«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Chi oggi detiene il capitale della sorveglianza ha espropriato un bene dalle esperienze di persone dotate di pensieri, corpi ed emozioni vergini e innocenti come i pascoli e le foreste prima che soccombessero al mercato».
«Il capitalismo della sorveglianza esercita il suo dominio tramite il potere strumentalizzante, materializzandosi nel Grande altro, che come il tiranno dell’antichità esiste al di fuori dell’umanità, pur assumendone paradossalmente la forma. Il tiranno del capitalismo della sorveglianza non ha più bisogno della frusta del despota, come non gli servono i campi e i gulag del totalitarismo. Tutto quello che gli serve può trovarlo nei messaggi e nelle emoticon rassicuranti del Grande fratello, e può soggiogare gli altri non con il terrore, ma inducendoli alla confluenza in modo irresistibile, riempendoci la camicia di sensori, rispondendo alle nostre richieste, ascoltandoci attraverso la TV, conoscendoci per mezzo di casa nostra, origliando i nostri sospiri nel letto, leggendoci nei nostri libri».
Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss, Roma 2019, pp. 111 e 528.
Rispetto alle consuete rappresentazioni manualistiche, che descrivono i Presocratici quasi esclusivamente come studiosi della natura, molte ricerche evidenziano ormai un panorama molto più composito. Così come la realtà, pur con intrecci e sovrapposizioni, risulta sostanzialmente ripartita in tre grandi contenuti – la natura, il divino e l’umano –, è ora possibile ricostruire in modo più articolato l’esperienza filosofica dei Presocratici alla luce di tre aree ermeneutiche: naturalistico-scientifica, mistico-aurorale e umanistico-politica. Il volume propone questa nuova lettura, seguendo un approccio multifocale che considera quel grande prisma costituito dal pensiero di Solone, Talete, Anassimandro, Anassimene, Ecateo, Senofane, Pitagora, Eraclito, Parmenide, Empedocle, Anassagora e Democrito: solo osservandone tutte le facce nel loro complesso è possibile averne una idea più completa, o comunque meno unilaterale.
Ogni vero studioso manifesta un atteggiamento di attenzione complessiva al tema che affronta, in modo da fornire risposte multiple e cariche di interesse per chi “viene dopo”. Egli ama l’intero e quindi cerca di indagare l’oggetto del suo lavoro in tutti i suoi molteplici aspetti. Nello stesso tempo ogni vero studioso manifesta un carisma particolare, che consente ad un aspetto di sopravanzare, in qualche misura, gli altri e quindi costituisce, per così dire, la sua personale “firma”. C’è chi si immerge nei testi e ne scopre le articolazioni meno avvertibili, c’è chi “duella” con l’autore riuscendo così a far rivivere la riflessione teorica che questi voleva mettere in gioco, c’è chi dialoga con gli altri studiosi, offrendo quindi al lettore il quadro delle diverse possibilità interpretative, elemento estremamente utile per chi vuole “capire”. Credo – affermazione temeraria che spero non troppo errata – che quest’ultimo sia il “proprio” di Luca Grecchi, il quale si pone costantemente in modo dialogico in rapporto agli altri studi, ma senza per questo rinunciare a prendere in modo chiaro posizione. Non a caso alla sua infaticabile attività di studioso si accompagna una continua pubblicazione di studi specifici, testi brevi e profondi, ricchi di informazioni e discussioni che propongono riflessioni intrecciate di grande utilità, che escono dal recinto ristretto degli studi puramente accademici. Ciò vale in modo particolarmente evidente in questo volume che affronta uno degli snodi più complessi della Storia della filosofia antica.
«Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile» (Democrito, B261).
L’anima umana come fondamento della verità (2002) delinea, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati molti suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema costituisce la base per una analisi critica della totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze razionali e morali della natura umana. [ indice – presentazione – sintesi]
Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dall’autore compiuti negli anni Novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale. [ indice – presentazione – sintesi]
Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx (2003) costituisce una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi comparata, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, l’autore propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico (in senso hegeliano). Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007. [indice – presentazione]
La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004), con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana. [indice – presentazione]
Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005), con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche nella valutazione di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura razionale e morale dell’uomo. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista. [indice – presentazione]
Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimenti imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro “una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo” in esame. [indice – presentazione]
Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla attuale totalità sociale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità degli uomini. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa sia la felicità. Il testo è caratterizzato da una analisi delle strutture della personalità oggi più diffuse, per l’autore “prodotte” dai processi di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Scrive Vegetti, nella introduzione, che Grecchi è “pensatore a suo modo classico”, per il suo “andar diritto verso il cuore dei problemi”. [indice – presentazione]
Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. [indice – presentazione ]
Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e
Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un
saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti
temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita
ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel
genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo
“politico” della sua opera, la quale “risulta essere innanzitutto un documento
significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un
momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa”.
Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci,
per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero
filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le
vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, sul
piano politico, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti,
a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha
offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore
totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita
dell’uomo
La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del
più grande tragediografo greco (2007)
costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica,
dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “scorporare”
Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come
si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero
filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente
svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988),
ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte
circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.
Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico. [indice – presentazione ]
Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. [indice – presentazionesintesi ]
L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è il primo libro in cui Grecchi effettua la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi centrali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione razionale e morale. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone. Ponendo in essere una analisi delle principali interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la rilevanza della posizione anti-crematistica. [indice – presentazione ]
Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in
due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i
principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi
spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia,
dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in
questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due
contenuti imprescindibili: a) l’essere ricerca, il più possibile fondata ed argomentata,
della verità dell’intero; b) l’assumere come riferimento, insieme descrittivo e
valutativo (la filosofia si occupa non solo della verità, ma anche del bene),
l’Uomo. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su
“chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del
contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato
risulta per vari motivi essere Socrate.
Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore
Guida, di un discorso da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione
della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della
collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui
Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme
umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione
risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario
Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.
Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2008), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in c ui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore. [indice – presentazione ]
Occidente: radici, essenza, futuro (2009),
con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il
concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base
al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche,
ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto
storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata
ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un
futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui
introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.
L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la cultura orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano. [indice – presentazione ]
L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che la filosofia orientale risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. In base tuttavia alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico. [indice – presentazione ]
A partire dai filosofi antichi (2009),
con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei
maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa
l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non
soltanto dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e
contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché
su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica.
Scrive Vigna, nella introduzione, che “questo testo è tra le cose più
interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia
italiana”.
L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore cerca di colmare la distanza storico-culturale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico e postellenistico. Il testo si divide in due parti. Nella prima, considerando che ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso “produce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello ellenistico, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica/postellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino. [indice – presentazione ]
La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita di pressoché tutte le discipline filosofiche, ad eccezione della filosofia della storia, tuttora ritenuta di genesi moderna. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa. [indice – presentazione ]
Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata. [indice – presentazione ]
Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di “una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa”. [indice – presentazione ]
Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali, mostra come, sin dall’epoca omerica, gli antichi Greci furono aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”. Esso possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”. [indice – presentazione]
Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare. [indice – presentazione ]
Confucio. Sulla buona vita, sul buon governo e su me stesso (2011) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore
Guida, di alcuni discorsi tenuti dall’antico pensatore cinese. Si tratta, come
è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e
spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria
interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero di
Confucio, già delineata ne L’umanesimo
della antica filosofia cinese.
L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza la sua opera. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si caratterizza anche per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità. [indice – presentazione]
L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori esclusivamente come “naturalisti”, che li separano in maniera eccessiva sia dalla poesia epica precedente, sia dalla filosofia classica successiva. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure anticipatrici di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora. [indice – presentazione]
Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica e di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, elaborata oramai, in maniera teoreticamente originale, solo da un numero limitato di studiosi. [indice – presentazione]
Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi descrive il pensiero dell’autore quasi sempre concordando con lui, tranne che nella opposizione – su cui si sofferma anche Berti nella postfazione – fra metafisica classica e metafisica umanistica. [indice – presentazione]
Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti largamente insufficiente. Assumendo come base di riferimento il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori ancora definiscono – per mancanza di validi termini alternativi, ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”. [indice – presentazione]
Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico. [indice – presentazione]
La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. [indice – presentazione]
Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. [indice – presentazione]
Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”. [indice – presentazione]
Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul bene tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del bene. [indice – presentazione]
Discorsi sulla morte (2016) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla Università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo. [indice – presentazione]
L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento della tradizione cristiana, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo solitamente poco considerati, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia, nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’Aristotelismo che ebbero il loro momento culminante nel 1277.
