Antonio Tabucchi (1943 − 2012) – Piacerebbe a certi poeti, ma non è un luogo, è un buco: intendo nella rete. C’è una rete nella quale pare sia ormai impossibile non essere catturati, ed è una rete a strascico. In questa rete io insisto a cercare buchi.

Antonio Tabucchi 01

«Come piacerebbe questo luogo a certi poeti […].
Mi è perfino venuto da pensare che quest’isola non esista, e di averla trovata solo perché la stavo immaginando.
Non è un luogo, è un buco: intendo nella rete.
C’è una rete nella quale pare sia ormai impossibile non essere catturati, ed è una rete a strascico.
In questa rete io insisto a cercare buchi».

Antonio Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi,  Feltrinelli, Milano 2001, p. 13.

Politeia . Castelli Romani – 1871. La Comune di Parigi e «L’insorto» di Jules Vallès. Sabato, 22 maggio 2021, ore 17,0.

Jules Vallès- Politeia

Sabato, 22 maggio 2021, ore 17,0.

Per collegarsi:

https://join.skype.com/acNNTCKTot8g

Jules Vallès

L’insorto.

Introduzione, traduzione e cura di Fernanda Mazzoli.

ISBN 978-88-7588-207-5, 2019, pp. 320, Euro 27.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – il titanismo femminista della maternità di Naomi Campbell simboleggia il trionfo della tecnica (Gestell) come ir-razionalità calcolante.

Naomi Campbell mamma!

Nell’annuncio sui social non ha specificato il nome o quando è nata la bambina. La supermodella in passato aveva parlato a lungo sul suo desiderio di diventare mamma: nel 2014 aveva confidato alla stilista Diane von Furstenberg che “pensava tutto il tempo di avere bambini, a prescindere dell’essere o non essere in una relazione con un partner. Aveva poi detto tre anni dopo alla rivista dell'”Evening Standard” che “grazie alla scienza, pensava ora di poterlo fare quando avrebbe voluto“. (ANSA).


Salvatore Bravo

il titanismo femminista della maternità di Naomi Campbell
simboleggia il trionfo della tecnica (Gestell) come ir-razionalità calcolante


Naomi Campbell è diventata madre a 51 anni. L’annuncio sui social: i media esaltano la scelta di essere madre nella maturità e la discrezione con cui la modella ha curato la nascita “che annunciano”. Nessuna riflessione è stata svolta, non contro la persona, ma su una tendenza ormai consolidata e sempre sostenuta dal neo-femminismo liberale. La maternità in età avanzata è esaltata come una nuova conquista, un nuovo diritto del neoliberismo alleato con le tecnologie. Si occultano i dati essenziali. La maternità senza padre avvenuta molto probabilmente con le tecniche di riproduzione, in questo caso, è il segno di un nuovo individualismo, mai apparso nella storia umana, in cui la nascita appartiene all’individuo e non alla coppia. Si nega la natura duale della nascita in nome di un diritto che ha il sapore di altro. Il diritto è della sola madre, il figlio non ha diritto ad un padre e ad una madre, ma nasce nel taglio di un desiderio solitario consolidato dal potere economico e dal successo. Il destino del figlio è consegnato alla classe sociale del desiderante. L’età avanzata espone la madre, in questo caso, al rischio potenziale di non poter accudire per motivi di salute il figlio in futuro, ma a tale contingenza compensa la ricchezza della stessa. La possibilità di vivere la seconda giovinezza in un’età in cui le persone comuni già si orientano verso la vecchiaia, pensando alla futura pensione e a quello che sarà, denota l’appartenenza della modella ad un mondo di dèi e dee irraggiungibili. I media occultano, dunque, la verità di fondo che la maternità avanzata è “diritto” per censo e non altro. Le altre donne, invece, hanno un tasso di natalità basso per la precarietà lavorativa e per la violenza della cultura individualista imperante: sono spinte alla carriera, che spesso presuppone uno sfruttamento legalizzato, la speranza di un lavoro stabile e di un avanzamento comportano con gli anni la rinuncia alla generazione, ad una vita affettiva e comunitaria. Lo stesso modello di vita diventa a seconda del censo privilegio per alcune e per altre/altri semplice rinuncia che si rivela con gli anni ad una vita indegna di essere vissuta: naufragano in un mondo di cose e di illusioni e la libertà da tutto e da tutti si rivela essere solo disincanto. La violenza di tale condizione è taciuta dai media come dalle donne, le quali diventano più realiste del re, difendono il sogno titanico di una libertà senza limite e progetti, in tal modo devengono, loro malgrado, le crociate di un potere che le vuole suddite e silenziose. Le violenze peggiori sono quelle subite senza consapevolezza. La maternità di Naomi Campbell, inoltre, simboleggia il trionfo della tecnica (Gestell) come ir-razionalità calcolante: un figlio a fine carriera, quando non può essere di impaccio alla stessa. Il calcolo razionale stabilisce obiettivi e tempi in base a finalità soggettive. Il nuovo modello rampante del neo-femminismo anglosassone è organico al liberismo; ogni azione è finalizzata ad un risultato, non ci sono sorprese, la vita dev’essere dominata in base ai programmi personali, non c’è spazio per gli uomini, e la vita di coppia. Il nuovo nucleo sociale di base è la donna che si autoriproduce in solitudine, se il censo lo permette, e consegna la nascita ai media per un altro successo, per una nuova visibilità organizzata ad arte (si pensi all’immagine dell’annuncio). La violenza del neoliberismo va colta non solo nelle sue contraddizioni sociali, ma anche nella concretezza della vita quotidiana, negli episodi apparentemente minori, ma che rilevano la verità di un sistema censitario e violento che ha dissolto ogni limite e razionalità oggettiva in nome del diritto che si ribalta in titanico capriccio. Non una parola da parte dei media e delle donne sugli uomini e le donne costretti a rinunciare alla maternità e alla paternità ed indotti a vivere in una realtà di violenza, in cui il diritto a tutto è solo privilegio per pochi e tristezza quotidiana per tutti. Il transumanesimo si realizza a piccoli passi, dietro le nascite tardive vi è anche il desiderio di dirigere la natura ed i ritmi biologici verso finalità soggettive: si profila un’età di esseri che possono tutto e troppo e di servi (la maggioranza) che devono imparare a rinunciare. La sussunzione è la verità del capitalismo liberista che fa fatica ad emergere nella consapevolezza collettiva in metamorfosi verso nuove forme di antiumanesimo.

Salvatore Bravo

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Roberto Calasso – Se c’era a Venezia un luogo da cui traspariva una felicità tutta nuova era la bottega di Aldo Manuzio che chiedeva soltanto di poter «pubblicare buoni libri»: “festina lente”.

Calasso Roberto - Aldo Manuzio -bonis libris

edendis bonis libris

festina lente


«No disturbeme che per cosse utili»: questa scritta si leggeva nella bottega di Aldo Manuzio a Venezia, sestiere di San Polo, verso campo Sant’Agostin, vicino al panettiere. Secondo Martin Lowry, che indagò anche quanto sopravvive dei conti di Manuzio, quella bottega era «una mescolanza, oggi quasi incredibile, di brutale officina, pensione e istituto di ricerca». Vi circolava una trentina di persone, fra lavoranti, servitù, familiari e ospiti.


