Antonio Gramsci (1891-1937) – Odio gli indifferenti. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. Vivere vuol dire essere partigiani. L’indifferenza non è vita.

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Odio gli indifferenti

Odio gli indifferenti

«E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: "Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?".
Ed elli a me: "Questo misero modo
tengon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli".
E io: "Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?".
Rispuose: "Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidïosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ti curar di lor, ma guarda e passa"».

Dante Alighieri, Inferno, III, 31-51
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Antonio Gramsci

«Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovesc ia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti».
Antonio Gramsci, Indifferenti, 11 febbraio 1917

 

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Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?

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Chi non progetta
ciò che può essere progettabile,
lo avrà fatto diventare,
col proprio non progettarlo,
qualcosa di irrealizzabile,
e a cui non porta più nessuna strada.

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Aristotele: La rivoluzione è nel progetto

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S O M M A R I O


La scelta del soggetto e la scelta del titolo

Il messaggio aristotelico non è “conservatore”

“Rivoluzione“ e “progetto“ versus “ribellione”

Aristotele può essere considerato pensatore progettuale e rivoluzionario

Aristotele non è accostabile al “ribellismo” dei vari maîtres à penser
Il suo pensiero punta a costruire una vita buona per tutti

Aristotele sostenne che la crematistica conduce ad una vita innaturale

Che cosa è il “bene” per Aristotele? E il “bene comune”?

Per Aristotele, insomma, serve una sorta di rivoluzione
delle modalità socio-economiche dominanti

Platone ed Aristotele andavano all’essenziale. Oggi non lo si fa più

Oggi si mercifica e si include anche la critica ribellistica.
Non si accetta quella fondata sulla natura umana: progettuale

Come dovrebbe essere un modo di produzione sociale per essere migliore?

Capire come le cose devono essere, non solo come le cose sono
La kallipolis aristotelica.
Chi vive senza un fine e senza un progetto, conduce davvero una ben misera esistenza

Non basta il ribellismo.
La critica, anche etimologicamente, rinvia alla decisione

Chi vuole fare filosofia deve ragionare sull’intero. Ogni modo di produzione è storico

Preparare su solide fondamenta quanto meno il progetto


«Innanzitutto ringrazio Diego Fusaro, e gli organizzatori, per questo invito.
Vorrei cominciare, in maniera un po’ insolita, con alcune giustificazioni, riguardanti sia la scelta del soggetto (Aristotele), sia la scelta del titolo (la rivoluzione è nel progetto). Comincio col soggetto. In un convegno che si intitola Il pensiero ribelle, il nome di Aristotele potrebbe sembrare, almeno ad una parte del pubblico, un po’ noioso.

[…] Mi si può chiedere allora perché le ho utilizzate per un titolo. Ebbene: le ho usate – vi svelo un segreto, che dico sottovoce per non farmi sentire dagli organizzatori – per una piccola ribellione al tema di questo convegno, che mi crea un po’ di disagio. La causa di questo disagio non è soggettiva, ossia dovuta al fatto che sono il più vecchio fra i relatori, ed i vecchi nel sentire comune non dovrebbero essere ribelli, ma, penso, oggettiva, in quanto ritengo che la situazione generale in cui il mondo si trova richieda qualcosa di più, come risposta filosofica, di un pensiero semplicemente “ribelle”. A breve chiarirò meglio questo punto, ma fin da ora segnalo che le parole “rivoluzione” e “progetto” vanno in questa direzione. Mi tocca però, come detto, non essendo propriamente termini aristotelici, il compito di giustificare il loro uso con riferimento al pensiero di Aristotele.
Passo quindi ad analizzare i motivi per cui Aristotele può essere considerato pensatore progettuale e rivoluzionario. Il primo motivo è che Aristotele, da buon filosofo, era non solo critico verso il presente, perché non lo vedeva molto armonico, ma anche costruttivo, e soprattutto si rivolgeva all’intero che, sul piano sociale, è costituito dal modo di produzione sociale (ossia, con Marx, il processo con cui si svolge la produzione e riproduzione sociale della vita). La chiave di questo processo la trovò anche ai suoi tempi nella cattiva crematistica, ossia nella ricerca fine a sé stessa di beni, merci, per estensione denaro.  Ebbene: in base a quella natura razionale e morale dell’uomo che egli assume come riferimento (dopo adeguata riflessione), egli pose in essere la prima critica della crematistica che si conosca. La crematistica per Aristotele, come tra poco mostreremo, era una cosa innaturale, in quanto si rivolge alla massima produzione, al massimo profitto; ma l’uomo non ha bisogno di più di tanto cibo, più di tanti vestiti, più di tanto denaro per essere felice: l’uomo è un ente finito, limitato, quindi gli basta un numero finito, limitato di beni per vivere bene. Per questo egli fu progettualmente critico della crematistica […]». [Leggi tutto il testo, pp. 11]

Intervento di Luca Grecchi
al Festival del pensiero ribelle, 12 giugno 2016, Roccabianca (Parma)

Scarica il testo dell’intervento in PDF

Luca Grecchi, Aristotele: La rivoluzione è nel progetto



Un libro per avvicinarsi al pensiero del grande filosofo greco:

Coperta 137

L’umanesimo di Aristotele
indicepresentazioneautoresintesi invito alla lettura

 

 


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Dello stesso autore nel Blog di Petite Plaisance:

Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.