L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che pone in essere una critica costruttiva della tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale in esso la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.
Compendio di metafisica umanistica (2017) è un libro che espone in sintesi la struttura onto-assiologica della verità dell’essere per come in vari luoghi delineata dall’autore col nome di “metafisica umanistica”. Il testo fornisce alcuni capisaldi del futuro Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere (cui l’autore sta lavorando dal 2003), distinguendo le nozioni di Cominciamento, Principio e Fondamento, nonché elaborando la tematica dell’essere e della sua sistematicità. Il volume si sofferma anche sulla tematica del trascendente, e sul nesso descrittivo-normativo necessario alla progettualità sociale. [indice – presentazione]
Natura (2018) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa
editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci
secoli di riflessioni del pensiero antico sulla natura, da Omero a Plotino.
Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico,
sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in
quanto gli antichi, per primi, compresero che ogni mancanza di rispetto e di
cura nei confronti della natura – attività che solo l’uomo, fra gli enti
naturali, è in grado di porre in essere – costituisce una mancanza di rispetto
e di cura nei confronti della vita tutta
Scritti brevi su politica, scuola e società (2019) costituisce una raccolta di articoli pubblicati dall’autore negli anni 2015 e 2016 su vari quotidiani, settimanali e riviste su tematiche di particolare attualità. Il filo conduttore di questi scritti è costituito da una critica progettuale al nostro tempo alla luce del pensiero greco classico, soprattutto di Aristotele. Per l’importanza delle tematiche trattate, e per l’approccio classico utilizzato, si tratta di riflessioni che forniscono un orientamento in grado di trascendere l’orizzonte del momento storico in cui sono state effettuate. [indice – presentazione]
Uomo (2019) è un libro che si colloca nella collana Questioni di filosofia antica della casa editrice Unicopli. Il testo analizza in maniera specialistica oltre dieci secoli di riflessioni del pensiero antico sull’uomo, da Omero a Plotino. Trattandosi di un tema vastissimo, i riferimenti sono di tipo sia filosofico, sia scientifico, sia letterario. Il tema riveste particolare importanza in quanto gli antichi, per primi, compresero la centralità dell’uomo nella natura, ovvero il suo essere il solo ente in grado di fornire un senso ed un valore alla realtà, nonché di avere rispetto e cura della realtà stessa .
L’umanesimo greco classico di Spinoza (2019) costituisce una analisi della filosofia di Spinoza alla luce del pensiero greco classico. Nonostante il filosofo olandese citi pochissimo Platone ed Aristotele, Grecchi mostra come forti siano i legami coi due più grandi pensatori antichi. Le tematiche esaminate sono alcune fra le principali del pensiero filosofico, quali la verità, il bene, la conoscenza, la sistematicità, la religione, la libertà, la crematistica, la politica. Frequenti sono anche i riferimenti ed i paralleli con il nostro tempo.
Curatele
È veramente noiosa la storia della filosofia antica? (2008, con Diego Fusaro), con scritti di E. Berti, G. Casertano, D. Fusaro, G. Girgenti, L. Grecchi, C. Preve e M. Vegetti .
Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, S. Fazzo, A. Fermani, G.R. Giardina, L. Grecchi, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi].
Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017), con scritti di G. Abbate, C. Baracchi, E. Berti, B. Botter, M. Cosci, A. D’Atri, A. Falcon, A. Fermani, L. Grecchi, A. Jori, D. Quarantotto, M. Ugaglia, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Teoria e prassi in Aristotele (2018), con scritti di C. Baracchi, E. Berti, A. Fermani, S. Gastaldi, L. Grecchi, S. Gullino, A. Jori, G. Lucchetta, L. Palpacelli, L. Ruggiu, M. Vegetti, C. Vigna, M. Zanatta. [indice – presentazione – sintesi ]
Questa lettera aperta è datata maggio 1952. Si tratta della risposta ad un giovane pittore che aveva scritto a Picasso, raccontandogli le difficoltà della propria vita sotto il regime franchista. La lettera, pubblicata dal giornale illegale “Mundo Obrero” e ripresa dall’ emittente clandestina “‘Radio España Independiente,” è stata poi riportata, nell’ottobre dello stesso anno, dalla rivista” Nuestro Tiempo,” organo degli intellettuali spagnoli emigrati nel Messico.
Ho ricevuto la vostra lettera: vengo così a sapere delle difficoltà che all’inizio della vostra vita artistica vi intralciano la strada e, al tempo stesso, del proposito di continuare nel vostro lavoro, sperando in un avvenire migliore. Tale condizione e il suo modo di pensare riflettono senza dubbio alcuno la situazione della nuova generazione intellettuale del nostro paese, di spirito ribelle e fedele all’ideale di quegli uomini che, con le armi alla mano, lottarono per la Repubblica dal 1936 al 1939.
Per voi, giovane pittore, come per gli scrittori e per i musicisti della Spagna franchista, le difficoltà materiali e la mancanza di libertà per esprimere tutto ciò che la viva realtà del nostro popolo suggerisce, sono altrettanti ostacoli al vostro lavoro di creazione artistica.
Gli ostacoli però, per grandi che siano, non possono arrestare la nostra opera. La Spagna ha bisogno della nostra voce: c’è da denunciare la miseria e la corruzione del regime, c’è da penetrare nel cuore del popolo per esprimerne i sentimenti, incitarlo alla lotta e cantare il suo eroismo.
I problemi che si pongono davanti al giovane intellettuale li conosce anche il giovane operaio che muore di fame senza poter trovare lavoro, li conosce anche il giovane contadino che fatica dall’alba al tramonto per un misero pezzo di pane.
L’ostacolo che paralizza tante energie ha un nome concreto: Franco. Per porre termine alla miseria, bisogna porre fine al governo attuale. Il popolo di Barcellona ha mostrato la strada.
Questo regime non può salvarsi neppure con gli aiuti nordamericani. Il nostro popolo sarà vittorioso. Siamo milioni di uomini e di donne che nel mondo difendiamo la causa della pace. La colomba, già oggi, è più forte del corvo della guerra.
Il vostro posto, giovane pittore, è dalla parte del popolo che difende la libertà e, al tempo stesso, il patrimonio artistico e culturale della Spagna. Nessuna causa, per la nuova generazione intellettuale, può essere più nobile di quella di contribuire a salvare la Spagna dal fascismo e dalla guerra.
Pablo Picasso, Scritti di Picasso, a cura di Mario De Micheli, Fltrinelli, Milano 1964, pp. 50-51.
«[…] Socrate, nel grande dialogo platonico sullo Stato, si pone il compito di “definire con esattezza ciò che effettivamente intendiamo per filosofo”. Sempre in effetti, si ha a che fare con un forte bisogno di totalità; infatti chi avesse fame davvero, costui non sarebbe per nulla schizzinoso, distinguendo tra ciò che desidera e quanto non gli è gradito. “Allo stesso modo chiameremo filosofo colui il quale anela alla saggezza intera, non già a questa parte sì e all’altra no”. “Sempre la sua anima è pronta al balzo per protendersi verso la totalità e l’interezza, verso il divino allo stesso modo dell’umano”.
[…] Ogni scienza si costituisce in quanto scienza particolare per il fatto che essa formula “un aspetto”, una certa domanda, la quale si interessa in modo precipuo ed esclusivo di questo e non dell’altro. Nessuna scienza pone la questione del proprio nesso con il mondo nella sua totalità. È però precisamente di questo ultimo fattore, della totalità così intesa, che si occupa la filosofia. […] Una sola preoccupazione inquieta il filosofo, ovvero che nulla del totum della realtà venga omesso, non preso in considerazione, oscurato, censurato, dimenticato. Tale preoccupazione è un tratto talmente distintivo, così differentia specifica da poter affermare che il filosofo serio ed autentico ne è connotato in maniera peculiare. Non sarebbe filosofico, cioè volere escludere in modo formale un qualsiasi dato che si possa ottenere sulla realtà. Su questo punto è necessario, tuttavia, essere più concreti. Chi volesse interrogarsi in modo speculativo sull’essenza dell’uomo, distruggerebbe il carattere filosofico del suo domandare se affermasse che i dati della medicina, della psicologia, della genetica non lo interessano poiché egli si interroga circa “l’essenza metafisica” dell’uomo. Smetterebbe altresì di fare filosofia chi dicesse che non gli importa se la tradizione religiosa insiste sul fatto che l’uomo, a causa di un certo avvenimento accaduto all’inizio dei tempi, non è come potrebbe e come dovrebbe essere. Il carattere filosofico dell’abbrivio della domanda verrebbe distrutto anche nel caso in cui si affermasse che solo quanto si può conoscere in modo “chiaro e distinto” interessa, solo ciò che può essere criticamente accertato, solamente ciò che l’evidenza costringe a fare e che è dimostrabile con esattezza. Una siffatta limitazione ad alcuni dati particolari contraddice del tutto il senso dell’interrogare filosofico.
