Leggendo «Padrone e servo» di L. N. Tolstoj. Un’altra storia è possibile. Lo stordimento dell’economicismo conduce l’anima verso la dispersione di sé. Il potere cerca di impedirci di vivere il momento qualitativo, in cui il mondo con i suoi incanti appare nella sua verità. La vera emancipazione è la liberazione dai pesi grevi che celano allo sguardo la fratellanza.

Lev Nikolaevič Tolstoj- Padrone e servo

Salvatore Bravo

Le storie contro la storia

Un’altra storia è possibile.
Il paradigma neoliberale non è l’unico periodare possibile.

Lo stordimento dell’economicismo conduce l’anima verso la dispersione di sé.

Il potere cerca di impedirci di vivere il momento qualitativo,
in cui il mondo con i suoi incanti appare nella sua verità.

La vera emancipazione è la liberazione
dai pesi grevi che celano allo sguardo la fratellanza.



Il mondo neoliberale non è la verità dell’essere umano.
Il neoliberismo – in continuità con le strutture di potere che separano, escludono e strumentalizzano – è l’effetto finale di logiche di potere che hanno attraversato il “secolo breve”. Accanto alla storia ufficiale vi è la storia parallela e carsica di un’altra umanità che non compare nei libri di storia, perché devono confermare il paradigma della divisione e dello sfruttamento. «La storia inizierà», affermava Marx «quando terminerà la legge della giungla».
Lungo la storia ci sono state esperienze di fratellanza che normalmente sono escluse dalla storia ufficiale e talvolta sono oggetto non solo di rimozione, ma anche di irrisione. Non solo la storia non è conclusa, ma è invece esperienza collettiva plurale. Vi sono testimonianze che dimostrano che un’altra storia è possibile e che il paradigma neoliberale non è l’unico periodare possibile e da scrivere.
La vita di Lev Nikolaevič Tolstoj (1828-1910), testimonia un’altra storia. La sua opera come la sua vita sono il dono di uno scrittore, di un uomo che ha vissuto per la comunità, ed ha dato dimostrazione che un’altra vita non è solo potenzialmente ipotizzabile, ma la si può mettere in atto. In un suo breve racconto, Padrone e iservo, descrive il percorso di due anime che escono dall’oscurità delle gerarchie, delle sovrastrutture, per ritrovarsi nella comune umanità. La vita è ritrovata quando è ormai persa per il padrone, la fine segna l’uscita dallo stordimento dell’economicismo, che conduce l’anima verso la dispersione di sé, verso «la sua notte oscura». L’ossessione per il denaro, per l’accumulo, il martello dell’economia che tutto annichilisce in nome del plusvalore, è la dannazione del padrone: la sua solitudine è attraversata dall’ossessione del calcolo. Quest’ultimo segna la sua tragica distanza dal mondo e la sua solitudine:

 

«Non aveva sonno. Stava disteso lì e pensava: pensava sempre a quell’unica cosa che costituiva l’unico scopo, senso, gioia e orgoglio della sua vita, – a quanto denaro avesse già messo da parte e a quanto ancora avrebbe potuto guadagnarne; e a quanto denaro avessero accumulato e possedessero ora altre persone di sua conoscenza, e a come costoro avessero accumulato e continuassero ad accumulare denaro, e a come lui, proprio come loro, potesse accumulare ancora molto, molto denaro. L’acquisto del bosco di Gorjàtchkino era per lui un affare di enorme importanza. Sperava di trarre da quel bosco un guadagno di diecimila rubli, tutti d’un colpo. E cominciò nei suoi pensieri a far la stima del bosco, che aveva veduto in autunno, e in cui aveva contato tutti quanti gli alberi per un tratto di due “desjàtine”. “Le querce daranno legno per pattini. Per i tagli non c’è problema. E di legna si farà un 30 ‘sàgieni’ ogni ‘desjàtina’” diceva a se stesso. “E ogni ‘desjàtina’, mal che vada, verranno almeno 200 rubli. Con i più magari anche un biglietto da 25, perché no. Per cui 56 ‘desjàtine’, 56 centinaia, con in più 56 decine, più un’altra volta 56 decine, e più 56 cinquine… “. Vide che il risultato doveva superare i dodicimila rubli, ma senza il pallottoliere non riusciva a capir bene di quanto precisamente li superasse. “Diecimila comunque non gliene do, gliene darò ottomila, e non metteremo in conto le radure. L’agrimensore me lo lavorerò un po’ io, potrei dargli un cento rubli, o magari anche cinquecento; e lui mi segnerà cinque ‘desjàtine’ di radure. Cosi quello là me lo darà per ottomila. Adesso ne ho qui 3000, pronti sull’unghia. Si raddolcirà di sicuro a vederli” pensava, tastando con l’avambraccio il portafogli che aveva in tasca. “E come abbiamo fatto a perderci dopo la svolta Dio solo lo sa! Qua dovrebbe esserci il bosco, con il casotto del guardiacaccia. Si sentissero almeno i cani. Ma ti dico io, mai che abbaino quando serve”. Scostò il bavero dall’orecchio e si mise in ascolto; si udiva sempre il medesimo fischiare del vento, e in cima alle stanghe lo sventolio e gli schiocchi del fazzoletto, e le frustate della neve sul tiglio delle stanghe. Si nascose di nuovo sotto il bavero».[1]