Luca Grecchi

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

Cliccando

L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale. (Invito alla lettura: Scarica alcune pagine del libro)

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.

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James Mill (1773-1836) – Siamo a tal punto reciprocamente alienati dall’essenza umana, che il linguaggio immediato di questa essenza ci appare come una violazione della dignità umana.

James Mill
Elements of political economy, 1826

Elements of political economy.

«L’unico linguaggio comprensibile che parliamo fra noi è quello dei nostri oggetti in relazione fra loro. Un linguaggio umano non lo comprenderemmo, rimarrebbe senza effetto; da una parte verrebbe inteso e sentito come una preghiera, una supplica e dunque come un’umiliazione, e quindi sarebbe proferito con vegogna, con un senso di degradazione, mentre dall’altra sarebbe interpretato e respinto come un’impudenza o una pazzia. Siamo a tal punto reciprocamente alienati dall’essenza umana, che il linguaggio immediato di questa essenza ci appare come una violazione della dignità umana, mentre il linguaggio alienato dei valori delle cose ci sembra la dignità umana, giustificata, fiduciosa in se stessa, che riconosce se stessa».

 

James MillÉléments d’economie politique, 1826. [James Mill fu discepolo di Bentham, nonché padre di John Stuart Mill. Riformò l’utilitarismo etico di Bentham: là dove Bentham aveva ammesso come unico movente dell’azione la ricerca egoistica dell’utile, Mill sosteneva che a base dell’azione morale vi è anche un movente altruistico che nasce come qualcosa di qualitativamente unico, non riducibile a impulsi egoistici].

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Ernst Bloch (1885-1977) – Tutto ciò che vive ha un orizzonte. Dove l’orizzonte prospettico è tralasciato, la realtà si manifesta soltanto come divenuta, come realtà morta, e sono i morti, cioè i naturalisti e gli empiristi, che qui seppelliscono i loro morti.

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Il principio speranza

«Tutto ciò che vive, dice Goethe, ha un’atmosfera intorno a sé; tutto ciò che è reale, poiché è vita e processo, e poiché può essere correlato della fantasia obiettiva, ha un orizzonte. Uno interiore, per così dire estendentesi verticalmente, nella propria oscurità, e uno esteriore di grande ampiezza, nella luce del mondo; ed entrambi gli orizzonti nei loro recessi sono riempiti della stessa utopia, di conseguenza identici nell’ultimum.

Lì dove l’orizzonte prospettico è tralasciato, la realtà si manifesta soltanto come divenuta, come realtà morta, e sono i morti, cioè i naturalisti e gli empiristi, che qui seppelliscono i loro morti.

Dove invece si ha costantemente di mira anche l’orizzonte prospettico, il reale si manifesta come ciò che esso è in concreto: come intreccio di processi dialettici, che si svolgono in un mondo incompiuto, in un mondo che non sarebbe assolutamente mutabile senza il gigantesco futuro della possibilità reale in esso. Insieme con quel totum che non rappresenta il tutto isolato di una sezione di processo di volta in volta dato, ma invece l’intero della cosa che in generale è pendente nel processo, dunque che è costituita ancora secondo tendenza e in maniera latente.
Questo soltanto è realismo […] La realtà senza possibilità reale non è completa, il mondo senza peculiarità gravide di futuro merita tanto poco uno sguardo, un’arte, una scienza, quanto il mondo del piccolo-borghese.
L’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà; la possibilità reale circonda fino alla fine le tendenze-latenze dialettiche aperte. Da queste viene attraversato in maniera autenticamente realistica il movimento non concluso della materia non conclusa, e il movimento è, secondo il profondo detto di Aristotele, “entelechia incompiuta”*».

 

Ernst Bloch, Il principio speranza, 3 vol., Garzanti, 1994, vol. I, pp. 262-263.

***
Risvolto di copertina

Il principio speranza è una delle imprese filosofiche più ambiziose del Novecento: un secolo sorto sotto il segno di un'immotivata fede nell'onnipotenza dei progetti globali della storia, e che si è chiuso nella percezione disincantata di un futuro imprevedibile, improgrammabile e quanto mai incerto. Contrapposto all'attualità e all'ideologia della «fine della storia», Il principio speranza – che fonda la sua ontologia sulla potenzialità dell'essere e sull'apertura al cambiamento – risulta oggi audacemente inattuale ma ricchissimo di suggestioni su temi sempre aperti. Nelle cinque parti che costituiscono il suo capolavoro (iniziato nel 1938 e dato alle stampe per la prima volta nel 1959) Bloch esplora la dimensione utopica del pensiero in tutte le sue molteplici manifestazioni: oltre il «principio del piacere» delle vecchie utopie, ma anche oltre il «principio di realtà», inteso come passiva accettazione del già-dato. Gran parte del Principio speranza è dedicata a una fenomenologia degli stati utopici della coscienza: dai desideri più profondi dei singoli alle opere d'arte e ai grandi miti collettivi, fino alle forme che si annunciano nell'arte di consumo. In tutte queste forme, attraverso una «ontologia del non ancora», si delineano i tratti di una realtà conciliata che servono da guida e da orientamento per l'azione storica. In questo senso, Il principio speranza individua un possibile antidoto al nichilismo e all'angoscia: senza promettere redenzione e salvezza, senza confondere la caduta di alcuni idoli con la caduta degli ideali.

