Carmelo Vigna – «La compassione vera». Un essere “per altri” in cui non si è “per altri” in quanto si ha bisogno d’altri, ma si è “per altri” in quanto ad altri ci si offre come il loro bene o come un aiuto. La compassione è l’accadere della purezza del dono di sé ad altri, ancor prima che altri chieda.

Carmelo Vigna, Didascalie filosofiche, Orthotes, Nocera Inferiore, 2022.

Descrizione

Una didascalia, come si sa, è una breve spiegazione che di solito accompagna una immagine, un testo o qualcosa di simile. In questo libro, che raccoglie una serie di saggi scritti in varie occasioni e in tempi diversi, la didascalia accompagna piuttosto una parola (o più parole) che compare nei titoli dei capitoli della parte prima e della parte seconda del volume. Così si tenta di dilucidare in modo piano alcune cifre di attualità culturale (parte prima) o classiche nel linguaggio filosofico (parte seconda). La parte terza del volume è riservata a un gruppo di scritti (per lo più recenti), che hanno un intento didascalico più lato, e sono propriamente scampoli di ricerca teorica. Il proposito didascalico è, dunque, quello dominante in queste pagine: una sorta di omaggio dedicato al lettore meno interessato a esposizioni specialistiche. Un lettore prezioso, perché è un interlocutore che costringe spesso a rendere semplici e lineari i contenuti complicati della filosofia e così a mettere questi contenuti al servizio del (buon) senso comune.

Carmelo Vigna

Filosofo

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La compassione vera

September 15, 2022

Che vuol dire “compassione”? Vuol dire, in generale, avere un cuore che prova pietà per chi è in difficoltà, per chi dolora, per chi è emarginato, ferito dalla vita e quindi bisognoso di aiuto.

Ma perché “aver compassione” è cosa buona? Si può rispondere che lo è, perché l’ha detto il Cristo. Ma questa risposta, propria dell’uomo di fede cristiana, non è, certo, diversa da quella di fede ebraica, tratta dal Vecchio Testamento. Inutile qui ricordare quante volte lì tutto questo ricorra. E bisogna subito aggiungere che anche altre religioni invitano alla compassione. Lo fa il buddismo, per esempio. Pure la fede musulmana continuamente appella Dio come il compassionevole e prescrive la compassione per i poveri e i deboli. Il confucianesimo non è da meno. Persino le religioni antiche esortavano alla compassione, a modo loro: avevano ad es. il culto dell’ospitalità, che è poi compassione per lo straniero. Come mai questo convergere sulla compassione, mentre la storia umana è spesso senza compassione, ossia è crudele – a volte specialmente con gli indifesi?

La compassione in molti casi è qualcosa di spontaneo. Ma stranamente appare anche come qualcosa di spontaneo l’opposto della compassione, cioè poi l’odio nelle sue molte forme. Già questo cenno all’odio, come opposto della compassione, fa capire che la compassione è in realtà uno dei nomi dell’essere “per altri”, anzi che essere “contro gli altri”. E in effetti, l’essere “per altri” è prescritto non solo dal cristianesimo, ma anche dalle altre religioni. Almeno da quelle che ho prima evocato. Ebbene, in che si radica questo “amore” per gli altri? Rispondo: anzitutto in una inconscia percezione del nostro aver bisogno degli altri. Noi istintivamente amiamo gli altri, prima di tutto perché “sentiamo” che senza gli altri non potremmo vivere. Questo è evidente nei bambini, che hanno, appunto, bisogno dei genitori, questo è altrettanto evidente nella vita adulta, quando si ha bisogno di far coppia e si ha pure bisogno degli amici e di tutti quelli che ci rendono la vita più vivibile. Questo è evidente nell’ultima parte della nostra esistenza, quando l’impotenza o le malattie della vecchiaia ci fanno bisognosi di cure. Gli altri sono – in qualche modo – il nostro “bene”, ossia l’oggetto che nutre il nostro desiderio di vita. 

Certo, non è solo questo desiderio a spingerci verso gli altri. C’è pure una relazione più nobile, che, a un certo punto e a certe condizioni, si fa avanti, ossia l’apprezzamento e quindi l’amore per gli altri “disinteressato”: voglio bene all’altro indipendentemente dall’utilità che egli può procurarmi. Voglio il “suo” bene e non il “mio”. In questo caso, rovesciando il precedente dinamismo, sono io che mi rendo in qualche modo un bene per altri. E anche questo movimento vanta una certa sua spontaneità, specialmente nel rapporto umano maturo. Ma è da aggiungere che questo modo di essere “per altri” (cioè “disinteressato”) sorge solitamente durante o dopo l’avvertimento che l’altro mi vuole bene, cioè che si offre come un “bene” per me.

Ora, la compassione sembra proprio questo tipo di essere “per altri” in cui non si è “per altri” in quanto si ha bisogno d’altri, ma si è “per altri” in quanto ad altri ci si offre come il loro bene o come un aiuto. Questo salta subito all’occhio. E’ meno evidente però un elemento aggiuntivo – di particolare importanza – che fa essere veramente compassionevoli e che ora va sottolineato. E l’elemento aggiuntivo è questo: nella vera compassione, la compassione non è frutto della percezione mia di una qualche elezione da parte dell’altro. In altri termini, l’altro, come oggetto di compassione non è uno che mi ha previamente “scelto”; è, piuttosto, uno di cui molto spesso non so nulla e soprattutto è uno che non è neppure in grado di offrirmisi come un “bene per me”. Insomma, è uno che non mi ha mai dato niente e che non ha niente da darmi.

Diciamolo in altro modo. Noi, quando siamo veramente compassionevoli, ci offriamo come aiuto e sostegno ad altri senza attenderci o esigere alcun ricambio: né un ricambio a seguire, né un ricambio anticipatorio (come a volte accade quando si implora pietà e poi la si ottiene). La vera compassione prescinde da una qualsiasi condizione di reciprocità. Semmai, dà inizio alla reciprocità. Perciò si può dire che la compassione è l’accadere della purezza del dono di sé ad altri, ancor prima che altri chieda. Credo sia questo il motivo per cui la compassione viene, più o meno spontaneamente, associata al divino. Solo Dio, infatti, può essere sempre così. Ne viene che, quando noi lo siamo, diventiamo in qualche modo simili a Lui.

Carmelo Vigna, Didascalie filosofiche, Orthotes, Nocera Inferiore, 2022, pp. 21-23.


Tra i libri

di

Carmelo Vigna

Prima le copertine in galleria,
poi ogni singolo titolo con le copertine in sequenza cronologia.


La dialettica gentiliana,
in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1964, fasc. III, pp. 362-392.


Religione e filosofia nel pensiero di Giovanni Gentile,
in “Giornale critico della filosofia italiana, fasc. II, pp. 260-281, 1967.


Ragione e religione, CELUC, 1971


Filosofia e Marxismo, CELUC, 1974


Gentile interprete di Marx,
in AA.VV., Enciclopedia 76-77. Il pensiero di Giovanni Gentile,
Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. II, pp. 885-899, 1977


Le origini del marxismo teorico in Italia.
Il dibattito tra Labriola, Croce, Gentile e Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia,
Città Nuova, 1977


Antonio Gramsci. Il pensiero teorico e politico. La “questione leninista”,
con V. Melchiorre e G. De Rosa,
Città Nuova, 1979


La ragione e la dialettica.
Studi su Marx e Della Volpe,
Marsilio, 1980


Teorie della felicità II,
con D. Goldoni, I. Sciuto, P. Vidali,
Aldo Francisci Editore, 1986


La qualità dell’uomo.
Filosofi e psicologi a confronto,
on G. Trentini,
Franco A,geli, 1988


 Invito al pensiero di Aristotele,
Mursia, 1992


Dio e la ragione.
Anselmo d’Aosta, l’argomento ontologico e la filosofia,
Marietti, 1993


 L’etica e il suo altro,
Franco Angeli, 1994


Sostanza e relazione. Una aporetica della persona,
in L’idea di persona, a cura di V. Melchiorre,
Vita e pensiero, 1996


Strutture del sapere filosofico,
con E. Berti, A. Masullo, L. Ruggiu, E. Severino,
Il Cardo, 1997


La libertà del bene,
Vita e pensiero, 1998

La modernità ha perduto, lungo la sua parabola, la percezione profonda del legame originario tra la libertà e il bene. Eppure, solo questo legame è in grado di allontanare dalla storia dei singoli e dei popoli i mostri partoriti dall’arbitrio brutale della forza. Sappiamo che la forza è brutale quando è cieca, ossia quando è priva di uno scopo e di uno scopo giusto, quando non ha nulla in vista che non sia il ripiegamento su se medesima, in una sorta di delirio di onnipotenza, onnipotenza che sembra risiedere nella facoltà di oscillare infinitamente tra il bene e il male, come se in questo consistesse un reale dominio e del bene e del male. Ma ciò produce piuttosto il deserto della rescissione dei legami con le cose buone della vita. Per nostra fortuna, oltre alla libertà di compiere il bene o il male, v’è la libertà di compiere il bene anziché il male, cioè la libertà del bene. Una libertà da riscoprire. I saggi del presente volume tracciano una mappa essenziale della parabola di questa libertà. Antichi, medievali e moderni sono stati interrogati a fondo, così da offrire al dibattito contemporaneo e al lettore attento i riferimenti storici e teorici irrinunciabili per porre in modo nuovo la questione. A capo della raccolta appare, e per la prima volta, un saggio su “La libertà e il male” di Paul Ricoeur, una delle voci più autorevoli e più ascoltate della filosofia contemporanea.


La politica e la speranza,
con Virgilio Melchiorre,
dizioni Lavoro, 1999


L’enigma del desiderio,
con L. Ancona e P.A. Sequesri,
Edizioni San Paolo, 1999.

Non è difficile raccontare il desiderio. È difficile riconoscerne le radici e accettarne la compagnia; cercare di capire da dove viene e dove vuole farci arrivare. In una parola, accreditarlo come interlocutore autorevole e sensato della nostra vita. Sono molteplici le forme attraverso le quali esso insorge e s’afferma, assumendo i volti ambivalenti, spesso indecifrabili, di una forza salutare e inquietante, confidenziale e imprevedibile.


Essere giusti con l’altro,
Rosenberg & Sellier, 2000


Il frammento e l’intero.
Indagini sul senso dell’essere e sulla stabilità del sapere,
Vita e Pensiero, 2000


Introduzione all’etica,
Vita e Pensiero, 2001


Sul trascendentale come intersoggettività originaria,
in Le avventure del trascendentale,
a cura di A. Rigobello,
Rosenberg & Sellier, 2001


 Etica trascendentale e intersoggettività,
Vita e Pensiero, 2002


La persona e i nomi dell’essere.
Scritti di filosofia in onore di di Virgilio Melchiorre,
con F. Boturi, F. Totaro,
Vita e Pensiero, 2002


Multiculturalismo e identità,
con S. Zamagni,
Vita e Pensiero, 2002

La vecchia Europa vive una nuova stagione, come epicentro amato e odiato di una profonda migrazione di popoli che convengono soprattutto dall’oriente e dal sud del mondo, in cerca di una vita migliore o semplicemente per sfuggire alla fame, al dolore e alla morte. In non pochi casi, anche per ritrovare una dignità di vita. Come è accaduto e continua ad accadere per la vita sociale (e politica) americana, anche per noi europei v’è il problema di stabilire il giusto rapporto fra la necessità di reperire un codice comune di convivenza e l’istanza della molteplicità etnico-culturale. La letteratura sull’argomento oscilla tra due estremi, non facilmente componibili: da un lato, si cerca la soluzione per sottrazione, e si bada al reperimento di alcune costanti dell’umano che dovrebbero da tutti essere riconosciute per via della loro universalità; dall’altro lato si nega che un tale compito possa essere eseguito e si ricorre a una soluzione per addizione. Il molteplice culturale dovrebbe essere semplicemente registrato e tutte le differenze essere coltivate. La fragilità di entrambe le soluzioni, che pure contengono una loro verità, è diventata fin troppo evidente. Bisognava, dunque, volgere lo sguardo altrove. Bisognava dare indicazioni intorno a una universalità concreta degli umani, che onorasse tanto ciò che li accomuna quanto ciò che li fa differire


Etiche e politiche della post-modernità,
Vita e Pensiero, 2003


Libertà, giustizia e bene in una società plurale,
Vita e Pensiero, 2003


Affetti e legami,
con F. Botturi,
Vita e Pensiero, 2004

Il primo volume dell’Annuario di Etica è concepito come inedito luogo di incontro e di elaborazione teorica, come proposta e confronto sui grandi temi dell’etica, a partire dall’attualità dell’esperienza morale. Esso coltiva una linea che pone a confronto alcune grandi tesi, nella convinzione che è ancora possibile la determinazione della verità e del bene, a fronte di una situazione presente rassegnata ad una pratica indifferenza reciproca dei diversi saperi e credenze, incline alla privatezza della verità e del bene e alla retorica del frammento.


