Michail Afanas’evič Bulgakov (1891-1940) – Ogni potere é una violenza contro gli uomini e verrà il tempo in cui non ci saranno più né il potere di Cesare né altri poteri. L’uomo si trasferirà nel regno della verità e della giustizia dove non sarà necessario nessun potere.

Bulgakov Michail Afanas'evič , Il Maestro e Margherita

«Ho detto fra l’altro – raccontava l’accusato – che ogni potere appare una violenza contro gli uomini e che verrà il tempo in cui non ci saranno più né il potere di Cesare né altri poteri. L’uomo si trasferirà nel regno della verità e della giustizia dove non sarà necessario nessun potere».

Michail Afanas’evič Bulgakov, Il Maestro e Mrgherita, Con i dipinti delle avanguardie russe, Introduzione di Eridano Bazzarelli, traduzione di Milly de Monticelli, Classici BUR Rizzoli, Milano 2020, pp. 51-52.


«Chi ti ha detto che non esiste a questo mondo l’amore vero, fedele ed eterno!
Seguimi, lettore. Solo me, segui. Ed io ti mostrerò un tale amore».

Michail A. Bulgakov,ibidem, p. 267.

Goncharova Natalia, Inverno a Mosca, 1910

Storia d’amore e satira del potere, meditazione sul bene e sul male e riflessione sulla creazione artistica, Il Maestro e Margherita è considerato il capolavoro della letteratura russa del Novecento, un romanzo dalle infinite chiavi di lettura e dall’irresistibile vena grottesca.

Un professore esperto di magia nera, un sicario, una strega e un gatto portano scompiglio nella Mosca burocratica e ipocrita degli anni Trenta. Intanto Ponzio Pilato si dispera per non aver potuto impedire la crocifissione di Gesù. In questa atmosfera senza spazio e senza tempo si staglia la passione tormentata fra il Maestro, uno scrittore incompreso relegato in manicomio, e la sua bellissima amante Margherita. Storia d’amore e satira del potere, meditazione sul bene e sul male e riflessione sulla creazione artistica, Il Maestro e Margherita è considerato il capolavoro della letteratura russa del Novecento, un romanzo dalle infinite chiavi di lettura e dall’irresistibile vena grottesca. In questa edizione, le opere delle avanguardie russe – da Kandinsky a Lentulov, da Mashkov a Golovin – ci trasportano con la loro forza visionaria nella Mosca del tempo, e ci restituiscono anche visivamente quella potenza creativa e quella libertà dell’immaginazione che hanno reso il romanzo di Bulgakov un testo di culto in tutto il mondo.

Wassily Kandinsky, Mosca I, 1916
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Günter Anders (1902-1992) – Quando la libertà si muta in delirio d’onnipotenza, in odio contro ogni limite

Günter Anders 08

Salvatore Bravo

Günther Anders e il male di vivere.
Quando la libertà si muta in delirio d’onnipotenza, in odio contro ogni limite

 

Se dovessimo cercare il fondamento della nostra epoca non potremmo che constatare che il male è il suo fondamento. La libertà si è tramutata in male, sta divorando se stessa. L’anarchia individualista e la menzogna dominano, sono la struttura che tutto muove. Si assiste al consolidarsi di personalità che trasformano il loro desiderio in legge universale, il corpo pulsionale è oggetto di un’idolatria socialmente accettata ed esaltata. Il limite è vilipeso, il logos è negato, ogni discussione sul male di vivere è portata all’interno di argomentazioni in cui si rileva che il “male” è ineluttabile, quindi è inemendabile. Non resta che adattarsi e sopravvivere alla violenza quotidiana, non resta che negare se stessi per conformarsi al male nella nuova forma di male di massa. Il nuovo totalitarismo – con i suoi dispositivi perennemente in azione – plasma i popoli, li rende laboratori dove saggiare la potenza dei nuovi mezzi di manipolazione e formazione di una nuova antropologia del negativo come normalità. Il soggetto non osa porre il problema del bene e del male, ma semplicemente è parte di un’immensa zona grigia dove l’esperienza dell’identità è costruita in “laboratorio”, il cui scopo è occupare “spazio vitale e consumare “il mondo” da cui ci si ritrae. La libertà diviene cambiamento continuo, il progresso che coincide con la libertà è consumo di ogni forma di vita; il cannibalismo libertario è la verità dell’Occidente. Günther Anders ha tematizzato il male, ha tentato di razionalizzarlo, ha mostrato che il “male” è insediato nella libertà, la quale consente agli esseri umani di fuggire la contingenza, in cui sono inchiodati per diventare “creatore” di mondi:

 

«L’uomo fa esperienza di sé come qualcosa di contingente, come qualunque, come “proprio io” (che non si è scelto); come uomo che è precisamente così come è (per quanto possa essere tutt’altro); come proveniente da un’origine di cui non risponde e con la quale deve tuttavia identificarsi; come “qui” e come “ora”. Questo paradosso fondamentale dell’appartenenza reciproca della libertà e della contingenza, questo paradosso che è un’impostura, il dono fatale della libertà, si chiarisce come segue. Essere libero significa: essere straniero; non essere legato a niente di preciso, non essere tagliato per niente di preciso; trovarsi nell’orizzonte del qualunque; in una postura tale per cui il qualunque può anche essere incontrato in altri qualunque. Nel qualunque, che posso trovare grazie alla mia libertà, è anche il mio proprio io che incontro; questo, pur appartenendo al mondo, è straniero a se stesso. Incontrato come contingente, l’io è per così dire vittima della propria libertà. Ecco perché il termine “contingente” deve indicare questi due caratteri: “la non costituzione di sé” dell’io e la sua “esistenza in quanto tale”. Questo vale per tutto ciò che segue».[1]

Straniero al mondo ed a se stesso, il rischio che la libertà si muti in delirio d’onnipotenza, in odio contro ogni limite pregresso è il gravoso problema etico ed ontologico che l’essere umano deve vivere e risolvere. Se il male alligna nella forma parossistica e nichilistica dell’io ipertrofico e consumante, è nella struttura economica che bisogna individuare la causa efficiente che perverte la libertà in tracotanza, in dispersione della soggettività nel ritmo frenetico e funebre del ciclo consumo e distruzione. Il male si espande, trova in ogni soggetto il punto ottico che si spazializza per occupare ogni tempo ed ambiente in frenetica attività di produzione-creazione che prontamente e velocemente deve annichilire.

 

Vergogna
L’io rifiuta il limite, ogni limitazione è vissuta con vergogna, come negazione della libertà che abita l’essere umano, che lo struttura ontologicamente. Per fuggire alla vergogna dell’origine che rammenta all’essere umano che non è un creatore assoluto, è necessario affermare la libertà che annichilisce, che crea mondi per distruggerli. La creatura compensa la vergogna della contingenza con la distruzione, diventando homo faber, fino a produrre mezzi e ordigni che non controlla e di cui resta vittima. Lo sviluppo tecnologico, il dominio delle merci che dominano come zombie sugli esseri umani che li hanno prodotti e creati è l’esito della libertà patologica dell’essere umano. La libertà e la non identificazione divengono il percorso che porta alla distruzione, a produrre strumenti che potrebbero cancellare l’essere umano, ed a fondare un mondo “senza l’essere umano”. L’essere umano nell’opera giovanile Patologia della libertà del filosofo è destinato alla distruzione, ad annichilire i mondi che pone, per vivere l’ebbrezza del creatore, ma svelandosi impotente, poiché la creazione non è che annichilimento della vita. L’annichilimento di ogni forma-mondo permette di “curare” la vergogna distruggendo, non più “pastore dell’essere”, ma “pastore dei consumi distruttivi”, così si svela il fondo nichilistico e minaccioso della libertà umana. La libertà diviene la tragica terapia di un essere fragile, all’incapacità di accettare la contingenza, ma che ambisce all’onnipotenza:

 

