Mauro Armanino – Diario da Niamey: «Voci dal sottosuolo – I tre naufragi africani dell’Occidente – Geopolitiche di sabbia nel Niger e dintorni – La Pasqua, di sabbia, di Niamey – I buoni e i cattivi delle rivoluzioni».
Mauro Armanino
Diario da Niamey: «Voci dal sottosuolo – I tre naufragi africani dell’Occidente – Geopolitiche di sabbia nel Niger e dintorni – La Pasqua, di sabbia, di Niamey – I buoni e i cattivi delle rivoluzioni».
Voci dal sottosuolo
Parla poco o nulla inglese e niente francese. Mohammed si presenta una mattina col foglio plastificato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati rilasciatogli dall’ufficio di Niamey. Da allora passa ogni due settimane per salutare e ottenere di che sopravvivere qualche giorno in più. Invece di continuare ad alloggiarsi in strada, presso l’ufficio delle Nazioni Unite, tra polvere, vento e pioggia quando sarà la stagione, ha trovato un posto presso la Casa del Togo. I responsabili delle Casa accolgono anche migranti o rifugiati originari di altre nazionalità e offrono l’alloggio, i servizi igienici e un minimo di decenza per il riposo. Per ragioni comprensibili non sono in grado di nutrire gli ospiti che, in qualche modo, devono darsi da fare in un contesto complicato per tutti e in particolare per uno straniero che è incapace di comunicare.
Le segnalazioni all’Ufficio, per vari motivi, non hanno prodotto nessun risultato apprezzabile. Mohammed possiede un documento delle Nazioni Unite e un altro dell’Ufficio Nazionale di Eleggibilità che lo riconosce, per ora, come richiedente asilo. Dopo un anno circa, fatte le debite indagini, detto ufficio deciderà se Mohammed potrà essere riconosciuto come rifugiato a pieno titolo. Nel frattempo Mohammed non esiste per nessuno. Non ha una casa, un minimo di aiuto finanziario e neppure un futuro che vada oltre l’infinita e temibile attesa quotidiana del cibo. Mohammed, è stato battezzato in Egitto col nome di Gabriele o Jibril. Passa talvolta la domenica mattina per la preghiera presso la piccola comunità di credenti cattolici nel quartiere di Niamey chiamato Francofonia, a causa dei giochi omonimi celebrati nel lontano 2005.
Nella lettera che recapita stamane, debitamente tradotta in lingua francese, si intravvede meglio il tipo di avventura che l’ha condotto fino a Niamey l’anno scorso. Nato a Sabha al sud di Tripoli in Libia, ivi ha vissuto con la famiglia composta dai genitori, una sorella minore e due fratelli maggiori. Trasferitosi a Tripoli coi genitori torna in seguito a Sabha per completare gli studi universitari e nel 2009, all’età di 19 anni, unico della famiglia, si converte al cristianesimo. La famiglia, musulmana, accetta la scelta del figlio e il padre gli consiglia di conservare discrezione sul fattore religioso. Quando può parte in Tunisia per unirsi a comunità cristiane più o meno clandestine finché il padre lo manda in India per una tesi e un master in economia. Fine 2013 torna in Libia per la morte della sorella a causa di una malattia.
Nel frattempo alcuni membri della famiglia paterna ‘scoprono’ la sua nuova affiliazione religiosa e lo tacciano di Kafir, non credente o infedele. Ciò lo porta ad essere imprigionato e violentato. La sua famiglia non può visitarlo ed è solo grazie ad un conflitto tra milizie che può evadere dalla prigione. Sua padre lo spinge a lasciare il Paese e a rifugiarsi in Egitto dove Jibril conosce le Chiese copte ed è battezzato. Apprende la morte del padre e dei fratelli, uccisi in prigione. Nel 2018 si trova in Turchia e torna in Tunisia nel 2022 per qualche mese prima di entrare in Algeria e chiedere assistenza presso l’Ufficio per i Rifugiati di Algeri. L’anno seguente è informato della morte di sua madre e nel mese di settembre i militari, malgrado il documento che lo riconosce come rifugiato, lo deportano e, con altri come lui, lo abbandonano nel deserto.
