, indovina un riverbero di ciò che l’umano può e può essere. Tale esperienza di rapimento (un’esperienza travolgente, potenzialmente devastante nei confronti delle costruzioni umane) agisce come un promemoria inesorabile dell’irriducibilità dell’umano alle sue stesse istituzioni. Rammenta all’essere umano ciò che, in lui, supera la dimensione umana, indicandogli quello che può diventare.
Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Nell’esperienza filosofica è al contempo ricordato e annunciato l’essere umano a venire.

Il filosofo è una figura inaugurale che ritiene le tracce del lascito
ma insieme lascia presagire un’umanità nuova
Così, dunque, nell’inflessione filosofica l’eroe diventa qualcosa di radicalmente altro: una figura inaugurale, che ritiene le tracce del lascito ma insieme lascia presagire un’umanità nuova; un guerriero disarmato, privo di nome e reputazione, per il quale la lotta e il combattimento si svolgono lontani dal campo di battaglia, dalle competizioni, dagli onori e dalle benemerenze. […] La visione socratica di un altro mondo, in cui “uomini e donne” possano confrontarsi e crescere insieme evoca la comunità degli amici come comunità di dialogo e ricerca. È notevole che Socrate vi includa esplicitamente le donne. In Platone e nella tradizione pitagorica questo gesto è frequente e, allo stesso tempo, in netta controtendenza rispetto agli usi della polis. E, dovremmo dire, non soltanto in contrasto con la Atene del V e IV secolo, se è vero che nel discorso filosofico stesso finirà presto col prevalere la celebrazione dell’amicizia come relazione esclusiva tra uomini» ( p.107).

L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto

«La visione aperta dell’essere umano e della sua potenzialità (dynamis), di ciò che può fare, essere e divenire, rende possibile non solo intravedere una comunità fin qui inimmaginabile, ma anche considerarla in quanto tale non impossibile. L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto» (p. 145).

***

Risvolto di copertina

 «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto». Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.


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Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


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Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

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Il cosmo della Bildung

Il cosmo della Bildung

Risvolto di copertina

Montagna theologica, caverna cosmica o cielo della controriforma, la Cupola di Santa Maria del Fiore ha sempre rappresentato un grandioso programma idealedidattico per l’architettura. Possiamo trascriverlo in un’equazione: l’educazione sta all’ideale come l’architettura sta all’attuale. Un’espressione a quattro incognite vincolate tra loro. Tra queste quella dell’ideale è la meno chiara per le scienze e la più oscura per le coscienze. Comunque, nella cultura del nostro tempo, l’educazione è ridotta ad accumulazione di regole, l’ideale al funzionale, l’architettura a pratica socionormativa, l’attualità a cronologia. In altre parole l’ideale ci richiede sempre un enorme sforzo critico rispetto a tutti i saperi. Esso ci costringe a ripercorrere la biforcazione secolare impressa dalla cultura tecnico-scientifica all’idea di “reale”: quella tra trascendenza e immanenza.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Luca Grecchi – Insegnare Aristotele nell’Università

Luca Grecchi - Aristotele
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Per lo studio di Aristotele si possono consultare i testi dei vari autori che hanno scritto per la Trilogia sullo Stagirita.

Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Si consultino anche gli studi citati dagli stessi autori qui sotto menzionati,
a cominciare dagli studi del Prof. Enrico Berti.

Giampaolo Abbate, Claudia Baracchi, Enrico Berti,
Barbara Botter, Matteo Cosci, Annabella D’Atri, Andrea Falcon,
Silvia Fazzo, Arianna Fermani, Giovanna R. Giardina,
Alberto Jori, Diana Quarantotto, Monica Ugaglia, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta


 

Luca Grecchi

Insegnare Aristotele nell’Università

 

Per riprendere una nota affermazione di Aristotele, ossia che «l’essere si dice in molti modi», si potrebbe iniziare dicendo che anche «l’Università si dice in molti modi». Esiste infatti una pluralità di corsi di laurea, e in molti di essi si insegna la filosofia di Aristotele. Poiché tuttavia le finalità di questi corsi di laurea sono differenti, l’insegnamento di questa filosofia – la quale pure, come ovvio, è e resta una sola – può e deve essere realizzato con modalità differenti, secondo appunto le differenti finalità per cui tale insegnamento è svolto.

F. Hayez, Aristotele, 1811

Una opportuna distinzione
Occorre in effetti, per limitarsi all’essenziale, distinguere quanto meno fra i corsi di laurea in Filosofia, in cui lo studio del pensiero dello Stagirita viene affrontato in termini tradizionali, ossia specialistici e approfonditi (soprattutto nell’esame di Storia della filosofia antica), e i corsi di laurea non in Filosofia – come i corsi di laurea in Scienze della formazione e della educazione, presso cui da alcuni anni insegno alla Università Statale di Milano Bicocca –, nei quali pure il pensiero di Aristotele è trattato, ma in maniera inevitabilmente meno specialistica.
Nei corsi di laurea in Filosofia, per quanto ho potuto appurare da alcuni docenti di Storia della filosofia antica di varie Università, mi pare di poter dire che – se si eccettuano le non piccole modifiche dovute alle recenti riforme della Università e alle nuove tecnologie – l’insegnamento di Aristotele si svolge con modalità non molto differenti, oggi, rispetto a quelle dei decenni passati. Nei corsi di laurea non in Filosofia, in cui è appunto effettuato un insegnamento più “generalista” di Aristotele, vi sono invece alcune notazioni da svolgere, che possono a mio avviso essere di qualche interesse, in primis per la relativa novità di questi corsi di laurea, peraltro spesso assai frequentati.

Luca Giordano, Aristotele, 1653

La specificità dei corsi di laurea non in Filosofia
Innanzitutto, in questi corsi di laurea, occorre tenere presente che – assai più che a Filosofia – vi sono studenti con preparazioni fra loro molto eterogenee. Alcuni di loro (non pochi) si approcciano alla Storia della filosofia per la prima volta, sicché nulla, specie sul piano terminologico, può essere dato per scontato. Sovente, inoltre – salvo per coloro che si appassionano, e che scelgono poi di seguire anche i corsi di Filosofia morale e Filosofia teoretica –, all’interno di corsi di laurea in cui prevalgono esami di impronta “scientifica”, l’esame di Storia della filosofia costituisce l’unica occasione in cui questi studenti possono approcciarsi al pensiero dello Stagirita.
Tale occasione deve pertanto essere colta nella maniera migliore, in quanto le cosiddette scienze umane, o sociali, su cui si impernia la maggior parte degli esami che gli studenti sostengono in questi corsi di laurea, non aiutano molto a sviluppare una visione onto-assiologica (di senso e valore) complessiva della totalità sociale, che invece la filosofia classica favorisce.
Il punto di partenza che, a mio avviso, occorre considerare per l’insegnamento di Aristotele in questi corsi di laurea, è – aristotelicamente – il fine per cui questi giovani si sono iscritti. Si dirà che il loro fine ultimo è quello di trovare lavoro (e anche questo discorso va affrontato), ma, nella fattispecie, il lavoro che questi giovani ricercano è prevalentemente una attività orientata al sociale, o meglio alla educazione dei bambini ed alla cura delle persone in difficoltà. Per orientare in questa direzione, il pensiero di Aristotele ha davvero molto da offrire. È infatti proprio utilizzando i molteplici riferimenti all’uomo che i suoi testi propongono, che si possono maggiormente interessare questi giovani a quei temi. Come lo stesso Aristotele insegna, occorre appunto sempre avere chiaro il fine di quello che si fa; quando si ha chiaro il fine, il come organizzare la materia per realizzare questo fine, almeno nell’essenziale, ne deriva di conseguenza.

La programmazione di un corso
Per scendere più nel concreto, all’interno del corso di Storia della filosofia, di cui posso parlare per esperienza (dal prossimo anno accademico, tuttavia, collaborerò anche al corso di Filosofia morale), va detto subito che, se si desidera lasciare un po’ di spazio agli altri filosofi, non si possono dedicare ad Aristotele più di una quindicina di ore di lezione. Non sono molte, ma sono di solito sufficienti – con l’aiuto di un buon testo di riferimento (l’ideale, per questo tipo di studenti, è tuttora il volumetto di Enrico Berti, Aristotele, La Scuola, 2013) – per trasmettere alcuni contenuti essenziali. Il primo di questi contenuti, a mio avviso, è che Aristotele non si occupò solo di filosofia, ma, come noto a molti (sebbene non a tutti), anche di logica, biologia, fisica, zoologia, cosmologia, etica, politica e altro; tutte materie cui egli ha fornito un apporto considerevole, spesso tuttora valido, contribuendo a costituirle come discipline di studio, e ricercando collegamenti fra le stesse.

 

I contenuti introduttivi
Detto questo, a lezione, dopo aver esposto alcuni dei contributi più importanti della logica (quanto meno il principio di non contraddizione e del terzo escluso) dello Stagirita, e alcuni contenuti fisici e metafisici (di solito argomento il percorso che conduce Aristotele a dimostrare la esistenza del trascendente, ossia del divino, ricco di contenuti e sempre di grande interesse) e scientifici (quanto meno le osservazioni sulla causalità e sul finalismo degli enti), mi soffermo lungamente sul metodo dialettico, tipico del procedere aristotelico e direi, più in generale, proprio della filosofia. Il metodo dialettico, incentrato sulla continua interrogazione delle tesi che si desiderano esaminare, soprattutto in quegli aspetti delle stesse che risultano meno convincenti, consiste infatti non solo, didatticamente, nel miglior modo di esaminare alcune delle principali dottrine dello Stagirita, ma è anzitutto il modo più filosofico di far comprendere agli studenti la necessità di pensare con la propria testa.
Aristotele, infatti, partiva sempre, nelle proprie analisi, dalle tesi più accreditate (quelle più diffuse, o dei filosofi migliori), ma solo per saggiarne la verità, dunque la bontà, verificando in primis se esse non erano logicamente contraddittorie, e se reggevano alla prova della evidenza fenomenologica. Si tratta di un tema molto importante, in quanto purtroppo la riduzione degli spazi dedicati all’insegnamento della filosofia nelle scuole superiori rischia di consegnare al futuro giovani privi di capacità critica; capacità critica che, per essere realmente tale, non deve affatto coincidere con il ribellismo, ma deve anzi sempre essere anche capacità costruttiva, ossia capacità di fondare, di teorizzare, di progettare.

 

I temi etico-politici
Dopo queste premesse generali, che occupano di solito almeno cinque o sei ore di lezione, ritengo opportuno –per i motivi detti in precedenza – declinare la trattazione di Aristotele soprattutto sui temi etici (in senso aristotelico: dunque anche politici). Quando, infatti, argomento aristotelicamente agli studenti che l’essenziale è sempre scegliere bene il fine di ciò che si fa, e che il fine è ben scelto se consente di realizzare ciò che si è (e noi siamo uomini, ossia, per Aristotele, enti dotati di una natura razionale e morale), poiché questo soltanto consente una vita felice, la partecipazione diventa massima. Si tratta in effetti di un contenuto, come evidente, utile non solo alla loro vita, ma anche alla stessa attività che la scelta del loro corso di studi dimostra che essi desiderano svolgere. Sia infatti per educare dei bambini, sia in generale per occuparsi di tematiche sociali, conoscere che cosa è l’uomo e cosa consente di rendere felice la vita, è un contenuto fondamentale. Nel comprendere in cosa consiste la felicità, ovviamente, lascio largo spazio all’esame critico di quei fini, menzionati appunto da Aristotele, che alla felicità non conducono, come la ricerca di denaro, di piacere e di successo. Troppo spesso in effetti sia gli approcci riduzionistici delle scienze sociali, sia l’ideologia implicita nelle riforme della scuola dell’ultimo ventennio (finalizzate alla mera istruzione – dunque ad ampliare una serie di materie “strumentali” al fine di una migliore ricerca occupazionale, quali l’inglese, l’informatica, l’economia, ecc. –, ma non alla vera educazione), allontanano i giovani talvolta irrimediabilmente da queste tematiche, pure per la loro vita così importanti.
I temi etico-politici, ossia la aristotelica “filosofia delle cose umane”, sono realmente ciò che questi giovani sentono più vicini. Non si può infatti nascondere che la preoccupazione maggiore di questi ragazzi è quella di ricercare una buona occupazione per la loro vita, che gli consenta innanzitutto di mantenersi senza affanni, e che gli permetta poi di fiorire compiutamente come persone. La difficoltà attuale di realizzare anche solo il primo passo è indubbiamente ciò che angoscia di più gli studenti, almeno nella Università statale in cui insegno.
Porre a fuoco questo punto – attraverso vari temi aristotelici – costituisce a mio avviso ciò di cui, del pensiero di Aristotele, questi giovani (che spesso vivono tale problematica anche in famiglia) hanno maggiormente bisogno, ed è dunque ciò che maggiormente cerco di dare loro, basandomi come ovvio sulle opere dello Stagirita, in particolare sulle Etiche e sulla Politica.

 

Distinguere tra crematistica ed economia
Fra i contenuti etico-politici che reputo più importante trattare vi è sicuramente l’economia, che Aristotele distingueva come noto dalla crematistica. Crematistica – se mi si consente di semplificare un po’ – è ogni attività di produzione e distribuzione di beni/servizi finalizzata a massimizzare illimitatamente il profitto di chi produce/distribuisce; economia è invece ogni attività di produzione e distribuzione di beni/servizi finalizzata alla buona vita della comunità. Per Aristotele, se la totalità sociale è condotta (come oggi) in maniera crematistica, essa è condotta in maniera innaturale, poiché non è nella natura dell’uomo, ente finito con bisogni limitati, avere come fine la massimizzazione illimitata del profitto.