 

Ossessione
L’ossessione per i suoi affari, il sospetto che qualcuno gli potesse soffiare l’acquisto per il quale era in trattative, lo inducono a sfidare le intemperie, ad affrontare il negativo, in questo caso simbolizzato dalla tempesta furiosa di neve, dai lupi che ululano, dal vento che non smette di tormentare cose e persone: nella notte buia trova rifugio, ma ancora il pensiero ossessivo riprende vigore e lo costringe a lasciare l’ospitalità che lo protegge. Eppure in questa notte, mentre il mondo sfuma con le sue certezze, dall’anima senza fondo comincia ad emergere la paura, si incrina la sicurezza del padrone, il suo sentirsi “altro” rispetto ai comuni mortali, mentre perde il controllo emerge la sua umanità, e la sua verità:

«”Oh, che notte lunga!” pensò Vasilij Andreitch, sentendo il gelo corrergli lungo la schiena, e, riabbottonatosi e riavvoltosi nella pelliccia, si strinse contro l’angolo della slitta, preparandosi alla paziente attesa. A un tratto, in mezzo al rumore sempre uguale del vento udì distintamente un suono nuovo, vivo. Il suono si rafforzava via via, giunse a una perfetta nitidezza, e poi cominciò via via a indebolirsi. Non vi era alcun dubbio che si trattasse di un lupo. E questo lupo era così poco lontano, che lo si udiva, nel vento, mutare i suoni della voce, rigirando le mascelle. Vasilij Andreitch scostò il bavero e ascoltò attentamente. Anche Baio ascoltava, tendendosi tutto, muovendo le orecchie ora in una direzione ora in un’altra, e quando il lupo ebbe terminato d’eseguire la sua cadenza, cambiò la posizione delle gambe e sbuffò, per avvertire gli uomini. Dopo di ciò Vasilij Andreitch non riuscì più non soltanto ad addormentarsi, ma nemmeno a calmarsi. Per quanto si sforzasse di pensare ai suoi conti, ai suoi affari e alla sua gloria e dignità e ricchezza, la paura si impadroniva di lui sempre più, e sopra a tutti i suoi pensieri dominava e a tutti i suoi pensieri si mescolava il pensiero del perché egli non fosse rimasto a Grischkino per la notte. “Dio se lo prenda, quel bosco, ne avevo di affari anche senza quel bosco, grazie a Dio».[2]

L’anima, tormentata dall’ossessione dell’affare riprende vigore, il suo flusso di coscienza è inarrestabile, ipotizza di lasciare il servo per proseguire da solo. Ma il percorso è praticamente impossibile, il muro di neve e buio gli fanno perdere l’orientamento, non si arresta, ma ormai ha perso ogni punto di riferimento. Ora che la vita sembra essere minacciata, l’ossessione lo abbandona, pochi passi nella neve e involontariamente ritorna dal suo servo. Lo ha abbandonato al suo destino, lo ha tradito per il denaro, ma ora che il mondo con le sue lusinghe tace, dinanzi al servo che rischia la morte, si ritrova, vede nel servo il fratello che vive il suo stesso destino. Si stende su di lui per proteggerlo, per riscaldarlo, prova una triste gioia nel gesto di sentirsi al contatto con il servo, è per lui la prima volta che le gerarchie tacciono, semplicemente è dinanzi ad un altro essere umano che soffre come lui, non è più solo per la prima volta nella sua vita:

