Igor Stravinsky (1882-1971) – I quartetti di Beethoven sono una carta dei diritti umani.

Stravinsky e Beethoven

«La mia convinzione personale è che i quartetti di Beethoven siano una carta dei diritti umani, e una carta perpetuamente sediziosa nel senso platonico della sovversività dell’arte […]
Un alto concetto di libertà è incorporato nei quartetti, […] sia al di là che comprendenti ciò che Beethoven stesso intendeva quando scrisse [al principe Galitzin] che la sua musica poteva ‘aiutare l’umanità sofferente’.
Essi sono una misura dell’uomo […] e parte della descrizione della qualità dell’uomo, e la loro esistenza è una garanzia».

Igor Stravinsky, The New York Review of Books, 24 aprile, 1969, p. 4.

 


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Herbert Marcuse (1898-1979) – Il presupposto fondamentale della rivoluzione, la necessità di un cambiamento radicale, trae origine dalla soggettività degli individui stessi, dalla loro intelligenza e dalle loro passioni, dai loro sensi e obiettivi. La soggettività liberatrice si costituisce nella storia interiore degli individui. Solo come straniamento l’arte svolge una funzione cognitiva. Essa comunica verità non comunicabili in nessun altro linguaggio: essa contraddice.

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La dimensione estetica

La dimensione estetica

«Se l’ideologia diventa mera ideologia […] si attua una svalutazione dell’intero regno della
soggettività, una svalutazione non solo del soggetto in quanto ego cogito, il soggetto razionale, ma anche dell’interiorità, delle emozioni e dell’immaginazione. La soggettività degli individui, la loro stessa coscienza e l’inconscio tendono a essere dissolti nella coscienza di classe.
In tal modo viene minimizzato un presupposto fondamentale della rivoluzione, cioè il fatto che la necessità di un cambiamento radicale debba trarre origine dalla soggettività degli individui stessi, dalla loro intelligenza e dalle loro passioni, dai loro sensi e obiettivi. La teoria marxista dovette soccombere a quella stessa reificazione che aveva denunciato e combattuto nel complesso della realtà sociale. La soggettività divenne un atomo dell’oggettività; persino nella sua forma ribelle si arrese a una coscienza collettiva. La componente deterministica della teoria marxista non consiste nella relazione tra esistenza sociale e coscienza, ma nel concetto riduttivo di coscienza che neutralizza il contenuto specifico della coscienza individuale e, con ciò, il potenziale soggettivo per la rivoluzione.
[…] La soggettività liberatrice si costituisce nella storia interiore degli individui – la loro storia personale, che non s’identifica con la loro esistenza sociale. È la storia particolare dei loro incontri, delle loro passioni, gioie e sofferenze, esperienze che non traggono necessariamente origine dalla loro condizione di classe e che non sono nemmeno comprensibili in questa prospettiva. Certo, le manifestazioni concrete della storia degli individui sono determinate dalla loro condizione di classe, ma tale condizione non è il fondamento del loro destino, di quello che accade loro. Specialmente nei suoi aspetti non materiali essa infrange la cornice sociale. È troppo facile relegare amore e odio, gioia e dolore, speranza e disperazione nell’ambito della psicologia, escludendoli cosÌ dalla sfera della prassi politica radicale. Per la verità, in termini di economia politica potrebbero non essere “forze produttive”, ma per ogni essere umano questi aspetti sono decisivi e costituiscono la realtà.
Anche tra i suoi esponenti più illustri l’estetica marxista ha partecipato alla svalutazione della soggettività. Da qui la preferenza per il realismo come modello di arte progressiva, la denigrazione del romanticismo in quanto semplicemente reazionario, la condanna dell’arte
“decadente! in generale, l’imbarazzo nel valutare le qualità estetiche di un’opera in termini diversi dalle ideologie di classe.
La tesi che mi accingo a discutere è la seguente: le qualità radicali dell’arte, vale a dire la denuncia della realtà costituita e l’evocazione della bella immagine (schöner Schein) della liberazione, si fondano precisamente nella dimensione in cui l’arte trascende la propria determinazione sociale e si emancipa dall’universo dato del discorso e del comportamento, conservando tuttavia la sua presenza schiacciante. In tal modo l’arte crea il regno in cui diventa possibile il sovvertimento dell’esperienza che le è proprio: il mondo da essa forgiato è riconosciuto come una realtà soffocata e distorta nella realtà data. Questa esperienza culmina in situazioni estreme (di amore e di morte, di colpa e di fallimento, ma anche di gioia, di felicità e di soddisfazione) che fanno esplodere la realtà costituita in nome di una verità solitamente negata o neppure ascoltata. La logica interna dell’opera d’arte sfocia nell’emergere di un’altra ragione, di un’altra sensibilità, che sfidano la razionalità e la sensibilità incorporate nelle istituzioni sociali dominanti.
In nome della legge della forma estetica, la realtà data è necessariamente sublimata: il contenuto immediato è stilizzato, i “dati” vengono rimodellati e riordinati secondo le esigenze della forma artistica, secondo la quale persino la rappresentazione della morte e della distruzione evocano il bisogno della speranza, un bisogno radicato nella nuova coscienza incorporata nell’opera d’arte.
La sublimazione estetica promuove la componente affermativa, riconciliante dell’arte, nonostante sia allo stesso tempo veicolo della funzione critica, di negazione dell’arte. La trascendenza della realtà immediata manda in frantumi l’oggettività reificata dei rapporti sociali costituiti e apre una nuova dimensione dell’esperienza: la rinascita della soggettività ribelle. Così, sulla base della sublimazione estetica, si attua una desublimaziane nella percezione degli individui, dei loro sentimenti, giudizi, pensieri; un’invalidazione delle norme, dei bisogni e dei valori dominanti. Con tutte le sue caratteristiche di ideologia e di conferma, l’arte permane una forza del dissenso.
Possiamo provvisoriamente definire la “forma estetica” come il risultato della trasformazione di un dato contenuto (fatto di cronaca o storico, personale o sociale) in un tutto autosufficiente: una poesia, un lavoro teatrale, un romanzo ecc. L’opera è così “sottratta“ al processo incessante della realtà e assume un significato e una verità che le sono proprie. La trasformazione estetica si attua mediante un rimodellamento del linguaggio, della percezione e della comprensione volto a svelare l’essenza della realtà nella sua apparenza: le potenzialità represse dell’uomo e della natura. In questo modo l’opera d’arte ri-presenta la realtà mentre la denuncia.
La funzione critica dell’arte, il suo contributo alla lotta per la liberazione, risiede nella forma estetica. Un’opera d’arte è autentica o vera non in virtù del suo contenuto (cioè della rappresentazione “corretta” delle condizioni sociali), né della forma “pura”, ma per opera del contenuto che è diventato forma.
Così, se è vero che la forma estetica tiene lontana l’arte dalla realtà della lotta di classe – dalla realtà pura e semplice – ed è ciò che costituisce l’autonomia dell’arte vis à vis con il “dato”, questa dissociazione tuttavia non produce “falsa coscienza” o mera illusione, ma piuttosto controcoscienza: la negazione della mentalità realistico-conformista.
Forma estetica, autonomia e verità sono interdipendenti. Ciascuna di esse è un fenomeno storico-sociale e ciascuna trascende l’arena storico- sociale. Mentre quest’ultima limita l’autonomia dell’arte, non invalida però le verità transstoriche espresse nell’opera. La verità dell’arte consiste nella sua capacità di infrangere il monopolio della realtà costituita (cioè di coloro che l’hanno costituita) e di definire che cosa è reale. In questa rottura, che è la conquista della forma estetica, il mondo fittizio dell’arte appare come la vera realtà.
L’arte si affida a quella percezione del mondo che aliena gli individui dalla loro esistenza funzionale e dalla prestazione fornita nella società – si affida a un’emancipazione della sensibilità, dell’immaginazione e dell’intelligenza a tutti i livelli della soggettività e dell’oggettività.
L’elaborazione estetica diventa veicolo di inquisizione e di denuncia. Ma questa conquista presuppone un grado di autonomia che sottrae l’arte al potere mistificante del dato e la libera all’espressione della propria verità. Dal momento che uomo e natura si costituiscono
entro una società non libera, le loro potenzialità represse e distorte possono essere rappresentate solo in forma estraniante. Il mondo dell’arte è quello di un altro principio di realtà, dello straniamento, e solo come straniamento l’arte svolge una funzione cognitiva. Essa comunica verità non comunicabili in nessun altro linguaggio: essa contraddice».