Viceversa, se la totalità sociale è condotta in maniera comunitaria, essa è condotta in maniera naturale, poiché è nella natura dell’uomo, ente razionale e morale, organizzare le risorse per il fine di realizzare una buona vita. Il mercato e la comunità, infatti, sono forme sociali opposte: nel primo si dà solo per avere in cambio qualcosa di più, sicché ogni persona è soprattutto uno strumento; nella seconda si dà invece per il semplice piacere di dare, sicché ogni persona è soprattutto un fine. Il fatto che la famiglia sia per l’uomo la forma più naturale di comunità, lascia pensare che il mercato – il quale necessariamente si associa alla proprietà privata (la quale cioè priva, ossia esclude, i non proprietari dall’utilizzo e dai frutti) dei mezzi della produzione sociale – non sia la forma più “famigliare” alla buona vita.
Per gli studenti, che spesso intuiscono di trovarsi all’interno di una totalità sociale non comunitaria, ossia che non ha come fine la loro felicità, ma non capiscono bene perché, comprendere questo punto è fondamentale, in quanto la loro esclusione – o l’esclusione dei loro genitori, o di altre persone care – dal processo della riproduzione sociale complessiva è spesso introiettata come un fallimento, ossia come un loro (o dei loro cari) non valer nulla. Comprendere invece che sono immersi in una totalità sociale che funziona avendo come fine il profitto e non la buona vita, ha quanto meno, in primo luogo, un effetto catartico (secondo la Poetica di Aristotele, la rappresentazione poetica produce catarsi quando la storia narrata produce timore o compassione, se ci si può immedesimare nelle vicende della azione: e chi meglio di questi ragazzi può immedesimarsi nella situazione, insieme preoccupante e penosa, della conflittualità e della precarietà del mondo che li attende?). In secondo luogo, questa comprensione ha anche un effetto educativo, di conoscenza della realtà in cui sono immersi, e di conseguente presa d’atto della necessità di migliorarla, di renderla maggiormente a misura d’uomo. Il motivo per cui molte persone non trovano un lavoro, nonostante i gravi bisogni sociali insoddisfatti del nostro pianeta (cibo e medicine per i poveri, assistenza, ecc.), dipende infatti dalla medesima causa – il fine sistemico del profitto – per cui si soddisfano bisogni futili (gioielli, moda, ecc.), ma non ci si cura dei problemi più importanti.
Comprendere, grazie ad Aristotele, che si può immaginare la totalità sociale in maniera radicalmente alternativa – mutando il fine, muta anche la struttura, dunque l’essenza delle cose – a quella attuale, è molto importante per avvicinare costruttivamente i giovani alla riflessione politica, la quale da sempre nella antica Grecia accompagna la riflessione filosofica.                       

Rembrandt, Aristotele contempla il busto di Omero, 1653.

Conoscenza teoretica e ricerca causale
Un altro tema (mi è possibile, in questa sede, svolgere solo alcuni sintetici esempi), stavolta più teoretico, che appassiona molto gli studenti, e che tende ad avvicinarli anche alla riflessione metafisica di Aristotele, è il tema della ricerca causale. La considerazione, infatti, che di ogni fenomeno, sia esso naturale o sociale, non ci si deve fermare ad analizzare la causa più prossima, ma occorre risalire fino alla causa prima, viene sentita giustamente come fondamentale. Le cause dei fenomeni vanno inoltre indagate in ogni direzione per poterli comprendere nella maniera più completa. Questo in generale, in un’epoca in cui la riflessione teoretica (e in particolare filosofica) viene svalutata, contribuisce a far interiorizzare che per realizzare una buona prassi di vita, individuale e sociale, è sempre necessaria una buona conoscenza teoretica.
La “filosofia pratica” di cui parlava Aristotele, “scienza architettonica”, era del resto a pieno titolo una ricerca veritativa, ossia una ricerca di come stanno le cose (umane), e del perché stanno proprio in quel modo; una ricerca finalizzata peraltro all’azione, ossia anche a modificare un certo stato di cose, qualora esso non sia rivolto al bene, ovvero alla realizzazione della vita per come deve essere.
Detto questo, non pretendo di conoscere, o di avere ben descritto in queste poche pagine, il modo migliore di insegnare Aristotele nell’Università. Avrei forse in merito potuto essere più tecnico, ossia fare qualche citazione o qualche riferimento bibliografico in più. L’esperienza di questi anni, tuttavia, mi ha posto di fronte, soprattutto, giovani bisognosi di un orientamento filosofico generale in grado di ben governare la loro vita. Aristotele a mio avviso, sul piano educativo, fornisce ancora oggi l’orientamento migliore, sicché, nel poco tempo in cui è possibile trattare del suo insegnamento, mi è sempre sembrato opportuno concentrarmi principalmente su quanto esso ha di più importante da dire.

 

                   Luca Grecchi

Università degli Studi, Milano Bicocca

 

Articolo già pubblicato sulla rivista “Nuova Secondaria“, Mensile di cultura, ricerca pedagogica e orientamenti didattici, N. 6, Febbraio 2018, Studium, Editrice La Scuola, pp. 37-39.


Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori,
Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

Teoria e prassi in Aristotele

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Il presente volume è il terzo di una serie di collettanei aristotelici, cominciata nel 2016 con Sistema e sistematicità in Aristotele, e proseguita nel 2017 con Immanenza e trascendenza in Aristotele, tutti editi a mia cura presso questa casa editrice. A questi volumi hanno partecipato alcuni fra i maggiori studiosi italiani dello Stagirita, che desidero nuovamente ringraziare per la loro disponibilità e gentilezza, ma soprattutto per l’ennesimo dono che hanno voluto fare agli studi aristotelici.
Il volume di quest’anno, Teoria e prassi in Aristotele, nasce con l’intento di esaminare alcune distanze, spesso rilevate dagli studiosi, fra la teoria e la prassi nel pensiero aristotelico. Il tema è stato analizzato, come di consueto, secondo una pluralità di punti di vista ed approcci.
L’apertura del volume, come da tradizione, è stata anche stavolta un dialogo generale tra lo scrivente e Carmelo Vigna. A questo dialogo, sempre come da tradizione, ha fatto seguito un commento di Enrico Berti, caratterizzato da notazioni profonde ed essenziali. Di seguito, vi sono stati interventi assai puntuali inerenti soprattutto il piano etico (Marcello Zanatta), politico (Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Alberto Jori), teoretico (Claudia Baracchi, Mario Vegetti), economico (Silvia Gullino, Luigi Ruggiu), sociale (Giulio Lucchetta) e scientifico (Lucia Palpacelli).
Il volume è già sufficientemente ampio, per cui mi posso limitare, in questa occasione, ad un ricordo speciale, quello dell’amico Mario Vegetti, che ci teneva molto ad essere presente con un saggio. Rammento con affetto la sua ironia sui «dialogoni metafisici» fra me e Vigna che aprono questi volumi.
Per il 2019, l’intenzione è di iniziare una trilogia sul pensiero platonico, cominciando con un collettaneo sulle Leggi, un dialogo relativamente poco indagato, rispetto almeno alla Repubblica. Tutto questo, come sempre, si potrà attuare – oltre che mediante la collaborazione di ottimi studiosi, negli anni divenuti amici – grazie alla passione culturale di Carmine Fiorillo, fondatore e “reggitore” di Petite Plaisance, al quale anche stavolta esprimo la mia vicinanza e gratitudine.

Luca Grecchi


 

Giampaolo Abbate, Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter,
Matteo Cosci, Annabella D’Atri, Andrea Falcon, Arianna Fermani,
Luca Grecchi, Alberto Jori, Diana Quarantotto, Monica Ugaglia, Carmelo Vigna,
Marcello Zanatta

Immanenza e trascendenza in Aristotele

indicepresentazioneautoresintesi

 

Questo volume, seguito ideale di Sistema e sistematicità in Aristotele (Petite Plaisance, 2016, a cura di Luca Grecchi), raccoglie i contributi di alcuni fra i maggiori studiosi di Aristotele sul rapporto fra fisica e metafisica nel pensiero dello Stagirita.
Si troveranno esposti, nell’ordine: il tema della dimostrazione della esistenza del trascendente nel pensiero dello Stagirita (Carmelo Vigna, Luca Grecchi ed Enrico Berti); il tema della immanenza e della trascendenza nell’etica di Aristotele (Arianna Fermani); il tema della sostanzialità e trascendenza del bene nella filosofia aristotelica (Marcello Zanatta); il tema della eternità del mondo in Aristotele e nel primo aristotelismo (Andrea Falcon); il tema della finitezza del cosmo in rapporto alla infinità del principio trascendente aristotelico (Alberto Jori); il tema della indicibilità trascendente del nous in Aristotele (Claudia Baracchi); il tema della matematica immanente (e finita) di Aristotele (Monica Ugaglia); il tema degli effetti del Primo motore immobile aristotelico sugli enti naturali (Diana Quarantotto); il tema della nozione non-trascendentale di verità in Aristotele (Matteo Cosci); il tema dei rapporti fra immanenza ontologica e trascendenza epistemologica nel pensiero dello Stagirita (Barbara Botter); il tema della relazione fra immanentismo ed aristotelismo nel pensiero di David Malet Armstrong (Annabella D’Atri); il tema dei rapporti fra finalismo e sillogismo in Aristotele (Giampaolo Abbate).


 

 

Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter,
Matteo Cosci, Silvia Fazzo, Arianna Fermani,
Giovanna R. Giardina, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