«”Ah, vedi, e dicevi che morivi. Sta’ disteso, scaldati, ecco come facciamo noialtri… ” cominciò a dire Vasilij Andreitch. Ma con suo grande stupore non riuscì a dire altro, perché le lacrime gli spuntarono negli occhi e la mascella cominciò a tremargli forte. Smise di parlare e si limitò a inghiottire quel che gli stava salendo in gola. “Mi devo essere proprio spaventato tanto, da esser così debole adesso” pensò di sé. Ma questa debolezza non soltanto non gli riusciva sgradita, ma gli procurava una gioia particolare, che non aveva ancora mai provato. “Ecco come siamo noi” diceva a se stesso, provando una commozione particolare, trionfante. E per un tempo piuttosto lungo rimase disteso così, asciugandosi gli occhi sul pelo della pelliccia e infilandosi sotto il ginocchio il lembo destro della pelliccia, che il vento continuava a rivoltargli. Ma aveva una voglia appassionata di parlare a qualcuno di quella gioia che si sentiva dentro. “Nikita!” disse. “Sto bene, sto caldo” si sentì rispondere da sotto. “E così, fratello, io ancora un po’ ed ero perduto, sai. E tu ti saresti congelato, e anch’io… ” Ma di nuovo cominciarono a tremolargli i pomelli, e di nuovo gli occhi gli si riempirono di lacrime, e non riuscì a dire nient’altro. “Be’, non importa” pensò. “Quel che so, lo so io per conto mio”. E tacque. Cosi rimase a lungo. Sentiva caldo da sotto, perché c’era Nikita, e sentiva caldo anche da sopra, perché sopra c’era la pelliccia; soltanto le mani, con cui egli teneva le falde della pelliccia sui fianchi di Nikita, e le gambe, da cui il vento continuava a rovesciargli via la pelliccia, cominciavano a gelarglisi. Gli si stava gelando in particolar modo la mano destra, che era senza guanto. Ma lui non pensava né alle sue gambe, né alle mani, ma pensava soltanto a scaldare il meglio possibile il “mugik” che gli giaceva sotto».[3]

 

Alla fine la vita è persa, ma ha ritrovato il suo senso. Il gesto del dono gratuito lo trasfigura, l’uomo che muore per salvare il servo e l’uomo ossessionato dal capitale sono due uomini diversi. Nella vita del padrone, ormai solo un uomo che cerca il fratello è entrato il tempo cairologico,[4] il tempo della qualità che muta e trasfigura la vita nell’unità della fratellanza.
Il potere, sembra dirci Tolstoj, cerca di impedirci di vivere il momento qualitativo, in cui il mondo con i suoi incanti appare nella sua verità, nelle sue etiche tragedie. La liberazione dai pesi grevi che celano allo sguardo la fratellanza è la vera emancipazione. Ma, per ritrovarsi, spesso si deve attraversare la notte oscura, con i suoi dubbi dolorosi.

Così Tolstoj narra gli ultimi pensieri di Vasilij prima della morte:
«E si rammenta che Nikita è lì disteso sotto di lui e che si è scaldato ed è vivo, e gli sembra di esser lui Nikita e che Nikita sia lui, e che la sua vita non sia in lui stesso ma in Nikita. Si mette in ascolto, e sente il respiro, e persino il leggero russare di Nikita. “È vivo, Nikita, e dunque anch’io sono vivo” dice a se stesso con aria di trionfo. E si ricorda dei soldi, della bottega, della casa, degli acquisti, delle vendite e dei milioni dei Mironov; fa fatica a capire perché quest’uomo che chiamavano Vasilij Brechunòv si occupasse di tutte le cose di cui si occupava. “Be’, è perché non sapeva qual era il punto” pensa di Vasilij Brechunòv. “Non lo sapeva così come io lo so adesso. E adesso non mi sbaglio. Adesso so”. E sente di essere libero, e non c’è più nulla che lo trattiene. E null’altro vide e udì e sentì in questo mondo Vasilij Andreevic. Intorno tutto era ancora avvolto dal nevischio».

Salvatore Bravo

[1] Lev Tolstoj, Padrone e servo, Freedbookss 2012, pp. 40-41.

[2] Ibidem, pag. 45.

[3] Ibidem, pp. 53-54.

[4] Cairologico dal greco καιρός “momento opportuno o speciale”.

«Poiché la vita è essenziale quanto la libertà, la lotta termina innanzitutto, come negazione unilaterale, con la seguente disuguaglianza. Uno dei due combattenti preferisce la vita, si conserva come autocoscienza singolare, ma rinuncia al suo essere riconosciuto; l’Altro, invece, si mantiene saldo alla sua autorelazione, e viene riconosciuto dal primo come da un assoggettato. Si ha così il rapporto tra signoria e servitù».