«All’origine la vergogna non è vergogna di aver fatto questo o quello, anche se questa forma di vergogna già significa che io non mi identifico con qualcosa che viene da me, la mia azione, e con la quale tuttavia dovrei, nel senso che vi sono costretto, identificarmi. Proprio il fatto di essere capace di questa particolare vergogna morale richiede come condizione formale che io sia identico e, insieme, non identico con me stesso; il fatto che io non possa uscire dalla mia pelle e al tempo stesso possa considerarla tale; che incontri me stesso nella libertà dell’esperienza di me – ma in quanto non-libero. La vergogna non nasce da questa incongruenza, ma è quest’ultima ad essere già vergogna. Nella vergogna l’io vuole liberarsi, nella misura in cui si sente esposto a se stesso in maniera definitiva e irrevocabile, ma, ovunque si nasconda, esso rimane nell’impasse, resta alla mercé dell’irrevocabile, dunque di se stesso. E tuttavia l’uomo fa così una scoperta: proprio esperendosi come non posto da sé, per la prima volta sente di provenire da qualcosa che non è lui; per la prima volta avverte il passato, ma non quello che di solito chiamiamo il “passato”: non il proprio passato familiare, storico, ma il passato totalmente estraneo, irrevocabile, trascendente; quello dell’origine. L’uomo avverte il mondo da cui proviene ma al quale non appartiene più come io. Così, la vergogna è soprattutto vergogna dell’origine. Pensiamo ai primi esempi biblici della vergogna: alla coincidenza della vergogna e della caduta, e all’esempio dei figli di Noè che, “girando la faccia per la vergogna”, coprono le nudità di loro padre».[2]

La spinta alla libertà distruttiva, alla compensazione per la vergogna del limite e della gettatezza non necessariamente deve portare alla distruzione, alla bomba atomica come descritto da Günther Anders, le possibilità con cui la libertà si può concretizzare sono plurali: la libertà come delirio d’onnipotenza, come fuga dalla vergogna è il modello pervasivo del capitalismo assoluto non iscritto nella natura umana. La libertà può umanizzare, se vive il limite con il logos e come soglia in cui incontrare l’alterità, e identificarsi in essa, la libertà è distruzione, se è orientata alla creazione aggressiva, a divorare il mondo, perché il limite è vissuto con vergogna. Senza la soglia del limite si entra nella violenza, nell’io che usa se stesso come alabarda per abbattere ogni ostacolo allo scopo di dimostrare di essere creatore e non creatura.

 

Solitudine ed eternità
Per eternizzarsi l’essere umano deve trascendere la contingenza temporale, in cui è prigioniero, con l’eternità deve superare lo spazio ed il tempo e proiettarsi verso un infinito frustrante, perché resta creatura ed ogni tentativo di elevarsi a divinità ricade su di lui nella forma della vergogna, del limite da cui si fugge e che puntualmente riappare nella rappresentazione e nella realtà effettuale. Tale condizione potrebbe essere letta in modo differente rispetto al filosofo de L’uomo è antiquato, ovvero l’essere umano è tale, perché consapevole del limite, ed ogni abbattimento dello stesso non è che negazione della sua natura e dunque “tragedia collettiva”:

 

«Così, l’uomo vuole essere ora e sempre. Tenta, cioè, di immortalarsi nel tempo, così come si affannava a glorificarsi nello spazio; tenta di negare ulteriormente la contingenza dell’ora al quale si è trovato abbandonato. E si sforza di costruire il suo essere autentico sotto la forma di una statua permanente, nella Memoria e nella Fama, rispetto alla quale la sua forma attuale e incompleta è come il fenomeno in relazione all’Idea. Di questa statua gloriosa egli non è che la copia infedele e temporale; ed ecco il paradosso: più la sua gloria aumenta, meno “lui stesso” sembra avere a che fare con la sua statua; questa ha usurpato il suo nome; ed è tale statua che raccoglierà la gloria al posto dell’uomo, molto a lungo, anche dopo la morte; schiacciato e abbattuto, eccolo invidioso del suo grande nome».[3]

L’essere umano con relazioni emotive soddisfacenti, che conosce se stesso e vive la profondità della sua indole si radica nel presente per avere cura del futuro, se tale condizione manca, se il presente è solo un immenso vuoto senza legami, fugge dalla solitudine accarezzando sogni di eternità che compensino la solitudine e lo squallore dello sradicamento da sé e dalle alterità.

 

L’animale non umano
Per comprendere l’essere umano lo sguardo teoretico di Günther Anders ha analizzato gli animali non umani, essi non sono liberi, le loro risposte sono precostituite e sono parte integrante dell’ambiente. Gli animali non hanno mondo, perché non hanno rappresentazioni. Dal contrasto fenomenologico tra l’essere umano e gli animali non umani il filosofo trae elementi per definire il fondamento ontologico dell’essere umano:

 

«Ma la materia a priori dell’animale gioca allo stesso tempo il ruolo di sbarramento. Infatti, l’animale non raggiunge e non trova altro che ciò di cui porta in sé il messaggio. Le sue percezioni non vanno al di là del contenuto già anticipato. La forza dei legami che lo vincolano a un mondo determinato, tradotta nella prescienza pre-sperimentale che ne ha, gli impedisce di rompere liberamente i suoi vincoli. A dirla tutta, l’animale non apprende nulla di veramente nuovo. È preso nella rete di legami che lo ricollegano al mondo, è schiavo delle sue anticipazioni. Tutto ciò che gli resta estraneo sfugge totalmente alla sua presa (come attestano incontestabilmente gli esperimenti di psicologia animale) o lo spiazza come la sorpresa di una materia refrattaria all’elaborazione e che non costituisce esattamente il suo mondo».[4]

La condizione umana è apparentemente opposta alla condizione animale, in quanto l’essere umano crea mondi, ma la libertà lo spinge a distruggere i mondi che crea fino a minacciare la vita nella sua totalità. La libertà patologica rende l’umanità “forma di vita” qualitativamente peggiore dell’animale non umano per la sua capacità annichilente.

 

Pessimismo
L’analisi di Günther Anders pone il problema della libertà e della sua qualità e specialmente della struttura ontologica dell’essere umano, ma rischia di eternizzare il presente con la tecnocrazia, di indurre a negare la prassi, poiché la constatazione della potenza distruttiva che si annida nell’essere dell’umanità, non può che condurre al pessimismo più paralizzante. Necessitiamo di riportare la condizione umana attuale al sistema che lo abita e lo muove per poter comprendere che ciò che si constata e verifica nel quotidiano e nelle cronache non è che il riflesso della funerea quantificazione della vita all’interno della società dello spettacolo. Senza la deduzione sociale delle categorie, vi è il “rischio” di cadere nella trappola dell’astratto, ovvero si ipostatizza il presente, come Hobbes ha trasformato le sanguinarie lotte di religione, non in un caso storico, ma in natura umana perennemente in lotta. La deduzione sociale delle categorie ed il materialismo sono categorie interpretative senza le quali il presente rischia non solo di eternizzarsi, ma specialmente si paralizza ogni critica implicante la prassi. Abbiamo bisogno di strutture concettuali per capire il presente, mentre il sistema ci inonda di tecnologie per renderci dipendenti e sempre più simili ad esse nelle procedure di ragionamento.

Ogni epoca svela la natura umana nelle sue potenzialità, innanzi a noi vi è la possibilità della scelta etica e filosofica, senza le quali non siamo che “enti” consegnati ad un infausto destino. La natura umana è libera, perché generica (Gattungswesen), ma tale libertà si può vivere nella fuga dell’onnipotenza, o può essere oggetto del limite che la determina nella relazione. Non vi può essere libertà che nella relazione, poiché solo essa consente di conoscere e conoscersi, ogni rifugio nel sogno distopico dell’onnipotenza non è che patologia socialmente indotta, di cui constatiamo gli effetti a livello antropologico ed ambientale al limite dell’irreversibile, e che ci invocano ad una metafisica umanistica. Senza tale postura non vi è futuro, ma solo l’annientamento di ogni umanità, per poter scuotere le coscienze intorbidite è necessario mostrare che l’essere umano come lo constatiamo “oggi” non è tutto, ma una delle sue possibilità più perniciose, che invocano una trasformazione dell’assetto socio-economico, perché l’umanità può essere molto di più che un distopico incubo della ragione. L’immaginazione ampliata come nuova capacità teoretica pensata dal filosofo per abbandonare gli effetti funesti della tecnocrazia non può bastare per trascendere le distruttività del presente. Senza una pubblica razionalità che sveli e riveli la verità del presente e la sua ideologia si resta prigionieri all’interno dell’onnipotenza. L’immaginazione descritta da Günther Anders è organica all’onnipotenza, è l’altro volto di un’impossibile fuga dal presente per rifondare il presente. La scommessa sul futuro si regge in modo fondamentale sugli uomini e le donne di cultura che, malgrado i tempi terribili attuali continuano ad impegnarsi perché la barbarie non sia definitiva. Le contraddizioni sempre più macroscopiche possono farci ipotizzare che esse nel corso dei tempi attuali mostreranno i loro effetti insanabili e dialettici, pertanto le idee e le resistenze disseminate potranno ritrovare il loro senso.