Sistema e sistematicità in Aristotele

indicepresentazioneautoresintesi

L’idea di riunire le riflessioni di alcuni fra i maggiori studiosi di Aristotele sul tema della sistematicità del suo pensiero, è nata dal fatto che, nonostante da più parti lo Stagirita sia considerato l’autore di una vera e propria enciclopedia del sapere, i testi che si occupano di questo tema sono davvero pochi. Questo libro, dunque, nasce principalmente dal desiderio di vedere colmata una lacuna non marginale nella interpretazione di un pensatore importantissimo. Questo desiderio è stato fatto proprio da tutti gli Autori dei saggi qui riuniti, che per questo ringrazio. Il presente volume non fornisce quindi una esposizione del “sistema di Aristotele”, bensì una panoramica dei diversi modi in base a cui il pensiero dello Stagirita può definirsi “sistematico”. Scopo di questa introduzione è solo quello di fornire una breve sintesi dei vari contributi, sottolineandone gli aspetti di maggior interesse.
Il primo saggio, per il suo carattere introduttivo, è una “intervista-dialogo” da me effettuata a Carmelo Vigna. Il Prof. Vigna, cui sono legato da una amicizia pluriennale, ha per vari motivi preferito questa forma di esposizione orale, nella quale è indubbiamente maestro, esponente di quella “antica scuola classica” (so che queste parole non gli saranno sgradite) che, se da un lato annovera ancora, anche in questo volume, diversi esponenti, dall’altro lato trova, in molti giovani studiosi qui presenti, una ammirevole forma di continuità.
La tesi principale che Vigna sostiene, in questo saggio, è che in Aristotele vi fu sicuramente «una qualche veduta sistemica della realtà», ma non «un vero e proprio sistema, cioè una teoria completa che ne rifletta la struttura». Pur nella «relativa elasticità sistemica dei testi aristotelici», a dispetto del clima dominante che tende a concentrarsi sui frammenti senza cogliere l’intero, Vigna pone invece l’accento sul «nucleo speculativo fondamentale» che Aristotele espone tracciando quella «mappatura categoriale e metacategoriale dell’essere» che costituisce ancora, sostanzialmente, il nostro modo di guardare il mondo.
Un secondo contenuto che Vigna pone in evidenza è il particolare approccio metodologico dell’opera aristotelica. Esso parte appunto, come noto, dall’analisi dei fenomeni (in fisica, intesa in senso ampio) e delle opinioni rilevanti (in etica, sempre in senso ampio), ossia da ciò che è primo “per noi”, cercando di raccogliere dialetticamente la molteplicità in unità, giungendo infine a ciò che è primo “per sé”. Questa modalità conoscitiva conduce a strutturare il sistema aristotelico non come un sistema deduttivo, bensì appunto come un sistema «induttivo», in quanto tale strutturalmente «aperto ed articolato».
Un terzo contenuto che Vigna sottolinea è che la «problematicità» del sapere aristotelico, su cui molto si è discusso soprattutto negli ultimi trent’anni, non deve essere eccessivamente enfatizzata: non si deve cioè pensare che, per Aristotele, tutto fosse problema. Ci sono infatti, nell’opera dello Stagirita, parecchi «nuclei solidi» che non fanno problema, ossia che, per la loro conformità al fondamento logico-fenomenologico (in sostanza al principio di non contraddizione), risultano incontrovertibili, e quindi non problematici. Essi costituiscono i nodi forti del sistema aristotelico.
Un quarto contenuto che Vigna rimarca – ancora una volta in opposizione ad alcune analisi recenti, e basandosi su quanto poc’anzi affermato – è la necessità di mantenere un rapporto forte, nel pensiero aristotelico così come in generale, fra la metafisica e l’etica, ovvero fra la teoria e la prassi; per Vigna, infatti, «l’etica aristotelica è certamente caratterizzata da una struttura teorica previa […] orientativa dell’azione in generale». La filosofia aristotelica insomma, grazie alla sua solida struttura teoretica, «presenta un disegno unitario: indica chiaramente il fine ultimo della azione umana e i mezzi con cui arrivarci».
Di particolare originalità, infine, un passaggio sul Motore Immobile. Di fronte infatti alla ipotesi da me esposta che, sul piano strettamente teoretico, il sistema aristotelico possa reggersi anche senza la trascendenza, non ho trovato la rigida opposizione che da un metafisico classico come Vigna mi sarei aspettato. Alla mia esplicita affermazione, cioè, secondo cui il Primo Motore, «questo Principio sempre in atto e dunque immateriale, potrebbe anche essere identificato con le leggi fisiche eterne, anch’esse sempre in atto ed immateriali, che strutturano l’universo», Vigna ha lasciato aperta la porta («può anche essere così») a questa possibile lettura immanentistica del cosmo aristotelico.
Per ragioni di continuità, il secondo saggio inserito è quello di Enrico Berti, che si intitola appunto Esiste un sistema di Aristotele? Commento alla discussione tra Luca Grecchi e Carmelo Vigna. Qui Berti, con la consueta chiarezza ed ampiezza di sguardo, delinea i punti più salienti della trattazione del tema della sistematicità in Aristotele, menzionando peraltro alcuni fra i principali lavori moderni (non molti, come detto) inerenti questo argomento. Egli rimarca anche, in apertura, il proprio accordo «con Vigna e Grecchi nel parlare, a proposito di Aristotele, di sistema induttivo e aperto, che significa non deduttivo, cioè non implicante una connessione necessaria fra tutte le sue parti, e non concluso, cioè non tale da spiegare l’intera realtà in modo esauriente e definitivo».
Tra le varie considerazioni notevoli Berti sottolinea, sul piano storico, come la prima e forse maggiore opera di sistematizzazione del pensiero aristotelico sia stata proprio quella della sua scuola, in particolare con Alessandro di Afrodisia. Quest’ultimo tuttavia aveva erroneamente escluso che la filosofia di Aristotele procedesse con metodo dialettico, ritenendo che essa procedesse con metodo dimostrativo, aprendo la strada, nei secoli, ad una sistematizzazione deduttiva e dogmatica della metafisica in chiave teologica, non rispondente allo spirito originario.
Sul piano più strettamente teoretico, Berti evidenzia ancora di concordare sul fatto «che, alla base dell’intera filosofia di Aristotele ci sono alcune categorie, cioè nozioni generalissime, fondamentali, quali la distinzione tra sostanza e accidenti, tra materia e forma, tra motore e fine, cioè la cosiddetta dottrina delle quattro cause (che non è propriamente una dottrina, ma è essenzialmente uno strumento di ricerca), e la distinzione tra potenza e atto», pur rimarcando che queste categorie non formano propriamente «l’ontologia» di Aristotele, concetto tipicamente moderno. Rimane comunque la teoria delle cause, secondo Berti, il vero nucleo del sistema aristotelico: tesi con la quale concordo pienamente.
Pur confermando il «primato della fisica» in Aristotele, Berti sostiene anche, in maniera dialettica, di non concordare con la ipotesi da me formulata secondo cui «il Primo Motore, in quanto sempre in atto, e quindi non materiale, potrebbe essere identificato con le leggi eterne che strutturano l’universo, le quali sono anch’esse non materiali. Le leggi eterne sono infatti una forma di ordine, e quindi rientrano nel genere di quella che per Aristotele era la causa formale; ma, come Aristotele obietta alle Idee ammesse da Platone, le forme eterne non sono sufficienti a spiegare l’universo, se non c’è un principio capace di produrre mutamento […], cioè un principio attivo, qualcuno insomma che agisca». A tal proposito, per continuare un dialogo amicale che dura anch’esso da anni,1 vorrei aggiungere che, a mio avviso, «le leggi eterne» del cosmo fisico non sono solo forme (come le Idee platoniche), ma anche forze, in quanto agiscono eternamente sulla materia – come ad esempio la legge di gravità –, e producono dunque, proprio in quanto causa efficiente, quell’eterno mutamento del cosmo attivato appunto dal Primo Motore. Esse quindi sono «ciò che agisce», senza che sia necessario «qualcuno che agisca».
Per passare ad un altro punto, oltre a concordare sul rapporto – che anche a suo avviso dovrebbe essere interpretato in modo molto più stretto nel pensiero aristotelico – fra teoria e prassi, Berti rimarca che, «se si vuole trovare un sistema, se pure aperto», nel pensiero dello Stagirita, il luogo migliore in cui cercare è la classificazione aristotelica delle scienze. Così è in quanto essa abbraccia tutte (o quasi) le scienze, stabilendo dei rapporti tra di esse, e dunque ricercando unità nella molteplicità delle medesime. Berti rimarca infine – ed anche su ciò concordo pienamente – che «l’ordine dell’edizione di Bekker, con il primato della logica, l’anteriorità della fisica alla metafisica, delle scienze teoretiche alle scienze pratiche e poietiche, dell’etica alla politica e della retorica alla poetica, è quello che meglio corrisponde al pensiero di Aristotele, e che quindi deve essere conservato nelle esposizioni complessive del suo pensiero», per renderne nel modo migliore l’ordine strutturale.
Il terzo saggio di Arianna Fermani, intitolato Quale “sistema” e quale “sistematicità” in Aristotele?, esamina, con la consueta lucidità ed essenzialità propria di questa Autrice, i punti nodali della questione. Fermani inizia con l’osservare che, nonostante indubbiamente la maggioranza degli studiosi abbia descritto la filosofia di Aristotele come «sistematica» – quando non addirittura come un vero e proprio «sistema» –, vi è stata anche una minoranza di interpreti critici nei confronti di questa visione ermeneutica. Per cercare di sciogliere questo nodo, che come spesso accade, nell’opera aristotelica, deriva dal fatto che «l’essere si dice in molti modi», l’Autrice utilizza come criterio orientativo di partenza quello lessicale, considerando il numero di occorrenze del termine «sistema» all’interno del corpus ed analizzandone i vari significati. Avvalendosi dell’utilissimo Lexicon curato da Roberto Radice, la studiosa mostra che il termine ricorre cinque volte, ma che esso assume, nei vari contesti, significati fra loro anche molto diversi, sebbene tutti accomunati dalla nozione di «unione» o «composizione di più elementi».
Partendo da questo dato, l’Autrice svolge una analisi ricca ed articolata. In questa analisi sottolinea che il termine «sistema», inteso modernamente come «edificio dottrinale», è parola che non si incontra quasi mai prima dell’epoca ellenistica. Pertanto, qualora qualcuno chiedesse ad un redivivo Aristotele di qualificarsi o meno come pensatore “sistematico”, verosimilmente egli non saprebbe cosa rispondere, non intendendo bene la domanda. È necessario infatti – vuole dirci Arianna Fermani –, prima di intraprendere questa analisi filosofica, chiarire bene il significato dei termini «sistema» e «sistematicità», cosa che l’Autrice compie ottimamente offrendo due scenari interpretativi: indicando cioè il concetto di «sistema» in base a cui il pensiero di Aristotele può definirsi «non sistematico», ed il concetto in base a cui invece può definirsi «sistematico».
Nel primo scenario, utilizzando il termine strictu sensu, ovvero considerando “sistematica” solo quella filosofia che «riconduce tutti i propri enunciati ed i loro collegamenti sotto un unico principio», la filosofia di Aristotele, irriducibilmente polivoca, non può essere considerata sistematica. Non vi è infatti, nell’opera dello Stagirita, un simile principio. Nel suo considerare «molte categorie (seppur tutte con riferimento alla sostanza), molti sguardi sulla realtà e, analogamente, molti metodi di indagine, l’approccio aristotelico, in questo senso, si considera come costitutivamente e radicalmente antisistematico».
Nel secondo scenario, utilizzando il termine latu sensu, l’Autrice esamina invece i sensi in cui si può affermare che la filosofia di Aristotele fu sistematica, ossia strutturata come una unità organica le cui parti sono fra loro connesse in maniera multivoca. Si può in merito sostenere, con l’Autrice, che in questo più corretto significato «il sistema, nell’ottica dello Stagirita, è esattamente un holon, ovvero una unità dotata di senso, strutturata secondo una logica flessibile e dinamica in cui le parti sono legate all’intero e viceversa, in cui gli elementi costitutivi dell’intero vengono unificati senza essere ridotti, acquisendo, da questa unificazione, una adeguata collocazione, una funzione e un ordinamento appropriati». In sostanza, la medesima concezione di «sistema aperto» indicata anche da Vigna e da Berti come la “bussola orientativa” in grado di far comprendere il senso della sistematicità in Aristotele.
Il quarto saggio, di Marcello Zanatta, si intitola Sistema e metodi in Aristotele. Con la accuratezza propria dei suoi numerosi studi aristotelici, l’Autore inizia con alcune precisazioni concettuali circa i termini utilizzati nel titolo. In par­ticolare, Zanatta mostra che il termine «metodo» ha avuto molta rilevanza a partire soprattutto dalla filosofia moderna, con Descartes, per il quale esso significa «il criterio, vale a dire l’insieme di regole, che permette di distinguere il vero dal falso e, sul piano pratico, di organizzare l’esistenza». Questa concezione moderna ha però il difetto di allontanare un po’ dalla concezione aristotelica del metodo come “via per”, conducendo ad assimilare il metodo unicamente alla ricerca scientifica in quanto tale.
Zanatta ricorda come anche in Aristotele, come emerge soprattutto nei Topici, «metodo» indica pure «l’organizzazione di un sapere o di una ricerca», e dunque presuppone che chi parla possieda già certe conoscenze. Tuttavia, accanto a questa valenza del termine, Zanatta rimarca giustamente che la principale rimane quella «per la quale esso non indica modi di organizzare delle conoscenze, ma la ricerca di esse e, più determinatamente, queste stesse»: il metodo, appunto, come via per, come «il ricercare stesso». Alla differenza fra queste due concezioni, per non incorrere in ambiguità, lo studioso invita giustamente in via preliminare a porre la dovuta attenzione.
Chiarito questo, Zanatta passa a considerare il concetto di «sistema», rimarcando ancora una volta la differenza fra la concezione moderna e la concezione antica del termine. Anche stavolta la modernità – prima sintetizzata, per quan­to concerne il metodo, con Descartes – è correttamente sintetizzata con la concezione di Hegel, secondo cui «il sapere filosofico si sviluppa nei suoi vari ambiti secondo una concatenazione rigorosa la quale è garantita dal procedimento metodico unitario della dialettica». All’interno di questa concezione moderna, così come all’interno della concezione sistematica del sapere intorno ad un principio unitario di cui parlava Arianna Fermani, il pensiero di Aristotele non può affatto definirsi sistematico. Zanatta precisa infatti che, per lo Stagirita, più che di un concetto di «sistema» occorre parlare di un concetto di «in forma sistematica», in quanto, a suo avviso, «la compattezza e la organicità di una trattazione non sono raggiunte da un unico metodo, ma possono essere il risultato di differenti metodi. In particolare, di quello apodittico e di quello dialettico».

È in particolare sul metodo dialettico, effettivamente il più importante, che Zanatta incentra l’attenzione, soffermandosi sui cosiddetti «dialoghi» di Aristotele, tali come noto latu sensu; essi infatti sono definiti in questo modo poiché il metodo dialettico vi rappresenta il tratto più caratteristico, in quanto la dottrina filosofica dello Stagirita viene esposta per lo più in forma dialogica, con contrapposizione di opinioni ed esame critico delle stesse. In essi, così comunque come nella maggior parte delle opere del corpus, Aristotele utilizza una forma espositiva molto diversa da quella del trattato, «nella quale una dottrina già acquisita ed accertata viene esposta in modo organico e sistematico in sequele di dimostrazioni, in vista dell’insegnamento»: col metodo dialettico si vaglia la consistenza epistemica della conoscenza in base alla sua capacità di resistere ai vari tentativi di confutazione.

A differenza del metodo dimostrativo, il metodo dialettico denota una modalità di procedere nella trattazione della materia che mostra la tipica concezione aristotelica del metodo come via per raggiungere un certo risultato in un certo ambito. Zanatta rimarca giustamente che l’utilizzo dei due differenti metodi era praticato da Aristotele distinguendo i differenti contesti, non i differenti oggetti di trattazione. In alcuni contesti cioè, come quello di scuola, il metodo dimostrativo risultava il più adatto per disporre in modo ordinato i risultati acquisiti nelle ricerche; in tutti gli altri contesti, tuttavia, un metodo come quello dialettico risultava più adatto, ripercorrendo il processo che aveva condotto a determinati risultati.
Zanatta ribadisce dunque nella maniera più chiara che il «sistema aperto» di Aristotele si esprime in modo diverso secondo i contesti, e che quando anche si esprime con la dialettica anziché con la analitica, non per questo si deve ritenere che esso sia esposto in modo meno rigoroso. Nella seconda parte dello scritto il Prof. Zanatta, in maniera altrettanto accurata ma che non è possibile qui esaminare, dimostra la validità della tesi esposta anche per l’ambito particolare delle scienze, limitandosi per motivi di spazio ad analizzare una sola scienza teoretica, la fisica, ed una sola scienza pratica, l’etica.
Il quinto saggio è di Claudia Baracchi, e si intitola I molti sistemi di Aristotele. Si tratta di un testo che presenta non solo una feconda ricchezza teoretica, ma anche una grande ampiezza di riferimenti alla tradizione, in linea con la sensibilità culturale della Autrice. Il testo ricostruisce peraltro inizialmente – per quanto ovvio in maniera sintetica – la storia del corpus aristotelico, soffermandosi in modo particolare sulla fondamentale opera svolta, in tal senso, da Andronico di Rodi, rimarcando come il sistema aristotelico non si sarebbe probabilmente imposto in maniera così evidente, senza la sintesi che presentò Andronico.
Come i precedenti Autori, anche Claudia Baracchi ricorda che, «come quasi tutto in Aristotele, anche sistema può dirsi in molti modi», ponendo giustamente l’accento sulla differenza fra sistema e sistematicità. Per l’Autrice infatti in Aristotele, ferma restando la presenza di una «molteplicità raccordata», di una «articolazione di insieme che compone le differenze», vi è «sistematicità» più che «sistema»; o, il che è pressoché lo stesso, vi è un «sistema aperto», ovvero «articolazioni sistematiche incomplete e in divenire», ben lontane dalle «cristallizzazioni dogmatiche» in cui è caduta una parte della tradizione.
Per l’Autrice, nel sistema aristotelico «il momento culminante coincide con una apertura, ovvero con la volontà di una adesione alle cose stesse: adesione che non può che essere permanente, in corrispondenza alla inesauribilità delle cose in costante rivolgimento e fluttuazione» manifestantesi peraltro in un contesto di «persistenza di condizioni oscuranti e limitative: condizioni che sono ineliminabili perché costitutive dell’essere che noi siamo». L’uomo infatti è ente finito, mortale, e pertanto non in grado di strutturare un sistema razionale onnicomprensivo e compiuto.
Sbaglierebbe, tuttavia, chi ritenesse – magari fuorviato dal titolo della principale opera aristotelica in lingua italiana di Claudia Baracchi, ossia L’architettura dell’umano. Aristotele e l’etica come filosofia prima (Vita e Pensiero, 2014) – prevalere nella Autrice una sorta di subordinazione della metafisica all’etica. La studiosa infatti, pur sottolineando che il pensiero aristotelico, in tutti gli snodi della sua aspirazione sistematica, «ha dato origine a più possibilità di ordinamento, come se l’apertura che lo caratterizza avesse infuso un inarrestabile dinamismo in ogni progetto costruttivo», sul piano teo­retico prende saldamente posizione – con Andronico (per quanto almeno ci è dato sapere) e con Berti – per la sequenza che vede come prioritaria la metafisica sulle scienze pratiche e poietiche. Chiarendo implicitamente la seconda parte del titolo del suo libro poc’anzi citato, l’Autrice sottolinea anche «il nesso vitale tra metafisica e scienza pratica, dove la prima va a dare frutto nella seconda contribuendo a nutrirla, dirigerla e disegnarla», pur anche ricevendo dalla seconda la pienezza della integrazione fra «vita attiva e contemplativa».