 

*Aristotele, Fisica 257b8

 


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Ernesto Che Guevara (1928-1967) – 1951 … adesso sapevo che io starò con il popolo. E preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido del proletariato.

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«Leggete questi appunti,
scritti con tanto amore, freschezza e sincerità,
che più di ogni altra cosa
mi hanno fatto sentire vcina a mio padre.
Vi lascio quindi con l'uomo che ho conosciuto
e che amo profondamente per la forza e la tenerezza
che ha dimostrato di possedere
con il suo modo di vivere»


Aleida Guevara March
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E. Guevara nel 1951

Annotazione al margine

«Le stelle punteggiavano di luci il cielo di quel villaggio di montagna e il silenzio e il freddo rendevano immateriale l’oscurità. Era – non so bene come spiegarlo – come se ogni sostanza solida si volatilizzasse nello spazio etereo che ci circondava, privandoci dell’individualità e fondendoci, intirizziti, a quel buio immenso. Non vi era una sola nube che, carpendo una porzione di cielo stellato, desse una qualche prospettiva allo spazio. A pochi metri appena, la funerea luce di un lampione stemperava le tenebre circostanti.
li volto dell’uomo si perdeva nell’ombra, emergevano soltanto lo scintillio dei suoi occhi e il candore dei quattro denti anteriori. Tuttora non saprei dire se fu l’ambiente o la personalità di quell’individuo che mi preparò a ricevere la rivelazione, ma so che gli stessi argomenti li avevo sentiti molte altre volte espressi da differenti persone e mai mi avevano impressionato. In realtà, era un tipo interessante, il nostro interlocutore; fuggito ancor giovane da un paese d’Europa per non cadere sotto il pugnale del dogma, conosceva il sapore della paura (una delle poche esperienze che portano a valorizzare la vita), poi, passando di paese in paese e attraversando migliaia di avventure, aveva finito col posare le sue ossa in quel luogo dimenticato e lì aspettava pazientemente il momento del grande evento.
Dopo le frasi banali e i luoghi comuni con cui ciascuno spiegò la propria posizione, quando ormai languiva la discussione ed eravamo sul punto di separarci, buttò lì, con lo stesso sorriso di ragazzo picaro che non lo abbandonava mai, accentuando la disparità dei suoi quattro denti incisivi: «L’avvenire è del popolo che, a poco a poco o in un sol colpo, conquisterà il potere qui e su tutta la terra. Il peggio è che deve civilizzarsi, e questo non può realizzarsi prima, ma dopo averlo preso. Si civilizzerà solo imparando dai propri errori, che saranno anche gravi, e costeranno molte vite innocenti. O forse no, forse non saranno innocenti perché avranno commesso l’enorme peccato contro natura di non avere capacità
di adattamento. Tutti loro, tutti i disadattati, anche lei e io, per esempio, moriranno maledicendo il potere che hanno contribuito a creare con il proprio sacrificio, a volte immenso. È che la rivoluzione, con la sua forma impersonale, prenderà la loro vita e persino ne utilizzerà la memoria, che resterà come esempio e strumento di dottrina per i giovani che verranno. Il mio peccato è ancor più grande, perché io, più accorto o con maggior esperienza, la chiami come preferisce, morirò sapendo che il mio sacrificio obbedisce soltanto a un’ostinazione simbolo della civiltà putrefatta che si sta sgretolando, e che per lo stesso motivo, senza che per questo ne venga modificato il corso della storia, e neppure l’impressione che si è fatto di me, lei morirà con il pugno chiuso e la mascella serrata, in una perfetta rappresentazione dell’odio e della lotta, perché non è un simbolo (qualcosa di inanimato che si prende come esempio), lei è parte integrante della società che sta crollando: lo spirito del branco parla attraverso la sua bocca e si muove nei suoi gesti; lei è acuto quanto me, però ignora quanto sia utile l’apporto che dà alla stessa società che lo sacrifica».
Vidi i suoi denti e la smorfia picaresca con cui anticipava la storia, sentii la stretta delle sue mani e, come un mormorio ormai lontano, il formale saluto di commiato. La notte, svanita al contatto delle sue parole, tornava ad avvolgermi, confondendomi in lei; però, malgrado le sue parole, adesso sapevo … sapevo che nel momento in cui il grande spirito che governa ogni cosa darà un taglio netto dividendo l’umanità intera in due sole parti, antagoniste, io starò con il popolo, e lo so, perché lo vedo impresso nella notte, che io, eclettico sezionatore di dottrine e psicoanalista di dogmi, urlando come un ossesso, assalterò barricate o trincee, tingerò di sangue la mia arma e, come impazzito, sgozzerò ogni nemico mi si parerà davanti. E mi vedo, come se una stanchezza infinita stesse già esaurendo questa mia esaltazione, cadere immolato per l’autentica rivoluzione uniformatrice di volontà, pronunciando un mea culpa esemplare. Già sento dilatarsi le mie narici, assaporando l’odore acre della polvere e del sangue, della morte nemica; già si contrae il mio corpo, pronto al combattimento, e preparo il mio essere come un tempio sacro in cui risuoni di nuove vibrazioni e nuove speranze il grido belluino del proletariato trionfante» [1951].