Herbert Marcuse, La dimensione estetica. Un’educazione politica tra rivolta e trascendenza, a cura di Paolo Perticari, Guerini e Associati, 2002, pp. 15-18.


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Fernanda Elisa Bravo Herrera – Parodias y reescrituras de tradiciones literarias y culturales en Leopoldo Marechal.

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copertina Marchegal

Fernanda Elisa Bravo Herrera

Parodias y reescrituras de tradiciones literarias
y culturales en Leopoldo Marechal

Colección “La vida en las Pampas”, Buenos Aires. Corregidor, 2015.
Palabras preliminares de Zulma Palermo.
Bio-cronología de María de los Ángeles Marechal.
ISBN. 978-950-05-3083-5.

Il Testo riprende i risultati della tesi dottorale discussa nel 2006 nel Dottorato in Letteratura Comparata e Traduzione del Testo Letterario (coordinato dal Professore Antonio Prete, docente di Letterature Comparate) presso l’Università degli Studi di Siena, sotto la guida del Professore Antonio Melis, docente di Letterature Ispanoamericane presso la stessa università e la co-tutela della Professoressa Zulma Palermo, Professoressa emerita all’Universidad Nacional de Salta.

Il libro forma parte della collana “La vida en las Pampas” della casa editrice Corregidor, di Buenos Aires, che riunisce saggi e monografie sulla letteratura argentina. Questa collana, che ha un comitato di referee internazionale, è diretta dalla Professoressa María Rosa Lojo, ricercatrice del Conicet radicata nell’Instituto de Literatura Argentina “Ricardo Rojas” dell’Universidad de Buenos Aires e docente presso l’Universidad del Salvador e co-diretta dal prof. Jorge Bracamonte, ricercatore del CONICET e docente presso l’Universidad Nacional de Córdoba). La pagina della casa editrice Corregidor è: http://www.corregidor.com/ La pagina della collana è: http://www.corregidor.com/?page_id=520

In questo libro si analizzano ed indagano le differenti iscrizioni intertestuali presenti nella scrittura di Leopoldo Marechal. L’opera di Leopoldo Marechal richiede riletture permanenti, aperture e revisioni per poter entrare nelle sue biforcazioni semantiche. Questo libro si propone di studiare la parodia, nelle sue molteplici modalità, come chiave interpretativa per ricostruire la concezione ideologica ed estetica, i dialoghi intertestuali, intertemporali ed interculturali delle tradizioni letterarie e culturali all’interno della produzione marechalliana. Viene presa in esame la parodia come lettura/riscrittura e incorporazione della voce dell’altro nelle sue molteplici sfaccettature stilistiche, ideologiche, culturali e temporali; come memoria sociale, fatta di frammenti di testo e discorsi culturali, al fine di delineare le costanti e le variazioni. Epica ed erotismo, sublimazioni e discese infernali, tradizioni letterarie e letture non sempre canoniche, definiscono alcuni degli itinerari e delle sfide di questa scrittura, sempre attuale, che affonda le proprie radici nel quadro nazionale argentino, cercando, però, costantemente di trascenderlo per raggiungere l’universalità.

Lo scopo di questo libro è quello di ricostruire la concezione ideologica ed estetica di Leopoldo Marechal, prestando attenzione principalmente alle tematiche della definizione delle tradizioni culturali e letterarie in un continuo dialogo intertestuale, intertemporale e intrerculturale. La chiave di lettura di tutto questo processo è stata individuata nella parodia, che viene concepita come lettura e riscrittura della parola, della scrittura, del discorso, della tradizione. In altre parole, la parodia rappresenta l’assimilazione, l’incorporazione del discorso dell’altro in tutte le sue sfaccettature stilistiche, ideologiche, culturali e temporali. La tradizione è concepita come una rete o un ordito di differenti modalità di lettura e scrittura che costituiscono un modello di identità culturale ed ideologica, un registro di identificazione, differenziazione, incorporazione e partecipazione nella memoria sociale, che è costituita di frammenti di testo e di discorsi culturali.

Il punto di partenza è la presenza di costanti stilistiche, semantiche e simboliche, che conferiscono alla scrittura marechalliana un carattere fortemente unitario. La narrativa si connota come riscrittura dell’epica, attualizzata e adattata alle nuove condizioni storico-culturali, attraverso i due principi che definiscono la epopea: l’esperienza metafisica degli eroi e la traduzione di quest’ultima secondo un simbolismo che rimanda alla guerra e al viaggio. Il modello di riferimento privilegiato è l’epopea classica, in particolar modo quella omerica dell’Iliade e dell’Odissea con i loro simboli della guerra e del viaggio. In Marechal, tali simboli vengono cristianizzati attraverso la rilettura e la riproposizione delle Confessioni di Sant’ Agostino, del Cantico e ascesa al monte Carmelo di San Giovanni della Croce (San Juan de la Cruz), dei Dialoghi dell’amore di Leon Ebreo. Marechal si appoggia quindi su una linea di pensiero neoplatonica medievale che, però, viene tradotta e riscritta appoggiandosi sulla situazione argentina in una sorta di traduzione della metafisica in pensiero immanente e vissuto. Proprio per questo la ricerca di un equilibrio tra ordine divino (metafisico) e terreno è costante, così come è costante la ontologizzazione e la universalizzazione delle esperienze nazionali argentine. In questo processo di appropriazione dell’epica sono fondamentali differenti aspetti: la costruzione della quotidianità a partire dalla imitazione delle azioni secondo quanto codificato nella Poetica di Aristotele, la distanza tra il mondo epico e quello contemporaneo inteso come degradazione, l’umorismo, le strategie di verosimiglianza secondo i principi della cronaca, il percorso dell’Autore attraverso le sue crisi spirituali fino ad arrivare all’ordine classico. In questo processo, gioca un ruolo fondamentale la parodia nelle sue distinte manifestazioni interne o nelle differenti modalità di manifestazione esterne, il tutto nel solco della tradizione dell’Orlando Furioso e del Don Quijote, così come ricopre importanza la distanza frapposta tra una interpretazione letterale e quella allegorica in un perenne dialogo con l’Ulisse di Joyce. La struttura religiosa e metafisica organizza la parole, la concezione del mondo, la costituzione del soggetto culturale e la sua qualificazione deontologica e assiologica. Questa struttura include, concentrandola all’interno di una voce ideologica unitaria, le differenti strategie carnevalesche e la molteplicità parodica. La fondazione religiosa del cosmo costruisce l’ordine ideologico mistico e l’equilibrio utopico tra la sfera celeste e la terrestre. Il percorso di questa scrittura definisce un eros spirituale e un affermazione politica, nel solco della lettura allegorica ed esoterica fatta da Luigi Valli circa i poeti del Dolce Stil Novo, ovvero i Fedeli d’Amore.

