Dialettica del concreto.
«In quale linguaggio è scritto il libro del mondo umano e della realtà umano-sociale? Come e per chi si svela tale realtà? Se la realtà umano-sociale venisse conosciuta nella sua realtà di per se stessa e nella coscienza ingenua quotidiana, in tal caso la filosofia e l’arte diventerebbero un lusso inutile che, secondo le esigenze, può venir preso in considerazione o rigettato. La filosofia e l’arte non farebbero altro che ripetere ancora una volta – sia concettualmente con linguaggio intellettuale, sia per immagini con linguaggio emozionale – ciò che è già noto anche senza di esse e ciò che esiste per l’uomo indipendentemente da esse.íí
L’uomo vuole comprendere la realtà, ma spesso riesce ad avere “in mano” soltanto la superficie della realtà o una sua falsa apparenza. Come quindi si svela la realtà nella sua autenticità? Come si manifesta per l’uomo la verità della realtà umana? L’uomo giunge per
mezzo di scienze speciali alla conoscenza di parziali settori della realtà umano-sociale e alla verifica delle loro verità. Per la conoscenza della realtà umana nel suo complesso e per scoprire la verità della realtà nella sua autenticità, l’uomo dispone di due “mezzi”: la filosofia e l’arte. Per questa ragione l’arte e la filosofia possiedono per l’uomo un significato specifico e una particolare miissione. Nella loro funzione l’arte e la filosofia sono per l’uomo vitalmente importanti, impagabili e insostituibili. Rousseau avrebbe detto che sono inalienabili.
Nella grande arte la realtà si svela all’uomo. L’arte, nel senso proprio della parola, è allo stesso tempo demistificatrice e rivoluzionaria, giacché conduce l’uomo, dalle rappresentazioni e dai pregiudizi sulla realtà, fino alla realtà stessa e alla sua verità. Nell’arte autentica e nell’autentica filosofia si svela la verità della storia: qui l’umanità è posta di fronte alla sua propria realtà.
Qual è la realtà che si svela all’uomo nell’arte? Forse una realtà che l’uomo già conosce e di cui vuole soltanto appropriarsi in altra forma, rappresentandoseIa cioè sensibilmente? Se le opere drammatiche di Shakespeare non sono “nient’altro che” la rappresentazione artistica della lotta di classe nell ‘epoca dell’accumulazione primitiva, se un palazzo rinascimentale non è ”’nient’altro che” l’espressione del potere di classe della borghesia capitalistica allora nascente, si pone a questo punto la domanda: perché questi fenomeni sociali che esistono di per se stessi e indipendentemente dall’arte devono venire ancora una volta rappresentati dall’arte, e cioè sotto un’apparenza che costituisce un mascheramento della loro reale natura e che, in un certo senso, allo stesso tempo nasconde e manifesta la loro vera essenza? In una tale concezione si presuppone che la verità espressa dall’arte può venir raggiunta anche per un’altra via, soltanto con la differenza che l’arte presenta una tale verità “artisticamente”, in immagini che possiedono
un’ evidenza sensibile, mentre sotto un altro aspetto quella stessa verità sarebbe stata molto meno suggestiva.
Un tempio greco, una cattedrale medioevale o un palazzo rinascimentale esprimono la realtà, ma al tempo stesso anche creano la realtà. Tuttavia essi non creano soltanto la realtà antica, medioevale o rinascimentale, non sono soltanto elementi costruttivi ciascuno
della rispettiva realtà, bensl essi creano come perfette opere artistiche una realtà che sopravvive al mondo storico dell’antichità, del medioevo e del rinascimento. In una tale sopravvivenza si svela il carattere specifico della loro realtà. Il tempio greco è qualcosa di diverso da una moneta antica che col tramonto del mondo antico ha perso la propria realtà, non ha piu validità, e ormai non vale più come mezzo di pagamento e materializzazione di un valore. Con il tramonto del mondo storico perdono la loro realtà anche gli elementi che in esso avevano una funzione; il tempio antico ha perso la sua immediata funzione sociale come luogo destinato agli uffici divini e alle cerimonie religiose; il palazzo rinascimentale non è ormai piu il simbolo visibile del potere né l’autentica sede di un magnate del rinascimento. Ma con il tramonto del mondo storico e con l’abolizione delle loro funzioni sociali né il tempio antico né il palazzo rinascimentale hanno perduto il loro valore artistico. Perché? Essi esprimono forse un mondo che nella sua storicità è già scomparso, ma che sopravvive sempre in essi? Come e con che sopravvive? Come complesso di condizioni date? Come materiale lavorato ed elaborato da uomini che hanno impresso in essi le proprie caratteristiche? A partire da un palazzo rinascimentale è possibile svolgere delle induzioni sul mondo rinascimentale; per mezzo del palazzo rinascimentale è possibile indovinare la posizione dell’uomo nella natura, il grado di realizzazione della libertà dell’individuo, la divisione dello spazio e l’espressione del tempo,
la concezione della natura. Ma l’opera d’arte esprime il mondo in quanto lo crea. Essa crea il mondo in quanto svela la verità della realtà, in quanto la realtà si esprime nell’opera d’arte. Nell’opera d’arte la realtà parla all’uomo.