 

Ernesto Che Guevara, Latinoamerica. I diari della motocicletta [1951], Mondadori, 2016. pp. 172-174.

 

 

 

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Risvolto di copertina
Dicembre 1951. Due giovani studenti di medicina argentini, Ernesto Guevara de la Serna e Alberto Granado, partono in sella a una sgangherata motocicletta, pomposamente battezzata "Poderosa", per attraversare l'America Latina. In quei sette mesi di avventure e incontri, destinati a forgiarli per sempre, toccheranno mille luoghi, dalle rovine di Machu Picchu al lebbrosario di San Pablo. Durante il viaggio Ernesto raccoglie appunti e, una volta rientrato, li riordina in un diario che è ormai un mito, l'opera più celebre del Che, un libro di culto letto e amato da almeno tre generazioni. Queste pagine svelano lo sguardo fresco ma già critico e intelligente dell'uomo destinato a diventare, di lì a poco, il comandante Che Guevara; contengono i mille volti dell'America, la miseria degli Indios e la folgorante bellezza del paesaggio; raccontano il desiderio di conoscere, esplorare, capire, emozionarsi come solo a vent'anni si può, mentre la moto perde pezzi per strada e due ragazzi si trasformano in uomini. Come scrisse Guevara riflettendo su quell'esperienza, «quel vagare senza meta per la nostra "Maiuscola America" mi ha cambiato più di quanto credessi».

 


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Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.

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Incontro con Aristotele

Giulio Einaudi Editore

Mario Vegetti e Francesco Ademollo,
Incontro con Aristotele. Quindici lezioni, Einaudi, 2016.

 

«Aristotele era certamente un pensatore sistematico, ma non nel senso che il suo intento principale fosse quello di produrre una compagine teorica totalizzante, chiusa e definitiva: si trattava piuttosto – secondo la definitizione di Ingemar Düring – di un filosofo Problemsystematiker, cioè impoegnato nello sforzo metodico di affrontare e risolvere i problemi posti dalla comprensione del mondo naturale e umano, e dalla costruzione dei relartivi saperi. Rispetto a questo lavoro sulle questioni della conoscenza, il sistema costituiva semmai un orizzonte tendenziale di unificazione. Ma è segno della grandezza intellettuale del filosofo il fatto che egli non trucchi mai le sue carte: i problemi irrisolti, o risolti solo in modo provvisorio e non del tutto soddisfacente, l’esigenza di ulteriori ricerche e precisazioni, vengono da lui spesso segnalati. […] La potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci […]».

 

 

 

Mario Vegetti e Francesco Ademollo, Incontro con Aristotele. Quindici lezioni, Einaudi, 2016, pp. VIII, IX.

Risvolto di copertina

Aristotele è stato il maggiore testimone di quell'appassionato desiderio di conoscenza che egli, nelle prime righe della Metafisica, riconosce come una tensione comune a tutti gli uomini, come un segno precipuo della loro umanità. Di fronte al suo immenso sforzo di soddisfare questo desiderio, per sé e per la tradizione cui apparteniamo, è difficile non provare quell'emozione che accompagna sempre l'incontro con le grandi esperienze dell'intelligenza umana, e, nel nostro caso, con l'imponenza di un'impresa del pensiero che si stenta a concepire come dovuta al lavoro di un solo uomo. Questo libro si propone di introdurre il lettore nel laboratorio intellettuale in cui questa impresa è stata realizzata. Il suo scopo è di condurre a una comprensione critica dell'edificio di pensiero costruito da Aristotele, nella sua complessità, nel suo senso d'insieme, e anche nelle questioni che esso lascia aperte. «Incontrare Aristotele» significa dunque disporsi a un ascolto non pregiudicato e non «scolastico» della sua lezione: una lezione che è ancora in grado di parlarci e di suscitare consenso o dissenso, di non lasciarci indifferenti di fronte a quello che è stato uno dei maggiori sforzi filosofici di comprensione del mondo che la nostra tradizione ci abbia trasmesso.

 

 

Immagine in evidenza:
Rembrandt Harmenszoon Van Rijn, Aristotele che contempla il busto di Omero.


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Bruno Bettelheim (1903-1990) – Una lettura della fiaba «I tre porcellini». Non dobbiamo ingannare noi stessi: la lotta sarà lunga e difficile, e inciderà su tutte le nostre energie morali e spirituali, se vogliamo non un “nuovo mondo” alla Huxely, ma un’epoca dominata dalla ragione e dall’umanità.

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«Non dobbiamo ingannare noi stessi:
la lotta sarà lunga e difficile,
e inciderà su tutte le nostre energie morali e spirituali,
se vogliamo non un "nuovo mondo" alla Huxely,
ma un'epoca dominata dalla ragione e dall'umanità».


