Lewis Henry Morgan (1818-1881) – La proprietà è diventata una potenza in sé, sfuggita al controllo della popolazione. La mente umana assiste sconcertata agli sviluppi della sua stessa creazione.

Lewis Henry Morgan

Morgan_La società antica

 

«cum prorepserunt primis animalia terris,
 mutum et turpe pecus, glandem atque cubilia propter
 unguibus et pugnis, dein fustibus atque ita porro
 pugnabant armis, quæ post fabricaverat usus,
 donec verba, quibus voces sensusque notarent,
 nominaque invenere; dehinc absistere bello,
 oppida coeperunt munire, et ponere leges».

Orazio, Satire, I, 3, vv. 100-105

 

«Quando sulla terra dei primordi strisciarono fuori gli animali, gregge senza parola e bellezza, per ghiande e tane combattevano con le unghie e coi pugni, poi coi bastoni, e così di seguito con le armi che l'esperienza aveva fabbricato, finché trovarono le parole ed i nomi, con cui individuare suoni e significati; da qui in avanti, cominciarono a desistere dalla guerra e si diedero a consolidare i villaggi, a stabilire leggi»

 

Ancient Society

 

«Fin dall’avvento della civiltà, lo sviluppo della proprietà è stato così gigantesco, le sue forme così variamente articolate, i suoi usi così continuamente allargati, e la sua amministrazione (management) tanto abile nel favorire gli interessi dei proprietari, che la proprietà stessa è diventata una potenza in sé che è sfuggita al controllo della grande massa della popolazione.
La mente umana assiste sconcertata agli sviluppi della sua stessa creazione.
Verrà, tuttavia, il tempo in cui l’intelligenza umana si eleverà a riacquistare il dominio sulla ricchezza, ridefinendo i rapporti tra lo Stato e la proprietà, di cui esso è protettore, nonché gli obblighi e le limitazioni dei diritti dei proprietari. Gli interessi della società precedono quelli dell’individuo e il problema è di stabilire un rapporto giusto e armonico tra questi due.

La dissoluzione della società promette di essere l’unico possibile risultato di un corso storico in cui la proprietà e la ricchezza continuassero a essere il fine e l’obiettivo dell’umanità; questo perché un cosiffatto corso storico contiene in sé gli elementi dell’autodistruzione.
Democrazia nel governo, fratellanza nei rapporti sociali, eguaglianza di diritti e privilegi, e istruzione per tutti senza discriminazioni: così ci dobbiamo prefigurare [la] futura condizione della società verso cui ci spingono […] l’intelligenza e le conoscenze finora accumulate».

 

Morgan_Ancient Society

Lewis Henry Morgan, Ancient Society or Researches in the Lines of Human Prohgress From Savaegery Through Barbarusm to Civilization, 1877; tr. it. La società antica, Feltrinelli, Milano, 1970, p. 403.

 



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In ricordo di Antonio Melis. Testimonianze di: Martha Canfield, Flavio Fiorani, Manuel Plana .

Melis Antonio_03

 

Centro Studi e Iniziative America Latina

Centro studi Jorge Elelson

Circolo Vie Vuove

Centro Studi e Iniziative America LatinaCentro studi Jorge EielsonCircolo “Vie Nuove”

 

melis antonio

In ricordo di Antonio Melis

 

 

 

Testimonianze di

Martha Canfield

Università di Firenze

Flavio Fiorani

Università di Modena

Manuel Plana

Università di Firenze

 

 

Martedì 8 novembre 2016, dalle ore 21,00

Centro Studi America Latina
Circolo “Vie Nuove”

Viale Donato Giannotti, 13 Firenze
Tel. 055.683388

Tre sudiosi dell’America Latina faranno rivivere la dimensione umana e l’opera del grande letterato drammaticamente scomparso, con l’affetto e la riconoscenza di chi non solo ne apprezzava l’eccezionale valore scientifico, ma anche l’impegno civile che l’ha da sempre caratterizzato.

In ricordo di Antonio Melis_Locandina

 



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Friedrich Engels (1820-1895) – Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili (in morte di K. Marx).

