«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
«Ogni cosa possiede il proprio involucro e il proprio nucleo, la propria apparenza e la propria essenza, la propria maschera e la propria verità. Il fatto che noi possiamo toccare l’involucro, senza raggiungere il nucleo, che noi viviamo nell’apparenza anziché vedere l’essenza delle cose, che la maschera delle cose ci accechi a tal punto che non possiamo scoprire la verità – che cosa prova tutto ciò contro l’interiore certezza delle cose? … la volontà fatale che solo vedono quelli che possiedono la seconda vista […] del vedere attraverso, del penetrare nel senso delle cose».
Franz Marc, I cento aforismi. La seconda vista, a cura di R. Trocon, Feltrinelli, Milano 1982, pp. 41, 46, 54.
Autoritratto.
Cavalli rossi e blu
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
[…] Continua a fare una strana impressione – soprattutto a partire da determinate fratture storiche – il fatto che la pittura, che è la più sensuale delle arti, sia anche la più metafisica. Per il colore, naturalmente, ma non solo per esso, in quanto una scultura colorata, ad esempio, non fa che guadagnare, anziché in sensualità, in distanza. Nella scultura, il colore è ornamento liturgico che la trasforma o la rende simile a un’icona, a volte persino a una stella, a qualcosa del firmamento terrestre […]. Perché i corpi della scultura stanno sempre lontano, e il colore non fa che allontanarli di più, qualificando la loro lontananza, determinando lo spazio dal quale ci si rendono visibili. […] La strana impressione prodotta all’arte della pittura si fa più profonda quando si scopre che ciò che viene dipinto e la pittura non sono propriamente oggetto adeguato della visione. […] Che il segreto, l’intimo motivo del dipingere, non è mai stato il solo desiderio di vedere. C’è, nella pittura, nel quadro, per ultimato, realizzato, che esso sia, uno star sempre facendosi. Come se l’opera della pittura fosse, rispetto alla scultura, meno separata dall’azione che l’ha prodotta. Come se ciò che viene dipinto fosse meno indipendente, meno oggettivo, in minor grado o in grado diverso «oggetto ideale». […] La pittura è evento, un intimo evento che si manifesta, chiaro, in forme e figure, quali che siano, rappresentative o no, «figurative» o no. […] La pittura non pone, come la scultura, il problema della partecipazione, perché si dà immediatamente, come ciò che avviene, e solo dopo può e deve accadere che da tale evento si tragga o si esprima un tanto di contemplazione, segno della maturità e del compimento dell’evento dipinto e della pittura stessa. Un evento nell’intimità, un mistero. Un sogno; un sogno che abbraccerebbe la pittura tutta. La pittura nasce, com’è noto, nelle caverne per afferrare magicamente qualcosa che fugge e prende il largo, le anime dei viventi oggetto di desiderio. Fosse per la caccia o per qualche altra forma di appropriazione la smania che assillava quei «pittori» – quella società, meglio –, si trattava di strappare l’anima a quegli esseri e di tenerla lì, né viva né morta: viva, ma separata e catturata. L’anima, che è l’«essere» per chi non ha ancora fatto filosofia, e per chi sogna. Stare davanti alle pitture delle caverne è sognare, stare sognando, lo stesso che davanti alle Meninas di Veláquez. Un sogno, la pittura; un sogno semplicemente, no. Un sogno realizzato, ossia un sogno che è entrato nella realtà, forse per la sua verità, perché non tutti i sogni possono, nemmeno attraverso la pittura, entrare a formar parte della realtà, di quella strana realtà che è l’arte. Dal sogno la pittura ha la sua nascita. Perché essa è nata nelle caverne, nella notte perenne illuminata dal bagliore disuguale del fuoco, materia leggera come quella dei sogni, aderente alla nuda roccia – resistenza a sua volta della materia originaria del pianeta, suo primo e perenne fondale. Per ospitare la sua nascita, fu necessario che si aprisse il vuoto, il viscere oscuro della terra, o che un alto muro si alzasse: una parete liscia, il fondo. Senza di esso, non ci sarà pittura; per ridotta che sia la sua superficie, per affidata alla superficie che essa sia, la pittura sarà sempre percepita come aderente a un muro, a un fondo, se non rinchiusa in una caverna. Custodita in essa, come un segreto colto di sorpresa o come un mistero che si lascia vedere. Non contraddicono l’intima legge della pittura le pitture sigillate, difese, scoperte nelle tombe dell’antico Egitto. Esse, al contrario, ci fanno sentire che sono l’intimo nucleo, il cuore, della pittura. E che l’aspetto secondario è dipingere qualcosa perché sia visto, perché qualsiasi occhio lo veda. Cosa, questa, che si deve a quel processo di laicizzazione del sacro che necessariamente è venuto portando tutti i segreti, tutto il segreto, sotto gli occhi di tutti gli uomini, almeno in potenza.