Nel libro si include una Bio-cronologia di Leopoldo Marechal, redatta da María de los Ángeles Marechal, figlia dell’Autore, che assieme alla sorella Malena dirige la Fundación Leopoldo Marechal, istituzione che cura, protegge e diffonde l’opera di Marechal. La pagina della fondazione è: http://www.marechal.org.ar/

La presentazione è a cura della Profesoressa Zulma Palermo, autrice di numerosi libri tra cui Desde la otra orilla. Pensamiento crítico y políticas culturales en América Latina (Alción Ed.), Cuerpo(s) de Mujer. Representación simbólica y crítica cultural (Ferreyra Ed.), Las culturas cuentas, los objetos dicen (Fundación Pajcha), Colonialidad del poder: discursos y representaciones (U.N.Sa.: Consejo de Investigación), Arte y estética en la encrucijada descolonial y Pensamiento argentino y opción descolonial (Ed. del Signo).

Fernanda Elisa Bravo Herrera è ricercatrice del CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas – Argentina) presso l’ILA – FFyL – UBA (Instituto de Literatura Argentina della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Buenos Aires; Dottoressa di Ricerca in Letteratura Comparata e Traduzione del Testo Letterario; Magister in Conservazione e gestione dei Beni Culturali e in Letteratura Comparata per l’Università degli Studi di Siena; laureata in Lettere per l’Università Nazionale di Salta (Argentina). Premio dell’Accademia Argentina di Lettere e Menzione d’Onore della Facoltà di Lettere dell’Università Nazionale di Salta (1997). Ha ricevuto borse di ricerche del Consiglio di Ricerca dell’Università Nazionale di Salta (1997), della Regione Toscana (1997), del Governo Italiano (1999-2000) e del CONICET (Post-dottorale, 2009). Ha lavorato presso le Facoltà di Lettere di Siena e Arezzo dell’Università degli Studi di Siena come docente a contratto di Letterature Ispanoamericane, Letteratura Spagnola, Cultura Ispanoamericana. Ha pubblicato El Fondo de Mercedes de Tierras y Solares (1583-1589) del Archivo y Biblioteca Históricos de Salta (2010) e Sátira política y representaciones de género en la prensa de Salta a fines del siglo XIX  (2010), Huellas y recorridos de una utopía. La emigración italiana en la Argentina  (2015), Parodias y reescrituras de tradiciones literarias y culturales en Leopoldo Marechal  (2015).

 

Índice:

Agradecimientos

Palabras preliminares, por Zulma Palermo

Bio-cronología de Leopoldo Marechal, por María de los Ángeles Marechal

Introducción

  1. Problemáticas de la tradición y de la parodia
  2. Tradición y tradiciones
  3. La parodia como hilo conductor
  4. Parodia y tradición en Marechal
  5. Sobrevivencia del Epos
  6. La novela como actualización épica
  7. La heroicidad épica y patriótica en la lírica
  8. Huellas y versiones

III. El Itinerario Ascendente

  1. El Orden buscado
  2. Los descensos infernales
  3. Madonna Intelligenza

Mínimas conclusiones y grandes desafíos

Apéndice

Bibliografía

 


copertina Marchegal

Zulma Palermo

Zulma Palermo

Prólogo de Zulma Palermo

 

Zulma Palermo, Professoressa emerita all’Universidad Nacional de Salta.

Un altro suo importante saggio:

Leopoldo Marechal

e alcuni suoi libri

 

LeopoldoMarechal

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El Banquete de Severo Arcángelo

 

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Adán Buenosayres

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Adán Buenosayres

Detalle de la imagen de la primera edición de Adán Buenosayres

Detalle de la imagen de la primera edición de Adán Buenosayres

 

Obras Completas

Obras Completas

 

Marechal en Santiago de Compostela

Marechal en Santiago de Compostela




 

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Fernanda Elisa Bravo Herrera

 

Libri di Fernanda Elisa Bravo Herrera

 

Parodias y reescrituras de tradiciones literarias y culturales en Leopoldo Marechal. Buenos Aires: Corregidor, 2015. Colección La vida en las Pampas. [ISBN 978-950-05-3083-5]. 432 pp.

***

Huellas y recorridos de una utopía. La emigración italiana en la Argentina. Buenos Aires: Teseo, 2015. [ISBN 9789877230048]. 372 pp.

***

El Fondo Mercedes de Tierras y Solares (1583 – 1589) del Archivo y Biblioteca Históricos de Salta. Salta: Fundación Capacit-Ar del NOA, 2010. [I.S.B.N. 978-987-22728-3-8]. 172 p. + CD ROM.

***

Sátira política y representaciones de género en la prensa de Salta a fines del siglo XIX. La Civilización, La Revista Salteña y La Revista. Avances de Investigación CEPIHA N° 8, 2010. Salta: CEPIHA – Fac. de Humanidades – Univ. Nac. de Salta, 2010. 142 pp.

***


 Articoli

“Parodias y reescrituras de tradiciones literarias en Leopoldo Marechal” en Hammerschmidt, Claudia (ed.), Leopoldo Marechal y la fundación de la literatura argentina moderna. Potsdam: Inolas Publishers LTD, 2015, pp. 411-431 [ISBN 978-3-946139-03-4].

“Memoria y paisaje en la poesía de Vicente Gerbasi y Jorge Isaías” en Grillo, Rosa Maria (a cura di), Venimos de la noche y hacia la noche vamos. Salerno – Milano: Oèdipus, 2015, pp. 131-148. [ISBN 978-88-7341-206-9].

“E(in)migración italiana en la Argentina y conflictos lingüísticos. Representaciones literarias y variaciones en las dos orillas” en Revista del Instituto de Investigaciones Lingüísticas y Literarias Hispanoamericana (RILL), Vol. 19, núm. 1, 2014, pp. 60-85 [ISSN 2250-6799].

“Recuperación de la memoria en la escritura de Rubén Tizziani y de Roberto Raschella” en Zibaldone. Estudios Italianos, Vol. III, N. 5, enero 2015, pp. 221-228 [ISSN: 2255 – 3576].

“Narrar la memoria y los exilios. Viaje e inmigración en ‘Mar de olvido’ de Rubén Tizziani”, Anales de Literatura Hispanoamericana, 43 (2014) Número especial: Escribir la frontera: itinerancias y sujetos migrantes en la literatura hispanoamericana, pp. 101-113 [ISSN 0210-4547 ISSN-e 1988-2351].

“Rosalba Campra, Travesías de la literatura gauchesca. De Concolocorvo a Fontanarrosa. Buenos Aires, Corregidor, 2013, 153 pp. ISBN 9789500520720”. [Reseña] en Cuadernos AISPI. Estudios de lenguas y literaturas hispánicas 3/2014, de la Associazione Ispanisti Italiani, pp. 239-241 [ISSN 2283-981X].

“Edmondo De Amicis en Argentina” en Claves. Salta: abril, Año XXIII, N° 228, 2014, pp. 12-13.´ Publicado también en: La Gazeta del Progreso. Periódico del Club del Progreso. Año 3. http://gazetaprogreso.com.ar/?page_id=2039 [Recuperado Agosto de 2014].