La morte di Kal Marx

 

Lettere Marx-Engels

«Tutti gli eventi che accadono per necessità naturale recano in sé la propria consolazione, per quanto possano essere terribili. […] Forse, l’abilità dei medici gli avrebbe potuto assicurare ancora qualche anno di esistenza vegetativa; la vita di un essere impotente, il quale, per il trionfo della medicina, non muore d’un sol colpo, ma soccombe a poco a poco. Tuttavia, il nostro Marx non lo avrebbe mai sopportato. Vivere con tutti quei lavori incompiuti davanti a sé, anelando, come Tantalo, a portarli a termine senza poterlo fare, sarebbe stato per lui mille volte più amaro della dolce morte che lo ha sorpreso. “La morte non è una disgrazia per colui che muore, ma per chi rimane”, egli soleva dire con Epicuro. E vedere quest’uomo geniale vegetare come un rudere a maggior gloria della medicina e per lo scherno dei filistei che lui, quando era nel pieno delle sue forze, aveva tanto spesso stroncato … no, mille volte meglio le cose così come sono andate. Mille volte meglio che dopodomani lo porteremo nella tomba dove riposa sua moglie. […]
Sia come sia. L’umanità ora possiede una mente in meno, quella più importante che poteva vantare oggi. Il movimento proletario prosegue il proprio cammino, ma è venuto a mancare il suo punto centrale, quello verso il quale francesi, russi, americani e tedeschi si volgevano automaticamente nei momenti decisivi, per ricevere quel chiaro e inconfutabile consiglio che solo il genio e la completa cognizione di causa potevano offrire loro. I parrucconi locali, i piccoli luminari e forse anche gli impostori si troveranno ad avere mano libera. […] Bene, dovremo cavarcela. Altrimenti che cosa ci stiamo a fare? E, comunque, siamo ben lontani dal perdere il nostro coraggio».

Friedrich Engels a Friedrich Sorge, 15 marzo 1883, in Marx-Engels, Lettere 1880-1883 (marzo), Lotta comunista, Milano 2008, pp. 360-361.



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Maura Del Serra – Al popolo della pace.

M. Del Serra_Al popolo della pace

 

 

Al popolo della pace

Maura Del Serra

Al popolo della pace

***

Il mondo attonito respira guerra

insensata, battente dentro le linfe emerse

a dorarsi dal cielo sulla terra…

Oh di nuovo, di nuovo

uncinandosi vorticano croce e mezzaluna –

non ne resta che l’ombra unica di un capestro

sulla piazza molteplice del mondo:

l’alta ragione che ispirò Al Ghazãli

e San Francesco e Rūmi e Dante e Buddha e Shakespeare

                                 ricerca inizio nei cuori innocenti

d’ogni razza, che sono popolo, non più folle

anonime e disperse. Popolo della pace,

volga con te la ruota la celeste Fortuna!

 

 

 

Maura Del Serra, in Congiunzioni, Pistoia, Petite Plaisance, 2004, p. 20; poi ne L’opera del vento. Poesie 1965-2005, Venezia, Marsilio, 2006, p. 312.

 

***

 

Al popolo della pace, testo e voce di Maura del Serra

video di Gerardo Paoletti,
in 25 TV PER 25 GUERRE
Curated by “World march” associazione marcia mondiale per la pace, 2009


Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.

Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»

Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole

Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”

Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864

Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana

Maura Del Serra – I LIBRI ed altro

Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora



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Brice Bonfanti-Ludovic Burel – «Avatars de Rousseau»

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Avatars de Rousseau

Brice Frigau Bonfanti
Ludovic Burel

 

Avatars de Rousseau

 

Avatars de Rousseau donne un aperçu des survivances de Rousseau, depuis sa mort jusqu’à nos jours. Ses sentiments, ses idées, ses postures, ses préoccupations, vivent d’autres vies dans d’autres corps que le sien: révolutionnaires de 1789; écologistes; musiciens, depuis Gluck jusqu’aux enfants chinois; éducateurs de Pestalozzi à Montessori et Freinet; romantiques tels Stendhal ou Sand; socialistes de Blanqui à Jaurès ; résistants ou collaborateurs français de la 2ème Guerre mondiale; indépendantistes algériens; psychanalystes inlassablement intrigués par le cas Rousseau… Chaque chapitre est accompagné d’un essai visuel qui mêle archives historiques et-ou documents récents et esquisse des constellations d’images « justes et lointaines».