Salvatore Bravo

[1] Günther Anders, Patologia della libertà. Saggio sulla non-identificazione, Orthotes, Napoli-Salerno 2015, pag. 40.

[2] Ibidem, pag. 45.

[3] Ibidem, pag. 52.

[4] Ibidem, pag. 25.


Günter Anders (1902-1992) – L’Apprendista stregone è invidiabile perché fa ancora il tentativo di fermare ciò che ha provocato o che è sul punto di provocare. Oggi viviamo in una foresta di manici di scopa che diventa sempre più fitta
Günter Anders (1902-1992) – Il conformista ottimale non è solo conformista, ma anche “congruista”. Costui si assimila ai contenuti che gli sono forniti, e rende il contenuto della sua vita psichica coincidente con tali contenuti. Nella società conformistica la mancanza di pudore passa per franchezza, dunque per virtù, e questa virtù per un attestato di lealtà.
Günter Anders (1902-1992) – La metamorfosi dell’«Apprendista stregone». Oggi viviamo in una foresta di manici di scopa che diventa sempre più fitta.
Günter Anders (1902-1992) – L’odio è sì negazione dell’altro, ma è anche l’autoaffermazione e l’autocostituzione attraverso la negazione e l’eliminazione dell’altro.
Günter Anders (1902-1992) – Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi come i soggetti della storia. ci siamo detronizzati e al nostro posto abbiamo collocato un solo altro soggetto della storia: la tecnica. Cambiare il mondo non basta. Nostro compito è anche interpretarlo.
Günter Anders (1902-1992) – Non sono disposto a rinunciare alla visione della smisuratezza che noi esseri umani siamo in grado di provocare e che abbiamo effettivamente provocato.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (311-320) – Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta, Maurizio Migliori, Giovanni Casertano, Claudio Iozzo, Sergio Arecco, Antonio Vigilante, Alberto Gajano, Daniela Marcheschi, Eros Barone, Alberto G. Biuso, Salvatore Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo.

311-320

311
Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori, Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta, Teoria e prassi in Aristotele, a cura di Luca Grecchi.
ISBN 978-88-7588-254-9, 2018, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [95]. In copertina: Il busto di Aristotele a Calcide.

312
M. Antunes, C. Arcangelo, G. Conti, N. Dal Falco, S. Gavriilidis, U. Kindl, W. Louw, P. Macadré, D. Marcheschi, P. Merchant, P. Paolicchi, L. Pascale, A. Rita, La Favola nelle Letterature Europee. Atti del II Seminario Internazionale di studi sulla Favola, promosso dal Centro Internazionale di Studi Europei Sirio Giannini. A cura di D. Marcheschi e C. Tommasi.
ISBN 978-88-7588-252-5, 2018, pp. 152, formato 140×210 mm., Euro 12. In copertina: Guido Conti, Lupo e cane.

313
Giulio A. Lucchetta, L’olio profumato di Itaca. La coltivazione esemplare dell’ulivo e il proficuo modello produttivo dell’olio nell’Odissea.
ISBN 978-88-7588-250-1, 2018, pp. 48, formato 140×210 mm., Euro 5 – Collana “Il giogo” [96]. In copertina: Rappresentazione della raccolta delle olive. Anfora attica, VI sec. a.C., British Museum, Londra.

314
Eros Barone, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Arianna Fermani, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo, Per una scuola vera e buona
ISBN 978-88-7588-248-8, 2018, pp. 272, formato 170×240 mm., Euro 25 – Collana “Il giogo” [98]. In copertina: Marc Chagall, L’Acrobata (The Acrobat), 1914.

315
Maurizio Migliori, La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni. Introduzione di Luca Grecchi.
ISBN 978-88-7588-247-1, 2019, pp. 592, formato 140×210 mm., Euro 38 – Collana “Il giogo” [100]. In copertina: Vasilij Kandinskij, Verso l’alto (Empor), 1929, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia.

316
Claudio Iozzo, Il silenzio malato. Storie di recovery in salute mentale. Introduzione di Paolo Pini. ISBN 978-88-7588-249-5, 2019, pp. 160, formato 130×200 mm., Euro 15. In copertina: Vasilij Kandinskij, Molle durezza, 1927.

317
Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.
ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

318
Giovanni Casertano, Venticinque studi sui preplatonici. Introduzione di Luca Grecchi.
ISBN 978-88-7588-251-8, 2019, pp. 488, formato 170×240 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [99]. In copertina: Statue di filosofi greci: Socrate, Antistene e altri. British Museum di Londra. In quarta: Anassimandro, bassorilievo. Roma, Museo Nazionale Romano.

319
Antonio Vigilante, L’essere e il tu. Aldo Capitini in dialogo con Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin.
ISBN 978-88-7588-166-5, 2019, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 15. In copertina: Max Ernst, Configuration N.16. 1974.

320
Alberto Gajano, Dialettica della merce. Introduzione allo studio di Per la critica dell’economia politica di Marx. Postfazione di Roberto Finelli: Il peso storico di un’astrazione: tra logica e realtà. ISBN 978-88-7588-205-1, 2019, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15. Collana “Divergenze” [62]. In copertina: Wassily Kandinsky, Rose Fondant, 1928.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Maurizio Schoepflin – Il problema della filosofia moderna secondo Marino Gentile.

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Marino Gentile
Il problema della filosofia moderna

Nonostante sia riconosciuto come il maggiore esponente della “scuola padovana di filosofia”, Marino Gentile (1906-1991), che proprio nell’Ateneo patavino insegnò per oltre vent’anni, formando una generazione di studiosi di notevole vaglia, non è molto noto. In realtà, egli è stato una delle menti più acute nel panorama del pensiero italiano novecentesco, e davvero paradigmatico appare il suo percorso speculativo che, dopo aver preso le mosse dall’attualismo di Giovanni Gentile, si indirizzò, sulla scia dell’insegnamento di Armando Carlini, nella direzione della metafisica di ispirazione cristiana. In questo contesto si situano gli importanti studi storiografici che Gentile condusse al fine di comprendere a fondo il cammino compiuto dalla filosofia occidentale dall’antichità ai nostri giorni. Tra i lavori da lui dedicati al confronto con la speculazione del passato spicca Il problema della filosofia moderna, pubblicato per la prima volta precisamente settant’ anni fa, nel 1950. Due sono le grandi questioni affrontate dall’autore in questo libro: la prima concerne la possibilità o meno di reperire nel pensiero moderno una sostanziale unità dottrinale; la seconda riguarda la valutazione dell’indole critica che lo caratterizzerebbe. Gentile sintetizza le sue risposte ai problemi sopra accennati affermando che “l’unità del pensiero moderno si debba ritrovare nell’accoglimento, più o meno coerente, del matematismo e che l’intento della ricerca critica si sia venuto componendo con esso, avendone a volte stimolo e sostegno, ma più spesso limite e arresto”. Gentile, dunque, concorda con coloro che hanno individuato la cifra principale della filosofia moderna nel primato attribuito alla conoscenza matematica ai fini della comprensione e del dominio della realtà. Ha scritto Enrico Berti, allievo del nostro autore e a lungo docente nell’Università di Padova: “Il Gentile andava sviluppando anche una sua interpretazione della filosofia moderna come caratterizzata dall’intento pratico di realizzare il dominio dell’uomo sulla natura (quello che F. Bacone chiamava il regnum hominis) per mezzo di una concezione meccanicistica della natura stessa, fondata su una concezione matematistica della conoscenza. Tale interpretazione, annunciata nei volumi su Umanesimo e tecnica (Milano 1943) e Bacone (Brescia 1945), trovò la sua espressione più completa nel volume Il problema della filosofia moderna (ibid. 1950), dove il Gentile pervenne a risultati convergenti con quelli, allora sconosciuti, di E. Husserl e dell’ultimo M. Heidegger, nonché di M. Horkheimer e di altri critici della filosofia moderna, che avevano individuato nel pragmatismo e nel matematicismo il limite della criticità di quest’ultima”. Secondo Gentile, dunque, il primato della matematica esaltato dalla modernità ha precluso a essa di portare sino in fondo l’istanza critica che starebbe alla sua base, dando luogo a una sorta di cortocircuito speculativo che ha condizionato a fondo i successivi sviluppi del pensiero.

Maurizio Schoepflin, Il problema della filosofia moderna secondo Marino Gentile, “Il Foglio” del 23.9.2020.


Marino Gentile

Il problema della filosofia moderna

ISBN 978-88-7588-260-0, 2020, pp. 14.