“La inmigración italiana en Argentina entre la memoria y el olvido” en Grillo, Rosa Maria – Perugini, Carla (a cura di), El olvido está lleno de memoria. Salerno: Oèdipus, 2014, pp. 79-112, CD-Rom [ISBN 978-88-7341-185-7].

“Expansión colonial y Política Nacionalista de la Emigración Italiana en la Argentina”

“Tiempos y espacios de formación de identidades colectivas en Cambacérès, Balbi, Aparicio e Iparraguirre”.

“Inmigración y nacionalismo en El diario de Gabriel Quiroga de Manuel Gálvez”.

“Violencia discursiva y conflicto social en tres revistas salteñas del siglo XIX”

“Cuestiones en torno al poder y la palabra: el entrecruzamiento del proyecto político y de los programas periodísticos del siglo XIX”

“La pasión de los nómades de María Rosa Lojo: contrapunto extraterritorial de Una excursión a los indios ranqueles de Lucio V. Mansilla”

“Teoría y praxis de la narración en la escritura de Ricardo Piglia: el mito del Diario y del secreto”

“Syria Poletti y el oficio de escribir exilios”

“Racconti di viaggio in Argentina: interpretazioni e proposte di lettura. Problemi di storiografia letteraria e conformazione del canone”

“(Des)articulación de memorias, soledades y exilios: Augustus y Fragmentos de Siglo de Liliana Bellone”

“Presentazione. Quando la scrittura diventa amazzone”

“(Auto)biografía e historia en El arpa y la sombra de Alejo Carpentier”

“Entre dos fuegos. Alejandro y los pescadores de Tancay de Braulio Muñoz”

“Los (im)posibles regresos a la tierra (perdida): Si hubiéramos vivido aquí de Roberto Raschella y La tierra incomparable de Antonio Dal Masetto”

“El arte del contrapunto. La copla en el norte argentino”

“Desarraigos, fronteras y exilios de la inmigración: Stéfano de Armando Discépolo y Gris de ausencia de Roberto Cossa”

“Anarchismo ed emigrazione in Argentina nella scrittura di Pietro Gori e Maria Luisa Magagnoli”

“El yo y la otredad en la nueva novela histórica. A propósito de La pasión de los nómades de María Rosa Lojo”

“Censure, assenze e prigioni. La “poetica” di Ricardo Piglia”

“Memoria, emigración y entrecruzamiento de la palabra de Quasimodo en Oscuramente fuerte es la vida y en La tierra incomparable de Antonio Dal Masetto”

“Utopías en torno a las fronteras entre civilización y barbarie. Nuevas excursiones a los indios ranqueles”

“Cruces y encrucijadas en Al cielo sometidos de Reynaldo González”

“Scavare nella metamorfosi perlongheriana: Tu svástica en las tripas. Corpo e storia in Néstor Perlongher di Edoardo Balletta (Gorée, 2009)”

“Si hubiéramos vivido aquí de Roberto Raschella: pertenencias y extrañamientos identitarios”

“Conjeturas e indagaciones: el doble movimento enunciativo de Ricardo Piglia”

“Cooperación internacional y protección del patrimonio cultural: la gestión de la UNESCO y de la OEA”

“Memoria y relato en Alejandro y los pescadores de Tancay de Braulio Muñoz”

“La emigración italiana en la Argentina entre el fracaso y la epopeya: Emigrati de Antonio Marazzi e I Roscaldi de Nella Pasini”

“La conformación de la tradición cultural en la escritura de Leopoldo Marechal”

“La configuración de la mujer en tres revistas de Salta a fines del siglo XIX”

“Espacio, huella y ausencia de la cultura indígena en la escritura de Leopoldo Marechal”

“Dante, Valli y Marechal: Fedeli d’Amore en diálogo”

“Lo épico en ‘La Patriótica’ de Leopoldo Marechal”.

“Configuraciones del viaje en la literatura de emigración italiana en la Argentina”

“Los asedios y las batallas en ‘Megafón o la guerra’ de Leopoldo Marechal”

“Viajes y fronteras en torno a la e(in)migración”

“Percorsi nella memoria: il lessico nell’esilio affettivo dell’immigrazione”

“Fronteras y conflictos emergentes en el discurso homogeneizador del siglo XIX. Un recorrido por revistas salteñas”

“Reescrituras de textos italianos en la producción de Leopoldo Marechal: sublimación y censura de lo erótico”

La risa antropofágica como sostén de relatos del mundo: estrategias de carnavalización y efecto polifónico en la producción de Leopoldo Marechal

“La escritura marechaliana como apropiación de textos pictóricos”

“La narrativa marechaliana como espacio macarrónico de construcciones míticas”

Tesis Doctoral: “La parodia en la producción de Leopoldo Marechal como lectura/re-escritura de las tradiciones literarias y culturales”.

Tesis de Maestría “El Fondo de Mercedes de Tierras y Solares (1583-1589) del Archivo y Biblioteca Históricos de Salta”

Tesis de Licenciatura «La Teoría del Humor en la producción de Leopoldo Marechal»

RESEÑA. Fernanda E. Bravo Herrera. Diario de viaje a Oriente (1850-51) y otras crónicas del viaje oriental, de Lucio V. Mansilla. Edición, introducción y notas de María Rosa Lojo By Fernanda Elisa Bravo Herrera and Cuadernos del Hipogrifo. Revista de Literatura Hispanoamericana y Comparada (ISSN 2420-918X)


Vedi anche:

Fernanda Elisa Bravo Herrera
Tracce e percorsi di un’utopia: L’emigrazione italiana in Argentina. Il libro di Bravo Herrera, ovvero come si riempie un vuoto culturale.



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Antonio Fiocco – Difendere in tutti i modi la progettualità.

Quale progettualità?

Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx
Antonio Fiocco

Difendere in tutti i modi la progettualità

***

Volendo rendere manifesta – senza equivoci e fin dal principio – la mia posizione, affermo di essere a favore di un deciso primato della progettualità sulla pratica immediata, o, estendendo il tema, della teoria sulla prassi. Questo, sia per ragioni filosofiche, che si riassumono nell’articolo di Luca Grecchi Il primato della teoria sulla prassi: una riflessione per la politica (24 giugno 2015) e apparso in rete, sia per l’evidenza dell’attuale strapotere capitalistico, che occupa con protervia l’intero spazio sociale e che, quanto a rapporti di forza, non ammette più concessioni ai suoi schiavi salariati e/o stipendiati.

Se proprio vogliamo parlare di prassi concreta, ebbene ci troviamo nella stessa tragica situazione di uno Spartaco con il destino di doversi ribellare allo schiavismo proprio nel momento di massima fioritura storica del modo di produzione schiavistico, e dunque senza prospettive immediate (ma … il suo esempio rifulge da tanti secoli).

Si può anche dire, con Max Horkheimer, usando l’espressione di Massimo Bontempelli nel suo primo manuale di filosofia (Il senso dell’essere nelle culture occidentali), a proposito delle ragioni della nascita della scuola di Francoforte, che «il compito di una teoria critica è in un certo senso surrogatorio della prassi politica rivoluzionaria, in quanto consiste nel tener vivi entro lo spazio della speculazione filosofica, nel corso di un’epoca storica di durata imprecisata, quegli ideali marxisti di integrale liberazione dell’uomo che non risultano in tale epoca politicamente agibili». Non si poteva dire meglio e certo – mutatis mutandis – la situazione europea dei terribili anni Trenta del Novecento ha attinenza, quanto a totalitarismo, con l’epoca che stiamo attualmente subendo. [… Leggi tutto nel PDF allegato]

Antonio Fiocco,
Difendere in tutti i modi la progettualità


Gli altri interventi

Luca Grecchi, Sulla progettualità

Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi

Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.