Conception graphique: Clément Le Tulle Neyret

Avec les contributions de: Ludovic Burel, Yves Citton, Brice Frigau Bonfanti, Julie Delavie, Bernard Gittler, Henri Louis Go, Michael Löwy, Jean-Damien Mazaré, Pascale Pellerin, Jean-François Perrin, Christine Planté, Jean Sgard, Raymond Trousson.

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Brice Bonfanti est conservateur des collections Stendhal à la Bibliothèque municipale de Grenoble. Commissaire d’expositions (Avatars de Rousseau, Pseudo Stendhal, Ecrire & résister), il est l’auteur de conférences et d’articles sur Stendhal, ainsi que de présentations publiques de manuscrits. Actuellement, il se consacre à l’écriture de Chants utopiques, et prépare la publication d’écrits de Jean Paulhan et André Rolland de Renéville, chez Recours au poème éditeurs.

Artiste, éditeur, professeur à l’École supérieure d’art et de design de Grenoble-Valence, doctorant en philosophie (Université Pierre-Mendès-France ; PPL, Philosophie, pratiques et langages), Ludovic Burel vit et travaille à Villeurbanne, France.

Avec le concours de la Bibliothèque municipale de Grenoble, de l’École supérieure d’art et design de Grenoble-Valence, du centre de recherche PLC (Philosophie, langages et cognition) de l’université Pierre-Mendès-France de Grenoble, et de la Région Rhônes-Alpes (aide à l’édition).

 

 

http://www.bricebonfanti.com/

photo Brice Frigau Bonfanti

 



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Monica Ugaglia – «Incroci obbligati». Filosofia aristotelica, medicina rinascimentale, matematica, fisica, erudizione secentesca e tradizione letteraria.

Monica Ugaglia

Incroci obbligati

«Dice Aristotele nel sesto capitolo del Secondo della Fisica l’invano esser quando una certa azione, pur intrapresa in vista eli un certo preciso scopo, non pervenga però a tale debita conclusione, o compimento. Supponiamo che uno passeggi onde di poi meglio cacare; supponiamo altresì che ciò non venga ad essere; allora eliciamo ch’egli ha passeggiato invano, e che la passeggiata è stata vana. Ora, non essendo la nostra buona filosofia se non un’immensissima chiosa al detto Aristotele, un’operosa esegesi completiva, una perpetua postilla perfezionatrice, appare quanto meno curioso che non uno dei pur lodevolissimi scoliasti, glossografi, impiastratori di margini, disaccentatori di lemmi, apponitori di punti e giuntatori di virgole, non uno degl’innumerabili esprimitori d’inespressi, dicitori di non detti e compitori d’incompiuti abbia sentito il bisogno di dichiarare, con pur minima clausola, l’aristotelica esposizione dell’invano. Vuoi per la chiarezza dell’esempio – exemplum perspicuum, dice Tommaso – vuoi per pudicizia delle cose di sotto, in luogo d’illustrare l’esponitore glissa, non sviscera ma espertamente aggira, temporeggia, indietreggia, esita ed evita: l’imbarazzo è reciproco, lo stallo condiviso. Ed è in fin dei conti lo stesso Aristotele ad istigarlo a ciò: lapaxis, dice, il passeggiare è a scopo di lapaxis, ed è come se dicesse: vedi, al commentatore, vedi che quasi ti avevo messo nella merda, quasi, e poi invece t’offro, inatteso, l’agio di sortirtene, netto, nettissimo, tu e la tua penna pudibonda di sagrestano, qual certo sarai, solo che tu sappia impiegarla ammodo; a modo di vergare, sulla tua carta di pecora, il ieroglifìco del medico, che tempo che il paziente lettore lo decifri, tu ti sei già fugato, in altro impiccio, in altra notevolissima nota. Ed esso, paziente, a seguirti…».

Monica Ugaglia, Incroci obbligati, Castelvecchi, 2016, p.35.