G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Lev Nikolàevič Tolstòj (1828 – 1910) – «Se lascio la vita con la coscienza d’aver sciupato tutto quanto mi fu dato e che ormai non c’è più nulla da fare, allora che sarà?». Ivan Il’ič è il personaggio dell’esteriorità. La sua è un’interiorità priva di ricerca, priva di interrogazione.

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Che cosa accade quando in una vita priva di risonanza interiore,

priva di raccoglimento

– di abitudine al raccoglimento presso di sé –

e dunque tutta consegnata all’esteriorità,

irrompe l’inatteso, l’altro come inatteso?

 

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La morte di Ivan Il’ič

«Gli era venuto in capo che quanto gli era fin qui sembrato assolutamente inammissibile, di aver cioè vissuto non come si doveva, potesse invece essere la verità. Gli era venuto in capo che i suoi timidissimi tentativi di ribellione a ciò che la gente altolocata stimava il bene, tentativi che subito aveva soffocato in sé – che essi soli potessero essere gusti, e tutto il resto essere sbagliato. Il suo ufficio, il suo modo di vivere, e la famiglia, e gli interessi mondani e professionali, – tutto poteva essere sbagliato. S’era provato a difendere davanti a se stesso quelle cose. E a un tratto sentiva tutta l’inconsistenza di ciò che difendeva. Non c’era niente da difendere.
“E se così è, – s’era detto – e se lascio la vita colla coscienza d’aver sciupato tutto quanto mi fu dato e che ormai non c’è più nulla da fare, allora che sarà?”. S’era così disteso supino e aveva ricominciato a considerare tutta le sua vita sotto un nuovo aspetto. E quando al mattino venne il domestico, e poi la moglie, e poi la figlia, e poi il dottore, – ogni loro gesto, ogni loro parola gli avevano confermato l’orribile verità che gli si era aperta la notte. In loro vedeva se stesso, le cose di cui aveva vissuto; e chiaramente intendeva che tutto ciò non era quello che avrebbe dovuto essere, ma solo un enorme, uno spaventoso inganno che nascondeva la vita e la morte».

 Lev Nikolàevič Tolstòj, La morte di Ivan Il’ič, trad, di Tommaso Landolfi, Rizzoli, 1989, pp. 85-86.

 

Ivan Il’ič è il personaggio dell’esteriorità,

totalmente assorbito in essa.

Ma poiché il personaggio non ha mai, fino a quel momento,

alimentato in sé un dialogo con se stesso,

ecco che l’interiorità che si vorrebbe edificare

è un’interiorità priva di ricerca, priva di interrogazione.

 

«Che cosa accade quando in una vita priva di risonanza interiore, priva di raccoglimento – di abitudine al raccoglimento presso di sé – e dunque tutta consegnata all’esteriorità, irrompe l’inatteso, l’altro come inatteso? Un racconto di Tolstoj, La morte di Ivan Il’ič, mette in scena questo incontro dell’uomo esteriore con la figura estrema che nega ogni mondanità, ogni sociale convenzione, cioè la morte. Il giudice Ivan Il’ič: ha costruito le sue giornate, e il suo pubblico apparire, la sua sociale identità comme il faut, cioè così come occorre essere, come davvero ci si attende che uno sia, quando la vita è pensata come adeguazione piena ai costumi, alle convenzioni sul piano pubblico e alle convenienze sul piano privato. In tribunale, nei salotti, in famiglia Ivan Il’ič: è sempre all’altezza della situazione. Il suo stesso matrimonio è stato piegato alle convenienze, ma per essere all’altezza non è stato separato da quel tanto di amore che è pur necessario secondo le convenzioni sociali. Ivan Il’ič è il personaggio dell’esteriorità, totalmente assorbito in essa. Nessun turbamento, nessuna esitazione, nessuna debolezza in questa identità riuscita e sicura. Ma a un certo punto l’irruzione della malattia, e con essa, il rivelarsi della morte, del suo profilo, della sua attesa, comincia a sgretolare i contorni dell’esteriorità. Rivela, di colpo, l’inautentico di un’esistenza, la quale ha cancellato, o almeno rimosso, il rapporto con la morte, l’essere per la morte. Si mostra, per la prima volta, il disegno di un’interiorità come possibile spazio di un dialogo con l’altro, con la sua misteriosa presenza. Ma poiché il personaggio non ha mai, fino a quel momento, alimentato in sé un dialogo con se stesso, ecco che l’interiorità che si vorrebbe edificare è un’interiorità priva di ricerca, priva di interrogazione. Il racconto di Tolstoj si può leggere come una sorta di drammaturgia della coscienza: lo spazio della coscienza, riempito dai richiami delle sociali abitudini, si ritrova vuoto quando la malattia impone una nuova estrema relazione, quella con la morte. Il personaggio, nella sopravvenuta solitudine, percepisce che tutto continua al di fuori di lui, senza di lui, la moglie e la figlia continuano a uscire, a incontrare un mondo, forse quello che era il suo mondo, mentre lui è prigioniero di un nuovo ospite che implacabilmente, giorno dopo giorno, lo spoglia di ogni legame con gli altri, e persino con se stesso. Ivan Il’ič cade nel gelo di un’attesa che non può né riconoscersi come attesa né stemperarsi in un dialogo, un’attesa priva di pensieri. Estraneo all’esteriorità di un tempo, estraneo all’interiorità che il nuovo tempo esige».