Da allora Mohammed Jibril si trova a Niamey tra timori, ansietà e incertezze di un futuro che non offre, per ora, gli orizzonti sperati. Tornare in Libia sarebbe la sua morte. Termina la lettera con i ricordi di violenze carnali subite in carcere che non passano mai e dice di immaginare ciò che significhi quando qualcuno, dietro voi vi dice che siete suo. Jibril ringrazia e sorride prima di partire a rinnovare il documento di richiedente asilo per altri tre mesi. Malgrado la vita sia difficile ringrazia il Niger per l’accoglienza.
Mauro Armanino, Niamey, maggio 2024
I tre naufragi africani dell’Occidente
A fare naufragio nel Mediterraneo o nell’Atlantico non sono solo i migranti o i richiedenti asilo che allungano l’elenco dei scomparsi nelle acque che uniscono (e separano) i continenti. Lo sono invece, forse meno palesemente ma non con minori conseguenze, i naufragi del continente europeo in Africa o, meglio, nelle Afriche che la costituiscono. Un osservatorio privilegiato di questi processi storici è, tra gli altri, il Sahel dove chi scrive si trova da oltre 13 anni. Un tempo che, ‘abitato’ da avvenimenti come le chiese bruciate di Zinder e Niamey nel 2015, il rapimento dell’amico Pierluigi Maccalli nel 2018 e l’ennesimo colpo di Stato del luglio scorso ha offerto emozioni, riflessioni e ricerca di senso. Come tutto qui, peraltro, è un pensiero di ‘sabbia’.
Dopo aver spinto i militari francesi ad abbandonare il Niger è adesso la volta della presenza militare americana e le sue due basi militari ad organizzare una ritirata ‘ordinata e responsabile’ dal paese. Rimangono, patetici, un gruppo di militari tedeschi e, più numerosi, italiani in ‘vigile attesa’ delle decisioni della giunta militare al potere (e dei russi ormai bene installati). Appare surreale quanto l’ambasciata italiana ha organizzato nella capitale Niamey. Si tratta di una conferenza prevista all’università e di una mostra su Pinocchio sullo sfondo del «Design italiano come forza motrice dell’innovazione e creatività». Già nel passato erano state organizzate le giornate della cucina italiana oltreché dei film italiani d’autore.
C’è naturalmente di peggio nella vita diplomatica di una Paese e nondimeno quanto citato lascia presagire qualcosa del dramma a cui facevo allusione nella premessa. Essi si manifestano, dall’osservatorio di ‘sabbia’ del Sahel, con tre tipi di naufragio.
Il primo naufragio si trova nello ‘sguardo’. In effetti, malgrado le critiche, i lavori degli antropologi e i cambiamenti occorsi nell’interpretazione delle culture, lo sguardo dell’Occidente sulle Afriche non riesce a liberarsi dal passato ‘coloniale’. Uno sguardo, quello occidentale, che continua a presumersi unico e dunque in grado di giudicare, dal ’suo’ centro e dal ‘suo’ punto di vista, ogni differenza in fondo intesa come inferiorità rispetto al modello unico europeo. Forse non si è capito ancora che anche gli africani hanno smesso di parlare con la bocca degli altri e di guardare con gli occhi degli altri. Hanno scelto di usare la propria bocca e i propri occhi per raccontarsi.
L’incapacità di mettersi all’ascolto dell’altro è proprio ciò che ha costituito il secondo naufragio dell’Occidente. L’arroganza del potere della tecnica, dell’economia e, non dimentichiamo, delle armi, ha creato la temibile malattia della sordità europea che parla di se stessa e a se stessa senza mai uscire da se stessa. In tutti questi anni di progetti di sviluppo, assistenze umanitarie e accordi bilaterali il grande assente è stato l’ascolto attento e umile di chi avrebbe potuto salvare l’Europa da se stessa.
Infine, alla radice dei naufragi giace il grande tradimento che avrebbe comportato lo smarrimento del pensiero e dell’etica ad esso conseguente. Si tratta della drammatica separazione della spiritualità dalla vita quotidiana, la mutilazione non casuale di ogni interiorità, la perdita del sacro, dell’anima e di quanto costituisce la dignità della persona.
L’espropriazione di questa dimensione essenziale è stata l’opera fondamentale del capitalismo che il neoliberismo continua a completare. Le Afriche e gli africani non accetteranno facilmente di essere svenduti alle ideologie dominanti nell’Occidente. Per chi ‘ogni giorno in più è una vita’ non è credibile che il cambiamento di sesso dei bimbi o le bandiere arcobaleno LGBT siano una priorità.