Etica del plurale. Giustizia, riconoscimento, responsabilità,
con E. Bonan,
Vita e Pensiero, 2004

Per nostra fortuna, da qualche parte le forme di alleanza tra gli umani risorgono incessantemente. Non può essere diversamente, perché sono la nostra prima radice. Risorgono tutte le volte che qualcuno invita vicini e lontani a condividere la verità e il bene. Allora giustizia, riconoscimento e responsabilità diventano parole d’ordine degne della nostra attenzione. Questo libro a più mani è un piccolo invito a esercitare questa attenzione essenziale….


La regola d’oro come etica universale,
con S. Zanardo,

Vita e Pensiero, 2004

La Regola d’oro (“Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” o, in positivo, “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”) merita oggi un’attenzione filosofica particolare, anche se si tratta di un’intuizione sapienziale, innanzi tutto, e non di un principio teorico, più o meno raffinato nella sua formulazione. L’intuizione sapienziale ha in questo caso il grande vantaggio di esprimersi genialmente intorno al rapporto giusto tra esseri umani. Non ad “un” rapporto giusto, ma proprio “al” rapporto giusto. Ciò significa che la Regola d’oro contiene virtualmente in sé tutte le forme di comando per altri, poiché essa dice della “qualità” della relazione tra noi indipendentemente dal gesto singolare che dovesse incarnarla.


Annuario di Etica,
Di un altro genere, genere femminile,
con P. Ricci Sindoni,
vol. 5, Vita e Pensiero, 2008

L’attuale dibattito teorico del femminismo europeo e americano sembra ormai definitivamente assestato su posizioni antiessenzialiste e antinaturaliste, secondo cui la differenza sessuale – usualmente accettata nelle due forme di maschile e di femminile – va al contrario ricondotta alle sue configurazioni sociali e storiche e, dunque, raccolta dentro un’indistinta uniformità di genere. Il sesso non è più un elemento distintivo di una marcatura ontologica duale, ma un orientamento soggettivo segnato dalla libertà del singolo. La negazione dell’identità sessuale, insomma, posta al servizio di una ridefinizione ‘neutra’ della natura umana, eleva il ‘genere’ a nuovo paradigma culturale, ormai sempre di più accettato e promosso dalle politiche mondialiste dell’ONU e dell’UE. Questo volume, che si avvale dei contributi delle più acute pensatrici italiane, intende affrontare i nodi ancora irrisolti della questione femminile nelle sue declinazioni storiche, culturali e politiche, alla ricerca di un’antropologia duale, ontologicamente fondata ed eticamente produttiva, per raggiungere la trama intersoggettiva della differenza, dove equilibrare pathos e logos, esperienza emotiva ed esperienza cognitiva, passione e dovere, concretezza del vivere e universalità della condizione umana, complessità dei legami intersoggettivi e responsabilità morale.


Bontadini e la metafisica,
Vita e Pensiero, 2008

Gustavo Bontadini (1903-1990) è uno dei grandi nomi della filosofia italiana del Novecento. Molti protagonisti dell’attuale dibattito filosofico sono stati alla sua Scuola. Basti citare – per tutti – il nome di Emanuele SeverinoQuesto libro è una sorta di corposo up-date sulla figura di Bontadini e, nel contempo, una coraggiosa messa alla prova della sua eredità speculativa. Qui si confrontano in modo appassionato ben tre generazioni di studiosi, in gran parte suoi allievi. Il pensiero bontadiniano è scrutato in profondità e anche discusso con grande e affettuosa libertà di spirito. A tema è soprattutto l’ontologia metafisica del Maestro e l’esplorazione storiografica preparatoria. Ma anche la sua formazione giovanile viene scandagliata con ricchezza di particolari. Perché Bontadini è uno di quei pensatori che vengono da lontano: è nato all’interno di una grande Scuola e ha fatto a sua volta Scuola come pochi altri in Italia e altrove.

Chi legge questo libro, poi, ha in mano anche uno spaccato della filosofia italiana del Novecento: non un resoconto di superficie, ma una indagine di struttura, simile a quella che Bontadini aveva tante volte coltivato in vita sua, per far vedere come la metafisica rappresenti non solo il luogo dell’antica verità, che i Greci per primi avvistarono, ma anche il luogo del riscatto dialettico dell’intera modernità. In funzione del tempo presente. La metafisica di Bontadini è un ‘discorso breve’. Quasi un punto speculativo. Ma su questo punto sta, come sul vertice di un cono rovesciato, il senso dell’essere di memoria parmenidea. L’essere di Parmenide nella sua purezza, cioè nella sua assoluta e sovrana libertà dal negativo, sta oltre l’orizzonte dell’unità dell’esperienza. Questo il guadagno della metafisica, che Bontadini rigorizzò con impareggiabile acume, dedicando al grande compito l’energia di una vita intera. Questo anche il suo lascito fondamentale. Il libro che il lettore ha tra mano intende onorarlo al meglio.

Interventi di: Carlo Arata, Aldo Bergamaschi, Enrico Berti, Lucio Cortella, Giulio Goggi, Luca Grion, Virgilio Melchiorre, Leonardo Messinese, Paolo Pagani, Mario Ruggenini, Dario Sacchi, Angelo Scola, Emanuele Severino, Enzo Sisti, Davide Spanio, Antonio Tessarin, Francesco Totaro, Fabrizio Turoldo, Carmelo Vigna.


Etica di frontiera.
Nuove forme del bene e del male,
con S. Zanardo,
Vita e Pensiero, 2008

L’etica è una delle teorie più legate alla fluidità della vita umana, perché è mirata al governo dell’agire, che è sempre singolare; dunque determinato dalle coordinate dell’empiria (lo spazio e il tempo; cioè poi il molteplice e il divenire). Essa orienta in tal modo la vita. Ma, se deve seguire della vita le volute, deve pure, nel contempo, ritrarsene. Come ogni teoria. Una teoria, anzitutto e per lo più, risulta dalla comprensione dei fenomeni. L’etica deve coniugare il singolare con l’universale, cioè stare al singolare con uno sguardo universale, per rendere universale il singolare. L’etica, allora, non è una teoria come tutte le altre. Se comprende il singolare per orientarlo all’universale, deve stare in certo modo sempre alla frontiera, cioè deve sempre scrutare la realtà del nuovo che avanza, se vuol dargli la forma trascendentale dell’oggetto conveniente con il buon uso della libertà. La frontiera è una cifra simbolica piena di fascino, perché sembra alludere nel linguaggio comune alla possibilità di straordinarie avventure. Tace, però, quasi sempre intorno ai rischi che tutto questo porta con sé. Quando qualcosa viene a noi, non sempre è per noi. Anzi, non di rado è contro di noi, fino a minacciarci di morte. Per questo le frontiere sono state sempre, in realtà, vigilate. Essere alla frontiera è lo stesso che vigilare sulla frontiera. In faccia al nemico, perché il nemico non sorprenda. Essere alla frontiera è proteggere dal male e custodire il bene.


Metafisica e violenza,
con P. Bettineschi,
Vita e Pensiero, 2008

Che la metafisica sia violenta è diventata oramai una ‘vecchia storia’. Nondimeno essa circola sempre sotto nuove spoglie. Oggi la metafisica sembra accusata di violenza, soprattutto perché ostacolerebbe la percezione della ‘finitezza’. Come se si potesse determinare la ‘finitezza’, senza dare significato (fosse pure semplicemente negativo) anche a ciò che ad essa assolutamente si oppone, ossia all’infinità. Paradossalmente, è proprio la storia della metafisica a contenere nel proprio patrimonio teorico la messa a tema della determinazione del ‘finito’. Ogni buon metafisico sa, infatti, che la posizione di ciò che oltrepassa il finito implica necessariamente la posizione del finito come tale. Anzi, questa è per lui la maggiore ‘fatica del concetto’. La metafisica, in sé e per sé, non c’entra nulla con la violenza, perché è una realtà di un altro ordine. La metafisica è un teoria, la violenza è una pratica. E si possono usare le teorie più vere per le pratiche più aberranti. Provvede un essere umano, nella sua libertà, a far da tramite. La metafisica è solo il guadagno di questa fondamentale e semplice convinzione, che lo strato infinito dell’essere, che necessariamente si dà (Parmenide), trascende infinitamente il finito. Proprio questa convinzione può rendere ineseguibile la ‘cortocircuitazione’ della soggettività e del senso dell’Intero, che è la vera radice della umana violenza.


Giorgio La Pira.
Un San Francesco nel Novecento,
con E. Zambruno,
AVE, 2008


Multiculturalismo e interculturalità.
L’etica in questione,
con E. Bonan,
Vita e Pensiero, 2011

Si parla sempre più di interculturalita, sempre meno di multiculturalismo. In effetti, la molteplicità culturale non è certo una novità. C’è sempre stata nella storia umana. E tutto questo potrebbe dirsi anche dell’interculturalità. Perché allora queste realtà sociopolitiche sono diventate problema? Semplice: perché nessuno tollera più culture egemoni. Ogni cultura rivendica una qualche parità ed esige rispetto: chiede di poter partecipare alla vita comune sulla terra senza anatemi. A volte anche senza restrizioni. Ma questo è davvero possibile? E soprattutto: questo è giusto? Sembra proprio di no. Senza alcune restrizioni, a volte no: dice l’etica. Anche le realtà culturali, come tutte le realtà di questo mondo, devono essere attraversate e illuminate dalla domanda intorno al bene e al male. Il fatto è che nessuna cultura è, in sé e per sé, buona o cattiva: va interrogata nelle sue forme e nelle sue pretese, perché potrebbe portare con sé elementi che giocano contro la comune umanità (per esempio, certi casi di mutilazione del corpo). Ogni cultura va rispettata e onorata, certo, ma a misura che essa, a sua volta, rispetti e onori l’umanità comune. Il principio del riconoscimento, che è il punto di riferimento regolativo di tutto il libro e che è l’ispiratore, più o meno celato, del recente passaggio dalla cifra fattuale del multiculturalismo alla cifra prescrittiva dell’interculturalità, deve poter dispiegare la sua universalità anche riguardo alle differenti identità culturali.


Sulla verità e sul bene,
con L. Grecchi,
Petite Plaisance, 2011

Con questo volume Luca Grecchi continua la serie meritoria dei suoi dialoghi con filosofi italiani, aggiungendo un nuovo numero ai precedenti colloqui con Umberto Galimberti e con chi scrive. Come i lettori noteranno, non si tratta di interviste, ma di vere e proprie discussioni a due voci, anche se l’iniziativa è in genere di Grecchi, che pone le domande e in tal modo sceglie di volta in volta gli argomenti su cui discutere.

Nel caso di questo dialogo con Carmelo Vigna, egregio rappresentante di una specie divenuta ormai rara, quella dei fautori della metafisica classica, la conversazione assume ancora di più che nei casi precedenti il carattere di una vera e propria discussione filosofica, genere anche questo divenuto – ahimè – alquanto raro. Vigna infatti non solo risponde alle domande di Grecchi, ma lo sollecita a sua volta a prendere posizione e poi lo critica, assumendo in tal modo lui stesso il ruolo che nelle discussioni dialettiche antiche era quello dell’interrogante, svolto ad esempio da Socrate nei dialoghi platonici. Si assiste quindi ad un coinvolgente scambio di ruoli, che ricorda appunto, per le sue modalità e i suoi contenuti, le pratiche dell’antica dialettica, ormai quasi completamente abbandonate dai filosofi di oggi.