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I temi discussi da Marino Gentile in questo libro

 

Regno dell’uomo, matematismo e meccanicismo (Galilei, Bacone e Cartesio)

Il disegno umanistico del «regnum hominis» / La caratteristica della concezione moderna del «regnum hominis» / Il matematismo del Galilei / Regno dell’uomo e meccanicismo nel pensiero di F. Bacone / L’atteggiamento di Bacone verso la matematica / R. Descartes come fondatore della filosofia moderna / Regno dell’uomo e meccanicismo nel pensiero cartesiano / La funzione del matematismo nel sistema cartesiano / La matematica e il dubbio universale / I due centri di certezza nel sistema cartesiano / Matematismo e meccanicismo / Le aporie del cartesianesimo.

Le difficoltà del matematismo. Il problema della «res extensa». Cartesio e Spinoza

Le condizioni per un cartesianesimo integrale / Sua incompatibilità con il concetto di anima-forma / Risoluzione del cartesianesimo nello spinozismo / Spinoza e Cartesio /Le caratteristiche del razionalismo spinoziano / Il matematismo nel pensiero spinoziano / Matematismo e meccanicismo / Occasionalismo e pascalismo.

Esteriorità e interiorità nella conoscenza (Locke e Leibniz)

Gli elementi della «modernità» nel pensiero del Locke: «regnum hominis» e meccanici­smo / Come nel pensiero del Locke vi sia presente anche il matematismo / Il rapporto del Locke con la distinzione fra qualità primarie e qualità secondarie / Conseguente critica del concetto di sostanza da parte del Locke / Inadeguatezza del nominalismo tradizionale alla critica del Locke / Il matematismo come limite dommatico della ricerca lockiana / Il dualismo d’interiorità ed esteriorità / Leibniz e la sua ripresa al matema­tismo antico / Matematismo antico e matematismo moderno / La polemica vichiana e la prevalenza del matematismo nella cultura illuministica.

 

Il superamento kantiano del matematismo e i suoi limiti

La filosofia kantiana come ricerca assoluta / Condizioni della ricerca e funzione esercitata in essa dalla matematica e dalla meccanica / Raporto della dottrina dell’Io tra­scendentale con la funzione esercitata nella ricerca dalla matematica e dalla meccanica / Dall’estetica e dall’analitica alla dialettica / Il matematismo e le aporie della dialettica / Il matematismo come limite della ricerca kantiana.


Maurizio Schoepflin – «Presocratici»: e fu l’aurora. il libro di Luca Grecchi è un utile strumento per studiare gli albori dell’affascinante cammino della filosofia occidentale.

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di  Maurizio Schoepflin

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Maurizio Schoepflin – «Presocratici»: e fu l’aurora. Il libro di Luca Grecchi è un utile strumento per studiare gli albori dell’affascinante cammino della filosofia occidentale.

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Maurizio Schoepflin
Presocratici: e fu l’aurora

Ha scritto Martin Heidegger: «Ogni grande cosa può avere solo un grande inizio. Il suo inizio è sempre la cosa più grande… Tale è la filosofia dei Greci». Si tratta di un’affermazione difficilmente contestabile, in quanto ben pochi saranno disposti a negare che l’eccezionale stagione del pensiero ellenico abbia prodotto risultati pressoché insuperabili. Ora, quello che Heidegger ha sostenuto a proposito della filosofia greca, vale anche per i suoi inizi, che sono stati essi stessi grandiosi. Non v’è dubbio che l’acme del pensiero classico sia rappresentata da Platone e Aristotele, ma è altrettanto certo che senza il formidabile contributo dei pensatori che li precedettero la loro produzione non sarebbe apprezzabile in tutto il suo valore.
Dunque, l’inizio dell’inizio, ovvero i primi passi della filosofia greca, riveste un’importanza fondamentale, oltre che un fascino straordinario. Coloro che hanno scritto le primissime pagine del sapere sono comunemente definiti “presocratici”, e proprio a loro ha dedicato un volume interessante e ben articolato Luca Grecchi (Leggere i Presocratici, Scholé, pagine 262, euro 22). Il libro si apre con una serie di considerazioni preliminari, nelle quali l’autore affronta questioni riguardanti la loro identità, la loro collocazione storica e teoretica, la bibliografia che li riguarda e, infine, le varie interpretazioni che di essi sono state proposte. Sino a oggi, annota Grecchi, le diverse letture che del pensiero presocratico sono state date, sono riconducibili a tre grandi filoni: quello scientifico-naturalistico, che vede la natura al centro, quello mistico aurorale, incentrato sul divino, e quello politico-umanistico, che fa perno sull’uomo. Secondo l’autore, sarebbe errato assolutizzare una di queste interpretazioni, le quali, invece, vanno poste fra loro «in maniera aperta ed includente, non chiusa ed escludente». Soltanto così sarà possibile avvicinarsi a una retta comprensione del composito universo presocratico, a cui si deve anche l’indicazione delle tre linee principali lungo le quali si muoverà tutta la filosofia posteriore, linee che, a giudizio di Grecchi, definiscono quello filosofico come «un sapere che si rivolge all’intero, coordinandone le varie parti; un sapere dialettico, ossia caratterizzato da argomentazioni e contro-argomentazioni; un sapere onto-assiologicamente orientato, assumente come fondamento di senso e valore l’uomo».
Una bella introduzione di Maurizio Migliori, un lessico essenziale dei termini greci utilizzati e una corposa bibliografia arricchiscono il libro: utile strumento per studiare gli albori dell’affascinante cammino della filosofia occidentale.

Maurizio Schoepflin, Presocratici: e fu l’aurora, «Avvenire», 06-02-2021, p. 20



Luca Grecchi – «Leggere i Presocratici». La cultura presocratica rappresenta tuttora una miniera in buona parte inesplorata.


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di  Maurizio Schoepflin


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Copertine e schede editoriali (031-040) – Nicola Labanca, Pierluigi Venuta, Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Marco Francini, Daniela Belliti, Paolo Turi, Eric Weil, Carlo Carrara, Massimo Bontempelli, Maura Del Serra

031-040

031
AA. VV. [Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Nicola Labanca, Salah al-Din Hasan al-Suri, Salvatore Bono, Francesco Castro, Muhammad al-Tahir al-Jarari, Mahmud al-Dik, Michele Brondino, Federico Cresti, Marco Mozzati, Pierluigi Venuta, Mahmud al-Dik, Fabio Giannelli], Un colonialismo, due sponde del Mediterraneo. Atti del seminario di studi storici italo-libici (Siena-Pistoia, 13-14 gennaio 2000) a cura di Nicola Labanca e Pierluigi Venuta.
ISBN 88-87296-94-4, 2000, pp. 176, formato 170×240 mm., Euro 16 – Collana “Studi e ricerche” [4]. In copertina: Rielaborazione grafica da Italia meridionale e insulare – Libia, Guida Breve, Volume III, Consociazione Turistica Italiana, Milano MCMXL (XVIII), 1940.

032
Marco Francini – Gianpaolo Balli, Il “Gran Maestro” Domizio Torrigiani (1876-1932). ISBN 88-88172-26-2, 2000, pp. 144, formato 170×240 mm., Euro 15 – Collana “Studi e ricerche” [11]. In copertina: Domizio Torrigiani.

033
Daniela Belliti, Dopo il totalitarismo. Filosofia e politica nel pensiero di Hannah Arendt. ISBN 88-88172-24-2, 2000, pp. 80, formato 170×240 mm., Euro 10. In copertina: Una immagine di Hannah Arendt all’età di 23 anni.

 034
Paolo Turi, Émile Durkheim e il problema dell’ordine. Istituto di Sociologia Facoltà di Scienze Politiche «C. Alfieri» Università degli Studi di Firenze, 1997, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 7. In copertina: Disegno di George Grosz.

035
Paolo Turi, Il sistema universitario italiano: alcuni caratteri originali. Istituto di Sociologia Facoltà di Scienze Politiche «C. Alfieri» Università degli Studi di Firenze, 1997, pp. 32, formato 140×210 mm., Euro 7. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.

036
Paolo Turi, Identità e immagine: le biografie politiche. Istituto di Sociologia Facoltà di Scienze Politiche «C. Alfieri» Università degli Studi di Firenze, 1997, pp. 32, formato 140×210 mm., Euro 7. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.