In conclusione, cogliendo peraltro la vicinanza fra l’opera aristotelica e l’opera platonica, Claudia Baracchi sottolinea giustamente il ruolo rilevante della dialettica per la costruzione teorica aristotelica. Quest’ultima, letta appunto in stretta connessione con la prassi, si giova della dialettica perché essa presta assistenza nelle valutazioni, nelle analisi e nelle scelte che gli esseri umani, da soli e in comunità, si trovano a dover effettuare. L’Autrice ricorda infatti, con riferimento ad Etica Nicomachea VI, che la stessa sophia «incoraggia il riconoscimento della finitezza e del relativo posizionamento degli esseri umani». Baracchi conclude infine – ed ancora una volta non posso che concordare – sottolineando come «lungi dall’essere una imposizione estranea al pensiero di Aristotele, la indicazione di una metafisica che procede dalla fisica e va a fiorire in guisa di formazione etico-politica, sembra stare nel cuore del suo insegnamento».
Il sesto saggio, di Giovanna R. Giardina, si intitola Il naturalismo immanentista di Aristotele e la questione del Primo Motore Immobile. Non poteva del resto mancare, in un volume sulla sistematicità del pensiero aristotelico, una trattazione sul Primo Motore, che costituisce per lo Stagirita, indipendentemente da come lo si interpreti (causa efficiente o causa finale), la causa prima del movimento del mondo. La lettura di Giovanna R. Giardina è molto interessante in quanto, conformemente agli interessi della Autrice – che sta da alcuni anni portando avanti un ricco ed articolato commentario alla Fisica di Aristotele –, in rapporto ad una tradizione che analizza il tema del Primo Motore con taglio prettamente metafisico, si rapporta al tema partendo appunto dalla Fisica.
La peculiarità di questo saggio, svolto con la competenza e la chiarezza che caratterizzano l’opera di questa studiosa, sta nel fatto che l’Autrice vuole mostrare che la lettura di un Aristotele filosofo della natura costretto a dover ammettere quasi controvoglia l’esistenza della metafisica, non è corretta. Aristotele, infatti, è un filosofo che rigorosamente utilizza la ragione, e, sia nella Fisica che nella Metafisica, essa lo induce ad accettare, nonostante le evidenti tendenze immanentistiche dello Stagirita, il Primo Motore Immobile come causa del movimento.
In particolare, Giovanna R. Giardina si pone una domanda “di importanza primaria in ordine alla fisica e ai suoi rapporti con la filosofia prima”, e cioè si chiede se la fisica di Aristotele possa essere considerata perfettamente coerente con se stessa ponendo un principio non fisico di tutto il mondo fisico. L’Autrice giunge, dopo adeguata argomentazione, e con gli opportuni riferimenti testuali, ad una risposta positiva, rifiutando quindi una lettura totalmente immanentistica di Aristotele. Tuttavia, Giardina rifiuta anche una lettura trascendentistica, interpretando il Primo Motore come «limite». Il «limite», come noto, non è infatti né parte di ciò di cui è limite, né è al di là di ciò di cui è limite, sicché la studiosa imbocca una sorta di originale “terza via”, superando la vincolante distinzione duale fra immanenza e trascendenza.
Fra le ulteriori parti rilevanti del testo vi è, in merito, la lunga trattazione, ricca anche di riferimenti ai predecessori di Aristotele, circa quelle che sono le due caratteristiche peculiari dell’universo aristotelico, ossia di essere continuo e determinato. L’Autrice pone inoltre in evidenza – riprendendo una considerazione di Enrico Berti di qualche anno fa – che più che «una fisica che è insieme anche metafisica», quella di Aristotele è «una metafisica che è piuttosto fisica», in quanto il Primo Motore trascendente viene epistemicamente giustificato a partire dalla struttura e dal funzionamento dell’universo fisico.
Un altro passaggio interessante, fra i molti, è quello in cui l’Autrice rimarca – evitando intelligentemente di schiacciare la metafisica sulla trascendenza – che «quando si parla di metafisica in Aristotele, si potrebbe intendere questo termine secondo un significato analogo a quello di metamatematica, perché come la metamatematica indaga le strutture stesse della matematica, in quanto assume come suo oggetto di indagine intere teorie matematiche con il fine di chiarirne i fondamenti e di evitarne i paradossi, la metafisica aristotelica indaga le stesse strutture della fisica, assumendo a suo oggetto di ricerca le stesse nozioni e gli stessi enti del mondo naturale, fornendo ad essi gli aspetti più fondamentali e principali che ne giustificano la realtà».
Non è qui possibile, ovviamente, riprendere tutti gli spunti che questo ricchissimo saggio offre. Mi limito pertanto, consigliandone – come per gli altri – una attenta lettura, a citare la conclusione della Autrice, la quale sottolinea che «Aristotele appare in ultima istanza coerente con se stesso. L’obbedienza al logos lo conduce fino ad un principio estremo per il quale non fa problema alcuno che vi sia un principio metafisico di un universo fisico, se è vero che entrambe queste scienze sono, sotto diversi rispetti, due scienze che in forte accordo ed in perfetta alleanza indagano l’esistente, cioè l’essere».
Il settimo saggio di Barbara Botter, intitolato Un unico sistema vs la dispersione dei metodi scientifici. Una lettura a favore della unità delle scienze in Aristotele, riprendendo un dibattito internazionale sviluppatosi sul finire del secolo scorso, si pone come obiettivo di analizzare le cosiddette opere biologiche di Aristotele (in particolare De partibus animalium e De generatione animalium) alla luce del metodo stabilito dallo Stagirita negli Analitici Primi e Secondi. Il fine del saggio di Barbara Botter, in particolare, è scoprire – indagando i testi aristotelici ed il relativo dibattito ermeneutico – se la scienza biologica di Aristotele si conformi o meno ai modelli normativi descritti soprattutto negli Analitici Secondi, in cui come noto lo Stagirita stabilisce i criteri che una disciplina deve possedere per poter essere annoverata fra le scienze. Il risultato cui la studiosa giunge, che peraltro condivido, confuta la tesi della incompatibilità fra metodi utilizzati nelle indagini biologiche dello Stagirita ed i criteri scientifici proposti negli Analitici. Botter argomenta infatti, assumendo una posizione di “mediazione” nel dibattito in corso, che il metodo dimostrativo illustrato negli Analitici non è così rigido e monolitico come solitamente si ritiene, e può pertanto essere applicato come metodo volto «ad accogliere la dimostrazione dei processi che si sviluppano nel mondo sensibile».
Non è possibile qui, ovviamente, entrare nei dettagli dello studio di Barbara Botter. Utile comunque rimarcare le molteplici prove fornite, dalla Autrice, sia dei vari tentativi di dimostrazione presenti nei trattati naturali (riguardanti come noto eventi che si producono non sempre, ma «il più delle volte»), sia per converso della presenza, negli Analitici secondi, di esempi tratti dalla meteorologia, dalla zoologia e dalla botanica. Alla luce delle sue analisi, sembra davvero desueto l’atteggiamento scettico che alcuni studiosi hanno dimostrato, soprattutto nei decenni passati, verso la scientificità dei trattati biologici aristotelici. Il concetto di razionalità «più malleabile» che caratterizza i trattati biologici rispetto agli Analitici, non deve dunque essere scambiato per mancanza di carattere epistemico. Ciò anche in quanto, come noto, «l’idea che la scienza, secondo Aristotele, sia un tipo di conoscenza dimostrativa costruita attraverso una sistematica catena di sillogismi, non sembra riflettere una postura aristotelica», nel senso che questa modalità non è praticamente mai esemplificata nei suoi scritti. Il “paradigma” di Jonathan Barnes, secondo il quale gli Analitici dovrebbero essere considerati come un modello perfetto di una scienza compiuta e definitiva, priva di relazione con gli scritti fisici, non regge quindi più. Riprendendo peraltro alcuni scritti di Lucas Angioni, Botter afferma anzi che Aristotele offre «i maggiori contributi di carattere propriamente scientifico nelle sue ricerche naturali, piuttosto che in quelle più astrattamente filosofiche».

Il saggio di Matteo Cosci si incentra invece su Il divieto aristotelico di transgenericità dimostrativa, ovvero su quel principio epistemologico, enunciato all’inizio del settimo paragrafo degli Analitici Secondi, il quale vieta che dimostrazioni scientifiche proprie di una determinata scienza possano essere fatte valere per una diversa scienza. Più precisamente, col divieto di transgenericità dimostrativa “si sancisce la proibizione secondo la quale, eccettuati alcuni casi particolari, i principi propri di una scienza possano essere adottati come premesse per deduzioni valide e pertinenti nell’ambito di una diversa scienza, che come tale detiene altri e diversi suoi principi propri”.

Questo principio parrebbe porsi come fortemente antisistematico, in quanto sembrerebbe impedire gli scambi fra una scienza e l’altra, compartimentalizzando in modo stagno il sapere dimostrativo. In realtà invece, come lo studioso chiarisce ottimamente, questo divieto aristotelico non costituisce un «vetusto protocollo epistemologico da abbandonare», in quanto, oltre a chiarire la impossibilità di un’unica scienza del tutto, si mostra come un principio che «semmai consolida l’unità delle scienze particolari, sia in riferimento all’autonomia dei rispettivi principi propri, sia nel quadro di una più generale architettura del sapere». Anche in Aristotele dunque, come opportunamente sottolinea Cosci, la interdisciplinarietà ed il dialogo tra le scienze particolari continuano ad essere possibili, poiché i saperi specialistici sono “ramificati”, ma fanno comunque parte – diciamo così – di un unico albero, ossia condividono i medesimi principi comuni (le medesime radici, che tuttavia, da sole, non esauriscono la materia peculiare di ogni scienza).
La argomentazione di Cosci è molto articolata, e non è dunque possibile, anche in questo caso, ripercorrerla interamente. È tuttavia importante rilevare, come motivo di particolare interesse, il fatto di come originalmente lo studioso si sia concentrato su tutta una serie di preventive distinzioni operative e concettuali sottostanti il divieto aristotelico, e presenti sempre negli Analitici Secondi, che consentono di consolidarne il valore epistemologico. In particolare, descrivendo i rapporti fra generi nel pensiero dello Stagirita, l’Autore dimostra come per Aristotele ogni scienza particolare si strutturi su uno ed un solo genere, che costituisce il suo ambito di studio omogeneo, “ed ha come fine di conoscere l’esplicazione dimostrativa e causale delle proprietà che necessariamente appartengono a ciò che sta in esso”.
Verso la fine del saggio, Cosci rimarca anche come, da un punto di vista argomentativo, il divieto aristotelico di transgenericità dimostrativa serva anche ad evitare un particolare tipo di fallacie, definite «fallacie contestuali» (quelle fallacie che, se riscontrate, non impediscono ad un argomento di essere valido, ma gli impediscono di riuscire a provare la sua tesi, data la sua non-contestualità), che, in quanto errori del ragionamento, devono essere evitate nel discorso scientifico – e per essere evitate devono giustamente essere conosciute. In conclusione, lo studioso esplicita come, mediante il divieto di transgenericità dimostrativa, sempre da lui rispettato, Aristotele abbia voluto «dare dignità al sapere scientifico nelle sue articolazioni, garantendo un dominio di studio per ciascuna scienza a partire proprio dai diversi principi peculiari di ciascun ambito, e non altrimenti sovrapponibili se non in qualche caso di dipendenza».
Chiude il volume un accurato saggio di Silvia Fazzo, la quale, sempre nell’ottica di ricercare i legami unificativi fra le varie parti dell’opera aristotelica, offre un testo dal titolo Esordi, raccordi e ‘titoli’ in Aristotele, in cui si domanda in sostanza se lo Stagirita volle o meno istituire, vuoi mediante i titoli, se originali, vuoi mediante il sistema costituito dai vari altri ordini di indicazioni reperibili nei suoi esordi, un sistema stabile di riferimenti e raccordi fra le sue diverse opere, per porre in relazione le diverse ricerche che andava esponendo. La studiosa, con la consueta incisività, si domanda ancora prima se Aristotele volle realmente distinguere e contrassegnare i diversi suoi trattati indicandoli per mezzo di titoli, ossia se esiste un sistema di titoli tipicamente aristotelico; se esiste una tipologia ricorrente negli esordi introduttivi aristotelici (e quale essa sia); ed, infine, se esiste una motivazione comune nel sistema dei raccordi utilizzato dallo Stagirita.
Vi è in effetti sempre stato un grande interesse di fronte alle liste antiche dei titoli di opere di Aristotele, che spesso discordano sia fra loro, sia dai titoli del corpus che conosciamo. Ebbene: per Silvia Fazzo, contrariamente a quanto rite­nevano – ma senza basi testuali – alcuni neoplatonici, l’analisi del corpus non consente di affermare che esiste un sistema di titoli propriamente aristotelico. Ciò nonostante, attento al disegno complessivo del suo lavoro, lo Stagirita fu prodigo di riferimenti fra l’una e l’altra delle sue ricerche. Per quanto possibile, infatti, egli «le volle non isolare, ma connettere quasi fossero tutt’una. Così collegò opere e parti di opere in una rete di raccordi, distintamente articolata in trattati […]. Ottenne anche così che i libri non andassero perduti o dispersi, nonostante non esistesse ancora al suo tempo un’organizzazione bibliotecaria che ponesse capo perlomeno a quel tipo di pinakes, ovvero liste di opere, spesso accompagnati dall’indicazione degli incipit, che diverranno pratica corrente in età ellenistica».
Oltre che un fine classificatorio, la rete di raccordi e la presenza diffusa di esordi nelle opere di Aristotele esprime evidentemente un fine di tipo educativo per il pubblico dei suoi uditori e lettori. Egli si preoccupò infatti sempre di coinvolgerli, sia riguardo agli argomenti scelti, sia riguardo all’ordine ed al metodo della esposizione. Per l’Autrice si può parlare di un vero e proprio «sistema» costituito dalla rete di raccordi presenti nelle opere dello Stagirita, sia altrove, sia negli esordi, come quello, celebre, dei Meteorologica. È comunque soprattutto nella Metafisica – come nota Silvia Fazzo nella seconda originale parte dello studio –, che i raccordi «hanno non solo una funzione pedagogica, ma anche il ruolo di collegare i libri in un’architettura complessiva […] – così da costituire e al tempo stesso articolare quella filosofia pri­ma che Aristotele stesso paragona all’arte degli architetti». Si assolvono in questo modo, con i raccordi della Metafisica, due funzioni: una consiste nella organizzazione di un sapere sistematico in materia di filosofia prima; l’altra consiste nel collegamento di un corrispettivo corpo di trattazioni, ciascuna dedicata ad un singolo aspetto ma in correlazione costante con tutti gli altri, in modo da non lasciarne scoperto – almeno virtualmente – nessuno.
L’Autrice pone poi in essere una elaborata classificazione degli esordi dei trattati in Aristotele, con alcune preziose osservazioni generali, che non è possibile però qui nemmeno sintetizzare, così come non è possibile riprendere le molte dotte affermazioni che meriterebbero ciascuna un commento articolato. Ricordo soltanto, con particolare riferimento alla Metafisica, la sua conclusione, ossia che per Aristotele «nell’esistenza – postulata in esordio nei libri Gamma ed Epsilon – di una scienza che studia l’ente in quanto ente, è inscritto un progetto da integrare e coordinare in tutti suoi aspetti: ogni parte che viene a riempire potenziali articolazioni trova il suo posto in un universo di conoscenza e di riflessione perfettamente costituito e ordinato. In questo senso, senza ombra di dubbio, Aristotele è un pensatore sistematico»: degna conclusione, questa, dell’intero nostro volume.
Qualche breve parola, infine, sulla mia opera di coordinamento. Ebbene: posso tranquillamente affermare che essa è stata davvero ben poca cosa, dato il valore degli studiosi interpellati, essendosi limitata a qualche semplice indicazione generale per evitare di creare ripetizioni o di lasciare aree scoperte. Devo pertanto davvero ringraziare tutti gli Autori che hanno partecipato a questo volume, ben più importanti e qualificati di me, per la disponibilità e la gentilezza che hanno costantemente dimostrato nei miei confronti.
Un grazie particolare, per concludere – oltre che ad Enrico Berti, per la consueta vicinanza –, a Carmine Fiorillo ed a Petite Plaisance. Dietro un volume come questo, infatti, non vi è soltanto la meritoria opera degli Autori che vi hanno partecipato, ma anche l’impegno e la passione, nella fattispecie, di una persona che, nei suoi oramai molti anni di attività, ha davvero dato tanto alla cultura italiana.