Si delineano così due posizioni che si fronteggiano su di un piano di parità, anche se quella di Vigna presenta uno spessore teoretico maggiore per esperienza e maturità. Carmelo Vigna è infatti uno dei pochi rappresentanti rimasti della gloriosa scuola di Gustavo Bontadini, fedele al suo maestro nonostante la “secessione” determinata da Emanuele Severino e il conseguente esodo di filosofi dall’Università Cattolica di Milano all’Università di Venezia. Anche Vigna è docente a Venezia, ma tra i “veneziani”, pur riconoscendo il suo debito verso Severino, è ancora il più “bontadiniano”. Vigna tuttavia non è solo questo: è anche un filosofo teoretico, che ha approfondito e sviluppato la posizione di Bontadini soprattutto nel libro Il frammento e l’intero (Milano 2000), ed è un filosofo morale tra i più importanti in Italia, che dirige il Centro Interuniversitario di studi sull’etica ed è alla testa di una scuola fiorente per quantità e qualità di allievi e di iniziative.

Luca Grecchi è un giovane filosofo non accademico, quindi “autodidatta” nel senso migliore del termine, poiché si è formato da sé attraverso una serie impressionante di letture, è autore di una serie notevole di pubblicazioni ed è dotato di una passione senza uguali per la filosofia. Anche Grecchi è per la metafisica, ma per una metafisica “umanistica”, che identifica l’intero con la totalità sociale e che si ispira in una certa misura – oltre che a Platone ed Aristotele – a Marx, venendo in tal modo anch’egli a rappresentare una specie divenuta ormai rara, quella dei filosofi di ispirazione marxista che non hanno rinnegato Marx, nonostante da tempo egli non sia più di moda. 

I temi scelti da Grecchi per la discussione sono numerosi e variati, perché vanno dalla filosofia antica (Platone, Aristotele, lo Stoicismo, il Neoplatonismo) alla filosofia moderna (Descartes, Spinoza, Kant, Fichte, Hegel, Nietzsche) e a quella contemporanea (Weber, Heidegger, Arendt, Habermas, Rorty), dall’epistemologia al comunismo, al capitalismo (da lui ricondotto alla “crematistica”), al senso della vita, alla filosofia della storia, con incursioni nell’antico Oriente, e con un’attenzione sempre fissa – e questa è una delle cose che maggiormente apprezzo in lui – per gli antichi Greci. Egli è a volte giovanilmente “intemperante” nei suoi giudizi, spesso molto duri soprattutto verso i filosofi contemporanei, ma è anche a volte capace di intuizioni illuminanti, come a proposito della “svergognatezza” degli Stoici, dell’accostamento di Kant a Smith, del debito di Marx verso i Greci, della filosofia della storia nell’antichità.

Su tutti questi temi Vigna ha qualcosa di importante da dire, con giudizi in genere più equilibrati, ma poi vi aggiunge dal canto suo altri temi, altri problemi, come quello dell’importanza di Leibniz e Vico, quello dello sviluppo dell’idealismo gentiliano in Bontadini, quello della critica alla riduzione dell’intero, quello della differenza tra la metafisica di scuola milanese e la metafisica di scuola padovana, quello fondamentale del rapporto fra teoria e prassi, e non si risparmia a sua volta critiche a filosofi italiani contemporanei, come Colletti e Pera, o stranieri, come Levinas, e a tendenze politiche come il berlusconismo.

Ne risulta così una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa, divenuta invece oggi oggetto di scherno per sedicenti filosofi che non hanno più nulla da dire e, invece di incolpare se stessi, incolpano l’oggetto di cui dovrebbero parlare. Ovviamente avrei anch’io da dire alcune cose su alcuni dei temi affrontati da Grecchi e Vigna, ma non posso trasformare un dialogo a due voci in un dialogo a tre, avendo già fatto la mia parte in un volume precedente. Potrebbe essere interessante trovare un’occasione per discutere tutti insieme, magari con l’aggiunta di un’altra voce di ispirazione marxista, che potrebbe essere quella di Mario Vegetti, in alcuni passi citato da Grecchi. Se non altro, ci prenderemmo tutti insieme l’accusa di avere resuscitato il “catto-comunismo”. Scherzi a parte, mi auguro che discussioni come questa continuino, e ringrazio Luca Grecchi per il fatto di averle promosse.


Life and the Sacred,
con R. Alvira,
Olms, 2012

One of the concepts which deserves particular attention by philosophers of the 21th century is that of life and, more specifically, that of human life. Because life on Earth is limited, mankind has historically relied on religion for its promise of salvation and an afterlife.Yet, recently, people have been relying on alternative institutions, such as the state or market, for answers to their questions about the limited nature of human life. With the rise of dependence on such instituions comes the rise of new questions: are the state and market responsible for defining the meaning of life and for providing adequate answers to the suffering and death that afflict humankind? Can the state make use of technology and scientific knowledge in order to regulate population according to its objectives? Is there any ethical limit to the experimentation with the different phases of human life? Is it possible to preserve a sacral sphere for human life? This book provides extensive reflection and possible solutions to these perplexities.


La vita spettacolare.
Questioni di etica,
con Riccardo Fanciullacci,
Orthotes, 2013

Pasolini, di fronte alle trasformazioni che il capitalismo neoliberista imprime alla forma di civiltà, non esita a parlare di “mutazione antropologica” e arriva a dire: “La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra”. Queste “macchine” hanno solo un debole legame con gli esseri umani che ancora crediamo di essere e che diverse istituzioni, come quelle della democrazia, presuppongono che siamo: la vita spettacolare ci avvolge e ci seduce. I saggi di questo volume interrogano questa configurazione della vita con radicalità. Ma proprio per questo arrivano a riconoscere come essa non occupi e non possa occupare l’intero spazio dell’esistenza e come il desiderio, seppur plasmato da quei modelli, non vi si adegui mai del tutto: conserva in sé le tracce di una verità etica che attende l’invenzione di nuove forme di legame attraverso cui possa orientare una vita più giusta e più felice. Saggi di: Francesco Callegaro, Carlo Chiurco, Adriano Fabris, Riccardo Fanciullacci, Giacomo Ghidelli, Peppino Ortoleva, Antonio Petagine, Maddalena Pezzato, Teresa Scantamburlo, Giovanni Ventimiglia, Carmelo Vigna.


Etica del desiderio come etica del riconoscimento,
Orthotes, 2015

L’Occidente – e non solo – è malato nel suo desiderio. Riusciamo a difenderci molto più di prima dagli attacchi che vengono dalle cose a noi ‘esterne’, che ci fanno ammalare nel corpo; riusciamo a difenderci molto meno di prima dagli attacchi che vengono dalle cose a noi ‘interne’, che sono cose di desiderio e che ci fanno ammalare nell’anima. Storditi dalla facile disponibilità di beni materiali, crediamo ingenuamente che anche i beni dello spirito siano subito a portata di mano. Ma la felicità, la gioia di vivere, la benevolenza, la sobrietà, l’ordine degli affetti, la solidità dei legami e cose simili non si possono comprare al supermercato. Sono, piuttosto, modi di incontrare gli altri e il mondo, cioè ‘disposizioni’ permanenti, frutto di scelte mirate e a lungo ripetute. Una volta queste disposizioni si chiamavano ‘virtù’ e l’insieme organico di queste virtù si chiamava saggezza’. La ricerca secondo verità intorno alle virtù e intorno alla saggezza è poi quella che, ancora oggi, si chiama ‘etica’. Un’etica del desiderio è l’oggetto fondamentale di questo libro. Che mira, quindi, a istruire il senso delle virtù e della saggezza.


Il frammento e l’intero.
Indagini sul senso dell’essere e sulla stabilità del sapere,
Orthotes, 2015, 2 voll., 708 pp.

Ma è poi vero che l’ultima cifra del senso dell’essere è il frammento che siamo? No, è subito da rispondere; non è per nulla vero. Questo libro ha avuto e ha ancora la modesta pretesa di far vedere (cioè di dimostrare) l’impossibilità che il frammento che siamo, cioè poi il finito, sia l’ultima parola intorno al senso dell’essere; e ha avuto e ha ancora la modesta pretesa di far vedere (dimostrare) che ciò che finito non è, sta ontologicamente oltre il finito. Ne è il fondamento di senso e ne è il fondamento d’essere. In altri termini, il frammento che siamo implica necessariamente l’Intero o la totalità dell’essere, ma come altro da sé.


Etica dell’economia.
Idee per una critica del riduzionismo economico,
con A. Biasini,
Orthotes, 2016


Sostanza e relazione.
Indagini di struttura sull’umano che ci è comune. Ediz. integrale,
Orthotes, 2016

L’umano che ci accomuna è da proteggere: questo è il compito fondamentale del nostro tempo, dopo le tragedie immani del secolo scorso e quelle che si annunciano già agli inizi di questo secolo. Qualsiasi forma di protezione è in ogni caso un che di pratico: è una forma della cura. Ogni cura, poi, e ogni protezione hanno una mira determinata. Una mira determinata è certo già la protezione dell’umanità che ci accomuna. Ma che cosa propriamente ci accomuna? Che cosa dell’umano storico dobbiamo tenere custodito senza tentennamenti e che cosa invece possiamo lasciar fluttuare nel tempo o anche dismettere? Non si può rispondere a queste domande senza tornare a interrogarsi – con rigore speculativo – sul senso della persona umana. Il senso di qualcosa è, in primo luogo, ciò che di qualcosa permane nel variare delle circostanze. E ciò che permane nel variare delle circostanze è quel che si usa da gran tempo indicare come l’universale. Nel nostro caso, come l’universale umano. Ebbene, l’universale umano è ciò su cui queste pagine indagano, senza indulgere alla chiacchiera filosofica, spesso oggi contrabbandata nelle vesti di un cattivante vestito prêt à porter.


Differenza di genere e differenza sessuale.
Un problema di etica di frontiera,
Orthotes, 2017

Nella cultura contemporanea, anche in quella più vulgata, differenza di genere e differenza sessuale tendono oramai a significare due “opzioni antropologiche” divaricate. La prima espressione allude sempre di più al differire come a una costruzione semplicemente culturale, la seconda invece al differire come a una condizione naturale (biologica) e nel contempo simbolica. La divaricazione è il risultato di una stagione complessa, e piuttosto recente, legata ai “Gender Studies” di matrice angloamericana. È soprattutto da questa matrice, infatti, che la differenza sessuale è stata messa radicalmente in questione: i ruoli del maschio e della femmina umani sarebbero degli stereotipi socialmente e politicamente accreditati per rendere stabile la sottomissione violenta delle donne agli uomini. E la “liquefazione” o “dissoluzione” della differenza sarebbe il rimedio più efficace per stroncare tutte le discriminazioni su quella differenza fondate. Ma le cose stanno proprio così?


 Il dovere dell’ospitalità,
Orthotes, 2018

L’ospitalità è dovuta a ogni essere umano che la richieda e che abita la faccia della terra. Non è, l’ospitalità, una sorta di opzione da buonismo ma, appunto, uno dei fondamentali doveri del nostro vivere insieme. Questo, del resto, si è sempre in molti modi pensato e praticato nei secoli in Occidente. E questo viene qui indagato, secondo molti lati, da una serie di contributi autorevoli. I quali rendono conto anche dei limiti inevitabili secondo cui l’ospitalità può essere offerta nella vita quotidiana. Limiti già codificati ? sul piano giuridico ? nella nostra Carta costituzionale. Ma tali limiti non possono essere invocati a giustificazione delle pulsioni xenofobe e razziste che serpeggiano nelle società industrializzate, pulsioni malamente mascherate spesso da ragioni di sicurezza o addirittura di supremazia bianca. Questo viene qui energicamente sottolineato. E questo viene pure qui denunciato attraverso una disamina severa di quel che veramente accade in Italia nella nostra (cosiddetta) attività di accoglienza a livello istituzionale.


 Introduzione generale e logica.
Corso di filosofia tomista,
R. Verneaux autore, C. Vigna traduttore,
Claudiana, 2019

Il lavoro di Roger Verneaux funge da volume introduttivo al «Corso di Filosofia Tomista» edito negli anni 60 dai professori dell’Institut Catholique di Parigi. Il volumetto si distingue per la chiarezza e la scioltezza del dettato, ma soprattutto per la sempre vigile attenzione alle domande della cultura filosofica contemporanea, discusse nelle pagine iniziali dell’opera. La parte preponderante è dedicata alla logica, che viene illustrata e spiegata in tutte le sue parti, dalla nozione di logica in generale, ai termini, la proposizione, l’argomentazione, il sillogismo, il sillogismo ipotetico e l’induzione, fino alla dimostrazione, i suoi intenti, i suoi elementi, i suoi principi.