Antonio Prete, Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità, Bollati Boringhieri, 2016, pp. 50-52.


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Chiara Guarducci – «Bye Baby Suite». Il monologo nell’insonnia dell’ultima notte di Marilyn Monroe invade ogni spazio come un urlo: un’onda che si disfa per rimontare, scandalosa come una preghiera.

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Senza scampo

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Come son belli
quegli uccelli che volano.
Perché li uccidono?
Un uccello non ha scampo
quando vola.
È crudele uccidere chi
non ha scampo.

 Marilyn Monroe

«Bye Baby Suite è una poesia
che ho scritto per lei
sognando che la leggesse».

C. Guarducci

 

Bye Baby Suite coperta

Chiara Guarducci, Bye Baby Suite, Petite Plaisance, 2016.

ISBN 978-88-7588-165-8, 2016, pp. 64,Euro 8 – Collana “Antigone”.
In copertina: ‘Mari Line’, di Laura Cioni.

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Il monologo sgorga dallo spacco tra il Mito e la donna, tra l’icona spumeggiante e l’intimità più scomoda. Una voce spezzata eppure traboccante e la sua musica messa via che adesso invade ogni spazio come un urlo: Marilyn nell’insonnia della sua ultima notte, che consuma pillole ed alcool e si ripercorre d’un fiato, senza pudore, lanciandosi in un altalena di ricordi. Luci e tormenti di un’anima fuori posto, sempre a caccia di un amore che la plachi, di un mattino che la sogni, di un’uscita d’emergenza. Ne esce un ritratto mosso, dissacrante e tragico, un’onda che si disfa per rimontare, scandalosa come una preghiera. Bye Baby Suite è una poesia che ho scritto per lei sognando che la leggesse. Se quest’anima inquieta e indomata non ha mai avuto riparo, è anche vero che nessuno potrà mai restare intero davanti allo scroscio e al deserto delle sue onde.

 

Marilyn Monroe, 1953

Marilyn Monroe, 1953.

 

Marylin cover 2


 

Chiara Guarducci, La neve in cambio

Fenditura nella neve di Sandra Nistri

[Lucifero, La Carogna, Camera ardente].

ISBN 88-87296-89-8, 2001, pp. 80, formato 110×170 mm., Euro  5,16 – Collana di teatro, “Antigone” [5].
In copertina: Fenditura nella neve. Foto di Sandra Nistri.

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Chiara Guarducci vive a Firenze . Il suo rapporto con la parola è prima di tutto poetico ed è, infatti, dalla poesia e nella poesia che arriva al teatro. Suoi versi sono apparsi sulla rivista “Plurale” (1994) e la pubblicazione della sua opera prima, Fino a dimenticare (Firenze, Gazebo, 1999) è avvenuta in coincidenza con la messa in scena della sua prima pièce teatrale, Lucifero, nell’ambito della “Rassegna dei giovani autori” organizzata nel marzo del 1999 dal Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino.
Attraverso la scelta di figure estreme nella loro funzione simbolica come l’Angelo caduto, oggetto di proiezioni e di ostracismi, totem e tabù della cultura occidentale, l’Autrice esplora le potenzialità visive e sonore della parola, affidando il testo ad una voce sola, inchiodata e persa al centro della gabbia teatrale.

La carogna, presentata al pubblico nell’aprile 2000, prosegue questa ricerca intorno ai simboli, guardandoli dalla parte dei luoghi comuni, delle “frasi fatte” e reiterate in cui quotidianamente precipita l’esperienza dell’amore e dell’abbandono. La carne narrante è quella della carogna, il resto vivissimo di una festa tradita, la piaga che rimane aperta alla fine di una storia, abbondante, generosa solitudine dannata a ripercorrere la giostra dei suoi stessi segni con sarcasmo ed incanto.