Luca Grecchi

 

 

 

1 Per limitarmi ad alcuni testi pubblicati, cito solo E. Berti, Incontri con la filosofia contemporanea, Petite Plaisance, Pistoia, 2006, con postfazione di L. Grecchi; E. Berti-L. Grecchi, A partire dai filosofi antichi, Il Prato, Saonara, 2008, con introduzione di C. Vigna; C. Vigna-L. Grecchi, Sulla verità e sul bene, Petite Plaisance, Pistoia, 2011, con introduzione di E. Berti; L. Grecchi, Il pensiero filosofico di Enrico Berti, Petite Plaisance, Pistoia, 2013, con introduzione di C. Vigna e postfazione di E. Berti.


L’uomo è il solo ente immanente
in grado di attribuire
senso e valore alla realtà
e di porsi in rapporto ad essa con rispetto e cura.

Unicopli, Milano – pagine 499 – Euro 35

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QUESTIONI DI FILOSOFIA ANTICA

Collana diretta da Marcello Zanatta (Università della Calabria) – Comitato scientifico: Michel Bastit (Université de Bourgogne) / Enrico Berti (Accademia dei Lincei) / Jean Baptiste Gourinat (CNRS, Sorbonne, Paris) / Maurizio Migliori (Università di Macerata) / Cristina Rossitto (Università di Padova)

 

Questo volume raccoglie oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sull’uomo. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti saranno non solo al pensiero filosofico, ma anche, sebbene in misura minore, al pensiero scientifico e letterario. L’uomo, insieme alla natura, rappresenta uno dei due temi portanti della cultura antica. La natura costituisce lo sfondo all’interno del quale tutto, compreso l’uomo, prende forma. L’uomo tuttavia, essendo il solo ente immanente in grado di attribuire senso e valore alla realtà, nonché di porsi in rapporto ad essa con rispetto e cura, è sempre stato considerato un ente fondamentale. In questa completa ricostruzione della cultura umanistica antica assumeranno grande importanza anche i contenuti etici e politici, che mostreranno, insieme alla loro genesi, la loro perenne attualità.


Luca Grecchi, Uomo, Introduzione

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Natura (2018) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sulla natura, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero che ogni mancanza di rispetto e di cura nei confronti della natura – attività che solo l’uomo, fra gli enti naturali, è in grado di porre in essere – costituisce una mancanza di rispetto e di cura nei confronti della vita tutta.

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Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.


I suoi libri

L’anima umana come fondamento della verità (2002) delinea, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati molti suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema costituisce la base per una analisi critica della totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze razionali e morali della natura umana. [ indicepresentazionesintesi]


Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dall’autore compiuti negli anni Novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale. [ indicepresentazionesintesi]


Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx (2003) costituisce una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi comparata, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, l’autore propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico (in senso hegeliano). Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007. [indicepresentazione]


La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004), con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana. [indicepresentazione]


Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005), con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano. [indicepresentazione]


Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche nella valutazione di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura razionale e morale dell’uomo. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista. [indicepresentazione]


Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore. [indicepresentazione]


Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimenti imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro “una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo” in esame. [indicepresentazione]


Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla attuale totalità sociale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità degli uomini. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa sia la felicità. Il testo è caratterizzato da una analisi delle strutture della personalità oggi più diffuse, per l’autore “prodotte” dai processi di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Scrive Vegetti, nella introduzione, che Grecchi è “pensatore a suo modo classico”, per il suo “andar diritto verso il cuore dei problemi”. [indicepresentazione]


Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. [indicepresentazione ]


Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale “risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa”.


Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, sul piano politico, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo


La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “scorporare” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.


Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico. [indicepresentazione ]


Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. [indicepresentazione sintesi ]





L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è il primo libro in cui Grecchi effettua la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi centrali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione razionale e morale. [indicepresentazione ]




L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone. Ponendo in essere una analisi delle principali interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indicepresentazione ]






L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indicepresentazione ]



Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) l’essere ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero; b) l’assumere come riferimento, insieme descrittivo e valutativo (la filosofia si occupa non solo della verità, ma anche del bene), l’Uomo. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta per vari motivi essere Socrate.


Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.


Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2008), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in c ui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore. [indicepresentazione ]


Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.


L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese. [indicepresentazione ]


L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano. [indicepresentazione ]


L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la filosofia orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico. [indicepresentazione ]


A partire dai filosofi antichi (2009), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che “questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana”.


L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore cerca di colmare la distanza storico-culturale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico e postellenistico. Il testo si divide in due parti. Nella prima, considerando che ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso “produce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello ellenistico, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica/postellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino. [indicepresentazione ]


La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita di pressoché tutte le discipline filosofiche, ad eccezione della filosofia della storia, tuttora ritenuta di genesi moderna. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa. [indicepresentazione ]



Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata. [indicepresentazione ]


Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di “una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa”. [indicepresentazione ]


Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali, mostra come, sin dall’epoca omerica, gli antichi Greci furono aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”. Esso possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”. [indicepresentazione]



Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare. [indicepresentazione ]


Confucio. Sulla buona vita, sul buon governo e su me stesso (2011) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di alcuni discorsi tenuti dall’antico pensatore cinese. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero di Confucio, già delineata ne L’umanesimo della antica filosofia cinese.




L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza la sua opera. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si caratterizza anche per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità. [indicepresentazione]



L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori esclusivamente come “naturalisti”, che li separano in maniera eccessiva sia dalla poesia epica precedente, sia dalla filosofia classica successiva. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure anticipatrici di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora. [indicepresentazione]



Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica e di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, elaborata oramai, in maniera teoreticamente originale, solo da un numero limitato di studiosi. [indicepresentazione]


Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi descrive il pensiero dell’autore quasi sempre concordando con lui, tranne che nella opposizione – su cui si sofferma anche Berti nella postfazione – fra metafisica classica e metafisica umanistica. [indicepresentazione]


Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti largamente insufficiente. Assumendo come base di riferimento il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori ancora definiscono – per mancanza di validi termini alternativi, ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”. [indicepresentazione]


Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico. [indicepresentazione]




La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. [indicepresentazione]




Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. [indicepresentazione]



Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”. [indicepresentazione]


Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul bene tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del bene.    [indicepresentazione]



Discorsi sulla morte (2016) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo. [indicepresentazione]




L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento della tradizione cristiana, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo solitamente poco considerati, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’Aristotelismo che ebbero il loro momento culminante nel 1277.


L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che pone in essere una critica costruttiva della tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale in esso la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.



Compendio di metafisica umanistica (2017) è un libro che espone in sintesi la struttura onto-assiologica della verità dell’essere per come in vari luoghi delineata dall’autore col nome di “metafisica umanistica”. Il testo fornisce alcuni capisaldi del futuro Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere (cui l’autore sta lavorando dal 2003), distinguendo le nozioni di Cominciamento, Principio e Fondamento, nonché elaborando la tematica dell’essere e della sua sistematicità. Il volume si sofferma anche sulla tematica del trascendente, e sul nesso descrittivo-normativo necessario alla progettualità sociale. [indicepresentazione]



Natura (2018) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sulla natura, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero che ogni mancanza di rispetto e di cura nei confronti della natura – attività che solo l’uomo, fra gli enti naturali, è in grado di porre in essere – costituisce una mancanza di rispetto e di cura nei confronti della vita tutta



Scritti brevi su politica, scuola e società (2019) costituisce una raccolta di articoli pubblicati dall’autore negli anni 2015 e 2016 su vari quotidiani, settimanali e riviste su tematiche di particolare attualità. Il filo conduttore di questi scritti è costituito da una critica progettuale al nostro tempo alla luce del pensiero greco classico, soprattutto di Aristotele. Per l’importanza delle tematiche trattate, e per l’approccio classico utilizzato, si tratta di riflessioni che forniscono un orientamento in grado di trascendere l’orizzonte del momento storico in cui sono state effettuate. [indicepresentazione]



Uomo (2019) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sull’uomo, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero la centralità dell’uomo nella natura, ovvero il suo essere il solo ente in grado di fornire un senso ed un valore alla realtà, nonché di avere rispetto e cura della realtà stessa .


L’umanesimo greco classico di Spinoza (2019) costituisce una analisi della filosofia di Spinoza alla luce del pensiero greco classico. Nonostante il filosofo olandese citi pochissimo Platone ed Aristotele, Grecchi mostra come forti siano i legami coi due più grandi pensatori antichi. Le tematiche esaminate sono alcune fra le principali del pensiero filosofico, quali la verità, il bene, la conoscenza, la sistematicità, la religione, la libertà, la crematistica, la politica. Frequenti sono anche i riferimenti ed i paralleli con il nostro tempo.


Curatele


È veramente noiosa la storia della filosofia antica? (2008, con Diego Fusaro), con scritti di E. Berti, G. Casertano, D. Fusaro, G. Girgenti, L. Grecchi, C. Preve e M. Vegetti .



Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, S. Fazzo, A. Fermani, G.R. Giardina, L. Grecchi, C. Vigna, M. Zanatta. [indicepresentazionesintesi].


Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017), con scritti di G. Abbate, C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, A. D’Atri, A. Falcon, A. Fermani, L. Grecchi, A. Jori, D. Quarantotto, M. Ugaglia, C. Vigna, M. Zanatta. [indicepresentazionesintesi ]


Teoria e prassi in Aristotele (2018), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, A. Fermani, S. Gastaldi, L. Grecchi, S. Gullino, A. Jori, G. Lucchetta, L. Palpacelli, L. Ruggiu, M. Vegetti, C. Vigna, M. Zanatta. [indicepresentazionesintesi ]



Libri in preparazione


Metafisica umanistica.
La struttura sistematica della verità dell’essere


Presocratici


Ricchezza e povertà nella filosofia antica


Altro ancora ….

Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
Luca Grecchi – Sulla progettualità
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
 
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.
Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri
Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.
Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.
Luca Grecchi – Educazione classica: educazione conservatrice? Il fine della formazione classica è dare ai giovani la “forma” della compiuta umanità, ossia aiutarli a realizzare, a porre in atto, le proprie migliori potenzialità, la loro natura di uomini
Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico
Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.
Luca Grecchi – Scritti brevi su politica, scuola e società
Luca Grecchi – i suoi libri (2002-2019)
Luca Grecchi – L’UMANESIMO GRECO CLASSICO DI SPINOZA. Lo scopo della filosofia non è altro che la verità.
Luca Grecchi – «Uomo» – L’uomo è il solo ente immanente in grado di attribuire senso e valore alla realtà e di porsi in rapporto ad essa con rispetto e cura.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Alessandra Filannino Indelicato – Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia, che eccede l’utilità abitando una dimensione più umana, spirituale. Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile.