La speculazione filosofica richiede l’assoluta imparzialità dello sguardo che non sopporta alcuna preclusione. La filosofia rinuncia a se stessa nello stesso momento in cui si considera una disciplina accademica. Il filosofo non si caratterizza per il fatto di interessarsi alla “filosofia” in quanto disciplina; a lui importa la totalità della realtà e la totalità della saggezza. […]
La scienza termina al confine del sapere, mentre la filosofia prende inizio da questa frontiera. […] La definizione di filosofia non può mai iniziare con una formula del genere: “La filosofia è la dottrina del …”. Per la stessa ragione non può esistere un sistema filosofico chiuso in se stesso […]. Cosa significa, però, l’autentico interrogare e il ricercare filosofico? […] Domandare ciò non costituisce quel trastullo intellettuale, ben noto al sofista. Si tratta invece della modalità, l’unica possibile, in cui lo spirito che conosce riesce a non perdere di vista il proprio insondabile oggetto, l’unica maniera per riuscire a restare vicino al segreto del mondo e, per così dire, a “stargli alle calcagna”. […]
Cominciamo così ad intravedere cosa […] si pretende dal filosofo e da cosa si riconosce “l’uomo filosofico”. Si tratta soprattutto di non distrarre l’energia dell’anima, di resistere in quell’interrogare che mira al reale nella sua profondità e nella sua totalità come un atto vivo dello spirito. Si tratta di quell’apertura che sempre si rigenera per ciò che desta stupore, il quale consiste nel fatto che, di per sé, qualcosa è. E tutto questo è legato alla pretesa decisiva di realizzare una grandissima precisione. […] Ciò significa, in effetti, che non si può fare propriamente alcunché prescindendo dalla disciplina e dalla precisione di un pensiero formalmente puro. Può accadere, tuttavia, che quel qualcosa non venga realizzato nonostante la tecnica di pensiero più precisa, perché all’anima manca la capacità di lasciarsi colpire e perché lo sguardo che interroga non possiede la semplicità, in forza della quale soltanto l’oggetto dell’ attività filosofica si palesa e resta visibile.
[…] Dopo quanto detto, sembra più imporrante interrogarsi circa il significato positivo da attribuire alla filosofia nel contesto della vita sociale umana, ossia a “coloro che esercitano la filosofia”. Con questo termine […] naturalmente non ci si riferisce ad un preciso gruppo di persone […]. Noi non ci interroghiamo, dunque, circa la prestazione di una certa istituzione o di un gruppo, ma sul valore che la speculazione filosofica, ovunque essa venga praticata, riveste per la società degli uomini.
[…] La «dignità» della filosofia e il rango che le compete all’interno della società, però, si fondano sul fatto che essa sola riesce ad evocare una necessaria inquietudine, ovvero, l’inquietudine rispetto alla seguente domanda.
Una volta che siamo riusciti nell’intento di compiere, con un sorprendente dispendio di lavoro e di intelligenza, quanto è necessario, ossia la soddisfazione del bisogno esistenziale, la disponibilità dei mezzi di sussistenza (in ogni senso), la sicurezza della possibilità-di-vita, ci chiediamo allora: in cosa consiste, insomma, questa vita resa in tal modo possibile, la vita autenticamente umana?
Porre questa domanda inquietante, in mezzo a tutte le perfezioni dell’uomo che dimora nel mondo, e tenerla desta attraverso lo sforzo del pensiero rigoroso ed incorruttibile, è questo l’effettivo compito della filosofia e il suo vero apporto al bene comune, per quanto non riesca da sé a fornire la risposta esaustiva.
Josef Pieper, Filosofia Contemplazione Saggezza, LAS, Roma 2016, pp. 23 ss.
«Il termine di cultura, nel significato che intendo dargli, non significa solo “alta cultura”, la cultura scritta e visiva dei grandi scrittori e dei grandi pittori, e neppure cultura in senso antropologico come insieme dell’attività lavorativa, linguistica e simbolica dell’uomo, ma significa paideia, cioè educazione globale, non solo in senso scolastico, ma nel senso di accrescimento (e di autoaccrescimento) della coscienza umana che dura tutta la vita. La cultura è dunque un termine che connota sia l’individuo, sia i gruppi ristretti, sia l’intera società».
Costanzo Preve, La crisi culturale della terza età del capitalismo, Pubblicato su Koinè, Anno VI, N. 2 – Gennaio/Settembre 1999, liberamente scaricabile sul sito di Petite Plaisance, dove è pubblicato come ebook: el–1038, Pistoia 2010, p. 4.
ripeté il piccolo principe per ricordarselo"».
A. De Saint-Exupéry, Il piccolo principe
«Ubi amor, ibi oculos».
Dove regna l'amore,
lì vi sono occhi che sanno vedere.
Riccardo di San Vittore (1110-1173), Benjamin minor, c. 13.
«Come la respirazione esige un'atmosfera,
così l'amore chiede un'erosfera.
J. Guitton, L'amore umano, 1989, p. 88.
«Alcuni pensano che la tenerezza
sia un sentimemo marginale della personalità.
Appartiene invece al nostro stesso essere:
la sua assenza è il segno
di una natura incompleta.
M. Canciani, La tenerezza, 1993, p. 15.
«La tenerezza è forza, segno di maturità e vigoria interiore, e sboccia solo in un cuore libero, capace di offrire e ricevere amore» (p. 9).
«La tenerezza, nella sua identità più profonda, si collega a due esigenze fondamentali e permanenti, inscritte nel cuore umano, desiderare di amare e sapere di essere amati; come tale, essa attinge a tutte le sfere della persona – uomo e donna – da quella biologica a quella psicologica e spirituale […], e si realizza come scelta e stile di vita in ordine a una piena maturità […]. Un sentimento da intendere, dunque, come vissuto complessivo, radicato nella realtà profonda dell’io spirituale-corporeo e del suo esistere “in relazione con” e “in relazione per”, e non solo come uno stato d’animo passeggero. La tenerezza suppone la capacità di partecipare, corpo e anima, alla celebrazione delle innumerevoli sinfonie del mondo, alle sue gioie e ai suoi dolori, vivendo con l’alterità relazioni cordiali (cor/cordis, cuore), di scambio, di reciprocità paritaria e di bellezza. Letta in questa ottica, l’attitudine alla tenerezza corrisponde a un’esigenza incancellabile dell’animo, ne dice la nobiltà e la grandezza, e si offre come componente costitutiva per una piena realizzazione dell’umanità della persona. Non è pensabile che un uomo o una donna, in qualunque condizione di vita si trovino […] possano essere persone adulte senza un’attivazione effettiva di questo sentimento; è certo, in ogni caso, che saranno persone profondamente sole e infelici.
Fra tutti i sentimenti che l’uomo ha sviluppato durante la sua storia, non ne esiste uno che superi la tenerezza come qualità tipicamente umana e umanizzante. E di fatto, una persona non può dirsi adulta se non si sforza di acquisire questo sentimento che la rende “affettuosa”, “compartecipe”, “colma di rispetto” e di meraviglia di fronte al cosmo e ad ogni forma di vita, da quella di un bambino a quella di un fiore o di una farfalla […]» (p. 10).