Studi gentiliani,
Orthotes, 2019

Giovanni Gentile, il maggior filosofo italiano del primo Novecento, è da dimenticare, come taluni vorrebbero? Per nulla, bisognerebbe rispondere. L’apparato categoriale da lui costruito genialmente, nonostante la sua (relativa) semplicità speculativa, è forse la maggiore leva di forza per intendere ancora il nostro tempo. Anche quello della Rete e dei “social network”, dove trionfa un contenuto sterminato che Gentile avrebbe sicuramente relegato nel ruolo di “pensiero pensato”. Il fatto è che Gentile, ostracizzato per i suoi legami con il fascismo, tutto sommato estrinseci, ci appare oggi, una volta smaltite le nebbiose e spesso ingiuste polemiche nel dopoguerra intorno alla sua eredità intellettuale, come il Maestro insuperato della grandezza del “pensiero pensante”. E anche come colui che offre ancora le ragioni più profonde per intendere appieno la natura inviolabile della nostra umana dignità. Questo libro, soprattutto dedicato alla logica e alla religione di Gentile, non è tuttavia un’apologia dell’attualismo; ché anzi l’attualismo sottopone ad una analisi serrata e senza sconti di sorta, per indicarne “ciò che è vivo e ciò che è morto”.


Studi marxiani,
Orthotes, 2019.

Se si volesse racchiudere in una breve indicazione il risultato del lavoro di analisi riversato in questi “Studi marxiani”, non si andrebbe lontano dal vero se si dicesse che si è qui tentato di “spaiare” in Marx e nel marxismo italiano la cifra (economico-politica) del “plusvalore” dalla cifra (veritativo-speculativa) del “materialismo storico”. Perché la prima pare ancora molto utile per leggere il presente neocapitalistico, mentre la seconda pare non solo sbagliata, ma anche molto datata. E in effetti, si tratta di una cifra ottocentesca, che la storia filosofica e culturale del Novecento ha, di fatto e in molti modi, archiviato. Avere offerto argomenti per l’operazione di “spaiamento”, quando – negli anni settanta – tutti ne osannavano la saldatura è (forse e ancora) il merito di queste pagine. E del resto un’operazione siffatta, inevitabile su qualunque sapere “regionale” che si presenti con la pretesa di essere la forma del sapere assoluto dell’Intero del senso, resta sempre di utilità speculativa per chi ama la filosofia, perché invita a riflettere su certe mosse radicali che una partita teorica così alta pone necessariamente in campo.


Storia e verità.
Medioevo e Novecento,
Orthotes, 2020

I saggi di storia della filosofia raccolti in questo libro sono dedicati alla grande Scolastica medievale (parte prima) e al Novecento (parte seconda), specialmente italiano (parte terza e quarta). La ricostruzione storica non è stata dettata solo da naturali preoccupazioni narrative, ma anche da altrettanto naturali (benché spesso dagli storici della filosofia trascurate) preoccupazioni teoriche. Ad avviso dell’autore, infatti, non si può ripercorrere la storia del pensiero, quale che essa sia, senza presentarla a un lettore non solo curioso dei risultati della ricerca, ma anche curioso della solidità veritativa dei risultati della ricerca. Questo ci hanno insegnato i grandi Maestri di filosofia che si sono occupati anche di storia della filosofia (da Aristotele a Hegel, almeno). Questo è giusto non dimenticare e, nei limiti delle proprie forze, praticare. Ed è ciò che in questo libro si è cercato di tenere sempre a mente: storia e verità.


Studi aristotelici,
Orthotes, 2020

Aristotele non è solo un insuperato Maestro di metodo. Egli insegna anche che la comune esperienza umana del mondo (ta physikà) chiede d’essere oltrepassata. Oltrepassata, se letta secondo un sapere stabile o incontrovertibile (episteme). È infatti questo sapere che costringe a porre uno strato dell’essere che è metà ta physikà. Tanto i libri aristotelici di Metafisica quanto quelli di Fisica convergono su questo stesso risultato, preparato da una lunga ricerca che ha l’Accademia di Platone come luogo privilegiato di formazione intellettuale. Purtroppo, episteme e metafisica sono anche le due grandi cifre aristoteliche che la letteratura critica del secolo scorso ha spesso sottovalutato o ignorato o ridotto a convinzioni giovanili del loro Autore. Queste cifre vengono invece qui riproposte nella loro centralità, sullo sfondo della dottrina dell’analogia dell’essere, geniale congedo di Aristotele dal platonismo.


Pensieri cristiani,
Orthotes, 2021

“Questo libro raccoglie un gruppo di scritti da me dedicati a temi di “filosofia cristiana”. La filosofia in quanto tale non è cristiana. È opus rationis, semplicemente. E tuttavia, lo può in qualche modo diventare, quando aiuta la riflessione di un cristiano che vuole intendere, meglio che gli riesca, il senso della propria fede in Gesù di Nazareth come nel Figlio Eterno. Allora, l’apparato categoriale proprio del mestiere del filosofo si mette al servizio dei contenuti della Rivelazione, ma senza mai abdicare allo statuto che gli è proprio. Diventa, la filosofia, ancilla. D’accordo. Non però della teologia, ma della fides quae creditur. E così aiuta il credente cristiano a capire, ma aiuta pure o può aiutare chi al credente cristiano chiede conto della propria fede. Dalla teologia, perciò, in certo modo differisce, perché il sapere filosofico qui non è un utile strumento di facile sostituzione, a seconda delle mode culturali, ma una fonte veritativa, la cui formalità speculativa supera (lo dice Tommaso d’Aquino) quella della fede. Che offre, a sua volta e di suo, soccorso all’esistenza nostra, perché venga salvata. La filosofia fa luce. Ma non può salvare”.


Didascalie filosofiche,
Orthotes, 2022

Una didascalia, come si sa, è una breve spiegazione che di solito accompagna una immagine, un testo o qualcosa di simile. In questo libro, che raccoglie una serie di saggi scritti in varie occasioni e in tempi diversi, la didascalia accompagna piuttosto una parola (o più parole) che compare nei titoli dei capitoli della parte prima e della parte seconda del volume. Così si tenta di dilucidare in modo piano alcune cifre di attualità culturale (parte prima) o classiche nel linguaggio filosofico (parte seconda). La parte terza del volume è riservata a un gruppo di scritti (per lo più recenti), che hanno un intento didascalico più lato, e sono propriamente scampoli di ricerca teorica. Il proposito didascalico è, dunque, quello dominante in queste pagine: una sorta di omaggio dedicato al lettore meno interessato a esposizioni specialistiche. Un lettore prezioso, perché è un interlocutore che costringe spesso a rendere semplici e lineari i contenuti complicati della filosofia e così a mettere questi contenuti al servizio del (buon) senso comune.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Zenone di Elea – «Frammenti e testimonianze». Prima edizione integrale a cura di Lucia Palpacelli.

Risvolto di copertina

Questo volume offre la prima edizione integrale dei frammenti e delle testimonianze su Zenone di Elea, grande filosofo presocratico, allievo di Parmenide e padre della dialettica. La traduzione, con testo greco a fronte, e l’ampio commento consentono di ricostruire l’immagine dell’Eleate, celebre per i suoi argomenti contro il movimento e la molteplicità. Emerge la figura di un filosofo consapevole che l’esistenza è una continua tensione tra l’unità realizzata dalla ragione (logos) e la molteplicità degli eventi offerti dall’esperienza, i quali vanno affrontati nella loro problematicità e anche contraddittorietà. Egli opera un attacco possente e complessivo alla realtà fenomenica, insegnando all’Occidente a misurarsi con le aporie, tanto che i suoi paradossi sono ancora al centro della filosofia, della fisica e della matematica contemporanee.


Avvertenza

Un lavoro di raccolta e selezione delle testimonianze e dei frammenti di Zenone di Elea appare attuale e necessario nel panorama degli studi intorno all’Eleate. Esistono infatti diverse edizioni e traduzioni delle testimonianze e dei frammenti di Zenone, ma si riscontrano differenze significative nella selezione e nel taglio delle varie testimonianze, nel loro smembramento o nel riassemblaggio così come nel numero delle testimonianze accolte.

Per ovvi motivi, l’edizione che risulta più incompleta è proprio quella “classica” di riferimento di Diels-Kranz (= DK: Diels H.-Kranz Von W., Die Fragmente der Vorsokratiker, Griechisch und Deutsch von H. Diels 6 verbess. Auft. Herausg. Von W Kranz, Berlin 1951; traduzione italiana: G. Reale (a cura di), I Presocratici, Bompiani, Milano 2006). Questa edizione è integrata da Untersteiner con otto testi (Zenone. Testimonianze e frammenti, introduzione, traduzione e commento a cura di M. Untersteiner, La Nuova Italia, Firenze 1963; ristampato in Eleati. Parmenide-Zenone-Melisso. Testimonianze e frammenti, Bompiani, Milano 2011): sette testimonianze e un frammento; ancora più completa è poi l’edizione del Lee (H.D.P. Lee, Zello of Elea, A text with translation and notes, Cambridge University Press, Cambridge, 1936, rist. anast. 2014), che integra diciotto testi di Temistio e Filopono, ma accoglie solo testimonianze di contenuto teoretico. Differenze rispetto all’edizione di Untersteiner si riscontrano anche in Pasquinelli (A. Pasquinelli, I Presocratici. Frammenti e testimonianze, a cura di A. Pasquinelli, Einaudi Editore, Torino 1958) e Albertelli (P. Albertelli, Gli Eleati. Testimonianze e frammenti, a cura di P. Albertelli, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2014), che propongono un testo in sola traduzione italiana.

La sezione dedicata a Zenone nella raccolta di Kirk-Raven (The Presocratic Philosophers, Cambridge 1957) comprende una scelta delle testimonianze raccolte in DK, per un totale di ventuno testimonianze e tre frammenti che, però, nella numerazione, non vengono distinti dalle testimonianze. L’aggiornamento del lavoro (Kirk-Raven-Schofield, The Presocratic Philosophers, Cambridge 1983:) propone una nuova numerazione delle testimonianze ma, rispetto alla scelta dei brani, risulta confrontabile con la prima edizione. La raccolta proposta da Alberto Bernabé (Fragmentos presocráticos de Tales a Democrito, Introducción, traducción y notas de Alberto Bernabé, Alianza Editorial, Madrid 1998, 20102) comprende i soli frammenti e sei testimonianze; l’edizione dei Presocratici a cura di Gemelli Marciano (M. L. Gemelli Marciano, (Hrsg.), Bd. l., Griechisch-lateinisch-deutsch. Auswahl der Fragmente und Zeugnisse. Übersetzung und Erläuterungen. Thales, Anaximander, Anaximenes, Pythagoras und die Pythagoreer: Xenophanes, Heraklit, Düsseldorf Artemis & Winkler 2007; Bd. 2. Griechisch-lateinisch-deusch. Auswahl der Fragmente und Zeugllisse, Übersetzung und Erläuterungen, Parmenides, Zenon, Empedokles, Düsseldorf, Altemis & Winkler 2009: Die Vorsokratiker: Bd. 3. Griechisch-lateinisch-deusch. Auswahl der Fragmente und Zeugllisse, Übersetzung und Erläuterungen, Anaxagoras, Melissos, Diogenes von Apollonia. Die antiken Atomisten: Leukipp und Demokrit, Mannheim: Artemis & Winkler, 2010) nella sezione riguardante Zenone accoglie alcune testimonianze non presenti in DK, ma conta diciotto passi e non distingue tra testimonianze indirette e frammenti; anche D. W. Graham (The Texts of Early Greek Philosophy, vol. I, Cambridge University Press, Cambridge 2010) – che accoglie 30 testimonianze, alcune delle quali non presenti in DK – non opera la distinzione tra testimonianze e frammenti. Mansfeld-Primavesi (Die Vorsokratiker, Reclam, Stuttgart 2012) raccoglie trentatré testimonianze, accogliendo anche passi non presenti in DK e non distingue tra testimonianze e frammenti; la raccolta di Laks-Most (Early Greek philosophy, V, Loeb Classical Library, Cambridge MS 2016) è forse la più ricca tra le edizioni recenti: raccoglie le testimonianze organizzandole tematicamente e amplia molto rispetto al DK accogliendo anche passi che non compaiono in precedenti raccolte.