Alessandra Filannino Indelicato 01

«Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia. Invece, soprattutto in ambito accademico, perplessità e domande sembrano essere diventate qualcosa da temere a fronte della minacciata ostracizzazione da parte della comunità scientifica, che pretende una produzione “in serie” della conoscenza, oltre alla coerenza, alla verificabilità, e alla ripetibilità di procedure calcolabili: operazioni senza resto. […] Io parlo di quel resto, e cioè di quanto del riferimento antico eccede l’utilità scientifica, anche solo su un piano intuitivo, abitando invece una dimensione più simbolica e sacra, più umana o, anche, spirituale. […] Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile […]. La filosofia del tragico riguarda una spinta tutta simbolica e mitologica di aderenza alla vita. […] Questo lavoro intende dimostrare come per praticare la filosofia sia assolutamente inevitabile e necessario sporcarsi le mani immergendole nella materia mitologica, rivelando uno sguardo diverso anche su materie settoriali e molto ben standardizzate, che non siamo soliti trattare con un orientamento filosofico. […] La filosofia del tragico ci costringerà inevitabilmente a mettere in discussione tutto ciò che viene avulso dal mondo, nel parlare del mondo, e cioè, avulso dal divenire».

Alessandra Filannino Indelicato, Introduzione



Alessandra Filannino Indelicato

Per una filosofia del tragico

Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco

Prefazione di Claudia Baracchi

Mimesis Edizioni, Milano 2019, pp. 216, Euro 20



14 Novembre 2019 – ore 20.30
Libreria “Les Mots”

INVITO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
di
Alessandra Filannino Indelicato
Per una filosofia del tragico.
Tragedie greche, vita-filosofica e altre vocazioni al dionisiaco
Mimesis, Collana Philo-Pratiche Filosofiche, 2019

Dialoga con l’Autrice
Andrea Ignazio Daddi, filosofo e pedagogista

INGRESSO LIBERO
Libreria LE MOTS, Via Carmagnola, Ang. Via Pepe, 20159, MILANO



 



«Pochi sanno che Dioniso, il nume tutelare del teatro antico, è padre tanto della tragedia quanto della commedia, e che nel teatro della vita, proprio come durante uno spettacolo, abbiamo il compito di guardare, capire e fare spazio a ciò che succede, nostro malgrado. […] Coprendo e ricoprendo l’autentica densità del mito in se stesso, ammutolendolo e assottigliandone la profondità, non facciamo che seguire una modalità consumistica, anche di ricercare e di studiare».

 

 

Ancora sentiamo levarsi dall’Antica Grecia il terribile pianto di un capro sacrificale. Alle urla strazianti di dolore si uniscono i canti commossi e le danze sfrenate in onore di Dioniso: la tragedia nasce come un sacro rituale di compartecipazione al ciclo di vita, morte e rinascita. Nell’epoca del consumismo e del “tutto subito”, abbiamo urgente bisogno di una filosofia del tragico, aperta alla complessità simbolica della vita. In questa direzione, l’Euripide di Baccanti ci consegna un Dioniso δαίμων (daimon), mediano, misterioso e contraddittorio; incarnazione dell’eccesso panico così come maestro di una puntuale presenza all’istante – l’autentico compito di ogni filosofia. Dioniso lo Straniero, ma secondo soltanto ad Atena nei festeggiamenti; Dioniso l’Androgino, l’irrazionale, l’addolorato: molteplici nomi tentano di definirlo, nessuno riesce mai a comprenderlo. Perché la filosofia dovrebbe dunque, e provocatoriamente, occuparsi del tragico? Cosa significa rispondere a una vocazione al dionisiaco? E perché questo ci riguarda?



 

Indice

Prefazione. Nello specchio di Dioniso
di Claudia Baracchi

Introduzione
Filosofie del tragico, mitologie e scienze umane

Prima parte

Capitolo I

La filosofia del tragico: scenografie rapsodiche, panorami insoliti

  1. Al cuore della filosofia del tragico: etica comefilosofia prima e vita filosofica
  2. Il tragico dell’origine: spinte genealogiche e miti originari a partire da Esiodo
  3. Appunti su μῦθος (mythos) e ἀλήθεια (alḕtheia) nellaRepubblica di Platone
  4. Sulla μίμησις (mìmēsis), sulla vita: Aristotele e l’arte omeopatica delle passion
  5. Cantando il capro, cantare la vita:Nietzsche e la tragedia come paesaggio d’anima
  6. Per un tragico entelechiale: il contributo di Ernst Bernhard
  7. Tracce e risonanze junghiane e kerenyane per una filosofia del tragico
  8. Nicole Loraux e la voce addolorata della tragedia antica

 

Capitolo II

Introduzione a Dioniso, il nume tutelare del teatro antico

  1. Dioniso il tragico, Dioniso il comico: una scelta di campo
  2. Feste rituali e festeggiamenti in onore di Dioniso
  3. Morte e rinascita come πολυμορφία (polymorphìa)

11.1 Il Polinomio: innumerevoli nomi, innumerevoli identità

11.2 L’animale, l’agreste e il vegetale: simboli sacri e rappresentazioni mondane

11.3 Δίγονος (Dìgonos) e Πενθεύς (Penthéus):il “nato-due-volte” e il “dio dalle insopportabili sofferenze”

11.4 Sussurri e segreti sui misteri dionisiaci: gli ἀπòῤῥητα (apòrrhēta)

 

Seconda Parte

Capitolo III

Ermeneutica simbolica e filosofia del tragico Dioniso nelle Baccanti di Euripide

  1. L’esercizio e il suo contesto
  2. Leggere il tragico

13.1 “Eccomi a Tebe”. Una divinità daimonica

13.2 “Dioniso, chiunque egli sia”. Un’identità inafferrabile

13.3 “Io lo vedevo e lui vedeva me” La disperante ambiguità dei dialoghi

13.4 “Un dio non dovrebbe assomigliare agli uomini nell’ira”. Dioniso, troppo umano

 

Conclusione. L’uscita danzante

Nel passaggio da εὐδαιμονία (eudaimonìa) a ἐνδαιμονία (endaimonìa)

 

Postfazione.
La tragedia che siamo, la tragedia che dovremmo essere consapevoli di essere
di Romano Màdera

Bibliografia




«[…] Alessandra Filannino Indelicato nella figura di Dioniso interroga la vita tragica, che è la vita in quanto tale, così come noi la conosciamo. Tragica perché sempre sul punto di andare in pezzi, tenuta insieme soltanto da uno sguardo che ne colga nessi e strutture là dove, nel fitto degli avvicendamenti e dei coinvolgimenti, ci adoperiamo ciecamente. Tenuta insieme da uno sguardo che ne colga l’unità narrativa, la sensatezza, la necessità. […] Ed è qui che la vita tragica, A. Filannino Indelicato ci mostra, si fa una con la vita filosofica, con l’impegno a una vita consapevole. E con la cura, l’accudimento. La vita tragica contemplata, attraversata con consapevolezza, è vita accompagnata, non lasciata allo stato brado ma coltivata, lavorata, esercitata: non lasciata sola ma seguìta, ricordata, riaccordata, raccontata, curata. […] La proposta di Alessandra Filannino Indelicato colpisce per audacia, urgenza e verità. Perché chiama a più livelli a un rinnovamento e a una serietà».

Claudia Baracchi, Prefazione.

*
***
*

«Questo libro è un contributo serio e generoso alla rinascita e al rinnovamento della filosofia come modo di vivere e, quindi, come insieme di pratiche filosofiche. Un contributo che rinnova ritornando, secondo una lezione classica che riconosce la rivoluzione proprio mentre ne rintraccia la più oscura genealogia. Qui, a differenza del reperto archeologico, portare alla luce, esporre all’aria, non dissolve, ma fortifica e acuisce la capacità di vedere».

Romano Màdera, Postfazione.




 

RINGRAZIAMENTI

Un ringraziamento speciale va a tutti gli amici che mi hanno incoraggiato a portare a termine questo lungo lavoro, durato quasi sei anni. In particolare, a chi mi ha aiutato nella revisione del testo: Marina Barioglio, Elena Bartolini, Andrea I. Daddi, Donata Feroldi, Luca Grecchi. Grazie a Claudia Baracchi e Romano Màdera, maestri dalla grande anima e insostituibili, ai quali sarò grata per tutta la vita. Agli amici immensi: Amos Badalin, Carmen Cocco, Gloria Diffidenti, Fabio Galimberti, Tommaso Giovenzana, Giusi Negroni. E a tutti gli amici di Philo. Grazie della philia. Un anemone e una viola a D., e un grazie per accompagnarmi alla scoperta di Dioniso, grazie per essere rimasta. Anche a te, Chandra, donna sangue-carezza, alla tasca di cangura, perché le tue poesie salvano me e molte altre, anche se, forse, tu continui a non saperlo davvero. Ermione, quanto ti devo? Mi hai adottato, piccola e selvaggia felina, maestra d’altrove, famiglia. Fabrizio, grande anima, la tua umiltà e il tuo cuore mi hanno insegnato a temere meno l’esposizione, e a legittimarmi l’arrivederci: e ora guarda, guarda tutto questo e il nuovo e l’America e tu, la tua America e le nostre gatte. Alle Filannino, donne che corrono coi lupi, in special modo alle mie sorelle Michela e Manuela, a mia cugina Marilena e, ovviamente, alla grande Lena, mia madre, che avrebbe voluto studiare psicologia e greco antico. Ai miei nipoti, tutti quanti, con la preghiera che si involino all’ascolto appassionato del loro daimōn. In ultimo, un grazie a chi, pur non conoscendomi, deciderà di spendere un po’ del suo tempo per leggermi.

Alessandra

Sono assegnista di ricerca in Filosofia Morale (M-FIL/03) e consulente pedagogica a orientamento filosofico. Faccio parte del Gruppo di Filosofia Morale, nello specifico collaboro con le cattedre di Filosofia Morale, Filosofia della relazione e del dialogo, Pratiche Filosofiche (Prof.ssa Claudia Baracchi). Alle favole ho da sempre preferito le epopee, i racconti epici, le mitologie e le cosmogonie di tutti i tempi. Fin dalla più tenera età, queste passioni non mi hanno abbandonata e in maniera del tutto naturale ho finito per intraprendere una vita di ricerca personale e professionale tra la psicologia del profondo junghiana, la mitologia e la tragedia greca, le pratiche filosofiche e le culture simboliche e l’utilità che il sapere filosofico-antico in genere ha nella contemporaneità, specie per le professioni di cura. Insieme al mio Gruppo di Ricerca , partecipo e conduco i Seminari Aperti di Pratiche Filosofiche  di Milano-Bicocca, dove approfondisco il tema della spiritualità laica e dell’importanza della filosofia praticata in gruppo. Collaboro con ScuolaPhilo, di cui sono socia. Sono docente di materie pedagogiche, filosofiche e psicologiche nei centri di formazione per figure professionali socio-sanitarie, ASA e OSS. Ho lavorato come coordinatrice di un servizio socio-assistenziale domiciliare rivolto all’anzianità. Oggi collaboro come consulente con i pazienti affetti da Alzheimer e demenze e i loro familiari con interventi al domicilio e in consulenze private.

Lista delle pubblicazioni di Allessandra Indelicato



Chandra Livia Candiani – Mappa per l’ascolto. Per ascoltare bisogna aver fame e anche sete. Dunque, abbraccia le parole come fanno le rondini col cielo, tuffandosi, aperte all’infinito

Chandra_Livia_Candiani1

Dunque, per ascoltare
avvicina all’orecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro,
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.

Accosta all’orecchio il vuoto
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.

Ripiega i pensieri
fino a ricevele in pieno
petto risonante
le parole in boccio.

Per ascoltare bisogna aver fame
e anche sete,
sete che sia tutt’uno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perché è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo, non è mai lo stesso
dell’andata.

Dunque, abbraccia le parole
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte all’infinito,
abisso del senso.

                                        Chandra Livia Candiani

 

 

Il futuro dell’antico. Filosofia antica e mondo contemporaneo (Milano 27-28 marzo 2019). Due giornate di studio volte a esplorare, nel passato, potenzialità e insegnamenti ancora da pensare, dunque contemporanei. Relatori: Daniele Guastini, Angelo Tonelli, Alberto Jori, Arianna Fermani, Maurizio Migliori, Giulio Lucchetta. Discussants: Giulia Angelini, Selene I. S. Brumana, Federica Piangerelli, Elena Bartolini, Alessandra Indelicato, Andrea I. Daddi. Moderatori: Claudia Baracchi e Luca Grecchi.

Il fututo dell'antico 001

Logo Bicocca

Università degli studi di Milano Bicocca

Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione

Riccardo Massa

 

*
***
*

Il futuro, blu

Filosofia antica e mondo contemporaneo

27-28 marzo 2019

occhi 01

Logo Adobe Acrobat  Locandina A3 Il futuro dell’antico
Logo Adobe Acrobat Locandina A4 Il futuro dell’antico

 

Il futuro dell’antico:
due giornate di studio volte a esplorare,
nel passato,
potenzialità e insegnamenti ancora da pensare,
dunque contemporanei.