«Dire “tenerezza” è dire la vita nei suoi molteplici aspetti e nelle sue più sublimi altezze, vivendola con “passione” e “gioia di essere”, spontaneità, “condivisione” e “convivialità”. L’alternativa è il vuoto, con la negazione delle dimensioni più profonde della nostra interiorità e delle sue più alte istanze. Lasciarsi sfuggire la tenerezza è lasciarsi sfuggire la vita. E come non c’è vita senza rischi, così non c’è tenerezza senza rischi. Ma il rischio più grande è di non vivere la tenerezza. […]
È diffusa l’idea che la tenerezza rappresenti una connotazione quasi solo femminile o comunque scarsamente “virile”: “qualificante” per la donna e “squalificante” per l’uomo. Si tratta di un pregiudizio infondato, che va smascherato con energia. […] Il sentimento della tenerezza riguarda in realtà, in modo totale e incancellabile, sia l’uomo che la donna, la loro umanità e la loro vocazione all’amore e alla comunione. Vi può essere – e probabilmente vi è – una specificità nel modo di manifestare questo sentimento; ma non si può pensare a un’esclusività di genere. Si deve anzi ritenere che solo riunificando l’animus e l’anima della tenerezza, il maschile e il femminile, in un’armonica integrazione, si è in grado di pervenire a una sua comprensione personale e personalizzante» (p. 11).
«La tenerezza rappresenta questa avvolgenza dell’amore, questo clima di attenzione e di effusione affettiva entro cui soltanto l’amore si può compiutamente manifestare e attuare. […] La tenerezza tende per sua natura a plasmarsi come philia, amicalità/amicizia […]
Sotto entrambi gli aspetti (di éros e di philìa), la tenerezza implica il pathos, il sentimento, e non solo il lògos, la ragione; implica il “sentire” profondo dell’essere, e rimanda a un saper amare col cuore e a un sentirsi amati di cuore, che assume il nostro essere corporeo al maschile o al femminile e quindi la sua stessa dimensione sessuata come realtà costitutiva, e non come sola genitalità. La tenerezza non appartiene all’ordine del mero cogito, ma a quello della sensibilità, una sensibilità carica di affetto e di partecipazione, una dilectio che appella alla mobilitazione di tutta la persona […]» (p. 14).
«Il sostantivo italiano “tenerezza” (dal latino teneritia) evoca l’idea di un qualcosa di morbido, privo di durezza o di rigidità, e rimanda a un affetto interiore vissuto con partecipazione viva, affettuosa e dinamica. Non meno interessante è l’aggettivo “tenero” (tenerum, da tendere, estendersi verso, proiettarsi), il quale suppone e implica un’attitudine che orienta a uscire dall’io per incontrarsi con il tu, tendendo verso di lui, in un rapporto reale di dedizione e di reciprocità. Sotto entrambi gli aspetti, la tenerezza si oppone a due atteggiamenti esistenziali piuttosto diffusi e quasi sempre connessi fra loro: la durezza di cuore, intesa come barriera, muro, rigidità, chiusura mentale, e il ripiegamento su di sé come egocentrismo, incapacità a volgersi all’altro da sé, rifiuto di dialogo e di scambio. La tenerezza, al contrario, è flessibilità, permeabilità, apertura di cuore, disponibilità al cambiamento, e si costituisce come volto concreto di una dilezione affettiva che si fa benevolenza e amorevolezza» (pp. 27-28).
«La tenerezza appartiene alla struttura ontica dell’essere umano […] La tenerezza è inscritta in questa struttura profonda della persona come l’esserci di un io-incarnato-in-un-corpo che chiede di sentirsi amato e di sentirsi capace di amare. […] Tutto questo fa già intuire la profonda differenza che si pone tra la tenerezza-come-sentimento e il sentimentalismo-della-tenerezza: la prima appartiene all’esperienza radicale dell’essere persona, del suo in-esserci e co-esserci, e si realizza come apertura al tu, verso l’altro/Altro, e rimanda a un ‘operatività creativa, coinvolgente e interpersonale; il secondo dice piuttosto ripiegamento sul proprio io, egocentrismo, ricerca di sé, chiusura, spreco di un’affettività fine a se stessa e, alla fine, incapacità a protendersi verso gli altri e la storia. La prima è dialogo, la seconda è monologo. Una differenza netta ed essenziale» (p.29).
«La tenerezza ha bisogno di incontrarsi con la ricerca della maturità, e viceversa. L’una sostiene l’altra e la manifesta. Solo assumendo la tenerezza in un’ottica di questo genere è possibile evitare il pericolo di viverla come una compensazione affettiva o un’acquiescenza ai vuoti del cuore umano, oppure ridurla a dipendenza psicologica o strumentalizzarla a fini di potere sull’altro/a da sé» (p. 32).
«Ecco i molteplici aspetti che entrano in gioco nel vissuto della tenerezza:
– “una disposizione affettiva dell’animo“: la tenerezza appartiene alla struttura più profonda dell’essere umano e riguarda la sensibilità della persona, le sue potenzialità di desiderio (éros) e di amicizia (philia), nel quadro di quelle facoltà superiori che distinguono
la persona da ogni altro essere e la rendono capace di autodeterminazione;
– “disposizione che muove intuitivamente a voler bene“: la tenerezza è un modo di sentire, una disposizione profonda che orienta a una percezione positiva del reale, a meno che non sia distolta o deformata;
– “intuitivamente” in quanto è spontanea e precede, di per sé, l’atto della deliberazione, anche se non ne prescinde; anzi, pur sgorgando dalla sensibilità, esige di essere assunta in modo cosciente e sottoposta ogni volta al vaglio dalla ragione in rapporto alle opzioni di vita e alla gerarchia dei valori cui ci si richiama;
– “e ad apprezzare una situazione, qualcuno o qualcosa, come realtà buone, amabili e a cui interessarsi con partecipazione“: l’apprezzamento come attitudine di pensiero e di prassi e l’amabilità rappresentano i due tratti caratteristici fondamentali della tenerezza; entrambi suppongono il coinvolgimento personale che porta ad avvicinarsi agli avvenimenti e alle persone non da lontano, ma vivendo questi incontri in prima persona e facendosene carico;
– “valutando ogni incontro o circostanza con gli occhi del cuore, prima che con quelli della mente“: la capacità “visiva” della tenerezza, prima che dalIa “ragione pratica”, sgorga dal cuore […]» (p.33).
«Il primo passo è di percepire la bellezza del mondo e lasciarsi incantare da essa. Quando si è capaci di bellezza, tutto è riletto con gli occhi dell’amore, e niente è più indifferente, ordinario o di routine. La tenerezza suppone la via della bellezza (via pulchritudinis), e la fonda. […] La tenerezza è emanazione di bellezza e sua forma riflessa, come uno “stupore coscientizzato”, consapevole. Tra stupore e tenerezza sussiste, di fatto, un profondo rapporto di reciprocità, al punto che l’uno non può stare senza l’altra: lo stupore è dono della tenerezza, la tenerezza dono dello stupore. In entrambe le direzioni, la capacità di provare tenerezza manifesta un modo di pensare e di guardare all’esistenza umana con bene-volenza (voler-bene) […]» ´p. 34)
«La crescita nella vita di relazione è direttamente proporzionale alla crescita nella tenerezza, così come lo sviluppo della tenerezza rappresenta la strada maestra per l’attuazione di una vita di relazione tendenzialmente matura e soddisfacente. […] Il problema della tenerezza e del suo sviluppo non rappresenta dunque un problema di ordine solo psicologico o di pedagogia familiare; è di natura antropologica, e da esso dipende – in buona parte -la condizione di felicità o di infelicità della persona umana. […] Il discorso della tenerezza si colloca entro queste profondità della persona come componente indispensabile del suo processo di integrazione e di maturazione. La felicità, come la tenerezza, non appartiene semplicemente alla logica dell’avere, ma dell’essere, ed esprime la struttura metafisica della persona e della sua aspirazione profonda e indistruttibile al sentimento dell’amore. Per questo motivo, solo quando il percorso evolutivo della relazionalità si incrocia con l’esperienza effettiva della tenerezza, l’individuo è in grado di realizzare – in maggiore o minore misura – il suo desiderio di felicità» (p. 36).
Carlo Rocchetta, Teologia della tenerezza, EDB, 2000, pp. .
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ROSSETTI, L. (2020). Parmenide e Zenone sophoi ad Elea. Pistoia, Petite plaisance.
