Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.

M. Del Serra_L'albero delle parole

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«La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite,
che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità».
L’albero delle parole, p. 41.

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Nel cinquantesimo anniversario della morte di don Lorenzo Milani,
l’Editrice petite plaisance rende omaggio al Priore di Barbiana
pubblicando in 100 copie numerate la pièce teatrale
L’albero delle parole,
scritta nel 1987 da Maura Del Serra,
che ringraziamo per la cortese disponibilità,
e qui riproposta unitamente alla
Lettera ad una professoressa delle scuole medie
di Domenico Segna, scritta in questa occasione.


Maura Del Serra

L’albero delle parole.

Con uno scritto di Domenico Segna: Lettera ad una professoressa delle scuole medie.
ISBN 978-88-7588-184-9, 2017, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 10.
In copertina:
Elaborazione grafica del fotogramma di Andreas Kassel, 3XTonino, dedicato a T. Guerra, con l’inserimento dell’immagine di don Lorenzo Milani e dei suoi ragazzi di Barbiana.
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«Su tutte le sue fondamenta unite si regge la nostra piccola casa, che nessuna tempesta di dolore o di dubbi può sradicare, se non viene meno la potenza che l’ha fondata: e non verrà meno, neanche quando ognuno di noi sarà scomparso o portato lontano. Sulle antiche fondamenta, non più visibili ma ancora unite, quella potenza edificherà un’altra forma vivente, ricca di altri frutti, che nutriranno le generazioni».

L’albero delle parole, p. 49.

 

 

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L’albero delle parole, latamente ispirato alla figura e all’opera di Don Lorenzo Milani, ritrae con empatia di toni e linguaggi l’esperienza pedagogica ‘socratica’ di una comunità giovanile rurale nell’Italia degli anni Sessanta, nel suo epocale fervore innovativo e nel suo scontro con i poteri dominanti.

Il testo, accompagnato dall’appassionata denuncia epistolare di Domenico Segna, affronta, con la persuasiva profondità di visione ed il nitore espressivo tipici del “teatro della sostanza” di Maura Del Serra, alcune delle questioni individuali e sociali di quel periodo storico, che a distanza di oltre mezzo secolo mostrano i loro drammatici risvolti nella complessa specularità del presente.

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Luce Irigaray – La carezza è gesto-parola che oltrepassa l’orizzonte o la distanza dell’intimità con sè. Accarezzare è stare attenti alle qualità velate nella vita comunitaria.

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Essere due

 

La carezza è gesto-parola che oltrepassa l’orizzonte o la distanza dell’intimità con sè. È vero per chi è accarezzato, toccato, per chi è avvicinato nella sfera della sua incarnazione, ma è anche vero per chi accarezza, per chi tocca e accetta di allontanarsi da sé per questo gesto. Allora il gesto di chi accarezza non è cattura, possesso, sottomissione della libertà dell’altro affascinato da me nel suo corpo, ma diviene dono di coscienza, regalo di intenzione, di parola indirizzata alla presenza concreta dell’altro, alle sue particolarità, naturali o storiche.

Accarezzare è stare attenti alle qualità velate nella vita comunitaria, qualità che leggi e vita civile dovrebbero garantire come proprie, sottratte alle violenze di un quotidiano che non si cura di intersoggettività. La carezza è risveglio a te, a me, a noi.

Luce Irigaray, Essere due, Bollati Boringhieri, 1994.


Luce Irigaray – L’«a» è garante di due intenzionalità: la mia e la tua. In te amo ciò che può corrispondere alla mia intenzionalità e alla tua. Non basta guardare insieme nella stessa direzione, occorre farlo in un modo che non abolisca le differenze ma le renda alleate.

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Jean-Paul Sartre (1905-1980) – Il desiderio si esprime con la carezza come il pensiero col linguaggio. Il desiderio è coscienza. Nel desiderio e nella carezza che l’esprime, mi incarno per realizzare l’incarnazione dell’altro. Così, nel desiderio, c’è il tentativo di incarnazione della coscienza.

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L’essere e il nulla

 

Senza alcun dubbio, chi desidera sono io, ed il desiderio è un modo singolare della mia soggettività. Il desiderio è coscienza […]. Tuttavia non si deve pensare che la coscienza che desidera sia differente dalla coscienza cognitiva solo, per esempio, per la natura del suo oggetto.