B. Bettelheim, Il prezzo della vita.
La psicanalisi e i campi di concentramento nazisti, Bompiani, 1976, p. 266.
La fiaba «I tre porcellini», nella versione di Joseph Jacobs (1854–1916)
C'erano una volta tre porcellini che vivevano con i genitori. I tre porcellini crebbero così in fretta che la loro madre un giorno li chiamò e disse loro: "Siete troppo grandi per rimanere ancora qui. Andate a costruirvi la vostra casa". Prima di andarsene da casa li avvisò di non fare entrare il lupo in casa: "Vi prenderebbe per mangiarvi!" E così i tre porcellini se ne andarono. Presto la strada si divise in tre parti. Il Porcellino Grande spiegò che ognuno di loro avrebbe dovuto scegliere una direzione. Li avvisò del lupo e poi andò a sinistra. Il Porcellino Medio andò a destra e quello piccolo nella via centrale. Sulla sua strada il Porcellino Piccolo incontrò un uomo che portava della paglia. "Per piacere, dammi un po' di paglia!" disse "Voglio costruirmi una casa". In poco tempo costruì la sua casa e pensò di essere salvo dal lupo. La casa non era molto bella e nemmeno fatta bene ma a lui piaceva molto. Gli altri due porcellini se ne andarono assieme e presto incontrarono un uomo che portava della legna. "Costruirò la mia casa con il legno" disse il Porcellino Medio "Il legno è più resistente della paglia". Il Porcellino Medio lavorò duramente tutto il giorno per costruire la sua casa. "Adesso il lupo non mi prenderà e non mi mangerà" disse. Il Porcellino Grande camminò per conto suo. Presto incontrò un uomo che trasportava mattoni. "Per piacere, dammi un po' di mattoni" disse il Porcellino Grande "Voglio costruirmi una casa." Così l'uomo gli diede dei mattoni per costruire una bella casa. "Ora il lupo non potrà prendermi per mangiarmi" pensò. Il giorno dopo il lupo arrivò alla casetta di paglia: " Porcellino, porcellino, fammi entrare" gridò il lupo. Ma il Porcellino Piccolo sapeva che era il lupo e non lo lasciò entrare. Ma il Porcellino Piccolo sapeva che era il lupo e non lo lasciò entrare. Ma il lupo cominciò a sbuffare stizzito. E sbuffava e sbuffava e buttò giù la casetta del Porcellino Piccolo. Poi se lo mangiò in un baleno. Il giorno seguente il lupo andò a casa del Porcellino Medio e bussò alla sua porta. "Chi è?" chiese. "Tuo fratello" rispose il lupo. Ma il Porcellino Medio sapeva che non si trattava del fratello e non aprì al lupo. Così questi sbuffò stizzito e buttò giù la casa del Porcellino Medio. La casa di legno cadde e il lupo se lo mangiò. Il giorno dopo il lupo arrivò alla casa di mattoni e gridò: "Porcellino, Porcellino, fammi entrare!" Ma il Porcellino Grande rispose: "No, non ti farò entrare!" quando improvvisamente sentì bussare nuovamente alla porta. "Apri la porta e vedrai chi sono!" disse il lupo con una vocetta. Quindi il lupo cominciò a sbuffare e sbuffare ma non riuscì a buttare giù la casa. Il lupo era furibondo! Gridava: "Porcellino, Porcellino, scenderò per il camino e ti mangerò!" Il Porcellino era spaventato ma non rispose. Dentro casa c'era una grossa pentola sopra il fuoco del camino. L'acqua stava per bollire. Il lupo si calò dal camino. Siccome non c'era il coperchio sulla pentola il lupo vi ruzzolò dentro e finì nell'acqua bollente. E questa è la fine del lupo cattivo e la storia di tre piccoli porcellini.

Per diverse versioni dei Tre porcellini vedi Katherine M. Briggs (18981980), A Dictionary of British Folk Tales, 4 voll., Indiana University, Bloomington, 1970. La trattazione da parte di B. Bettheleim di questa fiaba si basa sulla sua più antica forma pubblicata nel libro di J. O. Halliwell (1820-1889), Nursery Rhymes ad Nursery Tales, London, 1843 circa. Soltanto in alcune delle più recenti versioni della storia i due porcellini più giovanbi sopravvivono, e questo priva la storia di gran parte del suo impatto.