[…]
Un sogno, un certo tipo di sogno, un proposito; un sogno messaggero, o un sogno in cui si compie o si cerca di far compiere un destino. Orazione, voto, pegno, promessa, impegno. La materia fluida della speranza e dell’amore, a volte anche del semplice desiderio, ricevuta nella ferma, resistente materia della volontà che resiste al tempo, del volere che oltrepassa il tempo e sogna, a sua volta, di annullarlo. La pittura, pertanto, sarà come un istante vivo, vivente, di tempo tra due sogni: quello dal quale nasce e l’altro, quello della tenace volontà di raffigurare, di raffigurarsi, in tutti i tempi, passando attraverso di essi. Questo, è vero, lo si potrebbe dire in sostanza di tutte la arti: che tutte, compresa quella della parola, si danno tra questi due sogni e li realizzano col poco tempo che portano con sé – li realizzano relativamente. Nell’arte della pittura, però, questa condizione si mostra con maggiore proprietà, perché il suo contenuto sono fantasmi, fantasmi come quelli dei sogni. Appare, cioè, che essa è il sogno stesso che alla fine si è aperto l’alveo più adeguato al proprio fluire. Che ha trovato il corpo, appena meno impalpabile del proprio corpo fantasmatico, che gli consente di entrare a far parte del reale. I sogni, infatti, una certa specie, hanno bisogno di salvarsi. E un sogno salvato è un sogno visibile, sì, tanto più se ciò è conseguenza del suo essere entrato nel mondo della realtà, che è quello del tempo; del suo essere stato salvato a opera del tempo. Perché il tempo è salvatore.
Roma, 1960
María Zambrano, Sogno e destino della pittura, in María Zambrano, Dire luce. Scritti sulla pittura, a cura di C.armen Del Valle, Rizzoli, Milano 2013, pp. 103-109.
Oggi, 12 gennaio 2020, Costanza Fiorillo (che frequenta la III F della Scuola Media “Cino da Pistoia”, Pistoia), ha ripreso i versi (Memory’s Fligt) che la sorella Chiara Fiorillo (la quale frequentava allora la III F della Scuola Media “Cino da Pistoia”), compose Il 12 gennaio 2017 per il “Giorno della Memoria”. Costanza li ha trascritti nel suo personale messaggio pittorico, in questa intensa immagine rammemorante che ha intitolato Reality and Hope: il pensiero è rivolto al “Giorno della Memoria”.
Memory’s fligt
Il volo della memoria
They were men before; they were something before. Then they became nothing, so with no fearless, they were waiting for death. To live there you have to believe your future, because where there’s hope, there’s life. They were sorrounded by barbed wire, so they couldn’t fly away. I wonder why it happened, but inside me the answer is silence. We’re all equal, we’re all different, but there isn’t a perfect race! “Losing the past means losing the future”, so you must remember what happened. Chiara Fiorillo, 2017
Georg W. Bertram, L’ arte come prassi umana. Un’estetica, Cortina, Milano, 2017.
Nella teoria e nella filosofia dell’arte si tende a sottolineare la differenza fra l’arte e le altre pratiche umane. In questo modo, si può perdere il senso profondo della pluralità delle arti e sottovalutare la portata dell’arte nell’ambito della forma di vita umana. Nella prospettiva teorica elaborata da Bertram, al contrario, l’arte si colloca in continuità con le altre pratiche umane, perché solo in riferimento a esse può acquisire la propria specifica potenzialità. Seguendo Bertram, saremo in grado di riconoscere in queste pagine una nuova impostazione nella definizione dell’arte: si tratta di comprendere la particolarità dell’arte nel contesto della prassi umana, ovvero di cogliere la natura essenziale del contributo che essa reca a questa prassi. L’arte, argomenta Bertram, non è semplicemente una pratica specifica, ma una forma specifica di prassi riflessiva, in quanto tale assai produttiva nell’ambito del rapporto dell’essere umano con il mondo. In ultima analisi, l’arte è una prassi di libertà.