 

Risvolto di copertina
Otto testi narrativi, di lunghezza, struttura e argomento variabili, accomunati da una particolare attenzione alla lingua e insieme da una costante vena ironica. Filosofia aristotelica, medicina rinascimentale, matematica, fisica, erudizione secentesca e tradizione letteraria si fondono in una miscela espressiva di programmatica discontinuità nel panorama letterario contemporaneo. Alcuni testi sono in forma di saggio (Kaloskagathos, Gaibbi Foco, Il nulla è lungo), altri di dialogo (Divagazione, Basso Ostinato), altri ancora di narrazione (Basso Continuo, Forse per giuoco, Orizzontale), ma tutti costantemente a rischio di dissolversi nell’artificio letterario, quando non di precipitare nell’ossessione linguistica.

MONICA UGAGLIA
Ha conseguito il dottorato in Fisica matematica alla SISSA di Trieste. Le sue ultime ricerche riguardano la Filosofia della fisica antica, con particolare riferimento ad Aristotele, e la Storia della fisica moderna da una prospettiva epistemologica. Attualmente ha un contratto di ricerca con la Scuola Normale Superiore di Pisa sulla ripresa di temi aristotelici in Leibniz.


Fisica - Libro III

Aristotele

Fisica – Libro III

a cura di: Monica Ugaglia

Edizione: Carocci, 2012

Collana: Classici (16)

ISBN: 9788843062508

In breve
«Movimento è l’atto di ciò che è in potenza, in quanto tale». «Illimitato è ciò di cui, per chi prenda secondo il “quanto”, continua ad esserci qualcosa da prendere oltre». Al lettore – sia egli un filosofo, un fisico o un matematico – che intenda avventurarsi nella non facile impresa di penetrare il senso di simili definizioni è dedicata questa edizione del libro III della Physica, la quale affronta, accanto alle questioni testuali e filosofiche, anche gli aspetti più tecnici della trattazione aristotelica.

Monica Ugaglia
Modelli idrostatici del moto da Aristotele a Galileo

Lateran University Press

 Modelli idrostatici

Carlo Rovelli, Monica Ugaglia, Diana Quarantotto – ‘La Fisica e Aristotele’

 



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Luigina Mortari – L’utopia che orienta il presente discorso è l’«utopia ragionevole» di una società che coltiva il massimo di sensatezza relazionale possibile.

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Fra i sentimenti che qualificano l’amicizia non meno importante della fiducia e della tenerezza è la generosità, intesa come la disponibilità a mettere a disposizione ciò che è proprio, sia in termini materiali sia di competenze, per aiutare l’altro. Come afferma Socrate: «I beni degli amici sono un loro comune possesso, si dice, così che tra voi non vi è disparità alcuna» (Platone, Liside, 207c). Il vero amico è capace sia della cura riparativa, che interviene per aiutare l’altro a superare momenti di difficoltà fisica o spirituale, sia di promozione dell’essere dell’altro: in entrambi i casi è decisiva la generosità, che fa dell’amico colui che mette le sue risorse a disposizione dell’altro affinché questi possa agire per il bene (Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 1155 a 13-14).
Avendo configurato l’amicizia in questi termini, non si può non essere d’accordo con Aristotele quando afferma che l’amicizia è «assolutamente necessaria alla vita. Infatti, senza amici nessuno sceglierebbe di vivere anche se possedesse tutti gli altri beni» (ivi, VIII, 1155 a 4-6). Quest’affermazione fa eco a quanto dichiara Socrate: «[…] fin da bambino, c’è qualche cosa che io desidero possedere, come altri aspira al possesso di altre cose. […] Uno, infatti, vorrebbe avere dei cavalli, un altro dei cani, uno dell’oro, l’altro onori; io, mentre resto indifferente davanti a questi beni, ardo invece dal desiderio di avere degli amici» (Platone, Liside, 211d-e).
[…] Anche se è indubitabile che l’amicizia costituisca una relazione rara, comunque rappresenta un archetipo della relazione di cura […], quella amicale non rimane chiusa nel privato; essa presenta, infatti, una forte valenza politica, perché se venisse a mancare «dal mondo il legame basato sulla benevolenza nessuna casa e nessuna città potrà rimanere salda» (Cicerone, Lelio, VII, 23). Aristotele afferma che è «l’amicizia a tenere insieme le città» (Etica Nicomachea, VIII, 1155 a 22-23) e ritiene che il suo valore politico sia tale da superare o almeno eguagliare quello della giustizia, perché «quando si è amici non c’è alcun bisogno di giustizia, mentre quando si è giusti c’è ancora bisogno di amicizia ed il più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di amicizia» (ivi, VIIl, 1155 a 26-27). Il vivere con altri, in modo che ciascuno possa trovare occasioni esperienziali per fiorire in tutto il suo essere, ha bisogno infatti non solo di giustizia ma anche di concordia, un sentimento che prende forma dalla presenza di relazioni amicali. Si può pertanto ipotizzare che più diffuse saranno le reti amicali più si rafforzerà il tessuto solidale del vivere insieme.
L’utopia che orienta il presente discorso è quella di una società che non si limita a perseguire una sorta di minimalismo etico e di minima garanzia di vita democratica; è l’«utopia ragionevole» di una società che coltiva il massimo di sensatezza relazionale possibile. Affinché una comunità possa fiorire, essa ha bisogno di cittadini disposti a collaborare, nel rispetto e nella valorizzazione delle reciproche differenze, per raggiungere il bene comune; questa disposizione è appunto l’«amicizia politica» (Enrico Berti, Politica e amicizia, in E. Berti e S. Veca, La politica e l’amicizia, Edizioni lavoro, Roma, 1998, p. 32). Una società in cui ciascuno possa sperimentare contesti di vita in cui sia possibile realizzare pienamente il proprio poter essere secondo la propria differenza ha dunque necessità che l’educazione assuma fra le sue priorità quella di sviluppare la disposizione all’amicizia.