La presente edizione si pone l’obiettivo di offrire uno strumento il più possibile completo e che risulti di semplice fruizione. A questo fine, si è cercato di raccogliere tutte le testimonianze disponibili, anche quelle assenti dalle edizioni correnti, ma comunque presenti nel dibattito filosofico; l’intento della completezza spiega scelte “di rottura” come quella di accogliere anche una testimonianza generalmente attribuita a Parmenide (DK 28A28= t. 59), ma in cui è ravvisabile uno scambio di attribuzione tra maestro e discepolo e che risulta, in base al contenuto, attribuibile a Zenone. I testi sono stati tagliati a volte in modo più ampio di quanto sia stato fatto in altre edizioni, perché sia chiaro il contesto in cui si pone la testimonianza stessa: si è cercato di conservare, per quanto possibile, la consequenzialità e l’integrità dei testi pervenuti e, per questo, si è scelto di attribuire un numero a ogni testimonianza, seguendo una numerazione continua e organizzando la raccolta in varie sezioni tematiche, attraverso un sistema di titoli che ha l’obiettivo di rendere chiaro il percorso biografico e teorico che tracciano la chiusura di ogni sezione tematica la voce “riferimenti incrociati” riporta il riferimento ad altre testimonianze attinenti a quella sezione, ma che sono state collocate altrove per ragioni teoriche e/o di contenuto). Com’è facile intuire, questa scelta ha reso necessario svincolarsi dalla numerazione del DK, che è però sempre annotata accanto a quella nuova e, in alcuni casi, è affiancata anche dalla numerazione del Lee, per consentire un più immediato orientamento. Le corrispondenze con le edizioni maggiori sono poi riproposte in un’apposita tabella comparativa.

Attraverso una numerazione distinta e non consecutiva, si è mantenuta la distinzione tra le testimonianze indirette e quelle che, invece, contengono, per opinione comune degli studiosi, veri e propri frammenti di tradizione diretta. Si tratta, infatti, di un discrimine imprescindibile dal punto di vista filologico, anche se in alcuni casi il confine appare molto labile. Tuttavia, dato che i frammenti, dal punto di vista contenutistico, testimoniano alcuni argomenti zenoniani, si è scelto di proporli anche nelle sezioni tematiche delle testimonianze, numerandoli con un rimando, per fornire al lettore un commento completo e non frammentato.

Il testo è organizzato in due parti: nella prima sono raccolte tematicamente le testimonianze e i frammenti in traduzione con testo a fronte (corredati da note di carattere filologico e testuale o finalizzate a collocare i brani citati nel loro contesto storico e/o filosofico); per quanto riguarda le fonti arabe e alcuni testi in ebraico, si è preferito offrire il testo nella sola traduzione italiana. A ogni sezione tematica dei testi segue un commentario ragionato delle testimonianze stesse. Nella seconda parte si riattraversa con un approccio di sintesi l’analisi proposta nella prima con l’intento di cogliere e sottolineare i nodi teorici più rilevanti e tentare di ridisegnare la figura di Zenone di Elea.

Il libro è infine corredato da diversi indici (l’indice alfabetico dei nomi antichi e moderni; le tabelle di riferimento delle numerazioni attribuite ai testi dai vari editori) utili per la consultazione del testo stesso.

Zenone di Elea, «Frammenti e testimonianze». Prima edizione integrale a cura di Lucia Palpacelli, Morcelliana, Brescia 2022.


Estratto dall’Introduzione


Intervista a Lucia Palpacelli

Il testo completo dell’intervista cliccando a Letture.org.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Platone – Dice Socrate: «Caro Fedro, questo è un bel luogo per fermarci a leggere e discutere di filosofia. Il platano è molto frondoso e alto; l’agnocasto è alto, la sua ombra bellissima, e, nel pieno della fioritura com’è, rende il luogo profumatissimo».


Fedro: «Dove vuoi, o Socrate, che ci mettiamo a sedere per leggere?

Socrate : «Giriamo di qui e andiamo lungo l’Ilisso, poi, dove ci sembrerà un posto tranquillo, ci metteremo a sedere. […] Allora, fa’ da guida …».

Fedro: «Vedi quel platano altissimo? […] Là c’è ombra e un venticello giusto, e anche erba per metterci a sedere, o, se vogliamo, per distenderci».

Socrate: «[…] Bel luogo per fermarci! Questo platano è molto frondoso e alto; l’agnocasto1 è alto e la sua ombra bellissima, e, nel pieno della fioritura com’è, rende il luogo profumatissimo. E poi scorre sotto il platano una fonte graziosissima, con acqua molto fresca, come si può sentire con il piede. […] E se vuoi altro ancora, senti come è gradevole e molto dolce il venticello del luogo. Un dolce mormorio estivo risponde al coro delle cicale. Ma la cosa più piacevole di tutte è quest’erba che, disposta in dolce declivio, sembra cresciuta per uno che si distenda sopra, in modo da appoggiare perfettamente la testa. […] Ma ora che siamo giunti qui, intendo sdraiarmi; e tu vedi quale sia la posizione che ritieni più comoda per poter leggere, sceglila e poi leggi!».

Platone, Fedro, 228 d – 229 b; 230 b-e, trad. di G. Reale, in Platone, Tutti gli scritti, Bompiani, Milano 2000, pp. 540-542.

1 L’agnocasto è un arbusto a foglia decidua che può raggiungere fino a tre metri. Mette le foglie a primavera inoltrata e fiorisce in piena estate con spighe di color viola scuro, molto profumati.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Alessandra Filannino Indelicato – Apologia per Scamandrio o dell’abbandono. Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico. Un’apologia per Scamandrio, simbolo dei bambini amati e abbandonati di tutte le guerre del mondo.

Alessandra Filannino Indelicato

Apologia per Scamandrio o dell’abbandono.
Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico

SBN 978-88-7588-347-8, 2022, pp. 144, formato 130×170 mm., Euro 13 – Collana “coralli di vita” [1]

In copertina: per gentile concessione dell’artista Davide Parodi, Jump in (part.), lapis su carta, 2016, collezione privata.

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Alessandra Filannino Indelicato – Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia, che eccede l’utilità abitando una dimensione più umana, spirituale. Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile.

 

«Nella domanda che nasce, si alimenta e dimora la filosofia. Invece, soprattutto in ambito accademico, perplessità e domande sembrano essere diventate qualcosa da temere a fronte della minacciata ostracizzazione da parte della comunità scientifica, che pretende una produzione “in serie” della conoscenza, oltre alla coerenza, alla verificabilità, e alla ripetibilità di procedure calcolabili: operazioni senza resto. […] Io parlo di quel resto, e cioè di quanto del riferimento antico eccede l’utilità scientifica, anche solo su un piano intuitivo, abitando invece una dimensione più simbolica e sacra, più umana o, anche, spirituale. […] Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile […]. La filosofia del tragico riguarda una spinta tutta simbolica e mitologica di aderenza alla vita. […] Questo lavoro intende dimostrare come per praticare la filosofia sia assolutamente inevitabile e necessario sporcarsi le mani immergendole nella materia mitologica, rivelando uno sguardo diverso anche su materie settoriali e molto ben standardizzate, che non siamo soliti trattare con un orientamento filosofico. […] La filosofia del tragico ci costringerà inevitabilmente a mettere in discussione tutto ciò che viene avulso dal mondo, nel parlare del mondo, e cioè, avulso dal divenire».

Alessandra Filannino Indelicato, Introduzione



Alessandra Filannino Indelicato – Ritrovare noi stessi (e la felicità) grazie a Dioniso, la filosofia concreta che smuove le coscienze. Una ricerca che non sia profondamente connessa con la spiritualità del ricercatore è una ricerca sterile.


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Silvia Vegetti Finzi – «Raccontami una storia: le risorse della fantasia nell’infanzia. Per ogni bambino il mondo è nuovo di zecca e guardarlo con i suoi occhi ci dà la possibilità di sbarazzarci dei pensieri pigri, dei pregiudizi stanchi. I bambini non ci consentono d’invecchiare!



Silvia Vegetti Finzi – La tecnica, finalizzata all’efficienza e al successo, travalica sovente la conoscenza teorica, celando, sotto l’imperturbabile apparenza dello scienziato, il volto inquietante dell’apprendista stregone, travolto dall’impersonale autonomia dei suoi stessi poteri.

La crisi delle grandi utopie del secolo ci rinvia al compito di riconoscere, tra le altre cause, le passioni che le hanno alimentate: tanto quelle espresse quanto quelle invisibili perché sepolte negli inferi del pensiero notturno. Non per questo ci sarà concesso di controllarle una volta per tutte. La fiducia che Eros possa prevalere sulle oscure potenze di Thanatos illumina l’orizzonte freudiano della storia, senza tuttavia sottrarci al conflitto e alla cura, come rivela la conduzione interminabile dell’analisi.
Poiché le tensioni emotive pervadono ogni umana esperienza e nessun vissuto può dirsi al riparo dalle perturbazioni degli affetti, non vi è un “al di là della passione”, un esercizio incontaminato del pensiero. Fortunatamente la ragione spassionata rimane un ideale regolativo più che una pratica di vita.
Con la consueta, lapidaria efficacia, Lacan definisce il sapere dell’inconscio «impossibile e necessario». Tanto più necessario in quanto la pretesa (espressione della deriva passionale della conoscenza umana) di padroneggiare i moti di vita e di morte che costituiscono l’ordito segreto del mondo è tutt’altro che esaurita. La tentazione di tradurre in atto, senza mediazioni, senza remore, il desiderio inconscio caratterizza la scienza moderna dove la tecnica, finalizzata all’efficienza e al successo, travalica sovente la conoscenza teorica, celando, sotto l’imperturbabile apparenza dello scienziato, il volto inquietante dell’apprendista stregone, travolto dall’impersonale autonomia dei suoi stessi poteri. Adorno, che ne coglie l’intima hybris, ci esorta in controtendenza all’indugio, alla sospensione dell’urgenza passionale, perché «la contemplazione senza violenza, da cui viene tutta la felicità della verità, impone all’osservatore di non incorporarsi l’oggetto: prossimità nella distanza».[1]

Silvia Vegetti FinziFreud: dalla conoscenza dellepassioni alla passione della conoscenza, in S. Vegetti Finzi (a cura di), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 274-275.

[1] Th.W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, Torino 1994, p. 97.



Silvia Vegetti Finzi – Senza rischi non si cresce e i bambini hanno bisogno di incontrare l’imprevisto. I bambini possono aiutarsi, consolarsi e diventare grandi utilizzando le loro potenzialità, le loro risorse. Sono ancora privi di esperienza, è vero, ma la vita s’impara solo vivendo.

Alcuni dei suoi libri

Alcuni libri

di Silvia Vegetti Finzi

I bambini sono cambiati

I bambini sono cambiati. La psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni

I bambini di oggi sono cambiati. Crescono sempre più in fretta. A sette, otto anni sono già informati, riflessivi, attenti alle novità, ma anche esigenti e caparbi, spesso soli e privi di vere risposte. Come vivono veramente gli anni brevi e sfuggenti che li separano dall’adolescenza, e soprattutto come possono essere aiutati ad affrontare la vita che si apre loro davanti? Questo libro, scritto in forma di dialogo e rivolto a tutti coloro che hanno a che fare con i bambini, propone una prima analisi del problema, una lettura dei vari aspetti di un’età ricchissima di fermenti, potenzialità e promesse, ponendosi anche come guida per affrontare i rapporti familiari e scolastici o per poter intervenire nel caso di comportamenti difficili.