«[…] queste pagine sono state scritte per permettere a tutti di capir bene, anche a chi “non è del ramo”» (p. 14),[1] quanto siano «ancora più grandi e più creativi di quel che comunemente si pensa» (p. 13) due antichi sapienti, Parmenide e Zenone, la cui «immagine tradizionale […] si è come ingessata, se non incartapecorita, per cui da tempo l’attenzione viene portata solo su poche cose, le solite, e di conseguenza la loro fisionomia è sbiadita paurosamente» (p. 15)
Questa, nelle sue pagine di «benvenuto» (p. 13-17),[2] la promessa del Rossetti a chi si accosta al suo «volumetto» (come egli stesso lo definisce) e possiamo dire fin da subito che essa verrà mantenuta. Il libro mette bene in evidenza le «tante idee folgoranti» (p. 124) elaborate dai due sophoí di Elea e come esse abbiano indicato molte «piste», che «a distanza di millenni sono tuttora aperte, tuttora vitali e tutte hanno un futuro» (p. 137). Anche chi ha già letto gli altri studi che l’Autore ha dedicato ad entrambi i sophoí non mancherà di trovare in questa «conversazione» (come egli vi si riferisce nelle conclusioni, p. 136) spunti d’interesse significativi.
A proposito dei contributi che l’Autore ha già dedicato ai due sapienti, egli stesso avverte subito (p. 16, e lo ricorda nuovamente a p. 141) che questo libro assomiglia solo superficialmente a quello che aveva scritto nel 2009, dal titolo «quasi uguale» – I sophoi di Elea: Parmenide e Zenone – ma allo stesso tempo sottolinea come da allora «‘tutto’ è cambiato» perché, specialmente nell’ultimo decennio, le indagini su di essi hanno fatto emergere «aspetti nuovi o addirittura impensati dei due antichi maestri». Effettivamente i due testi sono significativamente diversi tra loro ed il nuovo titolo, che riprende quello del 2009 scambiandone i termini, vuole forse già evocare lo “stravolgimento” prospettico avvenuto con lo «tsunami», sempre nelle parole dell’Autore, scatenato dagli studi di questi ultimi anni.
La prima parte del primo capitolo (p. 21-29) è dedicata al «luogo dove si sono miracolosamente formate due menti strepitose», e racconta perciò sia la fondazione che il territorio di quella che fu prima Yele, poi Elea, quindi Velia, ed oggi Ascea Marina, nella provincia di Salerno, dove dal 2004 si svolgono periodici incontri di studio sui due sophoí e sull’eleatismo, denominati appunto Eleatica. Un luogo di pellegrinaggio, gli scavi di Elea-Velia, dove si recano «“pellegrini” un po’ speciali […] dagli angoli più diversi del pianeta» (p. 21).
Molto suggestivo, in questa “cartolina”, il richiamo alla possibilità che nel proemio del poema parmenideo possano essere stati cantati alcuni luoghi della città: «è come se, vicino Firenze, ci fosse ancora la ‘selva oscura’ di Dante e si potesse visitare» scrive il Rossetti (p. 21), che spiega meglio quanto intende più avanti nel testo (p. 77-81), come vedremo.
Poche pagine, dimensionate del resto all’economia del testo, che però rendono bene l’idea che chiunque voglia capire il pensiero di Parmenide e di Zenone non possa disinteressarsi non solo delle loro personali vicende ma anche della storia dei luoghi in cui essi vissero, una storia molto complessa sulla quale le scoperte archeologiche di questi ultimi anni hanno gettato nuova luce. Seguono poi alcune pagine (p. 30-35) per raccontare qualcosa delle vite dei due sapienti: colpisce in particolare il paragrafo «Elea vista da Parmenide» (p. 30-32) in cui Rossetti ci invita a «metterci nei panni del figlio di un foceo arrivato ad Elea da pochi anni» (p. 30).
Il capitolo si conclude con la spiegazione della «bizzarria» (nelle parole dell’Autore) di voler cominciare dall’allievo e non piuttosto (come anch’egli ha fatto nel Rossetti, 2009) dal maestro. Ma il libro è concepito in modo da poter passare al successivo capitolo su Parmenide e poi ritornare indietro. Pensiamo che questa scelta editoriale sia funzionale alla tesi, sviluppata dal Rossetti in questo studio, che il libro di Zenone sia stato concepito indipendentemente dal pensiero di Parmenide e non per difendere il maestro dalle critiche mosse al suo poema, come Platone ci tramanda:
Zenone ha ben poco in comune con gli intellettuali che poté conoscere bene, e perfino con Parmenide. Certo, Parmenide può averlo instradato nel costruire i suoi sofisticati ragionamenti […] ma tutto il resto fu estraneo al mondo mentale del maestro, fu cioè farina del sacco di Zenone (p. 45)
I paradossi zenoniani, inoltre, ad avviso dell’Autore, sono «così innovativi da meritare l’anticipazione» sugli «insegnamenti» del maestro,[3] anche se Zenone al contrario non sembra voler insegnare o spiegare alcunché. Un’altra delle tesi che il Rossetti vuole mettere in evidenza è, infatti, che se «Parmenide è stato e si è sentito ‘professore dall’inizio alla fine […] Zenone, […] invece si è addirittura imposto di limitarsi a lanciare idee, senza insegnare» (p. 124).
Il secondo capitolo (p. 39-74), dedicato appunto a Zenone, mette subito in risalto il fatto che questi, con la sua raccolta di paradossi, fa qualcosa che «nessun altro prima di lui aveva fatto … (e veramente nemmeno dopo)» (p. 39). La «possente» e «spettacolare» innovazione che si sarebbe rivelata «a lunga gittata» (i paradossi di Zenone sono attuale oggetto di studio anche in diversi campi scientifici, dalla matematica alla fisica teorica)[4] dei paradossi zenoniani è, infatti, quello di porre «‘possibilità impossibili’» per «innescare ed alimentare una curiosità di lungo corso per ciò che supera i limiti della nostra capacità di percepire» (p. 55) e di concepire le cose.[5] Ed in effetti il Rossetti ci descrive Zenone anche come «un prestigiatore della parola e della mente» (p. 63).
I paradossi zenoniani sono presentati in un linguaggio colloquiale ma non per questo meno rigoroso (stile che caratterizza l’intero testo, come premette l’Autore stesso fin dall’inizio, a p. 15) per mostrare la novità dei concetti (spazio, grandezza invisibile, istante, velocità relativa, etc.) che essi introducevano nelle cognizioni tradizionali di chi li udiva o li leggeva:
Nessun altro libro era stato concepito come una collezione di sfide alla nostra intelligenza […] ed è tanto raro che uno si accontenti di delineare un problema, una difficoltà, un ostacolo mentale, un intralcio per poi dirci: “Provate voi a dipanare la matassa! Io mi limito a rappresentarvi la difficoltà”. […] Ecco questo è stato Zenone. Di questo è stato capace solo lui, e per quanto è dato sapere, nessun altro. Nessun altro, né prima né dopo! (p. 68-69).
Eppure quante cose avrebbe potuto insegnare Zenone ma «semplicemente confidava che gli altri ci arrivassero da soli riflettendo» (p. 73-74), constata il Rossetti.
E, in linea con la sua interpretazione, neanche l’Autore si sofferma nelle spiegazioni che sono state proposte dei paradossi zenoniani, né suggerisce la propria: «l’autore di queste pagine preferisce fare come Zenone e lasciare che sia semmai il cortese lettore, la cortese lettrice a interrogarsi e provare a ragionarne con chi vuole» (p. 52). L’invito tra le righe sembra essere quello di “metterci in situazione”, di ritornare a quei giorni in cui Zenone o qualcun altro leggeva in pubblico il suo libro, aggiungendovi magari «un po’ di mimica gestuale e facciale» per amplificare il «senso di smarrimento» nell’ascoltatore, e ne seguiva una qualche discussione, anche breve, che, è ragionevole ipotizzare, avrebbe potuto coinvolgere l’uditorio.
Queste considerazioni portano l’Autore a concludere (p. 70-74) che una delle cose su cui «non si è detto nulla» a proposito del libro di Zenone è che esso «sarebbe diventato un libro attorno al quale si poteva imbastire un qualche dialogo, prendere la parola, improvvisare, avviare uno scambio con l’autore» (p. 71) o con gli altri presenti. Cosa che né la lettura di un poema o di un altro testo, né la rappresentazione teatrale consentivano. Insomma, conclude al riguardo l’Autore, «Zenone ha tutta l’aria di aver anticipato Socrate e di aver ideato una prima modalità di dialogo (con il suo pubblico) e di invito al dialogo» (p. 73).