Studiosi di fama internazionale si incontreranno
per offrire agli studenti e alla cittadinanza
un contatto con il pensiero antico,
mettendone in luce vitalità e suggestioni di notevole conseguenza
su un piano formativo, etico, politico.

occhi insieme

Mercoledì 27 marzo
I sessione – Aula U7/18 – Via Bicocca degli Arcimboldi 8, 20126 Milano MI

ore 10:30 apertura dei lavori – Modera Claudia Baracchi

ore 10:30 – Prof. Daniele Guastini, La Sapienza, Roma- Poesia greca:
La paideia poetica: inattualità e attualità di una pratica

ore 11:30 – Prof. Angelo Tonelli, Grecista e scrittore– Presocratici:
Sciamanesimo, Misteri e Sapienza greca

ore 12:30 – pausa pranzo

occhi insieme

II sessione – Aula U16/7 – Via Thomas Mann 8, 20162 Milano MI
Modera Luca Grecchi

ore 14:30 – Prof. Alberto Jori, Università degli Studi di Ferrara, Universität Tübingen– Ippocrate:
Ippocrate “filosofo”. Dal sapere ontologico alla scienza funzionale

ore 15:30 – Prof. Arianna Fermani, Università di Macerata– Aristotele:
In ogni caso si deve filosofare

occhi insieme

Giovedì 28 marzo

III sessione – Aula U7/18 – Via Bicocca degli Arcimboldi 8, 20126 Milano MI
Modera Luca Grecchi

ore 10,30 – Prof. Maurizio Migliori, Università di Macerata– Platone:
Platone. Amico di Socrate, l’uomo più giusto del suo tempo

ore 11,30 – Prof. Giulio Lucchetta, Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara– Ellenismo:
Dione di Prusa. Un esempio di intelligente sintesi ellenistica

ore 12, 30 – dibattito finale e chiusura dei lavori

 

occhi insieme

Discussants:

Giulia Angelini
Università degli Studi di Padova

Selene I. S. Brumana
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Università degli Studi di Padova

Federica Piangerelli
Università di Macerata

Elena Bartolini
Università degli studi di Milano Bicocca

Alessandra Indelicato
Università degli studi di Milano Bicocca

Andrea I. Daddi
Università degli studi di Milano Bicocca

 

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Freccia rossa  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 01-03-2019)

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AA.VV., Teoria e prassi in Aristotele

Aristotele, Teoria e prassi in Aristotele

311 ISBN

Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

Teoria e prassi in Aristotele

indicepresentazioneautoresintesi

Teoria e prassi in Aristotele è il terzo di una serie di collettanei ari­stotelici, cominciata nel 2016 con Sistema e sistematicità in Aristotele, e proseguita nel 2017 con Immanenza e trascendenza in Aristotele, tutti editi a cura di Luca Grecchi per i tipi di Petite Plaisance. Il presente volume nasce con l’intento di esaminare alcune distanze, spesso rilevate dagli studiosi, fra la teoria e la prassi nel pensiero aristotelico.

L’apertura del volume, come da tradizione, è costituita da un dialogo generale tra Luca Grecchi e Carmelo Vigna. A questo dialogo, sempre come da tradizione, fa seguito un commento di Enrico Berti, caratterizzato da notazioni profonde ed essenziali. Di seguito, interventi assai puntuali inerenti principalmente il piano etico (Marcello Zanatta), politico (Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Alberto Jori), teoretico (Claudia Baracchi, Mario Vegetti), economico (Silvia Gullino, Luigi Ruggiu), sociale (Giulio Lucchetta) e scientifico (Lucia Palpacelli).


«[…] diventiamo giusti facendo ciò che è giusto» (Etica Nicomachea, 1103a37).

 

«[…] è bene dire che è dal fare ciò che è giusto o temperato che un essere umano diventa rispettivamente giusto o temperante; e nessuno che deve diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Eppure la maggior parte degli esseri umani non fa così, ricorrono invece al parlare (λóγoν) di tali cose e pensano di stare filosofando e che facendo così diventano eccellenti, comportantandosi insomma un po’ come i pazienti che ascoltano i loro medici con attenzione, ma non fanno nulla di quello che gli vien loro prescritto. E proprio come questi pazienti non curano il proprio corpo comportandosi in questo modo, così coloro che filosofano in questo modo non miglioreranno la loro anima» (Etica Nicomachea, 1105b5-18).

 

«[…] il fine deve essere ipotizzato come un inizio […] il fine è l’inizio del pensiero (νοησεως αρχη), il completamento (τελευτη) del pensiero è l’inizio di azione» (Etica Eudemia, 1227b23-34).

Aristotele

Trilogia AristoteleGiampaolo Abbate – Claudia Baracchi – Enrico Berti- Barbara Botter
Matteo Cosci – Annabella d’Atri – Andrea Falcon – Silvia Fazzo
Arianna Fermani – Silvia Gastaldi – Giovanna R. Giardina
Luca Grecchi – Silvia Gullino – Alberto Jori – Giulio A. Lucchetta
Lucia Palpacelli – Diana Quarantotto – Luigi Ruggiu – Monica Ugaglia
Mario Vegetti – Carmelo Vigna – Marcello Zanatta

Logo-Adobe-Acrobat-300x293   Brochure per la Trilogia su Aristotele (pp. 32)   Logo-Adobe-Acrobat-300x293


Prometeo legato alla colonna con Atlante che regge il cielo, VI a.C. colore***

 

260 ISBN

Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter, Matteo Cosci, Silvia Fazzo, Arianna Fermani, Giovanna R. Giardina, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

indicepresentazioneautoresintesi


282 ISBN

Giampaolo Abbate, Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter, Matteo Cosci, Annabella D’Atri, Andrea Falcon, Arianna Fermani, Luca Grecchi, Alberto Jori, Diana Quarantotto, Monica Ugaglia, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

indicepresentazioneautoresintesi

 


311 ISBNindicepresentazioneautoresintesi

Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

 


Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi

Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.

Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.

Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.

Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.

Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi


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Koinè – «Per una scuola vera e buona». La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera. La scuola pietrificata di oggi disconosce la questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento. Bene è tutto ciò che si prende cura del fondamento, cioè dell’uomo.

Koinè 2018

Vero è ciò che è conforme al fondamento.
Bene è tutto ciò che del fondamento,
ossia dell’uomo,
si prende cura.

 

 

Per una scuola vera e buona

Per una scuola vera e buona

ISBN 978-88-7588-248-8, 2018, pp. 272,  Euro 25

indicepresentazioneautoresintesi

 

Locandina Koinè, Per una scuola vera e buona

Locandina Per una scuola vera e buona

 

Logo-Adobe-Acrobat-300x293   Locandina Koinè, Per una scuola vera e buona   Logo-Adobe-Acrobat-300x293

 

Testata KoinèLogo-Adobe-Acrobat-300x293  L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità  Logo-Adobe-Acrobat-300x293

Testata Koinè

 

La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera.

Il libro affronta la questione della scuola pietrificata di oggi che disconosce una questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento, bene è tutto ciò che del fondamento, cioè dell’uomo, si prende cura. Qualsiasi approccio a questo tema in chiave riduttivamente economicistica o aziendalistica non consente infatti minimamente di coglierne lo spessore reale.
Né è possibile, sulla base di una concezione dell’umanità dell’uomo come semplice prassi empirica e funzionalismo sociale, capire realmente cosa è in giuoco nella scuola. Il tema della scuola rimanda infatti al significato dell’educazione umana, del rapporto tra le generazioni, della temporalità, della cultura. L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità.

Contributi di:

Eros Barone, Alberto G. Biuso, Salvatore A. Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Arianna Fermani, Carmine Fiorillo, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo.

 

In copertina:
Marc Chagall, L’Acrobata (The Acrobat), 1914.
Per Marc Chagal l’acrobata è utopia che cerca – da una prospettiva inusuale –
un nuovo equilibrio, su un filo teso sull’orlo di un mondo alla rovescia.


 

Carmine Fiorillo – Luca Grecchi

Dalla Nota introduttiva

Luca GrecchiRingraziamo tutti gli studiosi
che a questo numero hanno partecipato,
apportando il proprio prezioso contributo di riflessione su un tema,
quello educativo,
sempre centrale e che,
anche quando non esplicitamente affrontato,Carmine Fiorillo
rimane sempre l‘implicito riferimento
di tutte le pubblicazioni
di Petite Plaisance.

 


Fernanda Mazzoli

La centralità delle conoscenze:
una bussola per uscire dalle secche dell’aziendalismo

 

Fernanda Mazzoli
L’educazione ai tempi del liberismo
La deconcettualizzazione dell’insegnamento
La storia negata
Il maestro negato
Una scuola forte è possibile?
Indicazioni bibliografiche sul tema


Franco Toscani

Sul senso e sul declino della nostra scuola

Scuola e panaziendalismo
L’alienazione scolasticaFranco Toscani
Don Lorenzo Milani
e l’esperienza della “scuola di Barbiana”:
una lotta per la cultura e il linguaggio,
per l’eguaglianza e la dignità delle persone
La testimonianza della ‘Scuola di Barbiana’ e la sua eredità odierna
La scuola e la “mutazione antropologica”
Maestri e allievi. Per una etica della responsabilità
Friedrich Nietzsche e gli interrogativi sull’avvenire delle nostre scuole
La Bildung e il destino della civiltà planetaria

 

 


Lucio Russo

Per una scuola in grado di trasmettere cultura

Per una scuola
in grado di trasmettere cultura,Lucio Russo
è essenziale interrogarsi
su quale cultura
si voglia trasmettere e perché


Claudio Lucchini

La merce a scuola ovvero la scuola della merce

La merce a scuolaClaudio Lucchini
ovvero la scuola della merce:
riflessioni

sulle tendenze
antropologico-sociali
sottese alla pratica scolastica attuale


Alberto Giovanni Biuso

Per la παιδεία

Scuola e politicaAlberto Biuso
Conoscenze e competenze
Socratismo e comportamentismo
Marketing e analfabetismo
Europa e παιδεία


Salvatore A. Bravo

Il freddo, implacabile strangolamento della παιδεία

L’ecolalia pedagogica
Pedagogia senza fondamento
La didattica breve e il neolinguaggio pedagogicoSalvatore Bravo
L’homo oeconomicus
La scuola azienda
Trascendere le classi per strutturare lo sradicamento
Conclusioni


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano
Riflessioni sulla παιδεία in Aristotele

I. Osservazioni preliminari
Originalità e attualità della riflessione aristotelica sull’educazione
II. Primo scenario educativo: l’educazione precede l’etica
II.a L’insegnabilità della virtù: limiti e caratteristiche
II.b L’emotional training e l’educazione “delle” passioniArianna Fermani
II.c Ulteriori articolazioni del modello educativo
III. Secondo scenario educativo: l’educazione è l’etica
III.a Educazione e metodo della ricerca
IV. Riflessioni conclusive


Romano Luperini

Insegnare la letteratura oggi

 

Ogni educazioneRomano Luperini
presuppone

una utopia,
la esige
***
Appendice


Alessandro Pallassini

Note sugli apparati riproduttivi societari, guardando alla scuola

I. Introduzione
II. Produzione e riproduzione societaria.Alessandro Pallassini
Brevi cenni
III. Mutamenti del sistema societario
e mutamenti nell’educazione latamente intesa
IV. Scuola-lavoro: possibili omologie
V. Conclusioni (molto provvisorie)
VI. Bibliografia utilizzata


Eros Barone

La crisi dei saperi socratici: una sfida per l’‘humanitas’

I. Società di mercato e saperi socratici
III. Quale rapporto tra il vero e l’utile nel sapereEros Barone
e nella formazione?
III. I “saperi che servono” fra nichilismo antisocratico
e ideologia del ‘politicamente corretto’
IV. Il riscatto dei saperi socratici: utilità, eredità, identità
IV. Futuro dell’‘humanitas’ e ‘humanitas’ del futuro


Giovanni Carosotti

L’«ideologia» della Buona Scuola

Una didattica autoproclamatasi “innovativa”
Un apparato ideologico per formare nuovi soggetti
Una dimostrazione di dissenso:
dall’Appello per la Scuola pubblica alla sua contestazione
Una critica delle ideologie rivolta al concetto di «competenza»
La scelta impositivaGiovanni Carosotti
Una salutare critica delle ideologie
La pseudo scienza delle competenze
L’azzeramento
della pluralità storiografica ed ermeneutica delle discipline
Una scuola di sorveglianti e sovergliati, misurati e misuratori
Breve riflessione sul quantitativo


Rossella Latempa

L’ossessione valutativa

Il mito dell’oggettivitàRossella Latempa
L’imbracatura ortopedica
della valutazione scolastica
Matematizzazione dell’essere umano


Lorenzo Varaldo

La posta in gioco

 

È in gioco il sapere dell’umanitàLorenzo Varaldo
La nostra Dichiarazione di oggi
***
Dichiarazione finale della Conferenza Nazionale
del 19 maggio 2018 per l’abrogazione della legge 107


Fernanda Mazzoli

Per una seria cultura generale comune

Una proposta di Lucio RussoFernanda Mazzoli
Recensione al libro
Lucio Russo,
Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista


Lucrezia Fava

Λόγος, linguaggio, tempo

Dai seminari heideggerianiLucrezia Fava
di Le Thor
Recensione
al libro
Martin Heidegger, Seminari


 

 

Silvia Gullino

Una appassionata ricostruzione della filosofia aristotelica

Alla ricerca del luogo
in cui la sapienza teoretica si radica nell’umano
Recensione al libro
Claudia Baracchi, L’architettura dell’umano.
Aristotele e l’etica come filosofia prima



Per far memoria

del nostro impegno sul tema della scuola

Metamorfosi della scuola

Metamorfosi della scuola italiana

Anno 2000, pp. 304, Euro 20

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Contributi di:

Fabio Acerbi – Marino Badiale – Giuseppe Bailone – Fabio Bentivoglio – Piero Bernocchi – Lucio Bontempelli – Massimo Bontempelli – Paolo De Martis – Adolfo Scotto Di Luzio – Federico Dinucci – Giampiero Giampieri – Giulio Ferroni – Emanuele Narducci – Fabrizio Polacco – Costanzo Preve – Lucio Russo – Livio Sichirollo – Roberto Signorini – Lorenzo Varaldo