037
Eric Weil, Pensare il mondo. Filosofia Dialettica Realtà.
ISBN 88-87296-72-3, 2000, pp. 152, formato 140×225 mm, Euro 12 – Collana “La ziqqurat” [2]. In copertina: Adele Plotkin, Senza titolo (1959); collezione privata.

 038
Carlo Carrara, La domanda del senso. Per una filosofia del “ri-trovamento” [Introduzione di Massimo Bontempelli. In appendice scritti di: Walter Kasper, Dario Antiseri, Luigi Giussani, Abraham J. Heschel, Juan Alfaro, Norbert Fischer, Bernhard Welte, Karl Rahner, Armando Rigobello, Günther Anders, Wolfhart Pannenberg, Norberto Bobbio].
ISBN 88-87296-74-X, 2000, pp. 176, formato 140×225 mm, Euro 10 – Collana “La ziqqurat” [3]. In copertina: Giorgio De Chirico, Il grande metafisico, (1917). Museo d’Arte Moderna di New York.

039
Massimo Bontempelli, Filosofia e Realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo.
ISBN 88-87296-71-5, 2000, pp. 288, formato 140×225 mm, Euro 15 – Collana “La ziqqurat” [1]. In copertina: Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attesa (1959). Museo d’arte contemporanea di Milano.

040
Maura Del Serra, Di poesia e d’altro , I, [con scritti su M. Maddalena – Jacopone – L. Della Robbia – W. Shakespeare – G. Herbert – J. I. de la Cruz – G. B. Vico – U. Foscolo – C. Collodi – F. Nietzsche]. ISBN 88-87296-83-9, 2000, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 10,33 – Collana “Egeria” [5]. In copertina: Maître de Flore: Procri e Cefalo, New York, Collezione Germain Saligman.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (021-030) – Nicola Lisi, Chiara Guarducci, Yria Haglund, Hjalmar Bergman, Anna Turi, Anna Paola Niccolai, Alberto Severi, Giorgio Spini, Angelo Passaleva, Arrigo Boldrini, Giovanni Amendola, Maura Del Serra, Paul Forman, Tito M. Tonietti, Francis Thompson, Margherita Guidacci.

021-030

021
AA.
VV. [Alfredo Capone, Giorgio Spini, Elio D’Auria, Cosimo Ceccuti, Luigi Lotti, Simona Colarizi, Ariane Landuyt, Pier Luigi Ballini, Sandro Rogari, Paolo Bagnoli, Umberto Sereni, prof. Gaetano Arfè, Corrado Messeri, Marcello Venier, Riccardo Cardelli, Aldo Morelli, Angelo Passaleva, Arrigo Boldrini, Rinaldo Bausi, Rineo Cirri], Giovanni Amendola tra etica e politica. Atti del Convegno di Studio nel cinquantesimo anniversario della Repubblica e della Costituzione (Montecatini Terme 25-26-27 Ottobre 1996. ISBN 88-87296-55-3, 1999, pp. 320, formato 170×240 mm., Euro 25 – Collana “Studi e ricerche” [1]. In copertina: foto di Giovanni Amendola nel suo studio.

022
Yria Haglund, Di storia in storia. La biblioteca italiana di Hjalmar Bergman.
[Traduzione dallo svedese a cura di Susanna Eneberg (Introduzione e La biblioteca di testi italiani di Hjalmar Bergman) e Elena Torrigiani (Osservazioni su “Savonarola. La storia di un frate” e Temi storici fiorentini in alcuni dei primi racconti). Questo volume è stato pubblicato in collaborazione con la Fondazione C. M. Lerici, Stoccolma]. ISBN 88-87296-91-X, 2001, pp. 144, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “Egeria” [3]. In copertina: foto di Hjalmar Bergman (1908).

023
Chiara Guarducci, La neve in cambio [Lucifero, La Carogna, Camera ardente]. ISBN 88-87296-89-8, 2001, pp. 80, formato 110×170 mm., Euro 5,16 – Collana di teatro, “Antigone” [5]. In copertina: Fenditura nella neve. Foto di Sandra Nistri.

024
Anna Turi e Anna Paola Niccolai (a cura di), I detti delle donne. Una lettura al femminile del linguaggio familiare (modi di dire, proverbi, filastrocche … delle mamme, delle nonne, delle tate, delle zie). Postfazione di Elena Vannucchi: Una raccolta di detti, di proverbi. ISBN 978-88-7588-097-2, 2005, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15. In copertina: Silvestro Lega, L’educazione al lavoro, 1863; olio su tela, 91,5×67; firmato e datato in basso a destra: “S. Lega 1863”. Collezione privata.

025
Alberto Severi, Aracne. Con uno scritto di Alberto Pozzolini. ISBN 88-87296-06-8, 2001, pp. 48, formato 110×170 mm., Euro 5,16 – Collana di teatro, “Antigone” [7]. In copertina: Giuseppe Capogrossi,Superficie G. 5, 1950; tempera su carta intelata, 87×62,5 cm.

026
Maura Del Serra Eraclito. Due risvegli. Con uno scritto di Jacopo Manna.
ISBN 88-87296-93-6, 2001, pp. 64, formato 110×170 mm., Euro 5,16 – Collana di teatro, “Antigone” [3]. In copertina: Testa bronzea del IV sec. rappresentante il Sonno con i lineamenti di un fanciullo alato. Londra, British Museum.

027
Costanza Caglià L’amore con Erode. Con uno scritto di Isolina Baldi e Postfazione di Maura Del Serra.
ISBN 88-87296-41-3, 2001, pp. 116, formato 110×170 mm., Euro 7,75 – Collana di teatro, “Antigone” [8]. In copertina: Jean Cocteau, Lettera d’amore..

028
Paul Forman, Fisici a Weimar. La cultura di Weimar, la causalità e la teoria quantistica. A cura di Tito M. Tonietti.
ISBN 88-87296-47-2, 2002, pp. 200, formato 140×225 mm., Euro 18 – Collana di cultura scientifica “Mappe” [1]. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.

029
Francis Thompson, Il Segugio del Cielo e altre poesie. [Testo originale a fronte] Traduzione e Introduzione di Maura Del Serra. ISBN 88-87296-98-7, 2000, pp. 272, formato 140×210 mm., Euro 16 – Collana “Egeria” [10]. In copertina: foto di Francis Thompson negli anni dell’Owens College (1877-1885).

030
Nicola Lisi, Voci da una parlata e altri segni [con uno scritto di Margherita Guidacci, Lisi o la celestiale assenza].
ISBN 88-87296-43-X, 2002, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 15. In copertina: Venturino Venturi, Ritratto di Nicola Lisi, 1964; pietra serena, cm. 40x35x26. Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Copertine e schede editoriali (361-370) – Costanzo Preve, Massimo Bontempelli, Maura Del Serra, Luca Grecchi, Giulia Angelini, Diego Lanza, Gherardo Ugolini, Marco Gallo, Vincenzo Brandi, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Michele Di Febo, Alessandro Dignös, Lorenzo Dorato, Arianna Fermani, Alessandra Filannino Indelicato, Marco Guastavigna, Claudio Lucchini, Fernanda Mazzoli, Giancarlo Paciello, Franco Toscani, Sergio Rinaldelli.

361-370

361
Costanzo Preve, La fine dell’URSS. Dalla transizione mancata alla dissoluzione reale. Seconda Edizione.
ISBN 978-88-7588-300-3, 2020, pp. 64, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [20]. In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.

362
Massimo Bontempelli, Filosofia e Realtà. Saggio sul concetto di realtà in Hegel e sul nichilismo contemporaneo. Seconda Edizione.
ISBN 978–88–7588-301-0, 2020, pp. 288, formato 140×225 mm, Euro 25 – Collana “Il giogo” [124]. In copertina: Albrecht Dürer, Civetta, 1525.

363
Maura Del Serra, In voce. 55 poesie lette dall’autrice. Il libro è in vendita con CD allegato.
ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64, formato 130×200 mm., Euro 12. In copertina: Foto di Maura Del Serra.

364
Costanzo Preve, Luca Grecchi, Marx e gli antichi Greci. Dialogo sulla progettualità, ovvero su come cambiare il mondo. Introduzione di Giulia Angelini. Seconda Edizione riveduta e ampliata.
ISBN 978–88–7588-299-0, 2020, pp. 320, formato 140×210 mm, Euro 27 – Collana “Il giogo” [125]. In copertina: Rilevo votivo di Atena pensosa, 460 a.C., marmo pario. Atene, Museo dell’Acropoli.