Luigina Mortari,
La pratica dell’aver cura, Bruno Mondadori, 2006, pp. 78-80

 

 

 



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Franco Farinelli – Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo

Franco Farinelli_Geografia

Geografia

«La geografia è la descrizione della Terra. Così da secoli si ripete. Ma non è cosi, perché nel frattempo ci si è dimenticati della cosa piu importante: che proprio attraverso questa descrizione il mondo viene ridotto alla Terra, la Terra alla sua superficie e quest’ultima a una tavola. Tale definizione implica dunque una triplice trasformazione, che se all’inizio passa inavvertita diventa incontrollabile.
Il mondo è il complesso delle relazioni (sociali, economiche, politiche, culturali) al cui interno si svolge la vita umana. Esso resta quello che già era per gli antichi greci […]. Più discutibile è stabilire che cosa sia la Terra, perché ogni definizione sottintende un personale punto di vista. All’inizio dell’era volgare Strabone rimproverò a Eratostene (che tre secoli avanti era stato il primo a intitolare Geografia un’ opera) di aver concepito la Terra non come un geografo ma come un astronomo, preoccupato anzitutto di prenderne le misure come fosse un qualsiasi corpo celeste. […]
Per Carl Ritter, all’inizio dell’Ottocento, la Terra era invece “la casa dell’educazione dell’umanità”. Nella sua visione, cioè, le forme della superficie terrestre (le acque, i monti, i deserti) rappresentano un vero e proprio progetto […]. Egli chiama la geografia Erdkunde, termine che si può tradurre come “conoscenza storico-critica della Terra”[…]. Nel libro che qui comincia si intende per Terra la base materiale, e perciò visibile, del mondo».

Franco Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, 2003, pp. 6-7.

Intervista a Franco Farinelli: l’invenzione della terra.

L’Autore

Franco Farinelli. Professore ordinario. Dipartimento di Filosofia e Comunicazione. Settore scientifico. Direttore Dipartimento di Filosofia e Comunicazione