Un giorno dei 1508 Erasmo da Rotterdam stava seduto in un angolo della stamperia e scriveva gli Adagia, ricorrendo soltanto alla sua memoria, e foglio per foglio li passava al proto perché li componesse. In un altro angolo Aldo leggeva e rileggeva bozze che erano già state lette e rilette da altri.
Se qualcuno glielo faceva osservare, rispondeva: «Sto studiando». Questa era la vita di ogni giorno.


«Da quando ho intrapreso l’estenuante mestiere dello stampatore, ormai sei anni or sono, posso giurarvi che non ho avuto un’ora di ininterrotto riposo» scrisse Aldo una volta. Ma non solo per lui la vita era dura. Secondo Erasmo, i lavoranti della tipografia disponevano di una mezz’ora al giorno per rifocillarsi. Non meraviglia che vi fossero turbolenze e Aldo deplorò che per quattro volte i suoi lavoranti avessero «complottato contro di me a casa mia, aizzati dalla madre di tutti i mali, l’Avidità: ma con l’aiuto di Dio li ho distrutti a un punto tale che ora si rammaricano a fondo per il loro tradimento». Eppure, se c’è un luogo da cui traspariva una felicità tutta nuova era quella bottega.


Incisione di Theodor de Bry (1528-1598), da Bibliotheca chalcographica di Jean-Jacques Boissard – 1669

Aldo fu colui che trasformò per primo lo stampatore in editore, aggiungendo un’incognita minuscola o enorme all’equazione di un mestiere che era stato inventato quattro decenni prima. E questo avvenne grazie a una sorta di devozione alle cose utili. Aldo divenne editore a quarant’anni. Sino allora era stato precettore in case nobili e potenti. E avrebbe potuto facilmente diventare uno dei vari cattedratici dell’epoca, con un suo codazzo di allievi e di vanità. Ma evidentemente gli balenò qualcos’altro, ben più rischioso, ben più urgente e ben più attraente: dare forma a certi libri, soprattutto greci, a partire dalle grammatiche. Di questo si sentiva un bisogno quasi fisico, a Venezia, dove affluivano continuamente esuli e manoscritti, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453. E Venezia, allora, era un compendio del mondo. O altrimenti, per Aldo, «un’altra Atene». Nel frattempo Aldo chiedeva soltanto di essere lasciato tranquillo per poter «pubblicare buoni libri », edendis bonis libris.

Roberto Calasso, Come ordinare una biblioteca, Adelphi, Milano 2020, pp. 49-51.


Aldo Manuzio (1449-1515) – Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita all’utile dell’umanità. Questo vogliamo giorno dopo giorno sempre di più, finché vivremo.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.


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Massimo Bontempelli (1946-2011) – Di lui Salvatore Bravo propone lo studio di «Filosofia e realtà». Ripensare la metafisica come percorso per ritornare alla realtà, “sinolo dinamico di esistenza e sostanza”: la sostanza non vive fuori della storia, ma si svela nel visibile empirico dando ad esso senso e concretezza.

Massimo Bontempelli - Salvatore Bravo

Massimo Bontempelli

Filosofia e Realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo. IIa Edizione.

ISBN 978–88–7588-301-0, 2020, pp. 288, Euro 25

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Salvatore Bravo

Ripensare la metafisica come percorso per ritornare alla realtà
“sinolo dinamico di esistenza e sostanza”:
la sostanza non vive fuori della storia, ma si svela nel visibile empirico dando ad esso senso e concretezza.

Storia e concetto
La contemporaneità è regressiva, perché manca di pensiero autoriflettente. L’espulsione della metafisica e di ogni prospettiva teoretica è la verità dei nostri giorni. È in atto un processo di conservazione del sistema mediante l’inoculazione di automatismi che sostituiscono il tempo del pensiero. I processi di derealizzazione si consolidano con il tempo dell’immediatezza. Il soggetto rispecchia la rappresentazione senza mediarne il concetto. Il semplice rispecchiamento produce vite anonime: il soggetto riproduce l’immediatezza e dispone le “datità empiriche” nel tempo semplice e lineare della successione, le accoglie con “spontaneità”, abdica, così, alla sua attività razionale. In tal modo ogni pensiero critico e divergente tace, al suo posto vige l’irrealtà, in quanto l’esistenza del dato senza l’essenza lo riduce ad accadimento instabile che viene dal nulla per ritornare nel nulla. L’instabilità nichilistica non consente ai dati di configurarsi nella forma stabile dell’esperienza consapevole. Senza esperienza mediata dalla ragione e dal concetto il movimento della storia è annichilito. Vi è un parallelismo di relazione tra movimento della storia e movimento teoretico del pensiero. La storia accade, devia dal suo percorso solo se il concetto con i suoi processi di astrazione è patrimonio comune della comunità. Se c’è il concetto che attraverso il movimento astrae l’essenza (il negativo) ritornando a se stesso non vi può che essere la storia in atto. La storia divergente e progettuale non è che un’evoluzione che porta verso la realtà. Il concetto è la storia che diviene concreta realizzazione dell’umanizzazione dell’essere umano. Massimo Bontempelli[1] storico e filosofo nel suo commento alla Scienza della logica di Hegel evidenzia la necessità di ripensare la metafisica come percorso per ritornare alla realtà “sinolo dinamico di esistenza e sostanza”: la sostanza non vive fuori della storia, ma si svela nel visibile empirico dando ad esso senso e concretezza:

“L’esistenza reale è quell’esistenza che, passando nell’essenza, non perde il proprio essere, ma attraverso essa vi ritorna[2]”.

Con processo di astrazione il soggetto è strappato dagli automatismi per essere soggetto e non oggetto del reale storico. Ci si umanizza in tale gesto della mente, poiché l’essere umano non è semplice ente tra gli enti, ma attività concettualizzante che dispone il soggetto ad essere attore responsabile della storia. Il concetto è il negativo, perché non coincide con il dato, ma lo inserisce con l’invisibilità dell’astrazione all’interno di una complessità capace di decodificare il dato. Senza la decodifica teoretica il dato storico è ossificato nel presente, è paragonabile ad un dato naturale su cui non si ha margine d’intervento. Il negativo riporta l’esistenza alla sua essenza fondando il concetto:

“L’esistenza ha piena intellegibilità razionale in quanto ha realtà razionale, ed ha realtà soltanto in quanto è in unità con l’essenza, ed ha realtà soltanto in quanto è in unità con l’essenza, ossia in quanto la negatività che dissolve il suo essere, cioè appunto l’essenza, la riporta nondimeno al suo essere.

Ma come è possibile questo? Come può l’essenza, che nella terminologia hegeliana è la negatività che dissolve ogni positiva determinazione, riducendola a non poter essere ciò che è e ad apparire soltanto quale labile parvenza, trovarsi unita all’esistenza, riconsegnandole la positività dell’essere?[3]”.