365
Diego Lanza, Il tiranno e il suo pubblico. Introduzione di Gherardo Ugolini: La tirannide come “ideologia” secondo Diego Lanza. ISBN 978–88–7588-303-4, 2020, pp. 400, formato 140×210 mm, Euro 30 – Collana “Il giogo” [126]. In copertina: Frammento di vaso attico a figure nere di Sophilos, VI sec. a.C., Museo Archeologico Nazionale di Atene.

366
Marco Gallo, Santiago Express. Appunti di viaggio. A cura di Ilaria Rabatti.
ISBN 978–88–7588-304-1, 2020, pp. 120, formato 130×200 mm, Euro 10. In copertina: Verso Santiago.

367
Costanzo Preve, Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente. Seconda Edizione ISBN 978-88-7588-265-5, 2020, pp. 240, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Divergenze” [70]. In copertina: Paul Klee, Maske der Furcht [Maschera di paura] (1932).

368
Vincenzo Brandi, Conoscenza, scienza e filosofia. Profili di scienziati e filosofi della scienzada Talete alla fisica contemporaneaISBN 978-88-7588-269-3, 2020, pp. 512, formato 170×240 mm., Euro 30 – Collana “Divergenze” [71]. In copertina: Costruttori di una cattedrale per l’uomo, metafora del lavoro di ricerca scientifica, rilievo in pietra (XII secolo) Santa Maria, Girona (Spagna).

369
Giulia Angelini, Alberto Giovanni Biuso, Salvatore A. Bravo, Michele Di Febo, Alessandro Dignös, Lorenzo Dorato, Arianna Fermani, Alessandra Filannino Indelicato, Marco Guastavigna, Claudio Lucchini, Fernanda Mazzoli, Giancarlo Paciello, Franco Toscani, Tempi covid moderni. A cura di Alessandro Dignös.
ISBN 978–88–7588-273-0, 2020, pp. 256, formato 170×240 mm, Euro 25 – Collana “Il giogo” [127]. In copertina: René Magritte, Golgonde, olio su tela, 1953, The Menil Collection, Houston.

370
Sergio Rinaldelli, Solo l’irraggiungibile. Frammenti di cronaca interiore.
ISBN 978-88-7588-277-8, 2021, pp. 208, formato 130×200 mm., Euro 15. In copertina: Sergio Rinaldelli, I fiori del silenzio, 2006, olio su tavola, 97,5 x 67,5.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Hermann Hesse (1877-1962) – Dobbiamo fare assegnamento su quella fonte di energia che è la meditazione, sul sempre rinnovato accordo dello spirito e dell’anima.

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«[…] quanto più pretendiamo da noi o quanto più il nostro compito pretende da noi di volta in volta, tanto più dobbiamo fare assegnamento su quella fonte di energia che è la meditazione, sul sempre rinnovato accordo dello spirito e dell’anima. E quanto più intensamente […] un compito ci tiene occupati e ora ci sprona e incalza, ora ci stanca e deprime, con tanto maggior facilità trascuriamo questa fonte […]. I veri grandi della storia universale o sapevano meditare o conoscevano, sia pure inconsapevolmente, la via per giungere là dove ci porta la meditazione. Gli altri uomini, anche i più intelligenti e robusti, hanno finito col naufragare e soccombere perché il loro compito o il loro sogno ambizioso era giunto a dominarli […]».

Hermann Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, trad. di E. Pocar, Introd. Di H. Mayer, Mondadori, Milano 1984, p. 105.



Hermann Hesse – I libri hanno valore soltanto se conducono alla vita
Hermann Hesse (1877-1962) – Perseguono con tutta la loro forza vitale un unico scopo: realizzare la legge che è insita in loro, portare alla perfezione la propria forma, rappresentare se stessi.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Fernanda Mazzoli – Quei nostri morti: Angelo Appiani, Arturo Chiappelli, Arturo Malagoli, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani, Renzo Bersani. Modena 9 gennaio 1950

Fernanda Mazzoli - Modena 1950

Gianni Rodari, nel 1950 giovane cronista,
scrisse su «L’Unità» del 11/1/1950:
Un’azione di guerra condotta con fredda ferocia.
La polizia sparò dalle terrazze sugli operai che alzavano le mani
.

Fernanda Mazzoli

Quei nostri morti:

Angelo Appiani, Arturo Chiappelli, Arturo Malagoli, Roberto Rovatti, Ennio Garagnani, Renzo Bersani.

Modena 9 gennaio 1950

Dalla facciata del settecentesco Grande Spedale degli Infermi, poi a lungo Ospedale cittadino ed ora sede di un polo culturale, sei facce d’altri tempi guardano scorrere il traffico di passanti e biciclette sulla Via Emilia centro. Non molto lontano da lì, in una fredda mattina di gennaio di settantun anni fa, il loro tempo incrociò, davanti alle Fonderie Riunite di Modena, le fucilate tirate dalla polizia di Scelba e si arrestò bruscamente.
Certo, non passavano di là per caso, avevano scelto di esserci per portare la loro concreta solidarietà agli operai delle Fonderie che protestavano contro la serrata della fabbrica ed i 500 licenziamenti stabiliti dalla direzione, seguiti dalla decisione di assumere ex novo 250 dipendenti non sindacalizzati.
Erano là perché sapevano che la lotta dei lavoratori delle Riunite era la loro e che questa lotta era in continuità con quella che si era da poco conclusa contro gli occupanti tedeschi ed i loro alleati fascisti. Tre di loro avevano preso parte alla Resistenza, tutti erano comunisti con la determinazione, la generosità e l’ingenuità con la quale si poteva essere comunisti nel 1950 a Modena, città nella quale la lotta di liberazione aveva avuto una forte base di massa e aveva alimentato speranze e domande di radicali trasformazioni sociali, confluite poi negli anni immediatamente successivi in un deciso protagonismo operaio, forte di uno stretto legame con le campagne, percorse dalle agitazioni dei braccianti e dei mezzadri. È un’intera comunità politica e territoriale che non accetta di ritornare diligentemente ad occupare quei ruoli subordinati in cui pretendono di confinarla le nuove classi dirigenti dell’Italia repubblicana, in sostanziale continuità con il passato prefascista. Essa rivendica con orgoglio il proprio diritto ad occupare la scena pubblica, diritto che si è conquistata a duro prezzo durante gli anni della guerra di liberazione. Le fabbriche sono state salvate dai lavoratori, con le armi in pugno, e le sentono loro, rappresentano qualcosa di più di un semplice luogo di lavoro, devono diventare uno spazio di socialità aperto al quartiere e alla comunità.
Solo a Modena il PCI conta più di 70.000 iscritti e in Emilia la CGIL ne registra quasi un milione: il conflitto sociale e politico è alto, i rapporti di forza sono pericolosamente sbilanciati a favore di quella che fonti delle forze dell’ordine chiamano la parte cattiva della popolazione.

Serve una lezione che stronchi velleità democratiche di partecipazione e controllo operaio e mostri chi veramente comanda, tanto più che sul piano nazionale si è ormai avviata la normalizzazione con la sconfitta del Fronte popolare alle elezioni del 1948 e la formazione del governo De Gasperi.
Il padrone delle Fonderie Riunite, il commendatore Orsi – un passato fascista che ha consentito alle sue aziende di prosperare ed un presente da uomo d’ordine – alle prese con la necessità di riconversione industriale del dopoguerra, vuole imporre la riduzione della mano d’opera, il ritorno al cottimo individuale e l’attribuzione ai lavoratori dei costi della mensa. Si apre così una dura vertenza sindacale che porterà il proprietario alla serrata della fabbrica e all’assunzione di nuovi operai e la FIOM ad organizzare scioperi e picchetti.
Il 9 gennaio è il giorno previsto per la riapertura dello stabilimento voluta da Orsi; quel mattino, la Camera del Lavoro proclama lo sciopero generale e una dimostrazione davanti alle Fonderie – presidiate da consistenti forze di polizia, così come tutto il quartiere – per impedire l’accesso ai “crumiri”. È probabile che l’apertura non sia veramente in programma: all’interno della fabbrica ci sono solo una cinquantina fra poliziotti e carabinieri, molti altri sono disposti all’ingresso e sui tetti, mentre la città è disseminata di posti di blocco. Verso le 10, un corteo di oltre 10.000 manifestanti, provenienti da tutta la provincia, si avvicina alle officine, aggirando i posti di blocco attraverso i campi, oppure facendo pressione sui cordoni di polizia disposti in modo frammentato.
Quando un gruppetto di scioperanti riesce ad attraversare il passaggio a livello ferroviario che li separa dalla fabbrica, la polizia inizia a sparare: tre lavoratori restano uccisi, diversi feriti. Questore e prefetto – raggiunti da una delegazione composta da due parlamentari comunisti e da un sindacalista – intimano di sciogliere la manifestazione, avvertendo che «sarà un macello», perché «abbiamo tanta forza da sterminarvi tutti».