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L'età incerta. I nuovi adolescenti

L’età incerta. I nuovi adolescenti

Chi sono i ragazzi del Duemila? Come capire che cosa avviene dentro di loro? Dalla prepubertà allo sviluppo sessuale e alla piena adolescenza, fino all’impegnativa conquista dell’identità e dell’autonomia personale, “L’età incerta” indaga non solo l’evoluzione dell’adolescente, affrontando tutti gli snodi più problematici, ma anche i rapporti con genitori, insegnanti, coetanei, sino alla scoperta dell’amore e alla relazione di coppia. Uno strumento per conoscere, dal punto di vista dei ragazzi, i sentimenti e le emozioni che li animano, i rischi che incontrano e le risorse di cui dispongono. Un libro che può aiutare gli adulti a svolgere il loro compito senza lasciarsi travolgere dall’ansia e dalla paura di sbagliare.

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A piccoli passi

A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall’attesa ai cinque anni

Nei primi cinque anni di vita il bambino vive un’avventura straordinaria e tumultuosa: guarda il mondo con occhi magici e nello stesso tempo impara a vivere e ad amare seguendo un percorso che lo porta, a piccoli passi, dalla dipendenza all’autonomia. In questo suo cammino occorre saper cogliere i mille messaggi che il piccolo ci manda con i suoi comportamenti. Che significato hanno il rifiuto del cibo, l’insonnia, il capriccio inarrestabile? Perché ha paura degli estranei, è geloso del papà o passa ore davanti al televisore? Scritto in forma di dialogo, questo libro prepara i genitori a rispondere con spontaneità, sensibilità e competenza ai bisogni e ai desideri del loro bambino, un essere sempre unico e imprevedibile.

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Madri e figlie. Ieri e oggi

Madri e figlie. Ieri e oggi

Quando si è buone madri? E quando buone figlie? E se non si è per niente madri, si può essere buone donne? Le storie parallele di Dacia Maraini e Silvia Vegetti Finzi, l’una portata via dall’Italia e ultra protetta dalla madre mentre è in corso nel Paese la dittatura fascista, l’altra invece abbandonata dalla mamma e dal papà in fuga dallo stesso regime. E i racconti di Anna Salvo, le cui pazienti sul lettino continuano a mettere al primo posto il loro rapporto con la madre. Il libro raccoglie il dibattito che si è svolto sul tema nel corso di una manifestazione intitolata “I dialoghi di Trani”, organizzata dall’Associazione Maria del Porto e dai Presidi del libro.

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Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme

Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme

Tutti i problemi della prima infanzia affrontati in modo sereno e semplice. Un libro tutto domande e risposte: una finestra aperta sul mondo dei bambini e dei genitori. Un mondo ricco e affascinante, ma che troppo spesso rimane chiuso all’interno della famiglia dove la solitudine ingigantisce i problemi e alimenta l’ansia. Le pagine accompagnano lo sviluppo del bambino dalla nascita alla scuola materna, soffermandosi sui passaggi critici e i momenti più significativi. L’avventura straordinaria dei primi anni di vita e la consapevolezza che ogni crisi può essere superata acquisendo fiducia nelle proprie capacità e nelle risorse del proprio bambino.

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L'ospite più atteso

L’ospite più atteso. Vivere e rivivere le emozioni della maternità

Negli stati crepuscolari della mente, intermedi tra il sonno e la veglia, affiorano le fantasie materne. Là dove, incontrando il bambino che nascerà, lo conducono nel mondo che l’attende.

In questo libro l’autrice narra e commenta, con profonda sensibilità, una storia di maternità con l’intento di valorizzare una esperienza fondamentale, che non sempre occupa il posto che merita nella vita delle donne. Già i mesi dell’attesa costituiscono, se non vengono prevaricati da altre richieste, un periodo di straordinaria intensità emotiva. Ma, nell’epoca della fretta, molte giovani donne si trovano sole e smarrite al momento di realizzare il desiderio di un figlio. Per aiutarle è allora opportuno riallacciare un dialogo tra le generazioni ove alcune troveranno la possibilità di rievocare situazioni ed emozioni che credevano dimenticate, altre di sentirsi motivate e preparate ad accogliere «l’ospite più atteso», il figlio che nascerà.

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Il romanzo xella famiglia

 
Il romanzo della famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme

Dalla formazione di una nuova coppia alla nascita e all’educazione dei figli, ai conflitti, alla separazione ecc. Un viaggio alla scoperta di noi stessi e del concetto di famiglia alla luce della riflessione psicoanalitica.

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Volere un figlio

Volere un figlio

I contraccettivi e le biotecnologie, negli ultimi anni, hanno reso la procreazione una scelta volontaria. In questo volume l’autrice ripercorre l’esperienza della maternità cercando di fornire alle coppie una guida e un supporto che sia d’aiuto nel momento determinante della decisione, facendo chiarezza sulle antiche tecniche della procreazione assistita.

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Quando i genitori si dividono

Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli

Le separazioni e i divorzi sono nel nostro Paese in continua crescita. Ma, si chiede la psicologa Silvia Vegetti Finzi, cosa accade quando i genitori si separano? Grazie alle moltissime lettere ricevute da ragazzi e adulti che vivono o hanno vissuto le difficoltà di un divorzio e forte della sua esperienza clinica, l’autrice mostra i molti modi in cui la rottura dei rapporti familiari segna, in bene e in male, il percorso esistenziale di chi è costretto a subirla e come, spesso, la percezione di essa vari a seconda dell’età e del sesso. Appendice di Daria Finzi e Anna Spadacini.

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Nuovi nonni per nuovi nipoti

Nuovi nonni per nuovi nipoti. La gioia di un incontro

Silvia Vegetti Finzi offre un interessante spaccato della realtà dei nonni partendo dall’inedito rapporto tra l’ultima generazione di nonni e quella dei loro giovanissimi nipoti. I nonni di oggi, cresciuti per lo più negli anni del miracolo economico, hanno partecipato alla modernizzazione della società e fruito di un benessere diffuso, ma hanno anche assistito agli sconvolgimenti prodotti dagli anni della contestazione, al rovesciamento dei canoni e dei valori della tradizione. Ora, in uno scenario caratterizzato dall’eclisse degli ideali politici, dalla precarietà del lavoro, dalla crisi della coppia e della scuola, nonne e nonni, seppure in modo diverso, sembrano costituire l’unica solida architrave della famiglia. Spesso garantiscono ai figli un aiuto economico e suppliscono alla generale carenza di servizi per l’infanzia prendendosi cura dei nipoti. Esentati da compiti educativi diretti, possono sperimentare il piacere di condividere con i bambini ambiti di libertà, di fantasia e di gioco, ricevendone in cambio affetto e complicità. La “nonnità” svolge quindi una funzione importante, talora essenziale, ma proprio per questo è sottoposta più che in passato a un carico di aspettative, richieste, pressioni e ricatti affettivi difficile da governare. Le numerose testimonianze raccolte, organizzate e analizzate per argomenti, fanno di queste pagine un racconto a più voci in cui caratteri e storie molto diverse si incontrano e si confrontano.

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Il bambino della notte

Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre

Nel momento in cui le tecniche si stanno impadronendo della procreazione questo libro intende andare controcorrente, ribadendo l’importanza della mente e del corpo della donna nella maternità. Attraverso la narrazione di una analisi, l’autrice ricostruisce il lungo processo che conduce dall’essere figlia all’essere madre.

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Parlar d'amore

 
Parlar d’amore. Le donne e le stagioni della vita

Silvia Vegetti Finzi raccoglie in questo libro le lettere più significative che le lettrici di “Io donna” le inviano ogni settimana e le dispone lungo un percorso accidentato e affascinante: dai primi passi dell’innamoramento alle diverse declinazioni delle relazioni amorose, dal vivere in coppia al desiderio di maternità, dall’abbandono al tradimento, fino agli anni della maturità e della vecchiaia, ancora ricchi di nuove, impreviste opportunità. L’autrice ne individua gli snodi cruciali in una conversazione spontanea e consapevole che mette in luce la straordinaria ricchezza della vita femminile, il coraggio con cui le donne, attraversando prove e difficoltà, pretendono e ottengono la loro parte di felicità.

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La stanza del dialogo

La stanza del dialogo. Riflessioni sul ciclo della vita

Ne “La stanza del dialogo” si parla dell’educazione dei figli, di genitori alle prese con adolescenti che assumono comportamenti apparentemente incomprensibili, della difficoltà di trovare l’anima gemella in un’epoca che alimenta aspettative irreali, di famiglie che si compongono e si disfano, del tempo che passa veloce e di tante altre cose. Ma ciò che colpisce maggiormente dell’agile libretto che raccoglie e contestualizza ora una scelta degli interventi di Silvia Vegetti Finzi sul settimanale ticinese Azione, è il tono con cui la psicologa-scrittrice si rivolge ai suoi interlocutori: un tono che esprime un altissimo senso della dignità umana, un rispetto profondo per le donne e gli uomini di oggi, accettati, senza facili indulgenze, per quello che sono, con tutte le loro evitabili e inevitabili debolezze.

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Psicanalisi al femminile

Psicoanalisi al femminile

Anna Freud, Melanie Klein, Marie Bonaparte, Lou Andreas-Salomé, Sabina Spielrein, Helen Deutsch, Karen Horney, Françoise Dolto, Luce Irigaray. Sono state queste donne a percorrere i sentieri interrotti, gli interrogativi inevasi, le possibilità intentate dalla psicoanalisi, esplorandone le zone buie.

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Psicoanalisi ed educazione sessuale

Psicoanalisi ed educazione sessuale

La sessualità è un problema importante e molto difficile da affrontare: conviene cominciare a studiarla il più presto possibile, benchè i pregiudizi cerchino di impedirlo. In questa antologia, quanto mai opportuna, i grandi della psicoanalisi analizzano i silenzi e le bugie con cui per anni si è risposto alle domande dei bambini sugli enigmi del corpo e della sessualità. Ferdinando Savater

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Storia della psicanalisi

Storia della psicoanalisi. Autori, opere, teorie 1895-1990

Mai come oggi la psicoanalisi ha avvertito l’esigenza di una riflessione sulla propria identità e il proprio futuro. Dopo più di cento anni dall'”Interpretazione dei sogni” (1900), considerata l’opera di fondazione, molti cambiamenti sono sopravvenuti. Pur restando Freud un punto di riferimento ineludibile, il paradigma iniziale si è articolato in un ventaglio di prospettive e in una molteplicità di Scuole diffuse in tutto il mondo. Per orientarsi tra le diverse alternative, Silvia Vegetti Finzi si è proposta di ricostruire da un punto di vista storico i molteplici percorsi della psicoanalisi e i problemi teorici, terapeutici, culturali e sociali che essa ha affrontato e diversamente risolto, restituendo respiro critico e prospettiva unitaria al vivace dibattito intorno a questa disciplina. Esposto con stile piano e coinvolgente, rivolto a un ampio pubblico, non solo a studenti e professionisti, il saggio di Silvia Vegetti Finzi illumina il passato, interroga il presente e prefigura il futuro.

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Freud e la nascita della psicoanalisi

Freud e la nascita della psicoanalisi

(scheda di Civitarese, G., L’Indice 1996, n. 1, pubblicata per l’edizione del 1995)

Chi ha avuto modo di apprezzare la “Storia della psicoanalisi. Autori opere teorie 1895-1990” troverà in questo nuovo volume di Silvia Vegetti una conferma.Si tratta infatti di una guida alla psicoanalisi, attraverso la “biografia” della scoperta diFreud e l’analisi dei suoi scritti principali, piana e di piacevole lettura quanto rigorosa nei contenuti. Tra gli spunti che si possono ricavare da questo testo sottolineerei la difesa della trasmissibilità della psicoanalisi, nei suoi contenuti teorici e nelle sue virtualità decostruttive, anche al di fuori di percorsi iniziatici e contro la pretesa avanzata da alcuni di una qualche extraterritorialità rispetto al “normale” discorso epistemologico.Proprio l’attenzione ai problemi epistemici – la psicoanalisi come ultima avventura della razionalità occidentale e la dialettica tra polarità ermeneutica e adesione ai paradigmi delle scienze della natura – conferisce al testo la sua attualità.Un pubblico di “non addetti ai lavori” troverà di che interessarsi alle vicende di una disciplina che ha avuto un impatto difficilmente immaginabile sulla cultura di questo secolo. Studenti a vario titolo delle teorie freudiane avranno a disposizione uno strumento di lavoro che fa dell’accuratezza delle note e dei rimandi bibliografici uno dei suoi elementi distintivi. Potrebbero essere delusi invece quanti andassero alla ricerca di riletture originali o interpretazioni inedite delle tesi freudiane.