La ragione teoretica unisce, è totalità storica pensante, ovvero l’esistenza trova la sua ragion d’essere nell’unità con la sostanza- realtà, non è scissione, frammento che si impone nella disintegrazione della totalità, ma unità del concetto capace di riconfigurare il tessuto storico, identificandolo nella sua verità. È un atto di significazione intenzionale dinamico nel quale emerge la verità dell’essere umano come agente del pensiero senza il quale è consegnato all’entificazione, all’automatismo che si estende in una coazione a ripetere senza limiti e nel contempo rivela la verità storica di cui è partecipe senza esserne assimilato:

“La loro verità sta nella realtà che le unisce, e che, rendendole entrambe reali nella loro unità, le trasforma entrambe. L’essenza inconfigurata, diventata reale, preserva le configurazioni dell’esistenza, e il suo sussistere indeterminato ne fa sussistere le molteplici determinazioni. L’esistenza, diventa reale, non si vede più togliere dall’essenza stabilità e permanenza, perché l’essenza viene ad identificarsi con la sua positività[4]”.

Irreale è la separazione, la divisione che spinge l’essere umano ad essere oggetto dell’immediato e determinato dalla sola logica del fabbricare che agisce sulla parte funzionale alla produzione oscurando la totalità con le sue relazioni interne. L’attività diviene esecuzione motoria, nel silenzio del concetto.

 

Fondamento e maieutica del ritorno
La prassi storica si rende visibile nella contingenza, ma ha la sua origine nella mediazione razionale del soggetto. Il fondamento (der Grund) non è fissa positività, ma atto riflessivo, su cui il pensiero può ritornare una pluralità di volte per far emergere fortemente il reale-razionale. La positività empirica è povertà del pensiero, depotenziamento esistenziale, poiché cade nel rispecchiamento automatico senza autoriflessione. Il fondamento ha la stabilità del concetto su cui si può agire, è attività maieutica, poiché il concetto non è verità definitiva, ma maieutica del ritorno, profondità della riflessione senza la quale l’essere umano è consegnato alla tragedia dell’irriflesso:

“Hegel, invece, concettualizzando il fondamento come categoria dell’essenza, vale a dire della negatività intrinseca all’essere, lo pensa come un movimento negativo, non come una positiva fissità, come un’astrazione, non come un sostegno concreto simile ad un suolo, ad un pavimento[5]”.

L’avanzamento dialettico è il percorso verso la realtà, è il filo d’Arianna senza il quale il soggetto è nel mondo senza riconoscerlo, si estranea per alienarsi nel mito crematistico e dell’ esteriorità senza concetto:

“La sostanza si rende presente nell’esistenza solo dopo un lungo avanzamento dialettico nella considerazione dell’esistenza stessa, quando essa è pensata come aderente al funzionamento di un mondo, e nello stesso tempo, come mantenente il suo essere nel suo venire coinvolta in tale funzionamento. Se è pensata fuori da qualsiasi mondo, l’esistenza non può avere alcuna sostanza, perché fuori di essa, senza mondo, non ci sono che alterità destrutturate, in cui il suo essere si perde[6]”.

La Scienza della Logica non è un semplice strumento, ma è la verità profonda dell’umanità, il logos che ricompone la struttura della realtà e crea il mondo con la dialettica. Senza la ragione metafisica il mondo resta muto, è solo lo scorrere delle rappresentazioni, ma l’umano è assente, perché è solo lo spettatore di un gioco deciso da altri. La denuncia dei processi di derealizzazione sono il sintomo che l’umanità sopravvive, malgrado l’avanzare del deserto, in un climax sempre più evidente ed ascendente: tanto più il deserto avanza tanto più è necessario riportare il pensiero alla sua condizione ontologica. La denuncia, a volte solitaria, trascende il tempo dell’immediato per offrirsi alla comunità. La filosofia necessita di eroi nel tempo della tecnica, Massimo Bontempelli lo è stato.
La “cultura intensiva” della tecnica avanza, poiché non trova l’opposizione della ragione metafisica e dialettica dalla quale scaturisce l’esigenza di un nuovo ordine etico contro l’anarchia dei tecno-mercati. Il mercato e la tecnica sono gli elementi passivi che limitano l’esplicarsi della libertà dell’essere umano. Libertà, per Hegel, ci rammenta Massimo Bontempelli è azione reciproca[7] tra sostanze umane, il “bene” presuppone il logos e l’astrazione per cogliere le trame di significato che intercorrono tra i segmenti del sapere. Il fare poietico non può sostituire la conoscenza ed il bene. La conoscenza non è manipolazione, ma riflessione sul valore dell’agire e ciò non può che concretizzarsi mediante il pensiero logico e dialettico. Nell’azione reciproca si genera la libertà che si materializza nella storia e nelle istituzioni nella forma del bene (universale). La libertà è l’interrogarsi comunitario per ritrovare i nessi che ricostruiscono il testo del mondo. Realtà e razionalità sono un sinolo che trascendono il pericolo della passività e dell’alienazione estraniante:

“Sono un soggetto libero, perché sono capace di sottrarmi alla passività dell’immediatezza della mia singolarità, scegliendo fuori di me stesso il mio essere[8]”.

 La passione etica di Massimo Bontempelli per la logica hegeliana è stata prassi e giudizio critico verso la tirannia dei mercati e del potere che trasformano la libertà in acquisizione violenta e proprietaria. Ha pagato e, paga ancora, il suo impegno per il fondamento veritativo con il silenzio dell’azienda della cultura. Il suo impegno continua carsicamente a vivere e a germogliare. Il filosofo pisano aveva la chiarezza del nemico, ed anche tale lucidità può essere un’indicazione da cui riprendere il cammino interrotto della storia:

“Ebbene: la storia umana è ormai occupata da qualcosa di simile ad un esercito che è nemico del suo carattere umano. Questo esercito è il meccanismo economico autoreferenziale. Esso è volto a sterminare ogni aspetto del genere umano ancora radicato nella sua autentica realtà. L’artiglieria di cui si avvale è la pura accumulazione quantitativa di valore di scambio, che depaupera l’uomo della sua realtà[9]”.

L’esercito d’occupazione è la categoria della quantità e della dismisura che occupano le menti ed offuscano il pensiero, contro gli invasori siamo chiamati a testimoniare l’emancipazione dall’economicismo in nome di un umanesimo dell’impegno.

Salvatore Bravo

***

[1] Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio 1946 –Pisa, 31 luglio 2011) .

[2] Massimo Bontempelli, Filosofia e realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo, Petite Plaisance Pistoia 2000, nuova ed. 2020, p. 70.

[3] Ibidem, p. 71.

[4] Ibidem, pp. 72 -73.

[5] Ibidem, p. 73.

[6] Ibidem, p. 114.

[7] Ibidem, p.157.

[8] Ibidem, p. 159.

[9] Ibidem, pp. 242-243.


Massimo Bontempelli – IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA
Massimo Bontempelli (1946-2011) – Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?
Massimo Bontempelli – La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana.
Massimo Bontempelli – In cammino verso la realtà. La realtà non è la semplice esistenza, ma è l’esistenza che si inscrive nelle condizioni dell’azione reciproca tra gli esseri umani, diventando così sostanza possibile del loro mutuo riconoscimento.
Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’EPILOGO DELLA RAZIONALIZZAZIONE IRRAZIONALE: demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, e perdita della conoscenza del bene e del male. L’universalizzazione delle relazioni tecniche ha plasmato la razionalizzazione irrazionale, razionalità che non ha scopi, che è cioè irrazionale.
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’unico luogo in cui è possibile custodire la memoria del passato è la progettazione del futuro, così come l’unico modo per progettare un futuro ricco di essere è quello di costruirne il progetto con le memorie del passato.
Massimo Bontempelli (1946-2011) – C’è un filo teoretico nichilistico che unisce Heidegger, Galimberti e Severino: l’oscuramento del capitalismo nello scenario della tecnica. Per Galimberti non c’è varco pensabile nell’orizzonte dell’epoca presente ed offre solo una filosofia dell’impotenza e dell’adattamento.
 