Intanto, nelle vie adiacenti alle Fonderie si è scatenato il panico, molti cercano scampo dalla sparatoria in una fuga disordinata o bussando ai portoni delle case vicine, tanti finiscono accerchiati dai poliziotti e malmenati con i calci dei fucili. La mattinata si conclude con altri tre morti e centinaia di feriti, tutti dalla parte dei dimostranti, qualche contuso fra le forze dell’ordine.
Nel corso degli scontri 93 persone vengono arrestate e rilasciate nel giro di tre giorni, per mancanza di concreti elementi a loro carico; il 20 marzo si avvia un procedimento penale nei confronti del responsabile della commissione interna delle Fonderie Riunite e di altri 33 lavoratori (che si concluderà dopo un lungo e travagliato iter processuale con l’assoluzione degli imputati ed un risarcimento ai familiari delle vittime), mentre una veloce indagine condotta dagli stessi funzionari di polizia in servizio il 9 gennaio ha come esito il non luogo a procedere nei confronti di prefetto e questore.[1]

Settanta anni dopo, nell’ambito di un nutrito e meritorio calendario di iniziative commemorative,[2] le gigantografie in bianco e nero dei sei caduti hanno sovrastato per tutto il 2020 il Largo Sant’Agostino dove l’11 gennaio passò, percorrendo la Via Emilia, l’imponente corteo funebre, hanno ricoperto la facciata contro la quale si accalcarono quel giorno centinaia di persone venute a salutare per l’ultima volta i loro morti.

Gianni Rodari, Un’azione di guerra condotta con fredda ferocia. La polizia sparò dalle terrazze sugli operai che alzavano le mani, «L’Unità», 11/1/1950.

Le loro fotografie furono scagliate contro i banchi del Governo – come un’arma di denuncia, di sdegno e di rivendicazione di giustizia brandita a nome dei disarmati – dove sedevano De Gasperi e Scelba dalla deputata comunista modenese Gina Borellini, medaglia d’oro della Resistenza, che accompagnò il gesto con un’accusa precisa: in quel banco siedono degli assassini.

Sono le fotografie di quelli che il Presidente del Consiglio, appena un mese dopo, chiamerà sprezzantemente i vostri morti, dimostrando sicuramente scarsa sensibilità umana, ma una precisa coscienza del carattere antagonistico insito nelle agitazioni operaie e contadine dell’Emilia rossa di quegli anni.

Questi nostri morti hanno facce serie e vere che parlano di lavoro, fatica, stenti, guerra, dignità, non sorridono, guardano l’obiettivo con la fissità un po’ stupita di chi non è abituato a farsi fotografare, ci parlano di un Paese non ancora investito dalla mutazione antropologica degli anni Sessanta, così lontano dallo scintillio dei salotti televisivi, dal vociare compiaciuto dei social, dall’arroganza e dalla volgarità del self made man di successo, dall’opaca rassegnazione dei vinti.[3]

Angelo Appiani ha ventinove anni, una moglie e un figlio, lavora presso le Officine meccaniche Martinelli, è stato nella Resistenza ed è un attivista comunista. La fronte alta sormontata dai capelli gettati all’indietro suggerisce una certa fiducia nell’avvenire. Viene raggiunto per primo da un colpo sparato dal tetto delle Fonderie Riunite occupato dalla polizia che continua a sparare sulla folla dei dimostranti, uccidendone due e ferendone altri.
Arturo Chiappelli ha 42 anni, è stato partigiano, è attivista comunista, ha lavorato come spazzino, ora è disoccupato, ha tre figli. La bocca è una linea sottile che gli taglia il viso magro, la vita non deve essere stata tenera con lui.
Arturo Malagoli ha 20 anni, è figlio di contadini, è il primo della famiglia ad essere andato a lavorare in città come operaio; malgrado la giovane età, si è già dato da fare nel 1948 per il Fronte popolare ed un mese prima di morire ha fatto conoscenza con la galera per avere partecipato ad una manifestazione.[4] Sulla foto sembra un bambino; come gli altri due ventenni uccisi poco dopo ha nello sguardo una luce quasi infantile, come scrisse il giorno dei funerali Gianni Rodari, allora giovane cronista dell’Unità.[5] Allo scrittore i tre ragazzi sembrano ancora vivi e la terribile espressione dei loro volti pare dovuta «ad un sogno angoscioso e passeggero».
Trenta minuti dopo l’inizio della sparatoria, Roberto Rovatti, 35 anni, operaio, partigiano e militante comunista, con un cartello in mano e la sua solita sciarpa rossa al collo, a cinquecento metri di distanza dalle Fonderie viene circondato da un gruppo di carabinieri, picchiato con il calcio dei fucili, buttato in un fosso e poi freddato da un colpo sparato a bruciapelo. Ha uno sguardo fiero che deve avere indispettito i suoi aguzzini, forse non potevano reggerlo, forse smuoveva qualcosa nel fondo del loro animo che era meglio lasciare perdere.
Le ore passano, già due ne sono trascorse dall’inizio della strage, la Camera del lavoro ha già annunziato un comizio per il pomeriggio ed è anche arrivata l’autorizzazione, ma le forze dell’ordine continuano a sparare.
Ennio Garagnani ha vent’anni, lavora come carrettiere con il padre che gli ha consigliato di starsene in casa per quel giorno, ma lui non lo ascolta, è un attivista comunista e con i suoi amici va alla manifestazione. Si sta allontanando dalla zona degli scontri, ma non abbastanza in fretta da evitare la mitragliatrice dell’autoblindo della compagnia autocarrata dei carabinieri di Bologna. È un bel ragazzo, l’aria vagamente sognante, un po’ malinconica. Viene colpito, di spalle, alla testa.
Anche Renzo Bersani si sta allontanando, ma incrocia un carabiniere che si inginocchia nel mezzo della strada, lo prende di mira e lo colpisce mortalmente, alle spalle. Ha ventun anni, è un militante comunista, lavora in fabbrica, prima ha fatto il calzolaio. I tratti del volto lasciano trasparire una sorta di caparbietà fanciullesca, fatica e disillusione hanno risparmiato per sempre il suo volto di ragazzo del dopoguerra, quando si cresceva in fretta.
Le loro fotografie vennero appese dappertutto a Modena e in provincia, in quei giorni, e continuarono a circolare a lungo. Dovevano fare paura, tanto che ancora tre anni dopo una nota dell’Ufficio politico si rivolge al Prefetto, informandolo che la parte sana della popolazione di Spilamberto (paese distante una ventina di chilometri dal capoluogo) lamentava che le autorità non avessero ancora tolto dai portici del comune il quadro con le foto dei sei operai uccisi il 9 gennaio.[6]

La loro memoria è sopravvissuta come un torrentello carsico che scorre sotto le arterie dell’opulenta città, storica vetrina del modello emiliano, un po’ appannato ora dai perversi intrecci affaristici all’ombra delle cooperative.[7] Chi allora era giovane non ha dimenticato quei giorni di stupore, (sembrava di essere tornati in guerra, a detta dei testimoni), di rabbia e di paura e continua a raccontare a figli e nipoti; a scuola, qualche professore di storia vi accenna; ogni anno, attorno al cippo eretto a memoria, si tiene una manifestazione promossa da quei sindacati che così poco hanno saputo e voluto difendere i lavoratori dal massacro sociale neoliberista.
L’episodio, che ebbe rilevanza nazionale, in quanto segnò una svolta nella storia sindacale e politica della giovane repubblica italiana in direzione di una progressiva normalizzazione del conflitto sociale e della carica rivoluzionaria della base e dei quadri intermedi del PCI, non trova generalmente posto nei manuali scolastici di storia ed è ancora oggi insufficientemente oggetto di studio da parte della storiografia. L’acceso dibattito interno a sindacato e partito che seguì i fatti di Modena rappresenta una tappa importante nell’approdo del PCI verso le sponde della socialdemocrazia e dovrebbe, dunque, essere materia di analisi e riflessione non solo per gli storici di professione, ma per quanti cercano di comprendere, da una prospettiva di parte, come furono assorbite e neutralizzate le potenzialità rivoluzionarie e antagonistiche di una parte significativa della
Quel mondo – in cui una tradizionale cultura del lavoro aveva incrociato istanze politiche di radicale cambiamento sociale – non c’è più da tempo, spazzato via da pesanti processi di ristrutturazione capitalistica, dal trionfo della società dei consumi, dal crollo del comunismo storico novecentesco, dalla deregolamentazione e frammentazione del lavoro. Quelle facce non si incontrano più nelle nostre strade, percorse da una folla anonima, uniformata da mode e parametri estetici democraticamente imposti dallo spettacolo mediatico, dalla pubblicità, dagli influencer.
Di fronte a tali e tanti sconvolgimenti, la nostalgia non è che una tentazione meramente consolatoria, una fragile ancora sballottata dalle ondate violente e capricciose della società liquida che non conosce pensiero forte ed identità strutturate.
Eppure, a settant’anni di distanza, quei volti si impongono con la forza di uno schiaffo, o di un sasso lanciato nella palude dell’assuefazione e della rassegnazione che accompagnano come un’ombra anche noi, che di quella storia continuiamo a sentire nel profondo il cuore vivo, pulsante, noi che sappiamo che le loro ragioni sono, oggi più che mai in un regime di sfruttamento capitalistico sicuramente diverso, ma non meno brutale, l’humus in cui cresce una vita umana degna di essere vissuta. È simpatia che essi chiedono, soffrire, sperare e trepidare con loro per ciò che è stato e ciò che non è stato.