Mauro Armanino, Niamey, aprile 2023
Geopolitiche di sabbia nel Niger e dintorni
Nelle definizioni la geopolitica è lo ‘studio dei rapporti tra i fattori geografici e le azioni o le situazioni politiche’. Dette relazioni non sono qualcosa di meramente ‘contemplativo’ quanto finalizzate ad un potere militare, politico, economico e culturale. Nel nostro Paese il Niger e nei dintorni, entrambi i fattori in gioco sono essenzialmente costituiti dalla ‘sabbia’. La geografia e la politica, in un contesto di concorrenza o egemonia per il potere, si articolano e sviluppano attorno a questo elemento unico che ne definisce l’identità e l’immaginario. Il putsch di fine luglio dell’anno scorso era stato lui stesso di sabbia e, strada facendo, le scelte operate dalla giunta militare al potere, non hanno fatto che confermare e rendere più certa questa evidenza. L’Alleanza degli Stati del Sahel, Burkina Faso, Mali e Niger. L’annunciata fuoriuscita dal consesso della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale. L’espulsione dei militari francesi e americani con le rispettive basi dal territorio nigerino sono andate di pari passo con trattati di cooperazione militare, tecnica ed economica con la Federazione Russa. Le bandiere di quest’ultima, apparse in modo quasi aneddotico fin dall’inizio delle manifestazioni pro-giunta, non erano dunque casuali.
L’idea di sovranità, rivista, tradotta e applicata in questi mesi, continua ad apparire come idea motivante di una parte della società civile e del popolo stesso. Anni di frustrazione, di svendita del Paese all’Occidente e di violazione dei dettati costituzionali in particolare nell’ultimo decennio, hanno facilitato il processo di dissoluzione delle istituzioni per lasciare il posto al un ‘regime di sabbia’. Quest’ultimo, accaparratosi del potere grazie alla detenzione del presidente nella sua dimora, ha operato le scelte di cui sopra senza che la tanto decantata sovranità del popolo sia stata presa in considerazione. Un popolo che la sabbia ha creato, modellato, formato e reso a sua immagine e cioè silenzioso, resiliente e capace di sopravvivere in ogni circostanza e prova. Un popolo di sabbia che osserva, giudica, soppesa i regimi che si susseguono nella sua storia e, reso cosciente dalla sofferenza e le privazioni, custodisce il sapore antico della dignità. Proprio quest’ultima, confiscata da una élite politica che il potere ha corrotto e reso servile alle geopolitiche occidentali, ha trovato l’opportunità di risorgere dalla dimenticanza nella quale era stata sepolta. Non accada, dunque, che venga una volta di più tradita da chi pensa di detenere la chiave della verità.
Ognuno, nel Sahel come altrove nel mondo, fa il suo gioco e cerca i propri interessi. Di questo parlano e raccontano le geopolitiche di sabbia che si fanno concorrenza e che prendono questa porzione d’Africa come luogo di un’altra spartizione di potere o corsa per chi svilupperà la propria influenza. Di certo il Sahel non è semplice vittima o passivo osservatore della nuova identità regionale quanto interessato attore fin dove e quanto esso è possibile. Persino l’Italia, nel suo piccolo, con la presenza diplomatica, militare e di cooperazione, cerca di ritagliare la propria giustificata presenza nel Sahel. La retorica del ‘controllo’ o quanto meno di una certa canalizzazione dei movimenti migratori rimane un miraggio. I Paesi confinanti il Niger, in effetti, persistono e radicalizzano le politiche di esclusione, deportazione o internamento dei migranti nel loro spazio nazionale. In tutto questo infernale gioco che porta alla sconfitta annunciata dei popoli, permane lo spazio esiguo eppure decisivo per ciò che da tempo la congiura del sistema ha espunto. Si tratta del ritorno all’ascolto del silenzio dei poveri che la sabbia, nella sua umiltà, ha nascosto ai potenti e ai saggi che organizzano le geopolitiche che torneranno alla sabbia da cui sono nate.