Effettivamente, nel suo dialogo Parmenide, Platone ci racconta che gli scritti di Zenone venivano letti in pubblico (dobbiamo immaginare un pubblico “da salotto”, per così dire, non una piazza), anche ad Atene, e che Zenone stesso lo faceva di persona qualche volta. Certo il racconto platonico presenta più di una ragione per metterne in dubbio l’attendibilità[6] e per ritenere che né Parmenide né Zenone siano stati mai nella metropoli attica, ma ciò non toglie che i loro scritti fossero ivi letti e studiati. Dunque la proposta del Rossetti non sembra affatto irragionevole (senza che con ciò ci si debba preoccupare per forza di stabilire la paternità dello stile di comunicazione ‘dialogico’).
Nel passare a trattare il maestro di Zenone, l’Autore paragona Parmenide a Dante (p. 77-81): «egli esordisce raccontando un sogno o visione, alla maniera di Dante Alighieri» (p. 77). Il proemio del poema parmenideo, nell’interpretazione del Rossetti, è un esperienza surreale che però rimane “ancorata” ai nostri sensi, attirando la nostra attenzione attraverso i suoni “raccontati” da quegli stessi versi, in modo che «un’autentica colonna sonora virtuale sembra accompagnare la narrazione» (p. 79). «Una colonna sonora» che l’Autore ci racconta passo-passo (p. 78-79) mentre ci propone la lettura del proemio nella traduzione del Cerri.
Ma al contrario che per la ‘selva oscura’ dantesca, la strada percorsa da Parmenide nel suo viaggio verso la dea che gli rivela i suoi «insegnamenti», così come la porta che egli attraversa, probabilmente esistono su questa terra, proprio ad Elea – ci dice Rossetti riprendendo un’ipotesi che fu di Capizzi, come egli stesso ricorda – e sono ancora visibili presso gli scavi archeologici della città.
A partire da p. 82, l’Autore comincia a parlare degli «insegnamenti» che Parmenide immagina di ricevere dalla dea. L’interpretazione tradizionale delle parole della dea ha condotto la maggior parte degli studiosi a suddividerli in due «tipi di sapere» e ad assegnare a questi valori diversi. Rossetti “contesta” che se andiamo a verificare questi insegnamenti «scopriamo facilmente che il sapere di scarso pregio semplicemente non c’è da nessuna parte, che cioè gli insegnamenti offerti sono tutti di prim’ordine, anche se sono nettamente diversificati» (p. 82) e, nelle condizioni che egli mette in evidenza nelle pagine seguenti, «l’insegnamento sull’essere […] può solo retrocedere a un insegnamento fra gli altri […] alcuni dei quali sono veramente formidabili» (p. 85). Si riferisce ai saperi astronomici e naturalistici che emergono dalla cosiddetta «seconda parte» del poema.
Questa è un’idea cardine dell’interpretazione del pensiero di Parmenide proposta negli ultimi anni dal Rossetti (come chi ha letto il suo Un altro Parmenide sa bene) e si articola nelle tesi che questi non possa essere considerato un filosofo, se non «virtualmente»,[7] ed a maggior ragione «il grande filosofo dell’essere», «come ‘tutti’ hanno insegnato per un tempo incredibilmente lungo», perché «il suo insegnamento non si identifica con l’ideazione ed elaborazione della sola nozione di essere» (p. 84). L’Autore procede quindi ad introdurre gli «insegnamenti» parmenidei, cominciando comunque da quello sull’essere (p. 86-89) che è trattato nel frammento B8. Secondo il Rossetti, l’interesse di Parmenide per la nozione di essere sarebbe stato il frutto di un suo «chiodo fisso», l’«inammissibilità» del «non essere», dell’«assenza totale», dello «zero assoluto». Quindi sarebbe stata una forma di horror vacui ad aver portato Parmenide ad isolare «il significato primario» del concetto «essere», «assolutizzarlo», e, di riflesso, a trarne delle conseguenze (p. 88).
«Ma noi siamo davvero obbligati a seguirlo?», conclude il Rossetti, e spiega (p. 90-95) come già a partire da Melisso di Samo ci si sia subito «allontanati moltissimo da Parmenide» e, sino ai nostri giorni, ad Heidegger e Sartre, «abbiamo finito per ignorare la sua ossessione» (p. 92). Pagine densissime dalle quali emerge chiaramente (tesi ormai largamente condivisa) come il pensiero parmenideo sia stato confinato fin da subito dalla tradizione filosofica in una sorta di metafisica, o proto-tale – che da un certo punto in poi è stata “etichettata” «ontologia» (p. 91) – che ha alienato tutti gli altri insegnamenti che emergono dal suo poema come «credenze illusorie».
Il Rossetti passa quindi a parlare degli «insegnamenti» astronomici di Parmenide (p. 96-99), dei quali purtroppo ci sono giunti pochi versi, forse solo l’indice di quello che si sarebbe apprestato a dire, ma dei quali ci restano importanti testimonianze dossografiche. Si sofferma sulle sue scoperte astronomiche, che a ragione possono dirsi «sbalorditive», e sulle influenze che esse devono aver riscosso nei contemporanei e nei pensatori successivi.
Qui l’Autore, per dimostrare la sua teoria dell’incompatibilità tra «l’insegnamento sull’essere» e gli «insegnamenti astronomici» ricorre ad un argomento che forse non è così cogente come potrebbe a prima vista sembrare. Scrive, infatti, che la dea (nel frammento B10 che cita in traduzione), nel passare in rassegna i temi astronomici che andrà a trattare, «lo fa senza introdurre nemmeno un vago riferimento all’essere» (p. 96).
Però, nel frammento B9, che introduce il «secondo tipo di sapere» (come lo chiama il Rossetti), a partire proprio dal frammento B10 citato dall’Autore, è detto chiaramente che vi sono due dynámeis (variamente nominate, da quel che sappiamo dai frammenti e dalle testimonianze, «luce»/«fuoco»/«denso» e «notte»/«rado»), senza entrambe le quali «c’è il nulla». Un’affermazione che lascia dedurre, come risulta anche dal frammento B12 e dalle testimonianze di diversi dossografi, che gli astri nei cieli – ma potremmo dire ogni cosa, sino alle creature viventi, a giudicare dagli altri frammenti e dalle testimonianze – per Parmenide fossero composti di queste «potenze» mescolate insieme in differenti proporzioni, e quindi, di converso, che ogni cosa fosse “fatta”, per dirla così, di «essere».
Certo neanche i sostenitori del «Parmenide filosofo dell’essere» è detto che siano d’accordo con questa lettura, anche perché in genere “squalificano” tutto il sapere contenuto nei frammenti da B9 in poi come “illusorio”, ma annotiamo che, se anche dalla prospettiva opposta, il Rossetti usa i loro stessi argomenti, in definitiva, per segmentare i contenuti del poema.
Se non riscontriamo particolari difficoltà ad ammettere la legittimità della critica dell’Autore al cliché del «filosofo dell’essere» ed a condividere la necessità di un impegno ulteriore nel campo degli studi parmenidei per portare in primo piano ed allo stesso livello del sapere sull’essere gli altri saperi che il poema pur conteneva (tesi sulla quale convengono ormai diversi studiosi), ci riesce, però, difficile condividere l’assunto sulla incompatibilità e incongruenza reciproca di tali saperi.
Tornando al testo di Rossetti, egli si sofferma (p. 100-105) sulle teorie che Parmenide ha elaborato sulla forma della terra e sulla sua suddivisione in zone climatiche, senz’altro straordinarie ed innovative anche queste. Seguono (p. 106-108) gli «insegnamenti» sulla fisiologia umana, con particolare riferimento all’embriologia, ove l’Autore mette in evidenza qualcosa che effettivamente ha avuto, ed ha, poca risonanza nel panorama degli studi parmenidei:
per molto tempo, inclusi i tempi di Aristotele, si è pensato e insegnato che la donna non produce un suo patrimonio genetico, ma si limita ad accogliere e nutrire il patrimonio genetico di origine maschile […] Invece Parmenide fu tra i primi e i pochi a sostenere il contrario (p. 106).
L’Autore poi prosegue sottolineando che Parmenide fu tra i primi che elaborò una teoria sul perché certi individui sviluppassero tendenze omosessuali e che provò a spiegarsi la condizione fisiologica di chi ha tali tendenze.