Conclude questa “trilogia” Camera ardente, andata in scena nel febbraio 2001 ed interpretata da Silvia Guidi, attrice cui la Guarducci si sente legata dalla medesima urgenza artistica: scrivere i lampi, gli umori della mente, entrare nel magma: «A noi interessano i ‘mostri’, cioè coloro che ‘mostrano’: più che personaggi cose viventi, masse di energia, onnipotenza infantile e abbandono».

Lucifero caduto in disgrazia era ancora tutto sporco di cielo, la carogna, avanzo dolorante di una storia d’amore, era carne viva, scossa da gioia e angosce, da una fame di vita che la sfiniva.

Con Camera ardente nasce il morto, l’ultima creatura, quella che ha più bisogno di amore. La camera ardente è un letto disfatto, un rigirarsi dentro visioni, cantilene, stati tra la veglia e il sonno. Il congedo è difficile, il morto è terrorizzato, rivuole tutto indietro, deve superare l’orrore della scena madre, questo vedersi sdraiato in un luogo squallido coi fiori, lasciato lì. Per questo sogna, magari balla o vola, magari fa festa, chissà come avverrà la sua scomparsa.


Chiara Guarducci | byebabysuite

chiara guarducci | Un’altra Donna. L’impudenza dello sguardo.

chiara guarducci – YouTube

Intervista MakeCulture a Chiara Guarducci – YouTube

TEATRO PUCCINI – Alessia Innocenti / Bye Baby Suite

Bye Baby Suite – YouTube

Alessia Innocenti

Bye Baby Suite. A 50 anni da Marilyn | Recensioni

Teatro Mancinelli Orvieto: BYE BABY SUITE

Evento Bye Baby Suite @RIVA – Riva Lofts Florence

“Bye Baby Suite”: 40 minuti in camera con Alessia “Marylin”

Bye Baby suite – L’ultima notte di Marylin Monroe – Rumor(s)

Ristorante La Veranda Pistoia: Bye Baby Suite : 40 minuti in …

    


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Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre, e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre se stesso.

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Tolstoj, ritratto da Ivan Nikolaevic Kramskoj nel 1873

Tolstoj, ritratto da Ivan Nikolaevic Kramskoj nel 1873.

«Una delle superstizioni più frequenti e diffuse è che ogni uomo abbia solo certe qualità definite, che ci sia l’uomo buono, cattivo, intelligente, stupido, energico, apatico, eccetera. Ma gli uomini non sono così. Possiamo dire di un uomo che è più spesso buono che cattivo, più spesso intelligente che stupido, più spesso energico che apatico, e viceversa; ma non sarebbe la verità se dicessimo di un uomo che è buono e intelligente, e di un altro che è cattivo, o stupido. E invece è sempre così che distinguiamo le persone. Ed è sbagliato.

Gli uomini sono come i fiumi: l’acqua è in tutti uguale e ovunque la stessa, ma ogni fiume è ora stretto, ora rapido, ora ampio, ora tranquillo, ora limpido, ora torbido, ora tiepido. Così anche gli uomini.

Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre, e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre se stesso».

Lev Nikolàevič Tolstòj, Resurrezione, Garzanti, 1999, p. 204.

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Autori, e loro scritti

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Antonio Tabucchi (1943 − 2012) – Non è un luogo, è un buco: intendo nella rete. C’è una rete nella quale pare sia ormai impossibile non essere catturati, ed è una rete a strascico. In questa rete io insisto a cercare buchi.

Andrea Tagliapietra – «La metafora dello specchio». Lo specchio, mostrando ciò che non può essere significato, cioè l’essere riflesso del riflesso, è testimone della verità dell’apparire in quanto darsi veritiero della menzogna.

Temistio (317-388) – L’insegnamento silenzioso di Eraclito.

Gianmaria Testa (1958-2016) – Povero tempo nostro e poveri questi giorni di magra umanità che passa i giorni e li sfinisce, lascia che torni il vento e con il vento la tempesta, e dentro al vento la stagione di quando tutto appassirà per chi bestemmia le parole.

Walter Tevis, «Solo il mimo canta al limitare del bosco», Mimimumfax, 2015. Ecco le accuse mosse dal tribunale dei robot: «Coabitazione, lettura e insegnamento della lettura».

Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) – Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è la fame né la peste; è invece quella malattia spirituale – la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli – che è la perdita del gusto di vivere

Teognide (570 – 485 a. C.) – Molte sono le cose mirabili, ma nessuna è più mirabile dell’uomo. L’eccessiva ricchezza è stata causa di rovina per molti. Non cercare onori, favori o ricchezze attraverso azioni ingiuste e vergognose.