Pensa a Itaca sempre
il tuo destino ti ci porterà
[…] Non sperare ti giungano ricchezze:
il regalo di Itaca è il bel viaggio
senza di lei non lo avresti intrapreso.
Di più non ha da dirti.
E se ti appare povera all’arrivo
non t’ha ingannato.
Carico di Saggezza e di esperienza
avrai capito un’Itaca cos’é.

Kostantinos Kavafis

Una bambina senza stella

 

Silvia Vegetti Finzi

Una bambina senza stella

Le risorse segrete dell’infanzia per superare le difficoltà della vita

Rizzoli, 2015, pp. 229.

“I bambini possono aiutarsi, consolarsi e diventare grandi utilizzando le loro potenzialità, le loro risorse. Sono ancora privi di esperienza, è vero, ma la vita s’impara solo vivendo”.

Risvolto di copertina

Chi è la bambina senza stella? Una bambina, in cui si cela l’autrice, sfortunata, ma non troppo. Seguendo il filo dei suoi ricordi, sedotto da una scrittura suggestiva e poetica, il lettore porrà ritrovare, per consonanza, tratti perduti della propria infanzia, là dove risiede il cuore pulsante della vita e la parte più autentica di sé.

Cresciuta, come molti altri, negli anni tragici del fascismo, della guerra e delle persecuzioni razziali, che la coinvolgono in quanto nata da padre ebreo, la bambina ne uscirà intatta avendo preservato la magia dell’infanzia e la voglia di crescere. Le sue vicende, rievocate con sorprendenti flash della memoria e puntualmente commentate da una riflessione competente e partecipe, svelano le sofferenze dei bambini, spesso colpiti dai traumi della separazione, dell’indifferenza e del disamore. E il dolore infantile non cade mai in prescrizione.

Negli squarci di un passato che non passa possiamo cogliere però, con l’evidenza della vita vissuta, anche le meravigliose risorse con le quali l’infanzia può attraversare le difficoltà della vita: il gioco, la fantasia, la creatività e l’ironia. Risorse che, attualmente, un’educazione ansiosa e iperprotettiva rischia di soffocare.

Ed è con la forza del pensiero, della scrittura e della testimonianza che questo libro si propone di rassicurare i genitori che i loro figli ce la possono fare, ce la faranno, se riusciranno a realizzare, mettendosi alla prova, le loro potenzialità.

E la vita s’impara, non solo vivendo, ma anche raccontandola in una trama che, intessendo passato e futuro, dona senso e valore alla casualità del destino.


Alcuni appunti di lettura

«È con meraviglia che la bambina si apre alla realtà circostante» (p. 21).

«Accade che i bambini, sfogliando i primi libri, ne traggano un’impressione così intensa da imprimersi per sempre nella memoria» (p. 27).

«Il corpo si conosce solo vivendolo, mettendolo alla prova. Non si cresce senza esporsi a qualche ragionevole rischio» (p. 32).

«I nostri bambini crescono nella società del troppo. Il superfluo toglie valore alle cose riducendole a oggetti interscambiabili e insignificanti» (p. 36).

«Nessuno basta a se stesso. Si esiste sempre per qualcuno con cui si intreccia un dialogo che anima il pensiero. Anche quando quel “qualcuno” non ci sarà più» (42).

«Nessuno si salva da sé» (p. 51).

«L’inganno derealizza il mondo e destabilizza il senso di sé …» (57).

«I bambini prima di parlare sono parlati, investiti dalle espressioni che gli adulti rivolgono loro …» (p. 86).

«La solitudine è un sentimento complesso, intermittente, che si declina in vari modi a seconda delle circostanze della vita. In certi momenti si confonde con l’isolamento, in altri con l’abbandono, in altri ancora con lo spaesamento nel tempo, nello spazio. Ma esiste anche una solitudine felice, desiderata, ricercata per ritrovare se stessi e incontrare le proprie immagini interiori» (p. 103).

«Il tempo della memoria non è lineare. La sua catena è composta di segmenti che solo a posteriori vengono connessi nella narrazione e inseriti nella cornice della storia» (p. 134).

«Il malessere dei bambini risulta più opprimente di quello degli adulti perché non hanno la minima idea di quando finirà» (p. 146).

«[…] senza rischi non si cresce e i bambini hanno bisogno di incontrare l’imprevisto per attivare processi di adattamento. […] Se impediamo ai bambini di entrare nel mondo reale, si confronteranno con quello virtuale, spesso più ingannevole e pericoloso» (189).

«[…] l’evoluzione della mente non si accompagna necessariamente a quella del corpo e può accadere che le gambe rincorrano i pensieri» (p. 193).

«[…] comprende, con un intimo sentire, che d’ora in poi i confini della sua vita saranno più ampi e più alti. È il miracolo della bellezza che, se colta, può salvare il mondo» (p. 205).

«In mancanza di un positivo contesto di riferimento, come sottrarsi agli stereotipi che ingabbiano l’infanzia? Come trasformare l’identità ricevuta passivamente in identità modellata creativamente, secondo un orizzonte di valori e uno stile di vita personali?» (p. 212).

«È raro che un educatore sospenda la percezione immediata di un allievo e si lasci sorprendere. Spesso trova più comodo inserirlo in un casellario già predisposto […]» (p. 224).

Una bambina senza stella copia

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Platone – Non è veritiero che ad un innamorato si debba preferire chi non ama, con il pretesto che il primo delira e l’altro invece è assennato. L’assennatezza è sempre migliore dell’ispirazione? I beni più grandi giungono a noi mediante una ispirazione!


λεκτέος δὲ ὧδε, ὅτι οὐκ ἔστ’ ἔτυμος λόγος ὃς ἂν παρόντος ἐραστοῦ τῷ μὴ ἐρῶντι μᾶλλον φῇ δεῖν χαρίζεσθαι, διότι δὴ ὁ μὲν μαίνεται, ὁ δὲ σωφρονεῖ. εἰ μὲν γὰρ ἦν ἁπλοῦν τὸ μανίαν κακὸν εἶναι, καλῶς ἂν ἐλέγετο· νῦν δὲ τὰ μέγιστα τῶν ἀγαθῶν ἡμῖν γίγνεται διὰ μανίας, θείᾳ μέντοι δόσει διδομένης. ἥ τε γὰρ δὴ ἐν Δελφοῖς προφῆτις αἵ τ’ ἐν Δωδώνῃ ἱέρειαι μανεῖσαι μὲν πολλὰ δὴ καὶ καλὰ ἰδίᾳ τε καὶ δημοσίᾳ τὴν Ἑλλάδα ἠργάσαντο, σωφρονοῦσαι δὲ βραχέα ἢ οὐδέν· καὶ ἐὰν δὴ λέγωμεν Σίβυλλάν τε καὶ ἄλλους, ὅσοι μαντικῇ χρώμενοι ἐνθέῳ πολλὰ δὴ πολλοῖς προλέγοντες εἰς τὸ μέλλον ὤρθωσαν, μηκύνοιμεν ἂν δῆλα παντὶ λέγοντες. τόδε μὴν ἄξιον ἐπιμαρτύρασθαι, ὅτι καὶ τῶν παλαιῶν οἱ τὰ ὀνόματα τιθέμενοι οὐκ αἰσχρὸν ἡγοῦντο οὐδὲ ὄνειδος μανίαν· οὐ γὰρ ἂν τῇ καλλίστῃ τέχνῃ, ᾗ τὸ μέλλον κρίνεται, αὐτὸ τοῦτο τοὔνομα ἐμπλέκοντες μανικὴν ἐκάλεσαν. ἀλλ’ ὡς καλοῦ ὄντος, ὅταν θείᾳ μοίρᾳ γίγνηται, οὕτω νομίσαντες ἔθεντο, οἱ δὲ νῦν ἀπειροκάλως τὸ ταῦ ἐπεμβάλλοντες μαντικὴν ἐκάλεσαν. ἐπεὶ καὶ τήν γε τῶν ἐμφρόνων, ζήτησιν τοῦ μέλλοντος διά τε ὀρνίθων ποιουμένων καὶ τῶν ἄλλων σημείων, ἅτ’ ἐκ διανοίας ποριζομένων ἀνθρωπίνῃ οἰήσει νοῦν τε καὶ ἱστορίαν, οἰονοϊστικὴν ἐπωνόμασαν, ἣν νῦν οἰωνιστικὴν τῷ ω σεμνύνοντες οἱ νέοι καλοῦσιν· ὅσῳ δὴ οὖν τελεώτερον καὶ ἐντιμότερον μαντικὴ οἰωνιστικῆς, τό τε ὄνομα τοῦ ὀνόματος ἔργον τ’ ἔργου, τόσῳ κάλλιον μαρτυροῦσιν οἱ παλαιοὶ μανίαν σωφροσύνης τὴν ἐκ θεοῦ τῆς παρ’ ἀνθρώπων γιγνομένης.


Platone, Fedro, 244 a-d

 

Ed ecco quel bisogna dire:

«Non è discorso veritiero quello che dice che, anche quando ci sia un amante, si deve concedere i propri favori a chi non è innamorato, perché l’uno si trova in uno stato di ispirazione (μανία)1, mentre l’altro è in uno stato di assennatezza.2

Se, infatti, la ispirazione fosse senz’altro un male, sarebbe stato ben detto.

Invece, i beni più grandi (τὰ μέγιστα τῶν ἀγαθῶν) giungono a noi mediante una ispirazione che ci viene data per concessione divina.

Infatti, la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona, quando si trovavano in stato di ispirazione, procurarono all’Ellade molti e bei benefici e in privato e in pubblico, mentre, quando si trovavano in stato di senno, ne procurarono pochi o nessuno.

E se dicessimo, poi, della Sibilla e degli altri che, avvalendosi della mantica (μαντικῇ)3 di ispirazione divina, predicendo molte cose a molti, li indirizzarono sulla giusta via per il futuro, ci dilungheremmo nel dire cose che sono note a tutti.

Ma merita di essere addotto come testimonianza il fatto che, anche fra gli antichi, coloro che hanno coniato i nomi non hanno considerato l’ispirazione come cosa né brutta né vergognosa. In caso diverso, non avrebbero chiamato “manica” (μανικὴν)4 la più bella fra le arti con la quale si prevede il futuro, connettendo ad essa proprio questo nome. Invece, considerandola cosa bella (ὡς καλοῦ ὄντος), allorché essa sorga per sorte divina, le hanno imposto quel nome, mentre gli uomini di oggi, ignari del bello (ἀπειροκάλως), hanno introdotto un “t” (τὸ ταῦ), e l’hanno chiamata “mantica” (μαντικὴν). In effetti, anche la ricerca del futuro che fanno coloro che sono in stato di senno mediante uccelli e altri segni, in quanto muovendo dalla ragione procurano intelligenza e fondata conoscenza alla “oiesi” (οἰήσει), o opinione umana, gli antichi la chiamarono “oionoistica” (οἰονοϊστικὴν), e ora i moderni, rendendola solenne, mediante l’allungamento del secondo “o”,5 la chiamarono “oionistica” (οἰωνιστικὴν).

E dunque, quanto più è perfetta e degna d’onore la mantica rispetto all’oionistica, per il nome e per l’azione dell’una rispetto al nome e all’azione dell’altra, tanto più, come attestavano gli antichi, l’ispirazione che proviene da un dio è migliore dell’assennatezza che proviene dagli uomini».

Platone, Fedro, 244 a-d, in Platone, Tutti gli scritti, trad. di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2001, pp. 553-554.

 

Note

1 G. Reale traduce «mania», altri hanno tradotto «follia», altri ancora «delirio», «furore profetico», «passione». Preferiamo ispirazione, termine documentato anche da Lorenzo Rocci, Vocabolario Greco-Italiano, Società Editrice Dante Alighieri, Roma 1995, p. 1180, proprio con riferimento al Fedro platonico.

2 Interessante la traduzione di questo brano a cura di Piero Pucci in Platone, Opere complete, vol III, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 233: «Non è verace il discorso che ad un innamorato si debba preferire chi non ama, con il pretesto che questi delira [è in uno stato di mania] e il primo invece è sano e saggio».