Rossetti definisce questa una «conquista assolutamente memorabile» e ne conveniamo, ma annotiamo che in queste pagine egli dà pochissimo spazio e risonanza, [8] al contrario di quanto ha fatto nella sua monografia (Rossetti, 2017b, vol. 2, p. 97-112), a quello che egli stesso ha identificato nel poema come una sorta di «proto-femminismo» parmenideo (ivi, 110). Crediamo, infatti, che la cosa più «sbalorditiva», e, aggiungeremmo, scandalosa, che poteva emergere dal poema parmenideo – oltre il pantheon assolutamente femminile che lo anima – è proprio la tesi che la donna avesse un ruolo attivo nella riproduzione e non solo quello di ‘fornetto’, che la donna fosse “fatta” in prevalenza del «rado», quindi di «luce», più che l’uomo, in cui prevaleva il «denso», la materia dell’oscurità (come ci testimonia Aëzio), e che la daímōn di B12, piuttosto che spingere «i maschi a unirsi con le femmine», come prevedeva la themis omerica, dava la “precedenza” a queste ultime.
Nella Grecia del VI-V sec. a.C., ma anche oltre, la pederastia era una pratica pedagogica quasi “raccomandata” e Platone – che nel Parmenide ci presenta Zenone anche come “amante” di Parmenide – impiega un intero dialogo, il Simposio,[9] per «definire la filosofia come un parto dell’anima maschile legata all’amore fra uomini», nelle parole della Cavarero (1990, p. 100). Una concezione della filosofia che, possiamo dirci certi, difficilmente poteva essere condivisa da Parmenide, la cui «ovvia e trasparente venerazione del Maestro per il Principio Femminile», come sottolineava De Santillana (1985, p. 90), emerge perentoria dal suo poema.
E pensare che il femminismo, che tanto ha insistito a proposito del significato androcentrico della credenza embriologica che fosse solamente il maschio a dare forma alla vita, si è “distratto” su questa innovativa tesi parmenidea ed ha sempre accusato Parmenide, o meglio «il filosofo dell’essere», di matricidio filosofico, senza concedergli alcun appello.
Tornando alla «conversazione» del Rossetti: dopo aver ricordato gli altri «insegnamenti» biologici (p. 109-111) – e segnaliamo in proposito che l’Autore non vede in Parmenide anche un medico (p. 111), come negli ultimi anni è stato fatto da alcuni studiosi – egli torna ai primi 33 versi del frammento B8 (p. 112-117) per parlare di un altro «insegnamento» parmenideo che egli separa da quello dell’essere (per questo lo tratta alla fine degli insegnamenti, agli “antipodi” di quell’altro, che aveva trattato all’inizio: p. 122 n. 23), «ideando qualcosa che pervenne a sedimentarsi in una forma divenuta standard, si noti, solo quasi due secoli dopo, con gli Elementi di Euclide» (p. 116): il ragionamento deduttivo.
Si viene quindi accompagnati alle conclusioni sugli insegnamenti di Parmenide (p. 118-125, ma anche p. 136-137). «È bello – condividiamo le parole dell’Autore ed il suo entusiasmo – ritornare a prendere coscienza delle tante conquiste legate al nome di questo antico maestro» (p. 119). E concordiamo con la sua critica che «fino a ieri, il Parmenide filosofo dell’essere ha oscurato con impressionante efficacia tutti gli altri aspetti della sua poliedrica personalità» (ibid.). Tant’è che, l’abbiamo accennato prima, il pensiero femminista non si è mai accorto di quanto fosse “dalla parte della donna” Parmenide. Ma vogliamo qui ricordare che lo «ieri» a cui fa riferimento il Rossetti non sono solamente gli ultimi dieci anni, perché sono stati diversi gli studiosi che fin dal secolo scorso hanno cominciato a leggere il poema non solo “da sinistra verso destra”, per parafrasare una felice espressione con cui Mansfeld (2015) ha intitolato un suo recente saggio, ma anche “da destra verso sinistra”, cominciando appunto a darne un’interpretazione partendo proprio dal sapere cosmologico e naturalistico che emerge dalla seconda parte del poema e dalle molte e attendibili testimonianze dossografiche che ne abbiamo. Ed il Rossetti ha senz’altro contribuito a questa rilettura. Così come, da molti anni, si è cominciato ad approfondire il proemio e la sua relazione con il resto del poema, cosa che ha fatto anche l’Autore, che intravede una «congruità fra un Proemio così accentuatamente politematico e l’elaborata polumathia che il poeta mostra di aver coltivato (con straordinario successo)» (Rossetti, 2017b, vol. 1, p. 157).
D’altra parte siamo completamente d’accordo con l’Autore che Parmenide fosse un sophos e non un filosofo, specialmente non nel senso che intesero Platone, Aristotele e tutti i filosofi ‘metafisici’ (ma qualcuno ancora potrebbe obiettare che la filosofia è metafisica e nient’altro) che seguirono, sino ai nostri giorni, tra i quali l’Autore non manca di menzionare i più eminenti (p. 90-95). Possiamo condividere senz’altro l’ipotesi che Parmenide fosse un «cultore della polumathia ([…] il sapere molte cose, il fatto di intendersi di molte cose diverse)» e che i diversi aspetti della sua «poliedrica personalità» non debbano essere oscurati dall’attenzione quasi ossessiva al frammento B8 (p. 118-119).
Ma è più difficile condividere l’idea che si debba necessariamente «circoscrivere» (p. 124) «l’insegnamento sull’essere» per far riemergere gli altri. Forse bisognerebbe capire meglio quello che intendeva Parmenide con la sua nozione di essere, che probabilmente non doveva essere, come lo stesso Rossetti sottolinea, quella che ci hanno tramandato Melisso, Platone e Aristotele, tra i primi suoi lettori: Gadamer ci aveva già avvisati che l’aldilà che Platone e Aristotele hanno pensato dell’essere, in Parmenide è l’aldiquà (Gadamer, 2018, p. 73-134). Forse si può provare a rimettere mano al «’montaggio’ del poema» (p. 112) che la tradizione ha canonizzato finora (qualcuno lo sta facendo già, anche se con altre intenzioni: pensiamo, tra altri, a Coxon, Cordero, Kurfess, Laks e Most), e forse anche i paradossi di Zenone, la cui autonomia rimarrebbe incontestabile, potrebbero interpretarsi lungo la linea dottrinale tracciata dal poema parmenideo e non solamente in discontinuità con esso.
Allo stesso modo, crediamo, riesce difficile convincersi che nel poema di Parmenide «non si nota nessun desiderio di generalizzare offrendo considerazioni riguardanti la totalità […] [e] che questa sua supposta attitudine a rendere conto del tutto non è documentata» (p. 119); o che Parmenide «non ha nemmeno provato a offrire … delle considerazioni sulla realtà nel suo complesso»[10] (p. 122), specialmente quando è lo stesso Rossetti che ascrive alla capacità di Parmenide di «rappresentarsi l’intero» (p. 113) la sua maestria nell’organizzazione del poema ed il suo rigore deduttivo.
Il testo prosegue con un capitolo dedicato al ‘dopo’ Parmenide e Zenone (p. 127-137) – nel quale si segnala in particolare il paragrafo su Melisso e sul suo ruolo chiave nella fortuna del poema parmenideo e nella nascita dello stereotipo del Parmenide «filosofo dell’essere» (p. 132-135) – e si conclude con una sezione «Per saperne di più», in cui l’Autore propone alcune letture d’approfondimento. Si rimane un po’ perplessi davanti alla dichiarazione che la monografia di Bollack, Parménide, de l’étant au monde, che certo rimane di assoluto rispetto, sia l’unico testo precedente alla monografia del Rossetti, Un altro Parmenide, «in cui si prova a rendere conto sia del Parmenide filosofo dell’essere e grande ragionatore, sia del Parmenide naturalista» (p. 140). Una validissima indicazione contenuta nella sezione è certamente quella sui volumi pubblicati nella collana Eleatica, che raccolgono gli studi degli omonimi convegni che si svolgono ad Ascea (p. 141), diretti dallo stesso Rossetti fin dal primo incontro. Rappresentano una miniera di conoscenze e di idee sul pensiero di Parmenide e Zenone, ma non solo. Soprattutto, rappresentano lo “stato dell’arte” della ricerca intorno al loro pensiero.