Sommario

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, di Massimo Bontempelli
La scuola sospesa, di Giulio Ferroni
Alcune osservazioni sui contenuti dell’insegnamento, di Lucio Russo
Orwell 2000, di Fabrizio Polacco
Sulle sorti della matematica e della fisica nella scuola superiore, di Fabio Acerbi
L’insegnamento delle discipline scientifiche e la storia della scienza, di Lucio Bontempelli
30 tesi contro la Scuola-Azienda e l’Istruzione-Merce, di Piero Bernocchi
La catena dei perché. Riflessioni sulle radici del “Concorso Berlinguer”, di Costanzo Preve
Autonomia didattica e libertà di insegnamento, di Federico Dinucci
Chi non sa nulla, insegna ad insegnare, di Paolo De Martis
Che buon pro facesse (e faccia) il “Verbo”, di Giampiero Giampieri
“L’agonia della scuola italiana”: un libro controcorrente, di Fabio Bentivoglio
Una lettura critica del libro “L’agonia della scuola italiana”, di Roberto Signorini
Il libro di Antonio La Penna “Sulla scuola”, di Emanuele Narducci
L’insegnante trova le sue parole. Perché un “no” ai salari di merito, di Lorenzo Varaldo
Il libro verde della Pubblica istruzione, di Giuseppe Bailone
Il Liceo classico, di Adolfo Scotto di Luzio
Il resistibile declino dell’università. Ragioni per un titolo, di Livio Sichirollo
Il nome delle libellule. Breve riflessione sulle culture popolari, di Marino Badiale


L'agonia della scuola italiana

Massimo Bontempelli

L’agonia della scuola italiana

Anno 2000, pp. 144, € 10,00

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La scuola italiana nel suo insieme è oggetto, per la prima volta dopo tre quarti di secolo, di una riforma complessiva ed incisiva. Le innovazioni che vi sono introdotte, però, esaminate attentamente nei loro effetti concreti, risultano tutte profondamente negative, sia sul piano della formazione educativa dei giovani, che su quello della professionalità degli insegnanti e della trasmissione di un sapere degno di questo nome. Il carattere pubblico e nazionale del sistema dell’istruzione, e la sua capacità di promuovere lo spirito critico e l’autonomia di giudizio dei giovani, ne risultano gravemente compromessi.
Questo disastro è il prodotto di una cultura dogmatica e ideologizzata dei promotori della riforma, che li rende incapaci di pensare su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido, il nesso tra scuola e società. Tale cultura è peraltro funzionale alle inconfessate esigenze totalitarie di un determinato sistema di potere.
La scuola italiana, a questo punto, potrà essere salvata soltanto dalla resistenza consapevole degli insegnanti che vogliono continuare ad essere educatori.

Il libro si articola in sette capitoli:
L’innovazione distruttiva
Il didatticismo di regime
L’autonomia aziendalistica
L’educazione negata
La stupidità rivelata
La scuola del totalitarismo neoliberista
Il destino della scuola


Buoni e cattivi maestri

Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri

Anno 2003, pp. 160, Euro 15

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Testata Koinè

Contributi di:

Guido Armellini – Andrea Bagni – Antonia Baraldi Sani – Fabio Bentivoglio – Carlo Bolelli – Massimo Bontempelli – Francesco Borciani – Marcello Cini – Vittorio Cogliati Dezza – Luca Grecchi – Corrado Maceri – Fabiano Minni – Bruno Moretto – Cesare Pianciola – Gianna Tirandola – Marcello Vigli

La scuola e il fondamento, di Luca Grecchi
Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, di Francesco Borciani
Sapere di polis, di Andrea Bagni
Il quinto postulato, di Fabio Bentivoglio
Quale scuola per quale Stato?, di Marcello Vigli
L’intelligenza del tranviere, di Guido Armellini
Partiamo dalle nuove sfide, di Vittorio Cogliati Dezza
Il cappotto del professore, di Antonia Baraldi Sani
La scuola della Repubblica tra Stato, Regioni e sussidiarietà, di Corrado Mauceri
Evoluzionismo: un ponte tra due culture, di Marcello Cini
Sul sapere critico, di Carlo Bolelli
La convergenza del centrosinistra e del centrodestra
nella distruzione della scuola italiana, di Massimo Bontempelli
Il tutto e le parti, di Guido Armellini
L’esperienza del referendum in Emilia Romagna, di Bruno Moretto
Intervista immaginaria di Ignazio Olloy al Professor E. De Candi, di Fabiano Minni
L’esperienza del referendum in Veneto, di Gianna Tirondola
Lettera aperta ai partiti della sinistra sulla scuola
Venti anni di attività, di Cesare Pianciola


Il sogno di una scuola

Maria Luisa Tornesello

Il sogno di una scuola

Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore.

Allegato il CD-ROM per Windows con l’audiovisivo Oltre il libro di testo: parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell’obbligo degli anni Settanta,
di Maria Luisa Tornesello e Roberto Signorini.

ISBN 978-88-7588-006-4, 2006, pp. 416, Euro 27

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Si manifesta ormai da più parti l’esigenza di considerare con metodo scientifico la storia degli anni Settanta, superando sia l’urgenza della testimonianza personale che la rimozione di un materiale impegnativo e «scomodo». Questo discorso vale in modo particolare per la scuola, in quegli anni al centro dell’attenzione con analisi, pratiche, lotte, che presto e abbastanza superficialmente sono state liquidate o «demonizzate».
In realtà la scuola, e in particolare la scuola dell’obbligo, è il punto d’incontro dei problemi che in quel momento agitano la società italiana. È un vero e proprio laboratorio di idee e progetti vissuti come rivoluzionari: partecipazione democratica, non delega, autonomia e potere dal basso.
Questo libro è una prima ricostruzione di quei fermenti, caotici ma aperti e vitali. Esso si basa su una documentazione inconsueta (prese di posizione politiche e sindacali dei «nuovi insegnanti», lavori degli studenti, materiale didattico delle scuole sperimentali e dei corsi 150 ore, documenti di programmazione didattica, produzione dell’editoria didattica alternativa), in cui è possibile cogliere il profondo cambiamento rispetto al passato, la ricchezza del dibattito e delle proposte didattiche, l’impegno civile.

 

 


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Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».

Aristotele 007

«[…] diventiamo giusti facendo ciò che è giusto» (Etica Nicomachea, 1103a37).

 

«[…] è bene dire che è dal fare ciò che è giusto o temperato che un essere umano diventa rispettivamente giusto o temperante; e nessuno che deve diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Eppure la maggior parte degli esseri umani non fa così, ricorrono invece al parlare (λóγoν) di tali cose e pensano di stare filosofando e che facendo così diventano eccellenti, comportantandosi insomma un po’ come i pazienti che ascoltano i loro medici con attenzione, ma non fanno nulla di quello che gli vien loro prescritto. E proprio come questi pazienti non curano il proprio corpo comportandosi in questo modo, così coloro che filosofano in questo modo non miglioreranno la loro anima» (Etica Nicomachea, 1105b5-18).

 

«[…] il fine deve essere ipotizzato come un inizio […] il fine è l’inizio del pensiero (νοησεως αρχη), il completamento (τελευτη) del pensiero è l’inizio di azione» (Etica Eudemia, 1227b23-34).

Aristotele

Trilogia AristoteleGiampaolo Abbate – Claudia Baracchi – Enrico Berti- Barbara Botter
Matteo Cosci – Annabella d’Atri – Andrea Falcon – Silvia Fazzo
Arianna Fermani – Silvia Gastaldi – Giovanna R. Giardina
Luca Grecchi – Silvia Gullino – Alberto Jori – Giulio A. Lucchetta
Lucia Palpacelli – Diana Quarantotto – Luigi Ruggiu – Monica Ugaglia
Mario Vegetti – Carmelo Vigna – Marcello Zanatta

 

Logo-Adobe-Acrobat-300x293   Brochure per la Trilogia su Aristotele (pp. 32)   Logo-Adobe-Acrobat-300x293

 


Prometeo legato alla colonna con Atlante che regge il cielo, VI a.C. colore***

 

260 ISBN

Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter, Matteo Cosci, Silvia Fazzo, Arianna Fermani, Giovanna R. Giardina, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

indicepresentazioneautoresintesi


282 ISBN

Giampaolo Abbate, Claudia Baracchi, Enrico Berti, Barbara Botter, Matteo Cosci, Annabella D’Atri, Andrea Falcon, Arianna Fermani, Luca Grecchi, Alberto Jori, Diana Quarantotto, Monica Ugaglia, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

indicepresentazioneautoresintesi

 


311 ISBNindicepresentazioneautoresintesi

Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

 


Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi

Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.

Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.

Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.

Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.

Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi

 


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Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.

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Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

 

 

008   «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.»

Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.

 



«Per realizzare le nostre speranze e inostri sogni abbiamo bisogno di amici […] di chi crede in noi. [Gli amici] sono quelli che credono in noi e vogliono aiutarci».

 

Aung San Suu Kyi

 

 

049   «Amicizia» può significare molte cose, potremmo dire con Aristotele. Molte relazioni che vengono chiamate con questo nome sono di fatto rapporti strumentali, motivati da finalità varie […]. Ma come si presenta un’amicizia nel suo senso pieno […]?
Nella perfezione di cui parla Aristotele non dovremmo intendere un riferimento all’ideale, quanto invece l’amicizia come fine in sé: un’amicizia che non si riconduce a mezzo per fini determinati e non si instaura in vista dell’ottenimento di alcunché. Essa non volge ad alcun fine, se non il bene, che non è una cosa: l’amicizia è orientata al bene di sé e dell’amico. Ma essere fine in sé ed essere finalizzata al bene significa, per l’amicizia, la stessa cosa: essere il luogo dove non si persegue altro che la piena realizzazione, cioè la felicità, mia e dell’altro. Questo è il significato del bene: la vita vissuta bene. Dunque l’amicizia riuscita è la riuscita di ognuno.

 

 

014   I requisiti principali dell’amicizia sono la somiglianza, o affinità, e la reciprocità. Ma va detto subito che questi termini non indicano il conformismo, l’adeguamento alla convenzione, tanto meno la quantificazione e il calcolo. […] Gli amici non si assomigliano in qualche dettaglio marginale, nelle forme esteriori, o nella condivisione degli stessi vantaggi e privilegi. E quello che danno l’uno all’altro non si misura come negli scambi di beni ordinari, non è quantità a cui assegnare prezzo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita: arete è il nome che i greci danno a questa postura esistenziale, usualmente tradotto in italiano come virtù.

 

018   Allora comune agli amici è la forma di vita, il modo di vivere, sia nell’invisibile interiorità sia nell’esteriorità dell’azione. È la disposizione verso il bene, verso il bene della vita, quel bene che è la vita stessa protesa al compimento, alla realizzazione felice. Nell’amicizia è magnificato al massimo l’intreccio del bene presente (l’eccellenza dell’amico) e del bene come tendenza, compito infinito, bene a venire. Osserva Aristotele che «la perfetta amicizia è tra esseri umani buoni e simili nei confronti della virtù; poiché, nella misura in cui sono buoni, si augurano l’un l’altro il bene, e siffatti esseri umani sono buoni in se stessi» (Etica Nicomachea, 1156b7-10).

 

035   Nel cuore di questa amicizia si trova la condivisione dell’eccellenza e il reciproco augurio di ulteriore compiutezza e accrescimento. Ed è proprio il movimento verso il bene (ciò che rende eccellenti nella psyche e nell’azione) ad essere eminentemente amabile e attraente nell’amico. […] Sono i participes curarum con cui ci confrontiamo, da cui riceviamo consiglio nell’affrontare passaggi e situazioni di non facile lettura. […] Nell’amicizia è il bene dell’altro che mi fa bene. […]

 

037   Desta perplessità, ai nostri orecchi tardo-moderni, tutto quello che riguarda il bene, e in particolare l’espressione: essere buoni. Il bene, la bontà, buono: categorie goffe, rese irriconoscibili da rivolgimenti epocali che ce le hanno restituite come formule inerti, principi moralistici risibili, quando non apertamente repressivi. Noi abitanti nella modernità tarda siamo a malapena in grado di intendere quello che dicono gli antichi: per loro essere buoni significa essere felici, sentirsi dischiudere nella vastità della vita, ricercandone l’inveramento. […] E per questo, nella nostra epoca tarda, termini o espressioni come «bene comune», «cittadinanza», «comunità», rischiano di perdere il senso concreto e la prossimità viva. Non riconoscendo il bene come realizzazione di sé in seno a un noi, crediamo di trovare libertà e felicità in comportamenti puramente arbitrari e sconnessi.

 

045   Oppure siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, e tramite «la macchina» comunichiamo globalmente, ormai ampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete. Ma, così intesa, la connettività è contraffazione della comunità degli amici, così come la «realtà aumentata» è contraffazione della pienezza della vita.[…]
Gli amici si assomigliano in quanto, essendo similmente rivolti verso il bene, lo perseguono, anelano ad esso, e in ciò si favoriscono a vicenda. Ma ognuno lo farà a modo suo. […] L’amicizia non richiede conformismo […].

 

059   Dunque gli amici condividono la loro disposizione verso il bene. Sono simili nella loro postura rispetto al bene, simili nell’essere implicati nell’amore per il bene.

Claudia Baracchi, Amicizia, Mursia, 2016, pp. 53 ss.

 

Claudia Baracchi

Claudia Baracchi



Claudia Baracchi, Ph.D. in Filosofia, docente di Filosofia antica e Filosofia continentale alla University of Oregon (1996-1998) e alla New School for Social Research di New York (1999-2009), dal 2007 insegna Filosofia morale e Filosofia della relazione e del dialogo all’Università di Milano-Bicocca. È membro fondatore della Ancient Philosophy Society. È docente a Philo-Scuola Superiore di Pratiche Filosofiche. È analista membro della Società di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (SABOF)


Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.
Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.

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Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


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Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

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Pablo Picasso, Amicizia, 1908

Pablo Picasso, Amicizia, 1908

 

Raffaello Sanzio, Autoritratto con un amico, 1518-1520

Raffaello Sanzio, Autoritratto con un amico, 1518-1520

 

H. Matisse, amicizia

H. Matisse, Amicizia

Konstantin Makovskij, Amici, 1895

Konstantin Makovskij, Amici, 1895

 

Edgar Degas, Amici del pittore dietro le quinte, 1879

Edgar Degas, Amici del pittore dietro le quinte, 1879



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