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«La fiaba I tre porcellini insegna in forma molto divertente e drammatica al bambino […] che non dobbiamo essere pigri e prendercela comoda, perché altrimenti potremmo perire. L’intelligente programmazione e la previdenza unite al duro lavoro ci permetteranno di trionfare anche sul nostro più feroce nemico: il lupo! La storia mostra anche […] che il terzo porcellino, [è] quello più saggio, [ed] è solitamente presentato come […] il più anziano.
Le case che i tre porcellini costruiscono simboleggiano il progresso dell’uomo nella storia: prima una baracca e poi una casa di legno, e per finire una solida casa di mattoni. Internamente, le azioni dei porcellini rivelano un progresso dalla personalità […]. Il porcellino piu piccolo costruisce la sua casetta nel modo più sbrigativo, con della paglia; il secondo si serve di bastoni; entrambi tirano su i loro rifugi con la massima fretta e col minimo dispendio di energie, così da poter giocare per il resto della giornata. […] Il porcellino più piccolo cerca un’immediata gratificazione, senza darsi pensiero del futuro e dei pericoli della realtà, mentre il porcellino mediano dà prova di maggiore maturità cercando di costruire una casa un po’ più solida di quella del porcellino più piccolo.
Soltanto il terzo porcellino […] ha imparato ad agire in conformità col principio di realtà: egli […] agisce invece conformemente alla sua capacità di prevedere quello che può accadere nel futuro. È perfino in grado di prevedere correttamente il comportamento del lupo: il nemico […] che cerca di sedurci e di prenderei in trappola; perciò il terzo porcellino può sconfiggere potenze piu forti […] di lui. Il selvaggio e distruttivo lupo rappresenta tutte le forze asociali, inconsce e divoranti da cui l’individuo deve imparare a difendersi, e che egli può sconfiggere […].
I tre porcellini colpisce molto di più […] che non la favola di Esopo, affine ma apertamente moralista, La cicala e la formica. In questa favola una cicala, ridotta alla fame in inverno, supplica una formica di darle un po’ del cibo da lei faticosamente raccolto e immagazzinato
durante l’intera estate. La formica chiede alla cicala cosa fece durante l’estate. La cicala risponde che cantò senza mai lavorare, e la formica respinge la sua richiesta d’aiuto dicendole: “Visto che hai cantato per tutta l’estate, adesso che è inverno balla pure”.
Questa chiusa è tipica delle favole […]. La fiaba, al contrario, lascia a noi ogni decisione […]. Sta a noi applicare la fiaba alla nostra vita […].
Un raffronto fra I tre porcellini e La cicala e la formica accentua la differenza fra una fiaba e una favola. La cicala, similmente ai porcellini e al bambino stesso, è decisa a trastullarsi, senza preoccuparsi molto del futuro. In entrambe le storie il bambino s’identifica con gli animali (anche se solo un ipocrita saputello può identificarsi con la spietata formica, e soltanto un bambino malato di mente col lupo); ma secondo la favola, una volta che il bambino si è identificato con la cicala può abbandonare ogni speranza. La cicala votata al principio di piacere non può aspettarsi che la rovina; è una situazione senza altre alternative, in cui l’aver fatto una scelta una volta sistema le cose per sempre.
Ma l’identificazione coi tre porcellini della fiaba insegna che ci sono degli sviluppi […] La storia dei tre porcellini suggerisce una trasiormazione in cui è mante nuta una notevole misura di piacere, perché ora la soddisfazione è rIcercata con autentico rispetto per le esigenze della realtà. L’astuto e gaio terzo porcellino mette nel sacco il lupo parecchie volte […]. Al bambino, che dal principio alla fine della storia è stato invitato a identificarsi con uno dei protagonisti, non solo s’infonde speranza ma viene anche detto che sviluppando la propria intelligenza potrà sconfiggere anche un avversario molto piu forte.
Dato che secondo il senso di giustizia dei primitivi […] dei bambini soltanto chi ha compiuto qualcosa di veramente cattivo viene distrutto, la favola [La cicala e la formica] sembra insegnare che è sbagliato godersi la vita quando il tempo è propizio, come d’estate. Peggio ancora, in questa favola la formica è un animale cattivo, senza la minima compassione per le sofferenze della cicala: ed è questa la figura che si chiede al bambino di prendere ad esempio.
Il lupo, al contrario, è manifestamente un animale malvagio, perché vuole distruggere. La cattiveria del lupo è qualcosa che il bambino piccolo riconosce nel proprio intimo: il suo desiderio di divorare, e la sua conseguenza: l’angoscia di poter subire anche lui una sorte del genere. […] Quale miglior dimostrazione del valore dell’agire in base al principio di realtà […] frustrando i malvagi disegni del lupo? […] I tre porcellini è una fiaba perché ha un lieto fine, e perché il lupo riceve quanto si merita.
Mentre la concezione della giustizia del bambino è offesa dal fatto che la povera cicala deve morire di fame pur non avendo fatto niente di male, il suo senso di onestà è soddisfatto dalla punizione del lupo. Dato che i tre porcellini rappresentano vari stadi dello sviluppo dell’uomo, la scomparsa dei primi due non è traumatica; il bambino comprende
a livello subconscio che dobbiamo emanciparci da forme piu primitive di esistenza se vogliamo passare a forme superiori. Chi racconta a dei bambini piccoli la fiaba dei Tre porcellini trova soltanto che essi si rallegrano per la meritata punizione del lupo e la vittoria, ottenuta con l’astuzia, del porcellino piu anziano: essi non sono dispiaciuti per la sorte dei due piu piccoli. Anche un bambino piccolo sembra comprendere che tutti e tre sono in realtà uno solo e il medesimo a differenti stadi, come è suggerito dal fatto che rispondono al lupo esattamente con le stesse parole: “No, no, no, per le setole del mio groppone!” Se sopravviviamo soltanto nella forma piu elevata della nostra identità, è bene che sia cosi.
I tre porcellini indirizza i pensieri del bambino relativi al suo sviluppo senza dirgli neppure come dovrebbe essere, permettendogli di trarre le proprie conclusioni. Questo processo basta da solo per una vera maturazione, mentre dire al bambino cosa deve fare non fa che
sostituire alla schiavitù rappresentata dalla sua immaturità la subordinazione ai dettami degli adulti».

Il mondo incantato

Bruno Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicanalitici delle fiabe, Feltrinelli, 1978, pp. 44-47.

***

Immagine in evidenza:
Richard Dadd (1817-1886), The fairy feller’s master-stroke, Tate Gallery, London.