Teognide (570 – 485 a. C.) – «hybris» è il primo male inflitto all’uomo. il meglio che gli dèi concedono agli uomini è il senno. Il senno sa discernere i limiti d’ogni azione. Felice chi lo possiede! Vale molto più dell’«hybris» funesta e della miseranda avarizia.

Henry David Thoreau (1817-1862) – Questa è la biblioteca, ma il mio studio è là fuori, oltre la porta. Credo che non esista niente – neppure il crimine – maggiormente contrario alla poesia, alla filosofia e alla vita stessa che questa incessante smania per il business.

Henry David Thoreau (1817-1862) – È impossibile descrivere l’infinita varietà di sfumature della natura. Per descrivere queste foglie si dovranno usare parole colorate.

Henry David Thoreau (1817-1862) – Se un uomo è libero nel pensiero, nella fantasia, nell’immaginazione, «ciò che non è» non gli appare mai per molto tempo come «ciò che è».

Lorenzo Tibaldo – Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

Lorenzo Tibaldo – Il passato condiziona il presente, ma non è un testamento vincolante che lo incatena per sempre, anzi lascia aperto lo spazio all’atto di volontà e di libertà, per cambiare e costruire un futuro diverso.

Lorenzo Tibaldo – «Sacco e Vanzetti. Innocenti !». Negli Stati Uniti la giustizia pubblica è basata sulla forza e sulla brutalità e guai allo straniero e in particolare l’italiano che voglia far valere la ragione.

Paul Tillich (1886-1965) – Il confine è il luogo migliore per acquisire conoscenza. Un atto morale non è un atto di obbedienza ad una legge esterna.

Sebastiano Timpanaro (1923-2000) – Troppo a lungo le classi dominanti hanno attribuito alla natura le ingiustizie e le sofferenze di cui è responsabile l’organizzazione della società, comprese certe calamità ‘naturali’ (dalle alluvioni alle epidemie a tutte le malattie sociali).

Maria Timpanaro Cardini (1890–1978) – Anima, vita e morte in Alcmeone.

Jacques-Joseph Tissot, detto James (1836-1902) – La passione della lettura nell’arte.

Tzvetan Todorov (1939-2017) – La letteratura è pensiero e conoscenza del mondo psichico e sociale in cui viviamo. La letteratura amplia il nostro universo, apre all’infinto la possibilità di interazione con gli altri e ci arricchisce infinitamente.

Tzvetan Todorov (1939-2017) – La memoria del male, la tentazione del bene e il bisogno di metafisica. Perché il passato resti fecondo, bisogna accettare che passi attraverso il filtro dell’astrazione.

Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Tutti i grandi cambiamenti cominciano e si compiono nel pensiero

Lev Tolstoj – Che cos’è l’arte: L’arte incomincia là, dove incomincia l’appena appena

Lev Tolstoj (1828-1910) – L’elevazione del lavoro a virtù è altrettanto assurda come l’innalzamento del nutrirsi dell’uomo a dignità e a virtù. nella nostra società falsamente ordinata, esso è per lo più un mezzo che uccide la sensibilità morale …

Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre, e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre se stesso.

Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – In una società dove esiste, sotto qualunque forma, lo sfruttamento o la violenza, il denaro non può assolutamente rappresentare il lavoro. La semplicità è la principale condizione della bellezza morale.

Lev Nicolaevič Tolstoj (1828-1910) – Non appena ho compreso l’essenza della ricchezza e del denaro, mi si è chiarito quanto in realtà sapevo già da molto.

Lev Nikolàevič Tolstòj (1828 – 1910) – «Se lascio la vita con la coscienza d’aver sciupato tutto quanto mi fu dato e che ormai non c’è più nulla da fare, allora che sarà?». Ivan Il’ič è il personaggio dell’esteriorità. La sua è un’interiorità priva di ricerca, priva di interrogazione.

Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Il termine «mio» poggia unicamente su un basso, animalesco istinto degli uomini, istinto che alcuni chiamano «sentimento» di proprietà, o diritto di proprietà. Le parole che essi ritengono assai importanti sono: mio, mia, miei.

L. N. Tolstoj, Leggendo «Padrone e servo» di L. N. Tolstoj. Un’altra storia è possibile. Lo stordimento dell’economicismo conduce l’anima verso la dispersione di sé. Il potere cerca di impedirci di vivere il momento qualitativo, in cui il mondo con i suoi incanti appare nella sua verità. La vera emancipazione è la liberazionedai pesi grevi che celano allo sguardo la fratellanza.