Mauro Armanino, Niamey, 14 aprile 2024
La Pasqua, di sabbia, di Niamey
Questa festa interessa le poche migliaia di cristiani che vivono in città e dei quali la maggior parte è originaria dei Paesi della costa atlantica che il commercio degli schiavi rese famosa e temuta. C’è in cambio il ‘lunedì di Pasqua’ che il calendario ufficiale delle festività riconosce, assieme al Natale, a livello nazionale. Sono le due festività accolte, almeno finora, nel calendario dello Stato. Si tratta di una Pasqua di sabbia, precaria e fragile come si conviene e in sintonia con la transizione che il Niger abita da fine luglio dell’anno scorso. È la conseguenza del colpo di stato che ha deposto e imprigionato nel palazzo presidenziale l’eletto in circostanze dubbiose Mohammed Bazoum. Anche la transizione del Paese è di sabbia. Azzardarsi a domandare la meta del viaggio significa esporsi ad un imbarazzante silenzio che la polvere copre di pudore. Il sentiero che il Niger e l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES) percorrono è ancora poco frequentato.
Eppure, nel suo piccolo, la festa di Pasqua è latrice di un messaggio, difficile a decifrare nel contesto, di una liberazione possibile per tutti. Se Pasqua indica, nell’etimologia popolare, ‘passaggio’ allora l’avvenimento pasquale che la festa attualizza, indica almeno due liberazioni conseguenti. La prima ricorda il mito fondatore del popolo di Israele che, tramite un esodo durato anni, abbandona la terra della schiavitù del Faraone d’Egitto per rischiare l’indigenza e l’incertezza della libertà. Il cammino nel deserto, tra stenti, paure e tentazioni di un ritorno al passato che rassicura, diventa la metafora della transizione attuale del popolo nigerino. Come per il popolo di Israele la realtà degli idoli fabbricati continua a sedurre l’immaginario della gente e in particolare dei ‘capi’. Il potere, il prestigio e l’arroganza del dio denaro sono l’attuale vitello d’oro che il popolo si è fabbricato nel deserto. L’acqua della roccia è difficile a trovare.
C’è poi l’altra liberazione possibile, ancora più pericolosa per il disordine stabilito, che, in relazione con la Pasqua afferma che i sepolcri si sono svuotati e le tombe sono trasformate in giardini. Questa seconda promessa di liberazione è ancora più sovversiva delle precedente perché, dopo il silenzio della notte e all’albeggiare, ci si accorge che l’anelito per un mondo nuovo non era vano. Ciò significa che la violenza, la menzogna del potere, il cinismo dei commercianti di parole e d’armi, i fabbricanti di illusioni e gli imprenditori del sistema di dominazione, sono finalmente inermi e spodestati. Le tombe dei cimiteri nelle quali i potenti volevano chiudere la storia umana, litania infinita di guerre e ribellioni al sistema, sono svuotate. Le pietre che le coprivano servono ormai per costruire il mondo assente che tanti cercavano a tastoni. Passare dalla schiavitù fisica e mentale, ricordava un certo Bob Marley, è proprio ciò che permetterà di cantare assieme agli amici resi liberi, il suo ‘Redemption Song’, il canto della libertà, di sabbia.
Mi aiuterai a cantare
Questi canti di libertà?
Perché tutto quel che ho sempre avuto
Sono i canti di redenzione,
Tutto quel che ho sempre avuto
Sono i canti di redenzione
Questi canti di libertà,
Canti di libertà
Mauro Armanino, Niamey, Pasqua 2024
I buoni e i cattivi delle rivoluzioni
Arrivano i buoni
Arrivano, arrivano
Il Niger ha vissuto il suo primo putsch nel 1974. Fu organizzato da un quartetto di ufficiali guidati dal tenente colonnello Seyni Kountché il quale giustificò la sua presa di potere con le difficoltà sociali evidenziate dalla carestia. ‘Dopo15 anni di regno segnati da ingiustizia, corruzione, egoismo e indifferenza nei confronti del popolo al quale pretendeva di assicurare benessere, non possiamo più tollerare la permanenza di questa oligarchia’. Ci troviamo nello stesso anno nel quale Edoardo Bennato lanciava una canzone il cui testo inizia come enunciato sopra e continua come segue.