[…] Proprio l’analisi dell’opera d’arte ci conduce a porci la domanda che costituisce il principale oggetto delle nostre considerazioni: che cos’è la realtà umano-sociale e come questa stessa realtà viene creata?
Se la realtà sociale in rapporto con l’opera d’arte si considera esclusivamente come le condizioni e le circostanze storiche che hanno determinato o condizionato l’origine dell’opera, l’opera stessa e la sua artisticità diventano qualcosa d’inumano. Se l’opera è fissata solo come opera sociale, prevalentemente o esclusivamente nella forma di oggettività reificata, la soggettività viene concepita come qualcosa di asociale, come un fatto che è condizionato, ma non creato né costituito dalla realtà sociale. […] Nella società
capitalistica moderna il momento soggettivo della realtà sociale è stato distaccato dall’oggettivo e i due momentì si drizzano l’uno contro l’altro come due sostanze indipendenti: come mera soggettività da una parte e come oggettività reificata dall’altra. Di qui hanno origine le mistificazioni: da una parte l’automatismo della situazione data, dall’altra la psicologizzazione e la passività del soggetto. Ma la realtà sociale è infinitamente piu ricca e piu concreta della situazione data e delle circostanze storiche, perché essa include in sé la prassi umana oggettiva, la quale crea sia la situazione che le circostanze. Le circostanze costituiscono l’aspetto fissato della realtà sociale. Non appena esse vengono distaccate dalla prassi umana, dall’attività oggettiva dell’uomo, diventano qualcosa di rigido e d’inanimato.
[…] Il sociologismo riduce la realtà sociale alla situazione, alle circostanze, alle condizioni storiche, che, così deformate, assumono l’aspetto dell’oggettività naturale. Il rapporto tra le “condizioni” e le “circostanze storiche” cosi intese da una parte e la filosofia e l’arte dall’altra non può essere essenzialmente altro che meccanico ed esteriore. Il sociologismo illuminato si sforza di eliminare un tale meccanicismo mediante una complessa gerarchia di “termini mediatori” autentici o costruiti (“l’economia” si trova “mediatamente” in contatto con l’arte), ma fa il lavoro di Sisifo. […] Come viene creata la realtà sociale?, la realtà sociale stessa esiste non soltanto sotto la forma di “oggetto”, di situazione data, di circostanze, ma anzitutto come attività oggettiva dell’uomo, che crea le situazioni come parte oggettivizzata della realtà sociale.
Per il sociologismo, la cui più laconica definizione è lo scambio della situazione data al posto dell’essere sociale, la situazione muta e il soggetto umano reagisce ad essa. Reagisce come un complesso immutabile di facoltà emozionali e spirituali, e cioè cogliendo, conoscendo e rappresentando artisticamente o scientificamente la situazione stessa. La situazione muta, si svolge, e il soggetto umano marcia parallelamente ad essa e la fotografa. L’uomo diventa un fotografo della situazione. Tacitamente si parte dal presupposto che nel corso della storia varie strutture economiche si sono alternate, sono stati abbattuti dei troni, delle rivoluzioni hanno trionfato, ma la facoltà dell’uomo di “fotografare” il mondop è rimasta la stessa dall’intichità ad oggi.
L’uomo coglie e si appropria la realtà “con tutti i sensi”, come affermò Marx […].
L’uomo scopre il senso delle cose per il fatto che egli si crea un senso umano per le cose. Pertanto un uomo dai sensi sviluppati possiede un senso anche per tutto ciò che è umano, mentre un uomo dai sensi non sviluppati è chiuso di fronte al mondo e lo “percepisce” non universalmente e totalmente, con sensibilità e intensità, bensì in modo unilaterale e superficiale […]
Non critichiamo il sociologismo per il fatto che si volge alla situazione data, alle circostanze, alle condizioni per spiegare la cultura, bensl per il fatto che non comprende il significato della situazione in se stessa, né il significato delle situazioni in rapporto con la cultura. La situazione al di fuori della storia, la situazione senza soggetto, non soltanto costituisce una configurazione pietrificata e mistificata, ma allo stesso tempo una configurazione priva di senso oggettivo. Sotto questo aspetto le “condizioni” mancano di ciò che è piu importante anche dal punto di vista metodologico, e cioè un proprio significato oggettivo, e ricevono invece un senso illegittimo in dipendenza dalle opinioni, dai riflessi e dalla cultura dello scienziato.
La realtà sociale ha cessato di essere per l’indagine ciò che essa oggettivamente è, e cioè totalità concreta e si scinde in due interi eterogenei e indipendenti, che il “metodo” e la “teoria” si sforzano di riunire; la scissione della totalità concreta della realtà sociale mette capo alla conclusione seguente: da una parte viene pietrificata la situazione, mentre dall’altra parte vengono pietrificati lo spirito, la psichicità, il soggetto. […]
Una tale insufficienza si manifesta tanto nell’accettazione di forme ideologiche già pronte, per le quali viene trovato un equivalente economico o sociale, quanto nella rigidezza conservatrice con cui ci si sbarra l’accesso alla comprensione dell’arte moderna […].
Tuttavia sembra che i presupposti teoretico-filosofici di una tale insufficienza non siano stati sufficientemente esaminati».
Karel Kosík, Dialettica del concreto, Bompiani, 1965, 137-145.
Un filosofo in tempi di farsa e di tragedia
Linda Cesana – Costanzo Preve
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