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’uomo, proprio perché elevato al di sopra della vita meramente biologica da una divina capacità di conoscenza, deve mantenere tale elevazione con il distacco dall’immediatezza vitale che è costituito dalla coscienza della certezza della morte. Sapere il bene e il male e sapere la morte sono due lati indisgiungibili di una stessa realtà, che non è né animale né divina, ma specificamente umana.
Massimo Bontempelli – Gesù di Nazareth, uomo nella storia, Dio nel pensiero, ci ha dato la simultanea figurazione metastorica della forza creatrice dell’amore, del valore universale dell’individualità, della priorità assiologica della giustizia, del principio della speranza, che sono, filosoficamente parlando, le dimensioni di esistenza della libertà, e le articolazioni concettuali della verità logico-ontologica.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Claudia Baracchi – Non va ridotto a sintomo il bisogno di raccoglimento, di riflessione, che è risposta in qualche modo ribelle al regime dell’apparire. La libertà è essenzialmente categoria dello spirito.

Claudia Baracchi - Paura della normalità

« […] non paura del virus, bensì del mondo costruito, del mondo civile. È il mondo umano che fa paura. Non più il terrore della natura matrigna, conro la quale da sempre le civiltà offrono riparo, bensì il rovesciamento di una prospettiva millenaria, ovvero un terrore – o, se volete, un’avversione – per quello che gli umani fanno, per quello che il mondo è diventato, per mano loro.
Non va ridotto a sintomo il bisogno di questo raccoglimento, il bisogno di riflessione, di un respiro più ampio, di un modo diverso di sentirsi insieme. Non si tratta di una mera strategia di evitamento, di un rifiuto problematico della relazione.

Penso che si tratti anche di una risposta in qualche modo ribelle al regime dell’apparire, un tentativo di riequilibrare il rapporto, decisamente disequilibrato, tra estraflessione e introflessione. Tentativo di compensare il vuoto della posa e dell’immagine attraverso l’invisibile, attraverso il ritiro

[…] vorrei inoltre ricordare che la libertà è essenzialmente categoria dello spirito […] e concludere leggendo alcune righe scritte da Henry David Thoreau nel suo libro Civil Disobedience, pubblicato nel 1849 […]».

Claudia Baracchi, La paura della normalità, Youtube, 27 maggio 2020.

Claudia Baracchi, La paura della normalità, Youtube, 27 maggio 2020.

Claudia Baracchi

Filosofia antica e vita effimera

Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche

ISBN 978-88-7588-245-7, 2020, pp. 112.

indicepresentazioneautoresintesi

I testi qui raccolti ripercorrono due seminari residenziali in cui confluivano studi di filosofia antica e un’insolita composizione di temi: il rapporto tra greco e non greco, e le peripezie del pen­siero tra il Mediterraneo degli Elleni, il Levante, l’Egitto, in onde migratorie che saranno costitutive dell’Europa; il rapporto tra filosofia e vita, soprattutto la vita sofferente, quale è variamente ma senza eccezioni la vita mortale, esposta e vulnerabile a ogni rovescio; il rapporto tra l’esercizio della ragione e ciò che la ec­cede, si chiami natura, dio, intelletto o in altro modo; al limite, il rapporto tra theoria e praxis. Volgersi al passato in una modalità interrogativa significa soprattutto ricalibrare la nostra domanda su noi stessi, chiederci come siamo diventati quello che siamo, attraverso quali vicende, ma anche e soprattutto attraverso quali dimenticanze, quali sparizioni, quali discontinuità e ricadute nella latenza. Vale a dire: come siamo giunti qui dove ci troviamo, per quali percorsi consapevoli, ma anche inconsci e bui – giacché il passato (tanto individuale quanto collettivo) è saturo di ciò che, di esso, non è stato ancora mai visto e deve ancora accadere.

 


Indice

Introduzione. Teoresi delle farfalle

Primo incontro: seminario d’autunno
Heidegger: la fine e l’inizio
Esercitare la vita

 

Secondo incontro: laboratorio di primavera
Aristotele, i poeti, Eros rilucente
Aristotele, gli antichi, gli dèi
Spazio, tempo, contraddizione

 

Immagini sulla soglia di Platone
L’albero
Il fuoco
Il rasoio e i cavalli

 

Il guerriero e la morte
Compito del guerriero
Il mito del guerriero

Riferimenti bibliografici

Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.
Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.
Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.


Claudia Baracchi, Diventare madre – YouTube


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Claudia Baracchi …


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Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

«Uomini e donne».

Platone, Apologia di Socrate, 41b-c.

L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma.
Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte che contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva

« […] la concezione antica dell’anthropos mostra che non c’è contraddizione, né incompatibilità, tra il mio interesse e quello degli altri […]. Per l’umano così inteso, l’amicizia è il fondamento di ogni registro e variazione relazionale. È il luogo in cui il singolo si realizza e in cui può darsi la solidarietà che rende l’insieme coeso. Ed è qui, in questa esperienza concreta, vissuta, singolare, che si radica lo sviluppo universale.
L’universalità non è una invenzione cristiano-moderna; gli antichi conoscono bene la prospettiva “secondo il tutto“, ma pervengono ad essa per una via completamente differente. L’universalismo moderno sorge nell’astrazione, ovvero nella separazione dai fenomeni eterogenei e irregolari, nella lontananza che uniforma.
Per l’esperienza antica, invece, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte, ovvero in uno sguardo che, divenuto più capiente, contempla i singoli fenomeni cogliendone a un tempo le differenze irriducibili e i nessi, la tessitura complessiva.
Così intesa, l’universalità si articola su uno sfondo esperienziale, mantiene il contatto con la concretezza dei vissuti, sempre differenti e cangianti, eppure anche visti nell’insieme. È così che diventa possibile comprendere la relazione, l’essere in comunione e comunanza non come insidia o camicia di forza per il singolo, ma come risorsa. […]
L’amicizia pensata more graeco […] suggerisce che stare insieme non è un caso da sopportare malvolentieri, per contratto, con rassegnazione, ma un piacere, e una possibilità di realizzazione. E soprattutto: più che un limite alla mia libertà di individuo, l’altro, gli altri, il “noi” sono ciò che rende possibile il mio essere, sono costitutivi del mio essere quello (quella) che sono, proprio l’individuo singolare che io sono.» (pp. 17).

«Noi abitanti della modernità tarda siamo a malapena in grado di intendere quello che dicono gli antichi: per loro essere buoni significa essere felici, sentirsi dischiudere nella vastità della vita, ricercandone l’inveramento» (p. 57).