***

Quarta di copertina

Kant diventa filosofo quando si accorge che non si tratta di fare la geografia di quel che vediamo, bensí dello spazio buio della nostra mente: ma sempre geografo resta. D'altronde Strabone, all'inizio dell'era volgare, era stato chiaro: la prima forma del pensiero occidentale si chiamava geografia, la stessa che a scuola abbiamo appreso come filosofia presocratica e si è soliti definire «sapienza greca». Quel che da Anassimandro a Kant a Pierce a Wittgenstein si trasmette è la natura cartografica dei sensi del mondo, la riduzione della conoscenza alla descrizione della rappresentazione geografica, della carta. Al punto che ancora si crede che la mappa sia la copia della Terra senza accorgersi che è vero il contrario: è la Terra che fin dall'inizio ha assunto, per la nostra cultura, la forma di una mappa, e perciò spazio e tempo hanno guidato il nostro rapporto con essa. Oggi tuttavia tali coordinate, che per tutta la modernità hanno costruito il mondo, si rivelano incapaci di spiegarne il funzionamento. La globalizzazione, qualsiasi cosa con tale processo si intenda, implica comunque una comprensione letterale del termine, e significa, prima d'altro che non è piú possibile contare, nel rapporto con la realtà, sulla potentissima mediazione cartografica che, riducendo a un piano la sfera terrestre, ha fin qui permesso di evitare di fare i conti con la Terra cosí come davvero essa è, con il globo. Perciò, secondo la lezione della grande geografia critica tedesca del secolo scorso, questo è un manuale di geografia privo di qualsiasi carta, perché indicare dove le cose sono significa già rispondere, in forma implicita e irriflessa, alla preliminare questione della loro natura. In esso non soltanto si dà conto dello stato presente della Terra, della geografia umana di oggi, ma si ridefinisce la natura dei principali modelli di descrizione del mondo in nostro possesso: la mappa anzitutto, e poi il paesaggio, il soggetto, il luogo, la città, lo spazio.

***

In questo studio dei modelli del mondo elaborati nel tempo, greci soprattutto, ma anche indù, romani, medievali, Farinelli, uno dei maggiori geografi italiani, offre una ricca e sistematica disamina di quella che è la tendenza all’organizzazione del territorio da sempre propria dell’essere umano. Se infatti è vero che la cartografia serve “a trasformare l’invisibile nel visibile, il software nell’hardware”, non fa meraviglia che essa abbia radici antiche. Ecco allora la figura di Ulisse, che percorre in lungo e in largo il libro come perfetto archetipo del viaggiatore, fondersi con la rilettura in chiave geografica di alcuni celebri miti della grecità, come quelli di Dioniso, Apollo e Teseo. Il respiro della trattazione è ampio, le sponde toccate variegatissime, le digressioni di estremo interesse. L’autore non esita a trascinare nel discorso le voci di Tasso, Heidegger, Kant o MacLuhan, all’insegna di un approccio, per molti versi, sostanzialmente filosofico e semiologico. Al centro si colloca in effetti la storia dell’organizzazione del territorio, per esempio con la messa in rilievo del passaggio dal decentrato modello urbano babilonese, o fenicio, a quello greco della città dotata di agorà, fino alla città “fordista”, “keynesiana”, e, infine, “globale”. È però sempre costante la riflessione sul rapporto fra rappresentazione e realtà. Da qui il coinvolgimento nell’analisi di quella che è la dimensione ontologica della materia. Troppo a lungo infatti, afferma l’autore, “si è creduto che la geografia fosse il sapere relativo a dove le cose fossero, senza accorgersi che in realtà, nell’indicare questo, la geografia decideva che cosa le cose erano”.

Daniele Rocca

 



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Amedeo Cottino – C’è chi dice di no. Cittadini comuni che hanno rifiutato la violenza del potere. Poniamoci dunque dalla parte di Antigone nella Grecia di oggi, e non da quella di Creonte.

Amedeo Cottino

amedeo-cottino

 

 

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«Attraversiamo la vita
con gli occhi semichiusi, 
e orecchie insensibili
e la mente dormiente»