[…] Il desiderio non è solamente voglia, chiara e trasparente voglia che, attraverso il nostro corpo, tende verso un certo oggetto. Il desiderio è definito come turbamento. E questa espressione di turbamento può servirci a determinare meglio la sua natura: si oppone un’acqua torbida ad un’acqua trasparente; uno sguardo torbido ad uno sguardo chiaro. L’acqua torbida è sempre dell’acqua; non ha perso la fluidità ed i suoi caratteri essenziali; ma la sua trasparenza è «turbata» da una presenza impercettibile che fa tutt’uno con essa, che è ovunque e da nessuna parte e che si dà come intorbidimento dell’acqua provocato da se stessa. Certo, la cosa si potrà spiegare adducendo la presenza di finissime particelle di solidi, in sospeso nel liquido: ma questa, è la spiegazione dello scienziato. Secondo la nostra percezione originaria, l’acqua torbida ci si presenta come alterata dalla presenza di qualche cosa di invisibile che non si distingue dall’acqua stessa e si manifesta come pura resistenza di fatto.

Se la coscienza che desidera è torbida, vuol dire che presenta un’analogia con l’acqua torbida. Per precisare questa analogia, conviene paragonare il desiderio sessuale con un’altra forma di desiderio, per esempio con la fame. […] Nel desiderio sessuale, certamente, si può ritrovare questa struttura comune a tutti gli appetiti: uno stato del corpo. […]

Tuttavia, se ci fermiamo a descriverlo così, il desiderio sessuale si manifesterebbe come un desiderio secco e chiaro, paragonabile al desiderio di bere o mangiare. […] Ora tutti sanno che un abisso separa il desiderio sessuale dagli altri appetiti. […] Perché non si desidera una donna tenendosi del tutto fuori dal desiderio, il desiderio mi compromette; io sono complice del mio desiderio. […] Ma il desiderio è consenso al desiderio. […] Nel desiderio la coscienza sceglie di esistere la sua fatticità su un altro piano. Non la fugge più, tenta di subordinarsi alla sua contingenza, in quanto sente un altro corpo – cioè un’altra contingenza – come desiderabile. In questo senso, il desiderio non è solamente manifestazione del corpo d’altri, ma rivelazione del mio corpo. […]

Il desiderio è un tentativo di svestire il corpo dei suoi movimenti come di vestiti, e di farlo esistere come pura carne; è un tentativo di incarnazione del corpo dell’altro. Solo in questo senso le carezze sono appropriazione del corpo dell’altro; è evidente che, se le carezze non consistessero che nello sfiorare o toccare, non potrebbero avere alcun rapporto con il potente desiderio che pretendono di colmare; rimarrebbero alla superficie […].

La carezza non vuole essere un semplice contatto; sembra che solo l’uomo la possa ridurre a semplice contatto, ed allora vien meno al suo significato. Perché la carezza non è un semplice sfiorare: ma un foggiare. Carezzando l’altro, io faccio nascere la sua carne con la mia carezza, sotto le mie dita. La carezza fa parte dell’insieme di cerimonie che incarnano l’altro. Ma, si può obbiettare, non era forse già incarnato? No. La carne dell’altro non esisteva esplicitamente per me, perché percepivo il corpo dell’altro in situazione; non esisteva per lui perché la trascendeva verso le sue possibilità e verso l’oggetto. La carezza fa nascere l’altro come carne per me e per lui. […]

Così la carezza non si distingue per nulla dal desiderio: carezzare cogli occhi o desiderare è la stessa cosa; il desiderio si esprime con la carezza come il pensiero col linguaggio.

[…] Nel desiderio e nella carezza che l’esprime, mi incarno per realizzare l’incarnazione dell’altro; e la carezza, realizzando l’incarnazione dell’altro, mi manifesta la mia incarnazione; cioè io mi faccio carne per indurre l’altro a realizzare per-sé e per me la sua carne e le mie carezze fanno nascere per me la mia carne […].

Così, nel desiderio, c’è il tentativo di incarnazione della coscienza […] per realizzare l’incarnazione dell’altro.

[…] Il desiderio, quindi, non giunge alla coscienza come il cuore giunge al pezzo di ferro che io avvicino alla fiamma. La coscienza si sceglie desiderio. Per questo, certo, conviene che essa abbia un motivo: io non desidero una persona qualunque o in qualsiasi momento.

[…] Il desiderio è un pro-getto vissuto che non presuppone nessuna deliberazione preliminare, ma che comporta da sé il suo significato e la sua interpretazione.

GIOTTO-BACIO

 Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla. La condizione umana secondo l’esistenzialismo, trad. di Giuseppe Del Bo, NET, 2002, pp. 438-445.

 

 

 


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