Noi moderni della tarda ora siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, eampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete
«Noi moderni della tarda ora, venendo dopo Kant, abbiamo creduto di poterci emancipare dal bene-dovere rovesciandolo, appunto, in parodia. […] Resta molto arduo, per noi, intendere del bene altri risvolti, altre configurazioni possibili. E per questo, nella nostra epoca tarda, termini o espressioni come “bene comune”, “cittadinanza”, “comunità”, rischiano di perdere il senso concreto e la prossimità viva. Non riconoscendo il bene come realizzazione di sé in seno a un noi, crediamo di trovare libertà e felicità in comportamenti puramente arbitrari e sconnessi.
Oppure siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, e tramite “la macchina” comunichiamo globalmente, ormai ampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete. Ma, così intesa, la connettività è contraffazione della comunità degli amici, così come la “realtà aumentata” è contraffazione della pienezza della vita» (p. 58).

Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso,
in quell’apertura al possibile e nel possibile.
«Preso da una indominabile visione di felicità, il filosofo intravede una possibilità, indovina un riverbero di ciò che l’umano può e può essere. Tale esperienza di rapimento (un’esperienza travolgente, potenzialmente devastante nei confronti delle costruzioni umane) agisce come un promemoria inesorabile dell’irriducibilità dell’umano alle sue stesse istituzioni. Rammenta all’essere umano ciò che, in lui, supera la dimensione umana, indicandogli quello che può diventare.
Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Nell’esperienza filosofica è al contempo ricordato e annunciato l’essere umano a venire.

Il filosofo è una figura inaugurale che ritiene le tracce del lascito
ma insieme lascia presagire un’umanità nuova
Così, dunque, nell’inflessione filosofica l’eroe diventa qualcosa di radicalmente altro: una figura inaugurale, che ritiene le tracce del lascito ma insieme lascia presagire un’umanità nuova; un guerriero disarmato, privo di nome e reputazione, per il quale la lotta e il combattimento si svolgono lontani dal campo di battaglia, dalle competizioni, dagli onori e dalle benemerenze. […] La visione socratica di un altro mondo, in cui “uomini e donne” possano confrontarsi e crescere insieme evoca la comunità degli amici come comunità di dialogo e ricerca. È notevole che Socrate vi includa esplicitamente le donne. In Platone e nella tradizione pitagorica questo gesto è frequente e, allo stesso tempo, in netta controtendenza rispetto agli usi della polis. E, dovremmo dire, non soltanto in contrasto con la Atene del V e IV secolo, se è vero che nel discorso filosofico stesso finirà presto col prevalere la celebrazione dell’amicizia come relazione esclusiva tra uomini» ( p.107).

L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto

«La visione aperta dell’essere umano e della sua potenzialità (dynamis), di ciò che può fare, essere e divenire, rende possibile non solo intravedere una comunità fin qui inimmaginabile, ma anche considerarla in quanto tale non impossibile. L’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto» (p. 145).

***

Risvolto di copertina

 «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto». Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.


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Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


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Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

Leggi l'estratto


Il cosmo della Bildung

Il cosmo della Bildung

Risvolto di copertina

Montagna theologica, caverna cosmica o cielo della controriforma, la Cupola di Santa Maria del Fiore ha sempre rappresentato un grandioso programma idealedidattico per l’architettura. Possiamo trascriverlo in un’equazione: l’educazione sta all’ideale come l’architettura sta all’attuale. Un’espressione a quattro incognite vincolate tra loro. Tra queste quella dell’ideale è la meno chiara per le scienze e la più oscura per le coscienze. Comunque, nella cultura del nostro tempo, l’educazione è ridotta ad accumulazione di regole, l’ideale al funzionale, l’architettura a pratica socionormativa, l’attualità a cronologia. In altre parole l’ideale ci richiede sempre un enorme sforzo critico rispetto a tutti i saperi. Esso ci costringe a ripercorrere la biforcazione secolare impressa dalla cultura tecnico-scientifica all’idea di “reale”: quella tra trascendenza e immanenza.





Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.
Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.
Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.
Claudia Baracchi – Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche
Claudia Baracchi, Bookcity 2020 – Esseri umani, farfalle, mostri e la filosofia come terapia della psiche. Con Claudia Baracchi, analista filosofa e Anna Stefi, filosofa e psicologa.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Henry David Thoreau (1817-1862) – Se un uomo è libero nel pensiero, nella fantasia, nell’immaginazione, «ciò che non è» non gli appare mai per molto tempo come «ciò che è».

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Non sono molti i momenti in cui vivo sotto un governo, persino in questo mondo. Se un uomo è libero nel pensiero, nella fantasia, nell’immaginazione, in modo tale che ciò che non è non gli appare mai per molto tempo come ciò che è, non è detto che governanti o riformatori stolti riescano a ostacolarlo.

Henry David Thoreau, La disobbedienza civile, a cura di Franco Meli, traduzione di Laura Gentili, SE, Milano 1992, p. 44.

Henry David Thoreau (1817-1862) – Questa è la biblioteca, ma il mio studio è là fuori, oltre la porta. Credo che non esista niente – neppure il crimine – maggiormente contrario alla poesia, alla filosofia e alla vita stessa che questa incessante smania per il business.
Henry David Thoreau (1817-1862) – È impossibile descrivere l’infinita varietà di sfumature della natura. Per descrivere queste foglie si dovranno usare parole colorate.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Ricerche Aristoteliche. Etica e politica in questione. Introduzione e cura di Giulia Angelini. Saggi di Claudia Baracchi, Manuel Berrón, Enrico Berti, Michele Di Febo, Silvia Gullino, Alberto Jori, Pietro Li Causi, Giovanni Battista Magnoli Bocchi, Francesca Masi, Marcello Zanatta.

Ricerche Aristoteliche - Giulia Angelini - Enrico Berti - Claudia Baracchi - Zanatta

Claudia Baracchi, Manuel Berrón, Enrico Berti, Michele Di Febo,
Silvia Gullino, Alberto Jori, Pietro Li Causi, Giovanni Battista Magnoli Bocchi,
Francesca Masi, Marcello Zanatta

Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione

Introduzione e cura di Giulia Angelini.

ISBN 978–88–7588-283-9, 2021, pp. 328, Euro 30

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Quarta di copertina
Questo volume parte da una serie di problematiche che, riprendendo delle espressioni comunemente in uso, si addensano sull’etica e sulla politica dello Stagirita: che cos’è l’etica? Che cos’è la politica? Qual è il loro fine? A chi si riferiscono? Qual è il collegamento tra le due? Ma ancora, passando ai trattati, qual è il rapporto tra le Etiche e la Politica sia in sé che rispetto alla continuità e discontinuità di certi temi? Oltre alla questione dell’ἐπιστήμη – che, al di là della sistematizzazione consueta, non è assolutamente scontata –, si tratta però di concentrarsi anche su tutti quei temi che si impongono sempre in un’interrogazione di questo tipo, interrogazione che deve sempre tenere presente la specificità storico-categoriale del pensiero dello Stagirita. Anche per questo, piuttosto che offrire una semplice ricostruzione, qui si cercherà di complicare il più possibile questo nodo, che, come si vedrà, è tutto tranne che risolto.

Ricerche aristoteliche. Etica e politica in questione è la quarta di una serie di collettanee aristoteliche uscite sempre per Petite Plaisance: Sistema e sistematicità in Aristotele (2016), Immanenza e trascendenza in Aristotele (2017) e Teoria e prassi in Aristotele (2018).