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Marcel Proust (1871-1922) – La lettura diventa perniciosa quando, al posto di risvegliarci alla vita dello spirito, tende a sostituirsi ad essa.

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Proust, Il piacere della lettura

«Fintanto che la lettura è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi dischiudono al fondo di noi stessi dimore in cui non saremmo stati in grado di penetrare, il ruolo che essa svolge nella nostra vita è salutare. Diventa invece pernicioso quando, al posto di risvegliarci alla vita personale dello spirito, tende a sostituirsi ad essa, quando la verità non ci appare più come un ideale che possiamo realizzare solo tramite l’intimo progresso del nostro pensiero e lo slancio del nostro cuore, ma come qualcosa di materiale, depositato nelle pagine dei libri come un miele già distillato da altri, che dobbiamo solo prenderci la briga di attingere sugli scaffali delle biblioteche per poi degustarlo passivamente, in perfetto riposo di corpo e spirito».

 Marcel Proust, Il piacere della lettura, Feltrinelli, 2016, pp. 46-47.

 

Risvolto di copertina
Nel 1906 esce in Francia la traduzione proustiana di Sesamo e gigli di John Ruskin, accompagnata da una prefazione - Sulla lettura - nella quale Proust, prendendo le distanze dalle teorie del critico inglese, rende presente la sua idea di lettura, offrendoci un primo assaggio di quel peculiare stile di scrittura che troverà la sua massima espressione nella Recherche. Queste pagine, tra le più affascinanti che siano state dedicate all'attività di leggere, sono presentate insieme a un articolo, Giornate di lettura, pubblicato su "Le Figaro", dove - a dispetto del titolo - è un altro il magico oggetto in grado di evocare presenze e atmosfere assenti, il telefono, dispositivo all'epoca ancora estremamente raro e d'élite. È un piccolo esempio di scrittura mondana e d'occasione, un divertissement nel quale, tuttavia, traluce la capacità affabulatoria, ironica e ammaliante del primo Proust. Prefazione di Emanuele Trevi.

 

Marcel Proust – La lettura ci insegna ad accrescere il valore della vita

Marcel Proust – «Ogni lettore, quando legge, legge se stesso»

Marcel Proust (1871-1922) – Il libro essenziale esiste già in ciascuno di noi

Marcel Proust (1871-1922) – Leggere è comunicare

 


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Emily Dickinson (1830-1866) – Distilla un senso sorprendente da ordinari significati

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Dickinson, Poesie

Fu questo un poeta – colui che distilla
Un senso sorprendente da ordinari
Significati, essenze così immense
Da specie familiari.

Morte alla nostra porta
Che stupore ci assale
Perché non fummo noi
A fermarle per primi.

Rivelatore d’immagini,
È lui, il Poeta,
A condannarci per contrasto
Ad una illimitata povertà.

Della sua parte ignaro,
Tanto che il furto non lo turberebbe,
È per se stesso un tesoro
Inviolabile al tempo.

                                          Emily Dickinson

 

 

Dickinson, Mondadori

 


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Marwan Barghouti – «L’ultimo giorno dell’occupazione sarà il primo giorno della pace». – Onore, Rispetto e Libertà per Marwan Barghouti, prigioniero da 14 anni di Israele

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Onore, Rispetto

e Libertà

per

Marwan Barghouti

prigioniero da 14 anni di Israele

 

Libertà per i palestinesi prigionieri politici di Israele

Libertà per il popolo palestinese

 



Oggi, 6 giugno 2016, un grande combattente per la causa palestinese, Marwan Barghouti, compie 57 anni. È sequestrato nelle carceri degli occupanti israeliani proprio in quanto dirigente della opposizione alla Conquista della Palestina perpetrata da Israele, e con lui sono prigionieri moltissimi altri militanti palestinesi. Vogliamo ricordarlo, e ricordarli, in questo giorno, rinnovando il nostro impegno con cui da quasi cinquanta anni cerchiamo di essere vicini alla legittima lotta del popolo palestinese.

Giancarlo Paciello e Carmine Fiorillo



«Mi sono unito alla lotta per l’indipendenza palestinese 40 anni fa e sono stato imprigionato per la prima volta a 15 anni. Questo non mi ha impedito di adoperarmi per una pace basata sulla legge internazionale e sulle risoluzioni dell’Onu. Ma ho visto Israele, la potenza occupante, distruggere metodicamente questa prospettiva un anno dopo l’altro. Ho trascorso 20 anni della mia vita, tra cui gli ultimi 13, nelle prigioni di Israele e tutti questi anni mi hanno reso ancora più convinto di questa immutabile verità: l’ultimo giorno dell’occupazione sarà il primo giorno della pace. Coloro che cercano quest’ultima devono agire, e agire subito, perché si realizzi la prima condizione».