Finalmente hanno capito che qualcosa qui non va
Arrivano i buoni e dicono basta
A tutte le ingiustizie che finora
Hanno afflitto l’umanità
L’ultimo (per ora?) della serie dei putsch è stato giustificato dal discorso dal presidente della transizione, il generale Abdourahamane Tiani, all’occasione degli auguri per la festa dell’indipendenza nel passato mese di agosto…’ È questa la sede per ribadire con estrema chiarezza che l’unica ragione dell’azione del CNSP è e rimane la salvaguardia della nostra patria, il Niger… Semplicemente, sono in gioco le vite del popolo nigerino e l’esistenza stessa del Niger come Stato … vi sono i problemi ormai endemici della corruzione diffusa e dell’impunità, della cattiva gestione, dell’appropriazione indebita di fondi pubblici, del clanismo di parte, della radicalizzazione delle opinioni e delle posizioni politiche, della violazione dei diritti e delle libertà democratiche, della deviazione del quadro statale a vantaggio di interessi privati e stranieri, dell’impoverimento delle nostre popolazioni laboriose’… Stesse cose, cinquant’anni dopo.
Quanti sbagli, quanti errori
Quante guerre e distruzioni
Ma finalmente una nuova era comincerà
La storia umana è una mescolanza di sabbia. Ivi si rincorrono imperi, regimi di eccezione, repubbliche, monarchie, dittature e rivoluzioni. Alcune più note e altre meno ma tutte con l’inconfessata speranza di un mondo differente, nuovo o semplicemente migliore del precedente. Solo che nella storia succede come nella vita perché nulla si crea e nulla si distrugge del vissuto. Si girano le pagine del libro le cui pagine sono scritte dalla sabbia, cancellabili e, proprio come la vita, fragili. Troppe volte le promesse dei fautori di rivoluzioni non erano che colpevoli miraggi. Altre volte le legittime aspirazioni del popolo si trovano poi tradite dalla realtà del quotidiano. L’esperienza insegna infatti che bene e male, saggezza e follia, verità e menzogna si mescolano e confondono a seconda delle stagioni e dei rapporti di forza. Allora da uno stato di eccezione si passa alla normalità o. se vogliamo, è la banalità del male che anela ad un ulteriore putsch con altri giusti che, finalmente, metteranno i ‘cattivi’ in grado di non nuocere.
Arrivano i buoni ed hanno le idee chiare
Ed hanno già fatto un elenco
Di tutti i cattivi da eliminare
Le liste sono flessibili e sfuggevoli perché, anch’esse, di sabbia e dunque mutevoli. Non casualmente si celebrano processi sommari di delinquenti notori. Vengono istituiti spesso comitati di salute pubblica, di protezione della rivoluzione e si salveranno dal ripudio solo coloro che danno assicurazioni di trasparente onestà, gente con ‘le mani pulite’. Sono loro i prescelti per governare o comunque orientare e conservare lo spirito della rivoluzione. La giustizia mostra in tutta evidenza ciò che ci sia aspetta da lei e dunque l’asservimento volontario al potente di turno. Spariscono cittadini, attivisti, corrotti e corruttori del sistema. Liste che si aggiornano in continuazione sotto la guida di gente ‘illuminata’ dallo spirito del tempo e dal senso della storia dei vincitori. Naturalmente questo processo di identificazione dei ‘cattivi’ si apparenta ad un cantiere permanente per vocazione e soprattutto domanda tempo, anni ed è ciò che si definisce come ‘rivoluzione permanente’. Tutto ciò durerà finche i nuovi padroni saranno, prima o poi, loro stessi vittime del loro tempo di transizione. Arriveranno altri buoni, migliori dei precedenti per completare il lavoro.
Così adesso i buoni hanno fatto una guerra
Contro i cattivi, pero hanno assicurato
Che è l’ultima guerra che si farà
Finalmente una nuova era comincerà
Difficile affermare se quelle che abbiamo finora designato col nome pomposo di ‘rivoluzioni’ lo sono state davvero. Oppure sono state le cronache di tradimenti annunciati fin dal loro germe sapendo che tra i mezzi adoperati e il fine perseguito c’è complicità e continuità inscindibile. Forse l’unica e autentica rivoluzione che meriti questo nome è quella che non sa di esserlo, consapevole della sua intrinseca e umana fragilità. La sola che si avvicini a questa utopia è quella che la sabbia, gelosamente, nasconde agli occhi dei ‘buoni’.
Mauro Armanino, Niamey, 10 marzo 2024.
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