Indice

Giulia Angelini: Introduzione

Enrico Berti: L’unità della filosofia pratica in Aristotele

Alberto Jori: Praxis ethos polis.
La Rehabilitierung der praktischen Philosophie
e la sua interpretazione dell’etica e della politica di Aristotele

Marcello Zanatta: I principi e lo statuto epistemologico della politica architettonica in Aristotele

Manuel Berrón: La filosofia pratica e il metodo degli Analitici

Claudia Baracchi: Note sul Bene e sull’Uno tra Platone e Aristotele

Francesca Masi: La virtù etica della giustizia distributiva e la sua rilevanza politica

Michele Di Febo: Educare alla moltitudine, educare la moltitudine.
Alcune considerazioni sul dinamismo del plethos nella Politica di Aristotele

Silvia Gullino: La nozione di autarchia nel pensiero politico di Aristotele
dalla Politica alla Costituzione degli Ateniesi 

Giovanni Battista Magnoli Bocchi: La retorica, fra etica e politica

Pietro Li Causi: Il dilemma della responsabilità animale nel quadro della ‘eto-logia’ aristotelica

Le Autrici – Gli Autori

Indice dei nomi


Giulia Angelini ha conseguito il Dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova, dove, attualmente, è Cultrice della materia in S.S.-D. SPS/01 (Filosofia politica). La sua ricerca verte principalmente sul pensiero di Aristotele e, in particolare, sulla questione dello ζῷον πολιτικόν, sull’epistemicità della filosofia pratica e sui vari significati delle categorie di potenza e atto. Proprio in relazione a questi temi, ha partecipato a numerose conferenze nazionali e internazionali ed è autrice di svariati contributi scientifici. Inoltre, ha sempre collaborato nella gestione di varie riviste: ad oggi, è responsabile editoriale di “Universa. Recensioni di filosofia” (Padova University Press).


Claudia Baracchi è Ph. D. in Filosofia (Vanderbilt University 1990-1996), Docente di Filosofia Antica e Filosofia Europea alla University of Oregon (1996-1998) e alla New School for Social Research di New York (1999-2009). Dal 2007 è Professore di Filosofia Morale all’Università di Milano-Bicocca. Tra le pubblicazioni si ricordano Filosofia antica e vita effimera. Migrazioni, trasmigrazioni e laboratori della psiche (Petite Plaisance), Amicizia (Mursia), Aristotle’s Ethics as First Philosophy (Cambridge University Press), Of Myth, Life, and War in Plato’s Republic (Indiana University Press). È co-fondatrice della Ancient Philosophy Society. Ricerca sulla filosofia antica in rapporto al mito, alla poesia e al teatro, sulle tradizioni orientali (soprattutto indo-vediche), sulla psicoanalisi e le pratiche del sé. È docente a Philo–Scuola di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico.


Manuel Berrón è professore (1999) e Dottore in Filosofia (2012). Professore Aggiunto di “Filosofía Antigua” all’Universidad Nacional del Litoral (UNL – Argentina) e Professore Associato di “Problemática Filosófica” all’Universidad Nacional de Entre Ríos (UNER – Argentina). Ha realizzato studi postdottorali in Argentina (2012-2014) e all’Università degli Studi di Macerata (2018). È autore di diversi articoli nel campo della filosofia aristotelica e del libro Ciencia y dialéctica en Acerca del cielo de Aristóteles (2016). è membro del consiglio editoriale di  Tópicos (Revista de Filosofía de Santa Fe). Inoltre, è membro dell’Asociación Latinoamericana de Filosofía Antigua e attualmente è Presidente dell’Asociación Argentina de Filosofía Antigua (2017-2021).


Enrico Berti è professore emerito dell’Università di Padova, socio nazionale dell’Accademia dei Lincei e membro della Pontifica Accademia delle Scienze. È autore di numerose pubblicazioni, tra cui una nuova traduzione italiana della Metafisica di Aristotele (Laterza 2017), e i volumi Aristotelismo (Il Mulino 2017), Scritti su Heidegger (Petite Plaisance 2019), Nuovi studi aristotelici, V – Dialettica, fisica, antropologia, metafisica (Morcelliana 2020), Storicità e attualità di Aristotele (Studium 2020), Saggi di storia della filosofia (Studium 2020).


Michele Di Febo è laureato in “Filologia, Linguistica e Tradizioni Letterarie” presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara. Con G.A. Lucchetta ha curato l’edizione italiana del Boristenitico di Dione di Prusa (Carabba, Lanciano 20202). Attualmente svolge il dottorato di ricerca presso la “Scuola Alti Studi” della Fondazione Collegio San Carlo di Modena e il suo ambito di ricerca è la storia del pensiero politico classico, in particolare la Politica di Aristotele e i suoi principali nuclei di innovazione rispetto alla tradizione precedente.


Silvia Gullino è Dottore di Ricerca in Filosofia e svolge la propria attività presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università degli Studi di Padova, dove è Assegnista di Ricerca nonché Cultrice della Materia in Storia della Filosofia Antica. In passato, è già stata Assegnista di Ricerca presso l’Università della Calabria. Tra le sue pubblicazioni, che riguardano il pensiero antico e, in particolare, Aristotele e la tradizione aristotelica, figurano le recenti monografie Aristotele e i sensi dell’autarchia (Padova, 2013), Pathos (Milano, 2014) e Philia (Milano, 2017) e Aristotele e gli esempi di virtù nella Costituzione degli Ateniesi (Lecce, 2019).


Alberto Jori insegna Filosofia all’Università di Tubinga, dove ha conseguito l’Habilitation nel 2008 e il titolo di Professor nel 2011, e Storia della filosofia antica all’Università di Ferrara. Nel 2003 ha vinto il premio dell’Internatonal Academy of the History of Science. Tra la sue opere: Medicina e medici nell’antica Grecia. Saggio sul ‘Perì téchnes’ ippocratico (il Mulino-Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1996), Aristotele (Bruno Mondadori, 20083), Aristoteles, Ueber den Himmel (Akademie Verlag-WBG, 2009), Natura naturans. Il pensiero di Roberto Ardigò (Nuova Ipsa, 2020). 


Pietro Li Causi ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale per la seconda fascia in Lingua e Letteratura Latina, e insegna materie letterarie presso il Liceo Scientifico “S. Cannizzaro” di Palermo. È responsabile della sezione “Ricerca e sperimentazione didattica” della rivista ClassicoContemporaneo ed è stato membro aggregato di “IRN Zoomathia (Transmission Culturelle des savoirs zoologiques – Antiquité-Moyen Âge)”. Autore di diversi contributi sulla storia della letteratura e sull’antropologia del mondo antico, si è occupato di autori come Aristotele, Plutarco, Plinio il Vecchio, Seneca, Ovidio, dell’etno-zoologia e della paradossografia dei Greci e dei Romani, e di antropologia del dono nel mondo antico. Fra le sue pubblicazioni, Gli animali nel mondo antico (il Mulino, 2018), L’anima degli animali (curato con R. Pomelli, Einaudi, 2015), nonché, per Palumbo, Sulle tracce del manticora (2003), Generare in comune (2008), Il riconoscimento e il ricordo. Ha curato anche, assieme a E. Romano, M. Formisano e R. Marino, una traduzione con commento del De oratore di Cicerone (Edizioni dell’Orso, 2015).