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David Le Breton – Il mondo reale è mutato in immagini, e le immagini diventano esseri reali ed efficienti motivazioni di un comportamento ipnotico.

Le Breton 02
Il sapore del mondo

Il sapore del mondo

***

«L'età dell'informazione si incarna nell'occhio».
I. Illich, La Perte des sens,
Fayard, Paris, 2004, p.221.

 

«Laddove il mondo reale si muta in semplici immagini, le semplici immagini diventano esseri reali ed efficienti motivazioni di un comportamento ipnotico. Lo spettacolo, come tendenza a far vedere attraverso differenti mediazioni specializzate il mondo che non è più direttamente afferrabile, trova normalmente nella vista il senso umano privilegiato, che in altre epoche fu il tatto; il senso più astratto, più mistificabile, è punto focale dell’astrazione generalizzata della società attuale».

David Le Breton,
Il sapore del mondo. Un’antropologia dei sensi,
Raffaello Cortina Editore, 2007, p. 29.


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Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Ma le notti Amore mi vuole intento a opere diverse: vedo con occhio che sente, sento con mano che vede.

Goethe 24 copia

Gothe, Tutte le poesie

«Ma le notti Amore mi vuole intento a opere diverse:
se divento dotto a metà, doppio è il piacere che provo.
E non mi erudisco mentre spio le forme dell’amabile
seno, guido la mano giù per i fianchi?
Solo allora intendo il marmo; penso e raffronto,
vedo con occhio che sente, sento con mano che vede».

Johann Wolfgang von Goethe, Elegie romane,
tr. it. in Tutte le poesie, Mondadori, 1989, I, p. 309.

 

 


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Alessandro Monchietto – Marx tra scienza e utopia. Oggi è forse meno irresponsabile tratteggiare un’utopia fondata, che diffamare come utopia condizioni e possibilità che già da molto tempo sono diventate possibilità realizzabili.

Monchietto 24 copia
«Oggi è forse meno irresponsabile
tratteggiare un’utopia fondata,
che diffamare come utopia
condizioni e possibilità
che già da molto tempo
sono diventate possibilità realizzabili».

H. Marcuse

 

 

Alessandro Monchietto

Marx tra scienza e utopia

Intervista ad Alessandro Monchietto a cura di Luigi Tedeschi
a partire dal libro Invito allo Straniamento II, Costanzo Preve marxiano

Editrice Petite Plaisance, 2016

 

 

1) Marx, pur avendo preso congedo dalla filosofia di Hegel, in favore di una scienza filosofica, tuttavia nell’elaborare tale “scienza pura” del processo storico materialista, riproduce le categorie filosofiche della dialettica hegeliana applicandole alla totalità sociale. Comunque Marx non accetta da Hegel la concezione della filosofia che considera il presente come “compimento della realtà”, definita altrimenti, “filosofia del fatto compiuto”. Infatti per Marx la ragion d’essere della filosofia consiste nella trasformazione del presente storico, orientando quindi la filosofia come premessa del futuro, verso cioè un avvenire che determini la conciliazione delle contraddizioni del presente. L’infuturamento della filosofia è però reso possibile qualora si conferisca alla filosofia un telos che corrisponda ad un determinato sviluppo del processo storico. Conferire comunque alla filosofia finalità predeterminate, non conduce a subordinare la filosofia ad un telos fondato su un elemento pre – filosofico (che può essere indifferentemente sia di carattere messianico che meccanicistico), che contraddice i presupposti stessi della filosofia della storia marxiana?

Il fondamento filosofico del pensiero di Marx consiste in una Idea unificata di storia universale del genere umano, visto come teatro di processi strutturali di perdita, acquisizione, alienazione, conquista ed emancipazione.
Paradossalmente, Marx pretese per tutta la vita di superare Hegel «lasciandoselo alle spalle», senza però mai riuscirci del tutto. Da questo punto di vista, l’intero itinerario marxiano potrebbe essere inteso come una sorta di “parricidio mancato” nei confronti di Hegel e, più in generale, della stessa filosofia: come infatti sosteneva Preve – a cui è dedicato il volume Invito allo straniamento e le cui tesi cercherò in questa riposta di sintetizzare – «non si esce dall’idealismo proclamando di non voler più essere ‘idealisti’».
Una posizione non certo minoritaria nel marxismo novecentesco era solita sostenere che Marx, dopo una prima fase giovanile in cui si era limitato a una critica di tipo prettamente filosofico al capitalismo, avesse abbandonato questo infruttuoso terreno per abbracciare la scienza economica, scelta che gli permise di elaborare una teoria della genesi e dello sviluppo del modo di produzione capitalistico.
In compagnia del nostro comune maestro Costanzo Preve, ritengo al contrario che il filosofo di Treviri non abbia in realtà mai condiviso né l’oggetto né il metodo dell’economia politica. [Leggi tutto aprendo il PDF]

 Alessandro Monchietto,
Marx tra scienza e utopia


Intervista già pubblicata su:

Italicum_2015_0910 1Periodico di cultura, attualità e informazione del Centro Culturale ITALICUM


Dello stesso autore:

Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi.

«Da capo senza fine. Il marxismo anomalo di Georges Sorel»

Le molte facce del neoliberismo: squilibrio distributivo e crisi finanziaria.

Dialettica dell’illuminismo. Diagnosi della società contemporanea, critica della ragione strumentale

Defatalizzare la realtà è il compito che ci attende

Luigi Tedeschi intervista Alessandro Monchietto su «Sorel, determinismo e marxismo»

RIVOLUZIONE NEOLIBERALE. PER UNA CRITICA CONSAPEVOLE
SINISTRA E IDEOLOGIA DEL PROGRESSO

Intervista a Costanzo Preve (Estate 2010, «Socialismo XXI»)

«L’euro come metodo di governo. Il ciclo di Frenkel, le ragioni degli squilibri dell’eurozona e la mezzogiornificazione delle periferie europee»

 


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Claudio Lucchini – La progettualità comunista tra utopia concreta e necessità di funzionamento quotidiano.

Quale progettualità?

Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XXIII, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2016, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiCarmine Fiorillo

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx
Claudio Lucchini

La progettualità comunista tra utopia concreta
e necessità di funzionamento quotidiano

***

Sia pur in termini generali e sganciata da un’illustrazione particolareggiata di come dovrebbe articolarsi il funzionamento quotidiano di una società comunista, la prefigurazione concretamente utopica, cioè realmente attuabile sulla base di determinate condizioni sociali complessive, di modi di vita e di lavoro trascendenti l’orizzonte storico delle estraniazioni classiste e capitalistiche, è parte integrante ineludibile del pensiero marx-engelsiano, che perderebbe anzi, senza di essa, una propria decisiva componente.
Non è certo un caso che, dopo aver minuziosamente citato il celebre brano marxiano dei Grundrisse relativo alle fondamentali forme storiche occidentali dei legami sociali interumani colti nella loro valenza assiologica rispetto alla formazione della personalità individuale, brano in cui si teorizzano al contempo le condizioni indispensabili al sorgere della libera individualità integrale comunista, Costanzo Preve commenti con piena ragione:

«A mio avviso, questa è la più importante citazione filosofica che si possa fare spigolando nelle pagine di Marx. Nessuna altra citazione le è pari, neppure quella del giovane Marx sulla «alienazione». Qui Marx compendia la sua filosofia della storia, senza la quale le migliaia di pagine sulla crisi capitalistica, sui profitti e sui prezzi, sulle classi ecc. sono assolutamente mute e prive di qualsiasi espressività. Il fatto è che Marx aveva deciso di respingere la conoscenza filosofica […], ma era nello stesso tempo una persona intelligente, acuta e sensibile, e allora la filosofia non poteva fare a meno di tornare comunque nel processo della sua elaborazione di pensiero. Questa citazione ne è la prova indiscutibile, di fronte a cui cadono tutte le mura althusseriane erette in difesa di una impossibile considerazione “scientifica” del tutto depurata dalla filosofia». [… Leggi tutto nel PDF allegato]

Claudio Lucchini
La progettualità comunista tra utopia concreta
e necessità di funzionamento quotidiano



Luca Grecchi, Sulla progettualità

Alessandro Monchietto,
Quale progettualità? A partire da alcune considerazioni di Luca Grecchi


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Karl Jaspers (1883-1969) – Filosofare presuppone una visione del mondo ed è espressione specifica di un se-stesso originariamente libero. Filosofano veramente solo quegli uomini che sono originariamente se stessi e che nel filosofare si incontrano e si legano tra loro.

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«Il filosofare vive fondamentalmente grazie a pochi filosofi che nel corso di due millenni e mezzo sono apparsi, ciascuno nella propria unicità e nella propria misura, come apice e origine del filosofare stesso. Gli altri procedono da essi, ma non partecipano alla loro origine se non la incontrano a partire dalla propria. Nessuno è acceso dalla verità tramandata se già non ne possiede in sé la scintilla, e anche in questo caso non è propriamente creativo anche se è vero e originario.
Per l’identità del vero filosofare e di quello originario è impossibile imparare la filosofia o limitarsi a recepirne la verità. L’appropriazione, che non è né progresso né irrigidimento, è la realtà del filosofare che si diffonde ridestando.
Quando la propria originarietà, cercando l’origine nei grandi filosofi, è sospinta verso ciò che traspare dalle loro dottrine, il filosofare che ne risulta, e che mentre interpreta sussiste da sé, può esprimersi svolgendo una filosofia sistematica che, se non riesce mai ad entrare, neppure in piccolissima parte, nello spazio riservato ai grandi, costItuisce però quell’organo del filosofare che, pur non creando da sé, rimane sempre un filosofare originale che mantiene aperto l’accesso ai grandi. Questa filosofia non potrà evitare di cercare di nuovo, in ogni situazione storica, la propria forma. Chi la cerca nell’appropriazione, nella tradizione e nella venerazione incondizionata di quei filosofi secolari che non compaiono in ogni tempo, finisce col non distinguersi più da essi.
Poiché l’appropriazione presuppone che il filosofare mi giunga in forma oggettiva, e poiché per comprendere si richiede un certo mestiere, il filosofare si traduce inevitabilmente in dottrina che, come tale, espone il filosofare a quei possibili fraintendimenti che lo annichiliscono. La dottrina e la scuola, nonostante rappresentino un pericolo per il filosofare autentico, costituiscono pur sempre un compito a cui nessun filosofare si può sottrarre se vuoi comunicarsi ad un esserci nel mondo.
Le Università, come strutture di coesistenza di tutte le scienze per realizzare in tutte le direzioni le possibilità del sapere, per indagare, per comprendere e apprendere tutto ciò che può presentarsi, tanto nei fatti, quanto nelle costruzioni intellettuali, possiedono un’unità e una vita intensa dovuta al filosofare che è presente in ogni ricercatore e in ogni erudito. Questo qualcosa in “più rispetto alla scienza” di cui tra l’altro ne costituisce il senso, oltre a stabilirne le reciproche relazioni, nell’insegnamento della filosofia diventa coscienza esplicita come anima del complesso. Le Università prosperano e fioriscono nella misura in cui sono penetrate e ispirate da quest’anima.
[…]
La scuola, a causa della stabilizzazione della filosofia, incorre nella perdita del filosofare nella misura in cui gli uomini tendono a raggiungere in una dottrina quella stabilità che li dispensa dall’esigenza d’esser-se-stessi. In questa forma di irrigidimento aumenta per la filosofia il pericolo di tradursi in un’attività ricercata per ottener prestigio, soprattutto quando, per la sua tradizione nelle istituzioni sociologiche (nell’antichità e nelle Università moderne), seduce quanti, privi di vocazione, sono indotti a crearsi con essa una posizione. Allora chi non ha filosofato a proprio rischio, a contatto col mondo, con gli uomini e con la tradizione storica, è indotto a trattare la filosofia come se fosse una scienza costituita, una disciplina specifica che si può apprendere, che si può incrementare con operazioni intellettuali e quindi insegnare.
[…]
Ma chi filosofa con l’intenzione di fondare una scuola non può che esser falso fino alla radice. Non solo, infatti, tratta la filosofia come se fosse una scienza, ma suppone d’esser l’unico a possederla veramente per averla posta, come scienza, sul retto cammino. Separa, ad esempio, la filosofia dalla visione del mondo perché, a suo giudizio, la filosofia contiene affermazioni universalmente valide, e alla visione del mondo non riconosce altro valore se non quello d’esser una tra le molte; secondo lui la filosofia deve essere possibile senza una visione del mondo. Esige riconoscimenti per la sua dottrina e ritiene che ciò che gli altri hanno fatto non sia filosofia. È polemico, perché vive originariamente senza quel se-stesso che lo porterebbe a filosofare, per cui si limita a negare gli altri e a solidificare la propra posizione. […]
Chi, come discepolo, adotta la dottrina e il metodo di un altro che funge da maestro, traduce l’una e l’altro in qualcosa di estraneo, anche quando il maestro, filosofando originariamente, si limita a dare espressione a un contenuto. La storia della filosofia ci mostra i modi attraverso cui la filosofia s’è trasformata in un giro vuoto di concetti o nell’arte dei metodi. La condizione di discepolo può avere la funzione storica di conservare gli scritti di un grande filosofo e di darne notizia; modificando le sue costruzioni intellettuali, il discepolo può gettare una luce retroattiva sul filosofo, può ampliarne qualche aspetto tecnico, e, per il contrasto che esiste tra il suo essere e quello del filosofo, può delinearlo con maggior esattezza, ma non può filosofare, perché il filosofare è l’espressione specifica di un se-stesso originariamente libero.
La scuola che risolve la filosofia in una scienza specifica fa assumere al maestro un atteggiamento che lo induce a promettere continuamente ciò che non può mantenere, per l’impossibilità di fornire la conoscenza della verità dell’incondizionato nelle forme di un sapere oggettivo. Nel discepolo, invece, fa sorgere il desiderio di impadronirsi a poco a poco della filosofia, memorizzandone le tesi. Ma quando il maestro e il discepolo s’aggrappano tenacemente a qualcosa, la filosofia in essi si estingue senza neppure diventare scienza, perché di fatto sia l’uno sia l’altro non hanno tra le mani proprio nulla.
Filosofano veramente solo quegli uomini che sono originariamente se stessi e che nel filosofare si incontrano e si legano tra loro. Si porta la bandiera della filosofia ancor più nobilmente quando si coglie ciò che v’è di autentico nella totalità, attraverso itinerari che si inoltrano nel vuoto senza alcun aiuto, mentre si vien meno all’intento quando, per dignità professionale, si affossa il filosofare nell’ordine convenzionale di un atteggiamento condizionato dalla superstizione scientifica. Se dunque la realtà della filosofia si affianca necessariamente alla corrente dell’attività scolare, ciò avviene solo
nell’intento di assicurare la trasmissione professionale del pensiero e di accompagnare nella ricerca chi impara, affinché questi si separi con l’inizio del suo filosofare e rischi tutto su di sé. La filosofia si realizza se ci si riprende dallo smarrimento in cui sempre e di nuovo si cade. Essa non può rivolgersi, come fa la scienza, a degli specialisti, ma solo alla vita fiosofica presente in ogni uomo, sia esso scienziato, ricercatore o erudito. Originariamente filosofi, costoro si prendono la libertà di oltrepassare, nel pensiero, il pensiero, per giungere là dove non si ha a che fare col sapere vincolante, ma con la totalità, ossia con l’essere stesso.
La vera scuola, quindi, sia pure in un senso del tutto indeterminato, ossia senza l’unità di una dottrina, è l’insieme di una vita filosofica che si trasmette. Gli individui, che sono insostituibili, scelgono già nel punto di partenza del loro filosofare le loro prossimità e le loro distanze. Questa scuola non si raccoglie intorno al nome di un maestro. I suoi membri si incontrano in un rapporto di autentica indipendenza perché possiedono la solidarietà della libertà, mentre gli insinceri considerano un valore la solidarietà che nasce dall’appartenenza a un circolo. La libertà si avverte dove c’è libertà, la si percepisce con entusiasmo anche là dove c’è dell’ostilità. I membri di questa scuola possono incorrere in una situazione di ostilità filosofica che è tanto radicale quanto cavalleresca perché cercano di convertire i nemici in amici. Infatti anche nell’opposizione perdura quella comunità che ha le sue radici profonde nel possibile essere libero. Questa scuola è l’atmosfera del filosofare occidentale iniziato dai greci come un regno anonimo che perdura nel tempo.
Nel legame indeterminato che si stabilisce in questa scuola, la tradizione è assicurata dall’istituzione e, ciò nonostante, è libera; essa si limita a porre una disciplina nelle premesse e non pretende di prolungare se stessa nella forma di una dottrina conquistata, ma piuttosto spera di ridestare l’altro se-stesso. È una forma di decadenza indugiare nel ruolo di discepoli soddisfatti d’esser seguaci, perché l’amore per l’altro, che nasce dal profondo della propria libertà, permette solo che si instauri un identico livello di comunicazione come realtà, oppure una lontananza che consenta di prendere le distanze come difesa della possibilità».