Marwan Barghouti, da il manifesto, 12-10-2015: Il «Mandela palestinese» accusa

 


Barghouti

Il testo che segue rappresenta il capitolo “Il giudizio e la condanna” pp. 55-74 del libro Barghouti il Mandela palestinese di Paolo Barbieri e Maurizio Musolino, DATANEWS Editrice, Roma 2005

Risvolto di copertina

l testo parla della figura politica di Maruan Barghouti, membro del Consiglio legislativo palestinese e segretario di Al-Fatah per la Cisgiordania. Imprigionato nel 1978, per sette anni, nelle carceri israeliane, nel 1987 è stato costretto a lasciare la Palestina per la Giordania e vi è tornato solo nel 1994 dopo gli accordi di Oslo. Il 15 aprile 2002 è stato rapito a Ramallah dall’esercito israeliano e sottoposto a processo per terrorismo e altri gravi crimini; nel 2004 è stato condannato all’ergastolo. Dopo la morte di Arafat, Barghouti rappresenta il possibile leader alla guida della Palestina, soprattutto in seguito alla sua inaspettata candidatura alle presidenza dell’Anp in aperta sfida a Abu Mazen.


 

Marwan Hassib Hussein Barghouti nasce il 6 giugno 1959 a Kobar, un villaggio poco a nord di Ramallah, in Cisgiordania. E il terzo di sei fratelli. I primi anni della sua vita Marwan li trascorre in un lembo di terra amministrato dal regno giordano e in questo contesto inizia a frequentare la scuola primaria. La sua è una delle famiglie più influenti e conosciute dell’area (un Barghouti fu tra i fondatori del Partito comunista palestinese, un Barghouti, Mustafa per la precisione, è stato il principale antagonista di Abu Mazen alle elezioni presidenziali del gennaio 2005; Hafez Barghouti è uno dei giornalisti più affermati nel Medio Oriente; Mourid Barghouti è un apprezzato poeta; e sempre una Barghouti, Fathiya, è una delle poche donne elette “sindaco” nelle elezioni amministrative del dicembre 2004 in Palestina: l’elenco potrebbe continuare a lungo, anche se non tutti i Barghouti più noti sono direttamente imparentati con Marwan) e la sua prima infanzia si svolge in modo abbastanza sereno. Ma questa tranquillità non durerà a lungo. Finirà il 6 giugno 1967, proprio il giorno in cui il giovane Marwan festeggia il suo ottavo compleanno. Quel 6 giugno le truppe israeliane lanciano la Guerra dei Sei giorni, occupano quel che resta del territorio della Palestina originariamente affidata al mandato inglese, invadono il Sinai egiziano e il Golan siriano.

 

Il prigioniero politico

Marwan Barghouti é un uomo piccolo, tarchiato, non ha l’aria solenne del leader ma l’aspetto, si direbbe, di un uomo qualunque. A prima vista potrebbe essere un avvocato di provincia, ma le misure di sicurezza e la tensione che si respira nell’aula della Corte distrettuale di Tel Aviv, tradiscono la verità: è un imputato e non un imputato qualunque. Manette ai polsi, le mani alzate simbolo del suo rifiuto di arrendersi, «la pace sarà raggiunta – grida da dietro le sbarre in arabo, inglese ed ebraico – solo con la fine dell’occupazione». È il 14 agosto del 2002, è il giorno della formalizzazione delle accuse nel processo per terrorismo a carico del segretario generale di al Fatah, il movimento nazionalista anima storica della lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese.

Quando è apparso chiaro che l’Intifada non si sarebbe fermata nonostante le rappresaglie indiscriminate, i bombardamenti sui civili, i rastrellamenti, le punizioni collettive, il governo israeliano ha deciso di prenderlo di mira, come massimo responsabile della rivolta. Per ben tre volte le truppe israeliane compiono provocatorie, sprezzanti intimidazioni occupando militarmente la sua casa nel paese natale di Kobar, nei pressi di Ramallah: nel dicembre del 2001, a gennaio e a fine marzo del 2002, l’ultima volta prendendo in ostaggio («arrestando», nel gergo ufficiale) sua moglie e i suoi figli. Il 14 aprile del 2002, finalmente lo trovano in casa di Ziad Abu ‘Eyn, un vecchio compagno di lotta, accusato di un attentato vent’anni prima e quindi schedato dagli israeliani come «terrorista». Accade ancora una volta a Ramallah.

Sono passati quattro mesi dal suo arresto, quando il procuratore dello Stato Devorah Chen legge i capi d’imputazione a suo carico. Quattro mesi in cui ha avuto pochissimi contatti con l’esterno, e, secondo una prassi purtroppo consolidata, è stato praticamente sempre a disposizione degli agenti dei servizi segreti di Tel Aviv. «Marwan – racconta Fadwa, la moglie – ha sofferto 100 giorni successivi di interrogatori intensi e di torture impietose da parte dei suoi carcerieri israeliani. Durante gli interrogatori, hanno usato vari mezzi di crudeltà fisici e psicologici. Lo hanno privato del sonno e gli hanno inflitto un tipo di tortura chiamato shabeh. Ciò vuol dire che è stato costretto a sedere su una sedia bassa con le mani dietro la schiena per lunghe ore». Ma quando prende la parola durante le udienze del procedimento voluto fortemente dal governo Sharon, con la sua requisitoria contro la politica israeliana Barghouti ribalta la scena, rimette al centro del processo la storia, la politica, la rivolta palestinese e le sue ragioni ormai antiche. [Leggi tutto nelle dieci pagine in formato PDF]

Onore, Rispetto e Libertà per Marwan Barghouti,
prigioniero da 14 anni di Israele

 

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