Per concludere. Parmenide e Zenone sophoi ad Elea è una gradevole e stimolante «conversazione» che effettivamente fa venir voglia di conoscere meglio i due sapienti, è un inno al loro genio, ma anche un invito a recarsi ad Ascea per camminare dove loro hanno camminato duemilacinquecento anni fa. Per un lettore solamente curioso, il testo – riprendiamo la conclusione della Gardella nella presentazione allo stesso (p. 12) – si presenta come una sorta di paradosso zenoniano, certo più complesso: propone questioni nodali su come può essere pensata la realtà (e lo fa attraverso le riflessioni di due menti geniali), lasciando riflettere su di esse senza dare troppe spiegazioni. Per lo studioso di Zenone, il testo presenta alcune significative novità rispetto alle ipotesi proposte nel 2009, come nel caso di Parmenide, ma su quest’ultimo questo libro rappresenta una ricapitolazione dell’interpretazione che ne dà il Rossetti nella sua monografia, che certo rimane un fondamentale strumento di approfondimento, come poche altre.
Nonostante, infatti, come abbiamo accennato, il Rossetti non sia stato l’unico a rivalutare il sapere contenuto nella cosiddetta «seconda parte» del poema parmenideo, egli non lo fa nella stessa direzione perseguita da altri studiosi – che comunque cercano di riconnettere, da varie prospettive, questo sapere con quello sull’essere – ma nel considerare il sapere della «seconda parte» del poema suddiviso a sua volta in saperi diversi, irriducibili tra loro e rispetto al sapere sull’essere (p. 82-85, 96 e 119) e lo stesso «sapere sull’essere» irriducibile a quello sulla «razionalità deduttiva» contenuto nello stesso frammento dove è discusso quello. Dunque il Parmenide proposto dal Rossetti è sì «un altro Parmenide» ma non «assolutamente irriconoscibile» (p. 85), se non per chi ne abbia conoscenza solamente dagli studi liceali.
Dal nostro punto di vista, lo studioso già da qualche anno sottopone una certa interpretazione dell’ontologia parmenidea, sedimentatasi con la tradizione metafisica, ad una sorta di “epoché” (virgolette d’obbligo), per ridare valore agli altri saperi che sappiamo professava il grande Maestro. Questa sua prospettiva rappresenta un “polyderis élenchos” degno di quello che la dea propone a Parmenide nel poema (cfr. il frammento B7), ma d’altra parte rischia di frammentare ulteriormente un pensiero che probabilmente non era così “compartimentato” come sembra concludere l’Autore.
Chiunque voglia approfondire il pensiero di Parmenide, qualunque sia il suo approccio ad esso, non può perciò non confrontarsi con l’interpretazione che ne propone il Rossetti. Sia infatti che si tratti di Parmenide sia di Zenone (la cui interpretazione di ogni studioso non può che dipendere da come questi avrà letto il poema parmenideo) le sue letture hanno radici ben strutturate e la forza di un’argomentazione congrua.
Ovviamente il testo che abbiamo provato a raccontare può dare solo una pallida idea della profondità degli studi condotti dal Rossetti ma il palpabile entusiasmo con cui l’Autore ci racconta Parmenide e Zenone, che emerge da ogni pagina, dà anche un’idea della passione che ha accompagnato questi studi in tanti anni e questo, anche da solo, crediamo valga la sua lettura.
Bibliografia
CAVARERO, A. (1990). Nonostante Platone. Figure femminili nella filosofia antica. Roma, Editori Riuniti.
DE SANTILLANA, G. (1985). Fato antico e fato moderno. Milano, Adelphi.
GADAMER, H.-G. (2018). Parmenide. A cura di C. Saviani. Traduzione di G. Bongo. Napoli, La scuola di Pitagora.
HOFSTADTER, D. H. (1984). Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante. Milano, Adelphi.
MANSFELD, J. (2015). Parmenides from Right to Left. Études platoniciennes 12, e-ID=699. http://journals.openedition.org/etudesplatoniciennes/699.
MAZUR, J. (2019). Achille e la tartaruga. Il paradosso del moto da Zenone a Einstein. Milano, Il Saggiatore.
ROSSETTI, L. (2017a). La filosofia virtuale di Parmenide, Zenone e Melisso. Uno sguardo alle prossime Lezioni Eleatiche. Archai 21, p. 297-333.
ROSSETTI, L. (2017b). Un altro Parmenide. 2 vols. Bologna, Diogene Multimedia.
ROSSETTI, L. (2019). Parménides y Zenón, sophoí en Elea. Traducción de Alejandro Mauro Gutiérrez et al. Buenos Aires, Teseopress.
[1] Il libro qui recensito, «con piccole modifiche», come precisa l’Autore stesso a p. 7, è l’edizione italiana di un testo pubblicato in spagnolo l’anno precedente (Rossetti, 2019).
[2] Queste pagine, l’indice, la presentazione di Mariana Gardella Hueso ed alcune pagine del secondo capitolo, si possono leggere in un estratto del testo che la casa editrice rende disponibile online all’indirizzo: http://blog.petiteplaisance.it/wp-content/uploads/2020/01/Invito-alla-lettura_Parmenide-e-Zenone-sophoi-ad-Elea.pdf (consultato il 22 luglio 2020).
[3] Che non sono certamente da meno, come evidenzia l’Autore stesso ad ogni occasione. Per esempio, rispetto alle scoperte astronomiche di Parmenide, sottolinea il Rossetti, le teorie cosmologiche elaborate da Aristotele appaiono «tutte fantasie prive di qualunque riscontro» (p. 118).
[4] Per farsi un’idea della ricchezza della «possanza», per dirla con l’Autore, epistemologica e scientifica che essi continuano ad avere, segnaliamo due testi, tra l’altro molto diversi tra loro: uno di Hofstadter (1984), in cui i personaggi zenoniani Achille e la Tartaruga accompagnano il lettore lungo tutto il libro in quella che l’autore definisce fin dal sottotitolo «Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll»; l’altro di Mazur (2019).
[5] “Piacevole” (p. 40-49) la spiegazione della differenza tra paradossi ed enigmi che punta a far capire come l’essenza di un paradosso, che ne garantisce la longevità, sia proprio la sua irresolubilità.
[6] Per il Rossetti è «una mera fantasia» (p. 33) anche se sembra tenerne conto nell’indicare la cronologia di Parmenide (p. 30, n. 1).
[7] Per l’approfondimento del concetto di «filosofia virtuale» nella terminologia rossettiana si rimanda a Rossetti, 2017a.
[8] Neanche vi fa cenno nelle conclusioni (p. 136) dove annota solo la «conquista» dell’interessamento all’omosessualità e le sue conseguenze.
[9] Ove il noto ‘mito della mela’ non vuole essere altro che la dimostrazione della superiorità dell’uomo sulla donna e dell’amore omosessuale maschile su ogni altro.
[10] In questo senso l’Autore, piuttosto che accomunarlo ad Anassimandro, Anassimene, Eraclito, o Senofane, scrive che Parmenide «ha qualcosa in comune con Talete» (p. 124) il quale «difficilmente pervenne ad elaborare un suo modo di rappresentarsi la totalità» (p. 120-121).
La recensione di Marco Montagnino è stata pubblicata sulla rivista
«Il volto in cui si presenta l’Altro – assolutamente altro – non nega il Medesimo, non gli fa violenza come l’opinione o l’autorità o il sovrannaturale taumaturgico. Resta a misura di chi accoglie, resta terrestre. Questa presentazione è la non-violenza per eccellenza, infatti invece di ledere la mia libertà la chiama alla responsabilità e la instaura. Non violenza, mantiene però la pluralità del Medesimo e dell’Altro. È pace».
Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 2018, p. 208.
«L’atto dell’astrazione, del separare, si può anche intendere come l’atto di una cecità auto-imposta, del rifiuto di “vedere tutto”. Ciò che Hegel chiama “negatività” si può mettere anche nei termini di visione e cecità, come la potenza “positiva” della “cecità”, dell’ignorare parti della realtà. Come fa un concetto ad emergere dalla confusa rete di impressioni che abbiamo di un oggetto? Attraverso la potenza dell’“astrazione”, del renderci ciechi davanti alla maggior parte delle caratteristiche dell’oggetto riducendolo alle sue caratteristiche costitutive di base. La potenza assoluta della nostra mente non è vedere di più ma di meno in modo corretto, per ridurre la realtà alle sue determinazioni concettuali; solo tale “cecità” genera la visione delle cose per come sono realmente».
Slavoj Žižek,Disparità. Verità, bellezza, bene: i vari aspetti della differenza e del negativo spiegati come lotta filosofica e politica, Ponte delle Grazie, Milano 2017, p. 69.
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