Giovanni Battista Magnoli Bocchi insegna “Forme di potere e comunicazione nel mondo greco” presso l’Università di Pavia. Si occupa di storiografia, retorica e comunicazione politica, cioè del racconto della realtà a fini politici. Fra le sue ultime pubblicazioni: Politica e Storia nella Retorica di Aristotele (Carocci 2019), La resilienza dell’antico. Il passato alla prova del presente (Mimesis 2020). È coautore di Come i social hanno ucciso la comunicazione (Guerini 2020).


Francesca Masi è Professore Associato di Storia della Filosofia Antica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. I suoi interessi vertono in particolare sull’ontologia, la fisica, l’epistemologia, la psicologia e l’etica antiche. Ha scritto numerosi saggi e curato vari volumi sulla filosofia di Aristotele, su Epicuro, Lucrezio e l’Epicureismo. È autrice di due monografie: Epicuro e la filosofia della mente. Il XXX libro dell’opera Sulla natura e Qualsiasi cosa capiti: natura e causa dell’ente accidentale. Aristotele, Metafisica E 2-3.


Marcello Zanatta, già professore ordinario di Storia della Filosofia Antica e incaricato di Retorica Classica, è specialista di Aristotele, cui ha dedicato cinque monografie e di cui ha redatto l’edizione italiana di molte opere. Si é occupato altresì dello stoicismo antico e romano e della retorica giudiziaria di Ermagora di Temno. Dirige la collana “Questioni di Filosofia Antica” e la collana “Vette Filosofiche” ed é membro di Società filosofiche italiane e internazionali. 


Quadrilogia aristotelica

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Senofonte (430/425–355 a.C.) – «Apologia di Socrate». Introduzione, traduzione e note di Francesca Pentassuglio.

Senofonte, Apologia di Socrate - Francesca Pentassuglio

Senofonte

Apologia di Socrate

Introduzione, traduzione e note di Francesca Pentassuglio.

ISBN 978–88–7588-281-5, 2021, pp. 176, Euro 15

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L’interesse della moderna storiografia filosofica per le vicende del processo e della morte di Socrate, avvertiti come gli eventi cruciali della vita del filosofo e delle successive immagini che ne sono state trasmesse, è un’eredità degli antichi. Senofonte, come Platone e altri autori le cui opere sono andate perdute, scrive una difesa postuma per scagionare Socrate dalle accuse per cui, nel 399 a.C., il filosofo fu processato e condannato a morte dalla restaurata democrazia ateniese.

Con il proposito di dar conto delle vere ragioni di quella “superba fierezza” che a parere di molti animò i discorsi di Socrate in tribunale, Senofonte ci consegna dunque la sua Apologia, offrendo al contempo una propria interpretazione della filosofia e dell’etica socratiche. Quello che ne emerge è un ritratto composito, in cui elementi distintivi del Socrate senofonteo si uniscono a tratti che lo rendono riconoscibile ai lettori dei dialoghi platonici. Sulla base di una nuova traduzione del testo e mediante un confronto costante con l’Apologia di Platone, il saggio introduttivo mira a distinguere e a interpretare queste compo­nenti, indagando i principi etico-filosofici a cui il Socrate senofonteo si appella per costruire la propria difesa dalle accuse formali – empietà e corruzione dei giovani – ma anche, su un piano più generale, per giustificare il proprio insegnamento.

Con l’esplicita esaltazione di virtù quali l’autosufficienza e il dominio di sé, l’adesione alle pratiche cultuali della polis e il richiamo costante a una vita trascorsa senza commettere ingiustizia, il Socrate senofonteo si auto-rappresenta nell’Apologia come un filosofo (e cittadino) meno atopos rispetto alla sua controparte platonica, ma non per questo meno esemplare. E precisamente di un Socrate di esemplare giustizia, libero dai desideri del corpo e liberale nell’insegnamento, “utile” e saggio, Senofonte ci offre una testimonianza a cui vale la pena tornare.



Francesca Pentassuglio, Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze, Brepols, Thurnout 2017, p. 219.


Quarta di copertina

Di Eschine di Sfetto, come di tutti gli altri Socratici a eccezione di Platone e Senofonte, non è pervenuta alcuna opera completa. Abbiamo tuttavia testimonianza di sette dialoghi “socratici”, conservati in stato frammentario: l’Alcibiade, l’Aspasia, il Milziade, il Callia, il Telauge, l’Assioco e il Rinone.
Il presente studio sui Sokratikoi logoi di Eschine presenta una raccolta di tutte le testimonianze antiche sulla biografia e sugli scritti del Socratico, per la prima volta integralmente tradotte in italiano. Corredata da un ampio commentario storico-filologico, la raccolta include alcune nuove testimonianze che sono state aggiunte al corpus e che contribuiscono ad arricchire la comprensione dei dialoghi eschinei.          
I testi sono introdotti da uno studio di carattere storico-filosofico, volto ad approfondire la figura e la biografia di Eschine, nonché a definire il suo statuto come fonte sul pensiero di Socrate. Contestuale all’analisi dei singoli dialoghi, di cui sono ricostruiti per quanto possibile la struttura e l’argomento, è l’indagine sui principali motivi filosofici trattati, che costituiscono spesso veri e propri topoi della letteratura socratica: il ruolo della ricchezza e il valore della povertà, il rapporto tra virtù e conoscenza, la cura di sé e, soprattutto, il legame tra eros e paideia. A tal fine, una particolare attenzione è rivolta ai paralleli testuali e tematici che legano i dialoghi di Eschine alle opere di altri Socratici, analizzati mediante un’esegesi comparativa che miri a “riattivare” tutte le componenti dei dibattiti interni che attraversarono la letteratura socratica e a restituirne, in tal modo, la ricchezza e la profondità.


Sommario

Francesca Pentassuglio è attualmente Alexander von Humboldt Postdoctoral Fellow presso la Universität zu Köln. Si occupa di filo­sofia socratica, di etica antica e della ricezione di Socrate nel tardo platonismo. È autrice del volume Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze (Brepols, Thurnout 2017) e di diversi contributi dedicati alle fonti antiche sul pensiero socratico.




Aischines-Eschine di Sfetto, Attica (ca. 430-360 ca. a.C.)
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Barbara Rossi – «Recitare il tempo. Le voci della ‘Heimat’ di Edgar Reitz». Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, «Reitz e la macchina del tempo. Appunti per un itinerario filosofico».

Rossi Barbara - Edgar Reitz

Quanto prezioso e irrimediabilmente perduto sia ogni secondo della nostra vita, solo un film ce lo può mettere davanti agli occhi. Solo nel momento in cui qualcuno ci ha raccontato la nostra storia, come la storia del nostro battito del cuore, sappiamo chi siamo. […] Il tempo di solito lavora contro di noi, contrasta i nostri piani, manda a monte i progetti e pone un limite alla felicità di ognuno. L’arte cinematografica è figlia della tecnica e il prodotto di un mondo senza Dio […]: visto che viviamo nel secolo che ci ha regalato la macchina del tempo, allora vogliamo anche utilizzarla per strappare al flusso del tempo pezzi del suo bottino. Proprio in quanto uomini non religiosi, noi registi vogliamo lasciare le nostre tracce nell’universo-tempo, vogliamo conferire durata agli istanti della vita. “Verweile doch, du bist so schön” si dice con struggente desiderio nel Faust di Goethe.