Quarta di copertina È dai tempi delle parole di Platone sul ruolo dei poeti che l’arte è al centro dell’attenzione dei filosofi. Questa sistematica introduzione alla filosofia dell’arte considera le riflessioni che da Platone, Kant, Hegel, giungono fino ad Adorno, Heidegger, Gadamer e Goodman e s’interroga su quale valore e funzione abbia l’esperienza artistica per l’uomo. Il volume illustra i principali temi e concetti che hanno contribuito a definire nella storia l’espressione artistica e in particolare i confini di quel peculiare processo di comunicazione che ha luogo solo grazie all’arte. Georg Bertram risponde a quesiti centrali: che cos’è l’arte? quando vi è arte? qual è il valore dell’arte per l’uomo? E invita il lettore a partecipare con lui nella riflessione.
«L’arte ha per noi il valore di una forma specifica di conoscenza, che può essere contraddistinta dal fatto che nel dialogo con le opere d’arte prendiamo coscienza del mondo e di noi stessi. Non vengono però in tal modo accomunati, in maniera infondata, due possibili orientamenti della presa di coscienza estetica? Se nell’arte ne va del mondo o ci occupiamo invece di noi stessi fa certo una bella differenza. È necessario precisare in che senso dev’essere intesa la presa di coscienza estetica: se essa abbia a che fare primariamente con il mondo o con il sé. Le opere d’arte rispondono anzitutto al modo in cui è strutturato il mondo intorno a noi? oppure ci interpellano in primo luogo circa le specifiche cognizioni che abbiamo di noi stessi? Potrebbe darsi naturalmente amcora una terza possibilità: che nell’arte il mondo e il sé siano interdipendenti. Nel dibattito concernente la questione se l’arte sia rappresentazione o espressione, uno dei dibattiti paradigmatici intorno all’arte, vengono a confronto le due diverse direzioni che possono essere prese dal realizzarsi della presa di coscienza estetica. La diatriba sulla spiegazione dell’arte come rappresentazione o espressione verte sul modo in cui l’arte funziona come processo di presa di coscienza, e cioè se essa sia anzitutto orientata alla nostra realtà esteriore o alla nostra realtà interiore. Chi concepisce l’arte come rappresentazione ne associa le prestazioni cognitive al mondo esterno. Se invece l’arte è concepita come espressione, la presa di coscienza estetica è connessa con il mondo cognitivo interiore di coloro che fanno esperienze estetiche. Sulla base del dibattito sull’arte come rappresentazione o espressione […], alla fine dei conti è più opportuno tirare in ballo un’altra distinzione, quella tra segno ed esperienza, che rende meglio comprensibile in che misura l’arte possa riferirsi al mondo o al sé. Quindi le opere d’arte devono essere comprese come segni – come segni che dànno da comprendere determinati contenuti -, oppure ci rappresentano in un modo particolare le forme della nostra esperienza. […] Il mio scopo è mostrare in generale che l’alternativa tra segno ed esperienza, in ultima istanza, non presenta affatto un’alternativa e che perciò nella presa dio coscienza estetica mondo e sé sono inseparabilmente connessi». GEORG W. BERTRAM, Arte. Un’introduzione filosofica (Kunst. Eine philosophische Einführung, Philipp Reclam, Stuttgart 2005), trad. It. di A. Bertinetto, Einaudi, Torino 2008, cap. IV ‘Segno o esperienza ‘, pp. 127 – 128.
G. Ungaretti e P. Bianconi L’opera completa di Vermeer Rizzoli, Milano1966.
«La Merlettaia è china sul suo lavoro. È sguardo che si concentra, è assenza da tutto il rimanente che non sia quel lavoro, quel moto di dita che i fili annodano in trame leggiadre? Dita e sguardo non cesseranno mai di muoversi, di quel loro moto che si muove fermo per sempre. L’idea dell’infinità, d’una familiarità con il silenzio, solita, indissolubile e infrangibile; l’idea d’un’esistenza immutabilmente, felicemente quotidiana, semplicemente semplice; l’idea d’una solitudine tutta sola, e tutto il resto muto; questa è l’idea»
Bibliografia
Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese A. K. Wheelock (a cura di), W. Liedtke (a cura di), S. Bandera (a cura di) 246 pagine, 2012
Max Kozloff La luce di Vermeer Roma, Contrasto DUE, 2011.
Bert W. Meijer Vermeer. La ragazza alla spinetta e i pittori di Delft Giunti GAAM, 2007
Anthony Bailey Il maestro di Delft: storia di Johannes Vermeer, genio della pittura Milano, Rizzoli, 2003.
Norbert Schneider Vermeer: 1632–1675: i sentimenti dissimulati Koln, Taschen, 2001.
Lorenzo Renzi Proust e Vermeer. Apologia dell’imprecisione Bologna, Il Mulino, 1999
John Michael Montias Vermeer: l’artista, la famiglia, la città Torino: Einaudi, 1997.