Joseph Conrad
«E poco più di una constatazione affermare che, a fronte delle atrocità del mondo, è il silenzio la nostra risposta più frequente. Per dirla con le parole di Joseph Conrad, noi “attraversiamo la vita con gli occhi semichiusi, le orecchie insensibili e la mente dormiente”. Esiste cioè un’insensibilità diffusa tra la maggioranza degli umani (anche se questa insensibilità varia da cultura a clitura, da epoca a epoca, da persona a persona). Ciò avviene per svariate ragioni […]» (p. 15).
«Il presente è fosco e ha un nome: l’Impero della paura. Precisamente la visione che gli Stati Uniti, attraverso le loro guerre e grazie alla servile complicità dell’Occidente, hanno esportato in tutto il mondo. Ora, di questa “esportazione” stiamo cogliendo i frutti, e la raccolta è appena all’inizio.
Le decine di migliaia di corpi di migranti che compaiono ogni giorno sulla Scena della Violenza, non sono né il prodotto del cinismo senza scrupoli dei trafficanti di uomini, né, tanto meno, del mare, e ancor di meno della fatalità. Se fossimo colti da un’urgenza di verità, potremmo risalire senza particolari difficoltà la catena causale che ha portato a queste stragi, ripercorrendo le tappe […] – e sulla sua sommità ne troveremmo i Mandanti, i veri responsabili.
Essi sono i capi di governo dei vari Paesi – gli Stati Uniti in testa – che hanno presieduto alle guerre che da anni devastano il Medio Oriente e il Nord Africa. Ma […] la Violenza Strutturale è, per sua natura, acefala e il diritto, nella sua ricerca di responsabilità, fatica a concepire un rapporto causa-effetto che vada di là dai primi anelli della catena causale. E poi […] dobbiamo fare i conti con il più generale processo di Normalizzazione della Violenza.
[…]
È dunque possibile alzare la soglia della compassione affinché le occasioni […] non vadano perdute. Ben consapevoli […] che per poterle, o saperle cogliere, bisogna già avere compiuto un tratto di cammino […].
Abbiamo bisogno che tra noi monocoli emergano nuovi consapevoli, singoli e movimenti, al fine di iniziare un lavoro di base: quello di ripristinare i sentieri sempre meno praticati del disvelamento. Ma la transizione “dal mondo della menzogna a quello della verità” non può essere semplicemente il frutto di un “cuore informato”. È necessario un quotidiano sforzo individuale e collettivo che non dia tregua alla Violenza Culturale che incombe su di noi. Che si opponga alla diffusa cultura dell’indifferenza.
È necessario riappropriarci dei conflitti perché i conflitti […] sono una nostra proprietà, e porci dalla parte di Antigone nella Grecia di oggi, e non da quella di Creonte; dalla parte di Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, […] e non da quella di Viktor Orban, primo ministro ungherese; dalla parte di Vittorio Arrigoni e non da quella del colonialismo israeliano.
Dobbiamo imporre la nostra definizione della situazione, ché non è vero che i condannati a morte in Cina o in Iraq o negli Stati Uniti vengono giustiziati: essi sono uccisi. Ché non è vero che l’operazione Piombo Fuso e “Margine protettivo” contro Gaza sono state azioni difensive da parte di Israele, ma un’aggressione a una popolazione civile con il dichiarato intento di distruggerne le infrastrutture.
Ché non è vero che le guerre sono umanitarie …» (pp189-191).
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 Amedeo Cottino, C’è chi dice di no. Cittadini comuni che hanno rifiutato la violenza del potere, Prefazione di Marco Revelli, Zambon Editore, 2015.

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L'ingannevole sponda

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L’Autore
Amedeo Cottino. Dopo una laurea in giurisprudenza presso l’Università di Torino (1957), ha intrapreso lo studio delle Scienze Sociali in Svezia, dove ha conseguito il Master in Social Sciences presso l’Università di Stoccolma (1963), e la Licenza in Filosofia (1970) e il Dottorato in Sociologia (1972), presso l’Università di Umeaa. Professore associato di Sociologia presso questa università dal 1970 al 1972, viene nominato, nello stesso anno, incaricato di Sociologia del Diritto presso l’Università di Torino, Facoltà di Scienze Politiche, dove, dal 1980 al 2004, ricopre la cattedra di professore ordinario nella stessa disciplina, fino al 2004, anno della pensione. È stato Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, dal   1985-1988,Vice Presidente della Società Italiana di Alcologia, 1994-1996, e Presidente del Comitato scientifico del GERN (Groupe Européen de Recherche sur les Normativités) presso il CNRF, dal 1997 al 2000. Ha diretto l’Istituto italiano di cultura di Stoccolma, ed è stato Consigliere culturale presso l’Ambasciata italiana di Svezia dal 1999 al 2001. È attualmente Vice Presidente dell’Osservatorio ‘Giovani ed Alcol’. Si è occupato di diritto internazionale umanitario in qualità di esperto della Croce Rossa Internazionale. Ha scritto sul lavoro nero nell'edilizia e sulla criminalità dei colletti bianchi. Ha studiato il tema dell'ugaglianza di fronte alla legge e ha affrontato il tema della responsabilità individuale di fronte alla violenza.