Alexis de Tocqueville (1805-1859) – È questo un potere che non spezza la volontà, la fiacca, la piega e la domina. Non distrugge, impedisce di nascere.

Angelo Tonelli – La conoscenza non coincide con la padronanza filosofica e scientifica del pensiero. Priva di una cultura della saggezza, la democrazia si sfalda. Dobbiamo evolvere culturalmente e spiritualmente, ripensando i cardini della consociazione planetaria.

Angelo Tonelli – Sapienza è una condizione dello spirito, un modo di essere, e non un insieme di contenuti che si ritengano veri e saggi. È la posizione interiore del meditante. Il Sapiente è radicato nella sorgente delle cose. Il Sapiente è conoscenza.

Franco Toscani – Il rapporto etica-politica e il tema dell’amicizia in Aristotele.

Franco Toscani – L’antropologia culturale e il sogno dell’universalità umana concreta.

Franco Toscani – Il filosofo e le Muse. La filosofia come “musica altissima” e “sinfonia dell’anima”.

Franco Toscani – Karl Marx e il significato della “Comune” di Parigi. La “Comune” sarà celebrata per sempre come la gloriosa messaggera di una nuova società. La sua testimonianza, il suo patrimonio e la sua eredità risiedono essenzialmente nella «sovrabbondanza di umanità dalla parte degli oppressi».

Franco Toscani – Umanità e società nel tempo della pandemia.

Franco Toscani – L’ «immenso oceano dei pensieri» e la vita buona.

Franco Toscani – Marx non cessa di lodare la duttilità, l’iniziativa storica, la capacità di sacrificio, la novità e la grandezza dell’azione storica della Comune, per quanto destinata a essere sopraffatta.

Camilo Torres Restrepo (1929-1966) – L’umanesimo integrale di un rivoluzionario colombiano, sociologo, cristiano, sacerdote. – A 50 anni dalla sua uccisione ad opera dei miliziani governativi colombiani.

Franco Trabattoni – Non esiste l’algoritmo in base al quale stabilire quali cose sono buone, quali no, e in che misura.

Franco Trabattoni – Platone inaugura un’idea di filosofia in cui il sapere che si ricerca non è tanto un sapere fine a sé stesso, orientato al puro conoscere, ma è un sapere diretto a conoscere quei principi generali di fondo che soli possono promuovere il benessere dell’uomo (ovvero la sua felicità) sia nella vita privata sia in quella pubblica

Tucidide (460-399 a.c.) – Così presso molti la ricerca della verità viene trascurata, e a tal punto i più si volgono di preferenza verso ciò che è più a portata di mano.

Tucidide (460-399 a.c.) – E il valore d’uso delle parole mutò il suo rapporto con le cose secondo il giudizio: così l’avventurismo irrazionale fu stimato audacia solidaristica, l’accorta vigilanza viltà opportunistica, la saggezza schermo dell’inerzia, la considerazione di tutto immobilismo totale.

Laura Tundo Ferente – Il pensiero utopicamente connotato ha saputo esercitare costantemente la critica e l’opzione etica per la società giusta.

Gioacchino Turco – «ETERNIT». Quando i soldi si impadroniscono del cuore la salute e la vita stessa dei lavoratori e dei cittadini vengono sacrificate sull’altare del profitto.

Ivan Sergeevič Turgenev (1818-1883) – Don Chisciotte esprime l’ideale della verità, vive per estirpare le forze del male.

Sherry Turkle – “La conversazione necessaria. La forza del dialogo nell’era digitale”. La sola cura per le connessioni fallimentari del nostro mondo digitale è parlare.

Gabriella Turnaturi – Le metamorfosi della vergogna, il suo essersi celata, corrisponde alla perdita di consapevolezza dell’interdipedenza, dell’intersoggettività, corrisponde all’affermazione patetica e illusoria di un Io solo, autonomo e senza limiti

Luc Tuymans –Siamo bombardati da informazioni e immagini, ma la pittura è prima di tutto un fatto fisico, ci permette di tornare indietro, di concederci una pausa e attivare la sfocatura del distacco e della riflessione. Se la pittura è solo uno “show”, allora la pittura è morta, ma credo che questo valga per tutte le forme d’arte.

Mark Twain (1835-1910) – I politici inventeranno volgari bugie e ognuno sarà grato di queste falsità, che gli mettono in pace la coscienza. Si convincerà che la guerra è giusta e ringrazierà Dio dei sonni tranquilli che questo processo di grottesco autoinganno gli garantisce.