Edgar Reitz, Film e tempo, 2006

Barbara Rossi

Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli.
Postfazione di Sergio Arecco.

In Appendice:
Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208,  Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5].

In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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«La trilogia di Heimat, il romanzo familiare dal respiro epico e, insieme Bildungsroman, sterminata narrazione dove la ‘cronaca’ si intreccia alla finzione, la microstoria alla macrostoria, le memorie e i destini individuali a quelli collettivi, è anche un ineffabile palinsesto sull’arte di raccontare: quella capacità narrativa definita dal nonno ferroviere – lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali […], i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero – che Edgar Reitz ricorda con affetto, basandola su un principio di verità» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 20).


Barbara Rossi, media educator e studiosa indipendente, è laureata in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Torino; presidente dell’Associazione di cultura cinematografica e umanistica “La Voce della Luna” di Alessandria, con la quale propone corsi e rassegne sulla storia e il linguaggio del cinema, è vicepresidente della FIC (Fede­razione Italiana Cineforum). Ha organizzato incontri di formazione riservati ai docenti per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e ha collaborato con il gruppo di ricerca “Memofilm, la creatività contro l’Alzheimer”, facente capo alla Cineteca di Bologna.

Giornalista pubblicista, ha curato la rubrica Le lune del cinema per la rivista “Cineforum”, con la quale attualmente collabora. Suoi saggi di argomento cinematografico sono stati pubblicati in diversi volumi antologici: nel 2015 è uscito, per l’editore Le Mani, il volume Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood; nel 2019, all’interno della collana Bietti Heterotopia, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo. Cura annualmente, in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Alessandria, una rasse­gna che porta sul grande schermo il meglio della produzione cinematografica tedesca contemporanea. Ha organizzato, in collaborazione con l’Università delle Tre Età di Alessandria, la proiezione della trilogia di Heimat di Edgar Reitz.


«Il racconto-fiume seriale di Edgar Reitz impiega personaggi-attori che compongono la Heimat degli spettatori. Una patria di finzione disseminata di figure che si rincorrono nei primi tre cicli e infine, in Heimat-Fragmente: Die Frauen (2006), viene sostituita dalla soggettività della protagonista, Lulu, che incorpora frammenti dell’opera-mondo come atti di memoria filmica riattualizzata. Per comprendere chi sono i principali attori di Heimat e cosa fanno in questo grande ciclo, che abbraccia (e oltrepassa) l’arco cronologico 1919-2000, occorre, come fa Barbara Rossi nel suo saggio introduttivo, ricordare sia la loro formazione che ripercorrerne le biografie artistiche: tutte si definiscono infatti a partire dall’incontro con Edgar Reitz».

Cristina Jandelli


«Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. Gone … Il film ha lo scandaloso privilegio di uscire dal tempo. Per giocarci, accelerarlo o fermarlo, a suo piacimento. Il film è tempo compresso: le lunghe 26 ore di Zweite Heimat corrispondono – in realtà – a 10 anni. Il film salta, omette e scorre in avanti, per fermarsi all’improvviso. In un momento, un attimo “così bello…”; oppure doloroso. E può fare anche di più: rende il tempo ripetibile. Detto in modo diverso, fa fermare completamente il tempo. Il ventenne Hermann Simon è ancora tra di noi. Il film non invecchia. Invecchia solo attraverso noi spettatori. Incontra in noi un‘altra vita e diventa, così, un altro film. Rimane lo stesso e tuttavia emerge sempre di nuovo. Ma deve essere visto. Se il film non viene visto, muoiono anche Maria, Clarissa o Hermann. È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di Heimat, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. Come mi ero amalgamato con la figura di Hermann Simon 30 anni fa, così sono uno spettatore oggi. Hermann può essere vivo, l’Henry Arnold di allora non esiste più. Il “tempo delle prime canzoni” è ormai passato. […] Il “buon tempo antico” è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Henry Arnold


Barbara Rossi, profonda studiosa del regista tedesco, nonché sperimentata didatta del linguaggio cinematografico, mette, all’inizio della sua riflessione, e fin già dal bellissimo sottotitolo della sua monografia, Uno sguardo fatto di tempo, immediatamente le carte in tavola. Il lettore deve familiarizzare senza indugi con la materia oggetto d’indagine. E deve riconoscere che un lavoro su Reitz non potrà non essere dedicato, in buona parte, all’opera monstrum della sua filmografia, a quell’Heimat che non solo lo ha fatto scoprire al mondo, ma che ha costituito, con le sue dimensioni abnormi – tre parti rispettivamente di 11, 13, 6 episodi, 15h40’ + 25h32’ + 11h32’, più un prologo, un epilogo con Heimat. Frammenti. Le donne e una quarta parte in funzione di prequel, L’altra Heimat. Cronaca di un sogno, alquanto sui generis –, un’esperienza unica, per l’autore come per lo spettatore, nonché un passaggio decisivo nella storia del cinema contemporaneo.

Sergio Arecco


Una esperienza umana fondamentale, quella del tempo: in fondo, viviamo dentro cicli e mutamenti. Qualcosa torna a noi e si ripete, come le stagioni, qualcosa scorre via in maniera irreversibile, come i giorni della nostra vita. Intuiamo collettivamente qualcosa come eterno e qualcosa come caduco, oscuramente sentendo che siamo contenuti e circondati dal tempo. Siamo impastati di tempo. Un tempo imperioso, che si impone alla nostra maniera di stare al mondo, a tal punto da renderci indispensabile pensarlo e cercare di dominarlo. Facciamo calendari e orologi, sogniamo macchine del tempo e sviluppiamo filosofie e fisiche del tempo. Eppure non riusciamo a sottrarci al suo potere, mentre la stessa sconfitta travolge il pensiero raziocinante e sistematico della filosofia e della scienza, questa medicina teoretica dell’angosciosità fondamentale della condizione umana, che nel suo pensare il tempo si scontra con aporie insanabili, dove soluzioni opposte all’interrogativo su che cosa esso sia si fronteggiano eternamente senza possibilità di vittoria.
Cos’ha a che fare il cinema di Edgar Reitz con questo? Tutto. Lo ha in primo luogo in quanto cinema, quindi in quanto cinema di Reitz, regista di cui è stato detto che ha «un meraviglioso sguardo fatto di tempo, intessuto di memorie private e collettive, di racconti veri o fittizi, di storie e di Storia» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 209).

Michele Maranzana


Per diffondere la cultura: cinematografica, letteraria, filosofica, artistica…

A cura di Barbara Rossi

Giancarlo Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla storia americana.

ISBN 978-88-7588-221-1, 2018, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [1]. In copertina: Il giudice E. Cotton Winchell sulla cima del monte californiano a cui diede il suo nome nel 1888: incarnazione dell’autentico “uomo del Wild West”.

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Alessandro Alfieri, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino.

ISBN 978-88-7588-218-1, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [2]. In copertina: Il volto di Django Freeman (Jamie Foxx) in una scena del film Django Unchained, 2012, scritto e diretto da Q. Tarantino.

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Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

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Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick.
Prefazione di Silvano Tagliagambe.

ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.

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Barbara Rossi, Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz. Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208, formato 140×210 mm, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5]. In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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