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Quarta di copertina

«Come tutti i libri veri, che vanno nel profondo e toccano nervi scoperti del nostro tempo [...] anche questo, [...] ci chiama in causa in prima persona. [...] Uomini comuni, nelle tante "scene della violenza" che ci mostra, ognuna delle quali con i suoi "dilemmi mortali", le sue occasioni colte o perdute, [ci interroga] su che cosa regoli il livello di quella "soglia della compassione" che, sola, ci permette di rimanere "uomini" [malgrado] la pervasività di un potere mediatico totale. [...] Nell"'informazione" viviamo immersi, rischiando l'opposto inverso all'assenza, la sovraesposizione alle "notizie". Noi che le immagini, che gli orrori di Abu Ghraib ce li siamo visti servire all'ora di pranzo e di cena, e a malapena abbiamo sollevato gli occhi dal piatto. E la mattanza della scuola Diaz – Genova 2001 [...] l'abbiamo sopportata senza nemmeno riuscire a ottenere [...] una Commissione d'inchiesta. Di tutto questo – di noi – parla Uomini comuni, attraverso la straordinaria galleria di "casi" che percorre il lungo Novecento [. .. ] ma approda, ogni volta, alla nostra quotidianità. Per questo la sua lettura è inquietante e straordinariamente salutare» (dalla Prefazione di Marco Revelli).

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Ernst Bloch (1885-1977) – È la filosofia la scienza in cui è viva, ha da esser viva, la consapevolezza del tutto. La filosofia ha a cuore soprattutto l’unità del sapere. La filosofia sta sul fronte.

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«Perché vi sia lavoro comunitario dei ricercatori e insegnanti, occorre che vi sia una reale comunità; da essa esiste l’università, l’universitas literarum, la totalità istituzionale delle scienze, per cui soltanto la denominazione universitas, originariamente di natura corporativa, può indicare una presenza benefica, luminosa. Ma in essa un ruolo non inessenziale è senz’altro toccato alla filosofia; ché questa si sente da sempre obbligata ad essere la coscienza dell’universitas. È la filosofia la scienza in cui è viva, ha da esser viva, la consapevolezza del tutto. Derivante da tempi in cui erano ancora ignote l’avanzata divisione capitalistica del lavoro e, di conseguenza, la specializzazione delle singole branche del sapere, radicatasi poi in misura crescente e a poco a poco divenuta anarchica, la filosofia ha a cuore soprattutto l’unità del sapere. La tonalità comune, la sostanziale coloritura che tutto pervade è affar suo particolare ed è qualcosa d’essenziale del suo metodo e del suo oggetto. La filosofia, se serve a qualcosa, contiene in sé quel mosso cantus firmus che dà sostegno e orientamento, quello in cui e attorno a cui rotea la polifonia del sapere. Totum relucet in omnibus, omnia ubique: il tutto riluce in tutte le cose, tutte le cose sono dovunque, dice Nicola Cusano, collegandosi ai filosofi arabi; e tanto Leibniz quando Hegel hanno reso indimenticabile lo stesso principio. La filosofia che si vuole marxista ha un ulteriore e particolare obbligo da osservare: quello di rendere nota la voce possente della direzione e dello scopo, la voce finale, senza di cui l’unità si congela. È la stessa voce del sapere, intrinseco ad ogni tradizione e cooperazione; è quasi una necessaria presenza ai problemi di confine: la filosofia sta sul fronte. Sta scientemente attiva sul fronte dell’odierno processo di trasformazione, che è una parte dello stesso processo universale. Vi sta con il nuovo, col novum, quale fondamentale categoria a tutt’oggi ancora pressoché inesplorata, e con l’utopia concreta, quale determinatezza dell’oggetto, determinatezza della realtà».

Ernst Bloch, Università, marxismo, filosofia, in Id., Karl Marx, Il Mulino, 1972, p.168.



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