Karl Jaspers,
Filosofia, a cura di Umberto Galimberti,
Utet, 1978, pp.410-415.

 

 

 

KARL JASPERS (1883 - 1969) Philosophe allemand en 1910.

KARL JASPERS nel  1910.


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Elena Irrera – “Sulla bellezza della vita buona”. Vi è un legame imprescindibile tra vita pratica e vita teoretica. La prospettiva del bello, orientando l’attività razionale dell’individuo secondo eccellenza, indicherà al soggetto agente non solo il traguardo più perfetto da raggiungere, ma anche il percorso stesso per conseguirlo.

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Elena Irrera,
Sulla bellezza della vita buona.
Fini e criteri dell’agire umano in Aristotele
Carabba Editrice, 2012.

Sulla bellezza della vita buona

«[...] chiunque abbia la possibilità di vivere secondo la propria scelta
stabilisce un qualche scopo della vita felice
sia esso l'onore o la fama o la ricchezza o la cultura,
guardando al quale compirà tutte le sue azioni
(perché appunto
è segno di molta insipienza
non aver indirizzato
la vita a un qualche fine)».

Aristotele, Etica Eudemia I, 2.1214b6-111.

 

«Che la ricerca umana della bellezza possa configurarsi come un tema-chiave nella riflessione aristotelica sui fini e i metodi della razionalità pratica non costituisce certamente una novità. È infatti generalmente riconosciuto che il bello, anziché essere relegato da Aristotele a valore puramente estetico, sia in più occasioni introdotto come oggetto di indagine morale e come fine che l’uomo virtuoso si propone di raggiungere. Ciò che, invece, ritengo sia stato ingiustamente oggetto di scarso interesse […] è lo studio delle possibili intersezioni tra un senso “contemplativo” del bello ed uno di carattere “pratico”. […] Il presente libro si propone […] di offrire una ricostruzione della visione aristotelica del bello capace di far emergere tale nozione non solo come vero e proprio trati d’union tra le due forme di attività, ma anche come specifico criterio per l’agire umano autenticamente virtuoso. […]  il mio contributo ha come principale scopo quello di presentare la possibilità che, attraverso il perseguimento del bello, l’attività pratica sia volta alla massimizzazione dell’ attività contemplativa entro la sfera dell’agire. È quindi mia intenzione mostrare comeil desiderio “intellettuale” del bello, piuttosto che quello della semplice realizzazione pratica di atti virtuosi, possa costituire il motivo fondante del coinvolgimento di un individuo nell’arena pratica.
[…] Da un lato, tenterò di mostrare come il riferimento al bello permetta la comprensione dell’essenza della vita felice e della natura umana stessa; dall’altro, suggerirò che il bello, se inteso come ideale “orientativo” per l’azione umana, riesce a svolgere simultaneamente un doppio ruolo: quello di “promotore” di azioni virtuose e quello di “formazione intellettuale” di individui dotati di intrinseca perfezione morale» (pp. 9-11).

«Ciò premesso, farò notare come il cosiddetto “bene umano” non sia un’entità statica e separata dalla vita umana, e considererò l’eudaimonìa come lo stesso bene, quello sommo, indagato però dalla prospettiva dell’individuo che lo persegue. In questo senso, il tema del bene umano si lega a quello della vita, delle aspirazioni e delle aspettative di chi la vive» (p. 12).

«L’agente morale aristotelico, in quanto dotato di autentica virtù di carattere, sarà dunque concepito come individuo proteso a ricercare, in ultima analisi, una visualizzazione teoretica delle distintive proprietà di ordine, appropriatezza e limite delle belle azioni. Tale visualizzazione si rivelerà fine a se stessa e non strumentale a scopi ulteriori.
Come anticipato nella prefazione, questo libro nasce dall’esigenza di raggiungere una comprensione di tò kalón che consenta di gettare una nuova luce sullo studio della dimensione dell’agire etico e politico, e che mostri l’esistenza di un legame imprescindibile tra vita pratica e vita teoretica» (p. 21).

«L’immagine della vita sommamente desiderabile che mi auguro emerga attraverso la mia discussione è quella che esprime il bene umano come un traguardo da raggiungere e, pertanto, come un oggetto capace di orientare l’uomo stesso verso la più perfetta realizzazione delle proprie potenzialità etiche e intellettuali. In base alla ricostruzione che intendo svolgere, il principale interesse di Aristotele non apparirà quello di fornire una definizione di eudaimonìa funzionale a scopi prettamente teoretico-speculativi, quanto invece quello di mostrare come l’individuo sia in grado di intraprendere, attraverso un’adeguata educazione al bene e al bello, un processo pratico di maturazione e di sviluppo orientato all’acquisizione della propria forma distintiva. La prospettiva del bello, orientando l’attività razionale dell’individuo secondo eccellenza, indicherà al soggetto agente non solo il traguardo più perfetto da raggiungere, ovvero il bene ultimo, ma anche il percorso stesso per conseguirlo.
[…] L’indagine che verrà condotta nel corso di questo testo, pertanto, presenterà il bello come trait d’union tra attività pratica dell’uomo virtuoso e quella teoretica. L’agire “in vista del bello” equivarrà non solo ad esercitare la razionalità pratica umana in prospettiva della contemplazione, ma anche a massimizzare la possibilità di contemplazione contenuta nell’agire» (p. 35).