Gilles Aillaud, John-Michael Montias and Albert Blankert Vermeer Milano, Arnaldo Mondadori Editore, 1986
Giuseppe Ungaretti e Piero Bianconi L’opera completa di Vermeer Milano, Rizzoli, 1966.
Consulta la pagina dedicata al dipinto di Jan Vermeer, La Merlettaia, sul sito del Musée du Louvre di Parigi.
René Char, Lettera amorosa, Illustrazioni di Georges Braque e di Jean Arp, Archinto, 2008.
L’arte è un frutto che cresce nell’uomo, come un frutto su una pianta, o un bambino nel ventre di sua madre.
Jean Arp
Presto il silenzio diventerà una leggenda. L’uomo ha voltato le spalle al silenzio. Giorno dopo giorno inventa nuove macchine e marchingegni che accrescono il rumore e distraggono l’umanità dall’essenza della Vita, dalla contemplazione e dalla meditazione. Suonare il clacson, urlare, strillare, rimbombare, frantumare, fischiettare, rettificare e trillare rafforza il nostro ego.
Jean Arp
Jean Arp with Navel Monocle, 1926. Arp Stiftung, Berlino.
Jean Arp, Déméter.
Triade dei Misteri Eleusini, Persefone, Trittolemo e Demetra. Bassorilievo marmoreo (440-430 a.C.), trovato a Eleusi (oggi situato ad Atene, presso il Museo Archeologico Nazionale).
«C’è sempre un conflitto tra astrazione e figurazione: è necessario che
il nostro sguardo coltivi l’idea dei sottintesi, che vada oltre la trivialità
di ciò che vediamo. Nell’epoca dei social network e di Netflix, siamo
bombardati da informazioni e immagini, ma la pittura è prima di tutto un fatto fisico,
ci permette di tornare indietro, di concederci una pausa e attivare la
sfocatura del distacco e della riflessione».
« La pittura è una forma d’arte persistente, che ha a che fare con la maniera in cui una persona contempla un’immagine, attraverso il tempo, con il tempo e oltre il tempo. Molti artisti hanno cominciato con la pittura perché è la prima immagine concettuale. In questo senso, è e resterà un aspetto fortemente radicato nella civiltà e nella cultura. Se la pittura è solo uno “show”, frutto di più elementi su una tela, allora la pittura è morta, ma credo che questo valga per tutte le forme d’arte»
Luc Tuymans, Lumumba/em, 2000.
Luc Tuymans, Bend over, 2001
Luc Tuymans, Gaskammer, 1986
Luc Tuymans,Ballone, 2017
Luc Tuymans,Twenty Seventeen, 2017
James Ensor, Through the Eyes of Luc Tuymans, 2016
Luc Tuymans, 2003
Luc Tuymans, Is It Safe?, 2010
Luc Tuymans, La pelle, 2019
Luc Tuymans, Painting on Ice, 2011
ON&BY Luc Tuymans, 2013
Sanguine, Luc Tuymans on Baroque, 2018
The Image Revisited, Luc Tuymans in Conversation with Gottfried Boehm, 2018
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Per me è chiaro come il giorno che bisogna sentire quel che si disegna
[ … ]. Mediante l’esercizio continuo la mano deve imparare
a obbedire a quel sentimento. Van Gogh, Lettere a Theo.
Scritti e pensieri sull’arte, Einaudi 1979
L’espressione essenziale di un’opera dipende
quasi interamente
dalla proiezione del sentimento dell’artista.
Henri Matisse, Scritti e pensieri sull’arte, Einaudi, 1979.
«Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità, questa generosità assoluta e questo profondo spogliamento che implica la genesi di ogni opera d’arte. Ma l’amore non è forse all’origine di tutta la creazione?».
Henri Matisse, Occorre guardare tutta la vita con gli occhi di un bambino, in Tracce, febbraio 2011
L’arte comincia quando l’uomo, nell’intento di trasmettere ad altri una sensazione da lui provata, la risuscita in sé e la esprime con certi segni esteriori.
Lev N. Tolsloj, Che cos’è [‘arte? [1897). ed. il. a cura di Filippo Frassati, Feltrinelli, Milano 1978, p. 60.
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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.
«Se un’opera d’arte non comunica con individuale originalità i sentimenti dell’artista, se li esprime in modo incomprensibile, oppure se non nasce da un’esigenza interiore dell’autore, non è un’operad’arte».
Vincent van Gogh, Lettere a Theo [1872-1890], ed. it. a cura di Massimo Cescon, Guanda, Milano 2014, p. 178.
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