Fernanda Mazzoli

***

[1] Per un’accurata ricostruzione della vicenda ed una approfondita analisi del contesto locale e nazionale in cui essa si inserisce, cfr. L. Bertucelli, All’alba della Repubblica. Modena, 9 gennaio 1950. L’eccidio delle Fonderie Riunite, Ed. Unicopli, Milano, 2012 e F. Tinelli, Era il vento non era la folla. Eccidio di Modena, 9 gennaio 1950, Bébert edizioni, Bologna, 2015, che fornisce un’interessante documentazione prodotta dalla magistratura.
[2] L’iniziativa, promossa, in occasione del settantesimo dall’eccidio, dai sindacati, dall’Istituto storico, dal Centro documentazione Donna e dal Comitato comunale per la storia e la memoria del Novecento, ha proposto una ricca mostra fotografica, un concerto ed una bella narrazione ad opera di Carlo Lucarelli che si può seguire su «youtube»: Fonderie, 9 gennaio 1950. Un racconto di Carlo Lucarelli.
[3] Con buona pace delle vestali del politicamente corretto e della nuova narrazione del capitalismo inclusivo, il miliardario statunitense Warren Buffet, con onesto cinismo, ha riconosciuto che la lotta di classe esiste, ma che è la classe ricca che sta facendo la guerra e che la sta vincendo.
[4] Lo ricorda la sorella Marisa, all’epoca bambina di sei anni, che fu poi adottata da Togliatti: https://sites.google.com/site/sentileranechecantano/schede/morire-per-il-lavoro/l-eccidio-di-modena-nei-ricordi-di-marisa-malagoli.
[5] G. Rodari, 300.000 lavoratori ai funerali delle 6 vittime, «L’Unità», 11/1/1950.
[6] La nota è riportata in F. Tinelli, op. cit., p. 28.
[7] Uno scorcio sulla realtà sociale, fatta di sfruttamento, precariato, connivenza tra imprese ed istituzioni, che si nasconde dietro il mito del miracolo emiliano è proposta da Giovanni Iozzoli in https://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/18651-giovanni-iozzoli-maxiprocessi-zamponi-e-tortellini.html


Fonderie 9 gennaio 1950.
Un racconto di Carlo Lucarelli


Fernanda Mazzoli – Il problema non è chi taglia il traguardo: il problema è il traguardo. Nella Scuola  si vuole imporre come traguardo il passaggio dalla formazione della personalità umana alla formazione del capitale umano
Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.
Fernanda Mazzoli – Alcune considerazioni intorno al libro «L’AGONIA DELLA SCUOLA ITALIANA» di Massimo Bontempelli
Farnanda Mazzoli – Il libro «No alla globalizzazione dell’indifferenza» di Giancarlo Paciello. Un’agguerrita strumentazione intellettuale capace di affrontare e dissolvere le nebbie ideologiche. Rivendicazione di un «universalismo universale» fondato su una comune natura umana. Rivendicazione di una «ecologia integrale». Defatalizzazione del mito del progresso.
Fernanda Mazzoli – Una voce poetica dimenticata: Isaak Ėmmanuilovič Babel’. Fondare la rivoluzione sull’anima umana, sulla sua aspirazione al bene, alla verità, al pieno dispiegarsi delle sue facoltà. La rivoluzione non può negare la spiritualità, l’esperienza interiore dell’uomo, i suoi fondamenti morali.
Fernanza Mazzoli, Javier Heraud (1942-1963) – Non rido mai della morte. Semplicemente succede che non ho paura di morire tra uccelli e alberi. Vado a combattere per amore dei poveri della mia terra, in una pioggia di parole silenziose, in un bosco di palpiti e di speranze, con il canto dei popoli oppressi, il nuovo canto dei popoli liberi.
Fernanda Mazzoli – Per una seria cultura generale comune: una proposta di Lucio Russo.
Fernanda Mazzoli – Leggendo il libro di Giancarlo Paciello «Elogio sì, ma di quale democrazia?».
Fernanda Mazzoli Attila József (1905-1937) – Con libera mente non recito la parte sciocca e volgare del servo. Il capitalismo ha spezzato il suo fragile corpo.
Fernanda Mazzoli – René Char (1907-1988) – Résistance n’est qu’espérance. Speranza indomabile di un umanesimo cosciente dei suoi doveri, discreto sulle sue virtù, desideroso di riservare l’inaccessibile campo libero alla fantasia dei suoi soli, e deciso a pagarne il prezzo. Les mots qui vont surgir savent de nous de choses que nous ignorons d’eux.
Fernanda Mazzoli – Ripensare la scuola per mantenere aperta, all’interno dell’istituzione scolastica, quella dimensione “utopica” così intimamente legata all’idea stessa di educazione, idea che comporta una tensione intrinseca verso “un altrove” che nulla ha a che vedere con l’adattamento al presente.
Fernanda Mazzoli – Jules Vallès (1832-1885), Jules l’«insurgé», aveva scelto di essere un réfractaire e tale rimase per tutto il corso della sua vita. Prima, durante e dopo la Comune di Parigi.
Fernanda Mazzoli – Un libro per chiunque avverta la necessità di aprirsi una strada fra le brume del presente e voglia farlo con onestà e coraggio intellettuali e morali. È di un pensiero forte che necessitiamo.
Fernanda Mazzoli – La poesia di Xu Lizhi nella fabbrica globale del capitalismo assoluto. La gioventù chinata sulle macchine muore prima del suo tempo. Senza il tempo per esprimersi, il sentimento si sgretola in polvere.
Fernanda Mazzoli – Il romanzo di Georges Perec «Les choses» è di una attualità sconcertante. I libri, quando cercano con onestà intellettuale la verità, dicono molto di più di quel che dicono i loro autori.
Fernanda Mazzoli – Il libro di Antonio Fiocco «Ideare il futuro comunitario per viverne l’essenza nel presente». L’inesausta tensione progettuale per il bene comune, mai da considerarsi come acquisizione definitiva
Fernanda Mazzoli – La ripresa, finalmente! Ma chi guida la task force incaricata di traghettare il Paese fuori dell’emergenza da Covid 19? La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione
Fernanda Mazzoli – L’io minimo ai tempi dell’epidemia. Lo spiritello esangue e pervicace della mentalità di sopravvivenza. Sopravvivere diviene preferibile a vivere nella consapevolezza.
Fernanda Mazzoli – La speranza, nel libro di Arianna Fermani, forte della sua fragilità,  è apertura e rischio, si oppone alla paura, si accompagna alla fiducia e alla perseveranza, abita il campo della libertà, si confronta con la scelta, osa pensare il possibile (quando appare ancora impossibile) cercando di rendere realizzabile lo sperabile,  è slancio verso il futuro, immaginazione creatrice, fiducia in un avvenire migliore costruito con pazienza e talento. È scommessa educativa, paideia, «speranza di seminare semi e di veder nascere fiori».
Fernanda Mazzoli – La colpevolizzazione delle condotte individuali non conformi ai corretti stili di vita è assurta a dispositivo ideologico tanto semplice quanto efficace, perfetto per tempi come i nostri, allergici al ragionamento complesso e al pensiero dialettico.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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