«Sosterrò dunque che [l’uomo politico autenticamente virtuoso], anziché essere guidato nella propria attività pratica dal semplice desiderio di promuovere concretamente il bene comune, agisce, in ultima analisi, in quanto spinto da un profondo interesse per la contemplazione del valore intrinseco della virtù morale e, pertanto, in vista della soddisfazione di una passione di natura teoretica» (p. 370).



Elena Irrera

Figure del bello nella filosofia di Aristotele
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Coperta 258

Osservando con sguardo sinottico la vasta produzione di logoi aristotelici a noi pervenuti, è possibile riscontrare la presenza di nozioni che, essendo impiegate in una nutrita varietà di ambiti disciplinari, possono essere a buon diritto qualificate come “trans-contestuali”. Aristotele sembra idealmente invitare i suoi lettori non solo ad individuare tali nozioni e a riflettere sul ruolo da esse svolto all’interno di specifici settori conoscitivi, ma anche a profilare degli spazi virtuali di collegamento e interazione tra settori di indagine differenti alla luce della loro comune presenza in ciascuno di essi. La constatazione che un dato termine (e, di conseguenza, anche lo spettro di temi e significati da esso evocati) ricorra in tipi differenti di indagine filosofica suggerisce la possibilità che lo stesso Aristotele abbia intenzionalmente congegnato vari aspetti della sua riflessione in maniera tale da rendere le specifiche argomentazioni impiegate e i loro rispettivi domíni di afferenza “permeabili” ad un gioco di reciproci rimandi.
In questo senso, è ragionevole assumere che, attraverso l’individuazione di alcuni elementi lessicali e concettuali comuni a settori disparati, i vari aspetti della riflessione aristotelica sulla realtà e i suoi princìpi si prestino ad essere colti dal lettore in una visione d’insieme, ovvero ad essere osservati come componenti di una struttura complessa di soggetti interconnessi che trascende le singole specificità disciplinari. Nel presente contributo tenterò di offrire alcuni spunti di analisi su un concetto che ricorre in una pluralità di aree di ricerca, tra le quali la metafisica, la fisica, la biologia, l’etica e la politica: quello di tò kalón. L’espressione che designa il concetto in questione è stata variamente tradotta dagli studiosi. Nella sua versione della Metafisica, Reale opta per la traduzione “il bello”; nelle sue traduzioni dell’Etica Eudemia, dell’Etica Nicomachea e della Grande Etica Fermani adotta le espressioni “il bello” e “il bello morale”. L’idea che tò kalón esprima una nobiltà di natura morale emerge ad esempio in alcune traduzioni angloamericane, come quella di Rowe, che utilizza “the fine”, e una nutrita schiera di studiosi che rendono l’espressione in esame con “the noble” (Rackham, Ross, Ostwald, Crisp, Bartelett e Collins, Reeve).
È opinione generalmente condivisa che l’ideale del tò kalón, nella cultura greca classica, non indichi soltanto proprietà e valori prettamente “estetici”, ossia pertinenti alla sfera di una bellezza puramente fisica che sia oggetto di un’esperienza sensoriale (visiva e/o uditiva) fine a se stessa. Al contrario, come avremo modo di osservare, l’ideale in questione appare in grado di innescare e orientare percorsi umani di conoscenza e di azione virtuosa che trascendono il piano di un confronto con il mondo esterno non mediato dalla riflessione o dall’educazione.
Aristotele introduce la questione della bellezza in numerose occasioni e contesti di indagine differenti, ossia ambiti di discussione non immediatamente accostabili gli uni agli altri né in termini di finalità, né in termini degli argomenti trattati. Il bello è ad esempio menzionato come proprietà riscontrabile in oggetti fisici e sostanze naturali, in azioni umane e perfino in forme di organizzazione del potere politico. Esso può essere associato alla perfezione formale degli enti o al senso di piacevolezza e/o di desiderabilità intrinseca che una simile proprietà stimola negli esseri umani che la rilevano. A volte, esso è indicato spesso come motivazione per un comportamento individuale autenticamente virtuoso, e come ideale che il buon legislatore è chiamato ad imprimere tanto nelle leggi quanto nelle proprie azioni. Lo stesso Aristotele sembra sostenere che uno degli scopi dell’educazione sia quello di fornire orientamenti di crescita e di evoluzione che portino gli individui ad essere “amanti del bello” e, di conseguenza, più inclini di altri a comprendere i ragionamenti sulla natura della virtù e sulla necessità di acquisirla in vista del conseguimento del bene umano.
Tratto comune a tali approcci è l’idea che il bello sia oggetto di un’esperienza distintamente umana, ovvero una esperienza capace di stimolare attivamente un corretto esercizio di quelle facoltà deputate alla realizzazione delle possibilità di perfezionamento della natura razionale degli individui, tanto nella sfera del pensiero teorico quanto in quella dell’agire pratico. Indagare il ruolo che il bello ricopre nella vita umana, pertanto, permetterà di delineare una prospettiva di osservazione particolare delle dinamiche attraverso cui tale perfezionamento può avvenire.
L’ipotesi di lavoro che orienterà la presente discussione è rappresen­tata dall’idea che la nozione di tò kalón, in virtù della sua caratteristica trans-contestualità, consenta di mettere in rilievo alcuni tipi di collega­mento tra settori di indagine dotati di autonomo statuto disciplinare. In particolar modo, si tenterà di osservare come la nozione in esame funga da fil rouge tra i cosiddetti étikoì lògoi, ossia quelli che costituiscono l’intelaiatura argomentativa dell’Etica Nicomachea, dell’Etica Eudemia e della Grande Etica, e il contenuto della Politica. Alla luce della funzione svolta dal bello nelle riflessioni condotte da Aristotele nei testi in questione, i discorsi sui princìpi pratici discussi nelle Etiche e quelli relativi alla natura della polis, del cittadino, del governante e delle costituzioni, appariranno come espressioni di un’area unitaria di indagine, quella volta alla ricerca del bene umano e della molteplicità delle sue espressioni (giustizia, amicizia, singole virtù etiche ed intellettuali, il piacere) nella dimensione politica.

Elena Irrera

 


Elena Irrera
Il bello come causalità metafisica in Aristotele,
Mimesis Edizioni, 2011.

 

 

IL bello come

Risvolto di copertina

Può la ricerca della bellezza orientare la strutturale tensione dell’uomo verso la conoscenza? Può la bellezza stessa offrire una via d’accesso alla struttura e alla comprensione umana del bene? Il presente studio si propone di rispondere a tali quesiti offrendo un parziale tentativo di ricostruzione del ruolo giocato dal bello (tò kalòn) nella metafisica e cosmologia aristoteliche. Viene inoltre presentato un caso particolare che, a giudizio dell’autrice, rende particolarmente visibile l’applicazione della nozione del “bello” (concepita come vera e propria forma di “causalità”), ad una sfera di carattere squisitamente pratico: quella dell’azione legislativa virtuosa descritta in alcuni frammenti del Protreptico. Scopo del libro è quello di mostrare che il bello, anziché costiuire una statica proprietà degli oggetti, si rivela un fattore attivamente operante in natura, prefigurando per di più la possibilità di un agire pratico umano improntato alla contemplazione intellettuale dei princípi di bellezza.


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