3 Μαντεία è in greco propriamente «arte divinatoria», «dono profetico», e μαντικς è «arte divinatoria», «arte profetica», in ibidem, p. 1181.

4 μανικς in greco: «folle», «strano», «stravagante»; ma anche: «invaso da divino furore», «visionario», in ibidem, p. 1180.

5 Trasformandolo da omikron in omega.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Enrico Berti (1935-2022) – Nella crisi della società contemporanea a molti riesce difficile ammettere che le proprie scelte debbano venire continuamente sottoposte a revisione, a discussione. Questo riconoscimento tuttavia mi sembra necessario.

Enrico Berti

Nella crisi della società contemporanea a molti riesce difficile ammettere che le proprie scelte debbano venire continuamente sottoposte a revisione, a discussione.
Questo riconoscimento tuttavia mi sembra necessario.

«Negli ultimi anni sono avvenuti dei mutamenti radicali nel modo di pensare degli uomini, in Italia, in Europa, nell’intero mondo occidentale. Confesso che riconoscere questo mi costa una certa fatica. Credo infatti che ciò succeda un po’ a tutti coloro che hanno superato i venti o anche i trent’anni, e non sono ancora arrivati all’età più matura, cioè ai sessanta; a tutti coloro che hanno già fatto in qualche modo le proprie scelte fondamentali, sia nel campo religioso, sia nel campo politico, sia, se debbono occuparsene per motivi professionali, anche nel campo filosofico. A costoro riesce difficile ammettere che le proprie scelte debbano venire continuamente sottoposte a revisione, a discussione. Ognuno ritiene che il mondo abbia vissuto la sua stagione più interessante, più intensa, quando egli aveva vent’anni o venticinque, cioè quando si stava formando la sua personalità, ed è piuttosto restio a riconoscere il valore positivo di ciò che può essere successo dopo che si è concluso il periodo della sua formazione.
Questo riconoscimento tuttavia mi sembra necessario.

Ci sono vari segni, abbastanza vistosi, che testimoniano i mutamenti avvenuti, come dicevo, grossomodo negli ultimi dicci anni. In molti strati della popolazione del mondo, specialmente del mondo della cultura, si è diffusa la convinzione che la società industriale, quella che chiamiamo la civiltà per antonomasia, sia entrata in crisi.

Prendo l’avvio da questa constatazione, perché parlare del rapporto fra uomo e natura significa innanzitutto fare riferimento alla cultura, allo stato attuale della cultura. Si è soliti infatti contrapporre alla natura, intesa come qualche cosa che è dato all’uomo, che l’uomo si trova dinanzi, la cultura, intesa invece come ciò che viene fatto dall’uomo, ciò che è opera dell’uomo. Perciò ogni mutamento che si verifica nell’ambito della cultura si ripercuote direttamente sul modo di concepire i nostri rapporti con la natura. Questa è la ragione per cui ritengo utile analizzare che cosa è successo nella cultura, nella civiltà in cui viviamo in questi ultimi anni.

Ci sono vari fenomeni, i quali rivelano che si sta instaurando un rapporto nuovo tra l’uomo e la natura, o che perlomeno è entrato in crisi il rapporto tradizionale […].

Anche sul piano politico assistiamo a una crisi di sfiducia nei confronti delle forze politiche tradizionali, i grandi partiti di massa e anche i piccoli partiti di opinione. […] C’è questa sfiducia generale nel quadro politico tradizionale, che è anch’essa un segno rivelatore della crisi della civiltà e della cultura contemporanea. […]

Vediamo in generale nella società un desiderio, da parte di tutti, di partecipazione maggiore alla gestione del potere, di partecipazione diretta. È in crisi l’istituto della rappresentanza politica. […] Assistiamo ad una protesta diffusa nei confronti del modo in cui la civiltà industriale si comporta verso la natura. Viene denunciato il progressivo inquinamento di questa, la sua trasformazione in senso deteriore ad opera dei grossi interventi industriali: l’avvelenamento dell’aria, dell’acqua, dell’ambiente naturale in cui si vive. Vediamo entrare in crisi l’intera civiltà occidentale per il ridursi delle fonti di energia. Tutti fenomeni che ci pongono questo problema: la cultura, la civiltà moderna, ormai affermatasi da circa quattro secoli, è giunta forse a una svolta decisiva? […]».

Il testo della conferenza «Uomo e natura: la scissione moderna»t, tenuta alla Scuola Cattolica di Cultura di Udine nel febbraio 1975, fu pubblicata prima in «Quaderni di Cultura», n. 9, 1974-75, e successivamente in: Enrico Berti, Ragione scientifica e ragione filosofica nel pensiero moderno, La Goliardica, Roma 1977.




Luca Grecchi
Il pensiero filosofico di Enrico Berti

Introduzione di Carmelo Vigna. Postfazione di Enrico Berti

ISBN 978-88-7588-110-8, 2013, pp. 240,  Euro 20 – Collana “Il giogo” [51].

indicepresentazioneautoresintesi




ENRICO BERTI. UN RICORDO FILOSOFICO ED UMANO

 

di Luca Grecchi

 

Con Enrico Berti ci ha lasciato il 5 gennaio 2022 uno dei maggiori storici della filosofia, in particolare del pensiero di Aristotele, nonché uno dei pochi filosofi rimasti, in grado di argomentare in maniera chiara, solida ed originale importanti posizioni teoretiche, illuminando insieme la cultura antica e la realtà del nostro tempo.

Per un bilancio complessivo della sua opera molti saggi, nei prossimi mesi, seguiranno; io stesso sono stato subito incaricato, dalla rivista Humanitas, di redigere un suo profilo. Quanto mi preme fare ora però, nella immediatezza della notizia della sua morte, è realizzare un piccolo ricordo personale, un po’ per consolarmi della perdita di un amico, e un po’ per mettere in risalto, per quanto in maniera sintetica, il valore dello studioso e della persona. Sono felice, peraltro, di avere ricordato più volte a Enrico, negli ultimi tempi, quando si lamentava delle sue peggiorate condizioni di salute – cosa che con gli amici più giovani, per pudore, non faceva – l’importanza di ciò che aveva realizzato nella sua vita, sia come pensatore che come educatore, essendo egli stato un costante sostegno ed un esempio per molte generazioni di studiosi. Per far capire la sua enorme disponibilità anche solo verso gli studenti, rammento semplicemente l’orario di ricevimento affisso sulla porta del suo ufficio all’Università di Padova, quando lo incontrai per la prima volta nel 2002: lunedì, martedì, mercoledì e giovedì dalle 8,30 alle 12! Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.  

Il mio rapporto con Berti iniziò appunto nel 2002, quando gli spedii una copia del mio primo libro, L’anima umana come fondamento della verità. Berti, con il consueto approccio dialettico, non si lasciò raffreddare dal fatto che in quel libro esprimevo alcune critiche, peraltro eccessive, alla sua interpretazione di Aristotele. Seppe anzi valorizzare il contenuto teoretico del testo, iniziando con me un dialogo, praticato soprattutto in forma scritta, durato fino ai suoi ultimi giorni di vita, quando ancora stava concludendo un saggio che spero si possa recuperare. Uomo di rara dolcezza, Berti era persona schiva e riservata, con cui non era facile entrare in confidenza. Siamo passati al “tu” solo dopo oltre dieci anni di intensi scambi epistolari, e solo dopo sua richiesta (io non mi sarei permesso, tale era per me l’autorevolezza della sua figura).

La prima nostra occasione pubblica di incontro fu a Padova, nel 2006, quando presentammo insieme, alla facoltà di Filosofia, la riedizione del libro del suo maestro Marino Gentile intitolato La metafisica presofistica, nella collana da me diretta presso Petite Plaisance, con introduzione proprio di Berti. Ricordo che in quella occasione, alla presenza dei più importanti docenti della Facoltà, Enrico mi introdusse – con onore assolutamente immeritato – non come semplice “studioso”, bensì addirittura come “filosofo”, con parole che mi imbarazzarono molto (ma che furono verosimilmente da lui dette, al contrario, per togliermi dall’imbarazzo di essere, allora, un “giovane non accademico” che veniva a parlare ad accademici in una delle più prestigiose Università italiane); mi definì appunto “giovane filosofo non accademico, perché non è necessario essere in Università per essere filosofi; anzi, talvolta, per potere fare ricerca ed esprimersi più liberamente, è meglio non esserlo, come dimostra il dottor Grecchi”.

Fu per me un grande complimento, in quanto Berti era persona che pesava le parole, non solo in pubblico. Rare sono state infatti anche le sue introduzioni a libri di altri studiosi, per cui sono davvero felice che ne abbia realizzate addirittura due a miei libri; in particolare, al libro-dialogo da me composto con Carmelo Vigna, Sulla verità e sul bene (Petite Plaisance, 2011). In quella occasione la posizione della metafisica umanistica – la mia posizione teoretica – venne da Berti considerata “su un piano di parità” (pag.7) nel confronto dialettico con la metafisica classica, che pure costituiva la posizione sua e di Vigna.

Sempre nel 2006 Berti pubblicò, ancora presso Petite Plaisance, un suo libro importante, Incontri con la filosofia contemporanea, con mia postfazione. Replicò nel 2019 con un altro volume, Scritti su Heidegger, anche per testimoniare la sua vicinanza alle meritorie iniziative di Petite, nonostante mi abbia confessato che, come proprio editore di riferimento, per la sua storia secolare e le sue radici cattoliche, egli aveva sempre considerato Morcelliana.

Il ricordo più bello del mio rapporto con Berti è, in ogni caso, la realizzazione del libro-dialogo A partire dai filosofi antichi (Il Prato, Padova, 2008), che ci coinvolse in discussioni appassionanti per alcuni giorni, ed in cui emerse una sua forte convergenza con la interpretazione umanistica della filosofia greca che avevo proposto in alcuni libri precedenti (pagg.29-35), oltre che su altri argomenti. Il volume fu peraltro presentato in una splendida sala del Municipio di Padova nel 2010, in cui improvvisammo un dialogo su molti temi che, anche a distanza di tempo, mi pare davvero perfettamente riuscito.  

Sempre per quanto riguarda le iniziative comuni, sono contento di avere preso parte in quegli anni, insieme ad un altro grande studioso scomparso, Mario Vegetti, alla bellissima collana Autentici falsi d’autore, diretta da un altro amico, Giovanni Casertano, per la casa editrice Guida di Napoli. Berti realizzò, naturalmente, il “falso Aristotele”, Vegetti il “falso Platone” e io, indegnamente, il “falso Socrate”. 

Una grande occasione di arricchimento è stata poi, per me, la stesura di quella che è, ad oggi, l’unica monografia esistente sulla sua opera, Il pensiero filosofico di Enrico Berti (Petite Plaisance, 2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione dello stesso Berti. Con Vigna e Berti abbiamo peraltro condiviso lunghi periodi di intensi scambi epistolari, soprattutto sulla metafisica, che ho accuratamente raccolto. Parecchi di questi scambi emergono, in controluce, nel confronto fra metafisica umanistica e metafisica classica presente in E. Berti-L. Grecchi, A partire dai filosofi antichi (pagg.89-94), nonché in C. Vigna-L. Grecchi, Sulla verità e sul bene (pagg.29-37) e in L. Grecchi, Il pensiero filosofico di Enrico Berti (pagg.75-93).

Tra il 2016 ed il 2018, infine, ho curato tre volumi aristotelici, molto importanti in quanto hanno raccolto saggi dei principali studiosi di Aristotele italiani. Berti mi ha, anche qui, sempre benevolmente accompagnato. Ciascuno di questi tre volumi (Sistema e sistematicità in Aristotele; Immanenza e trascendenza in Aristotele; Teoria e prassi in Aristotele, tutti editi da Petite Plaisance), inoltre, si apriva con una conversazione fra me e Carmelo Vigna sui temi oggetto di analisi, cui sempre è seguita la presa di posizione di Enrico sulle nostre osservazioni.

Da Berti ho imparato molto, anzi moltissimo. Fra noi vi era una distanza anagrafica di circa 40 anni, e una relativa distanza geografica; mi confidò tuttavia una volta che sarebbe stato contento se fossi stato un suo studente a Padova, poiché il nostro rapporto avrebbe potuto così essere più stretto, nonostante alcune differenze nelle vedute filosofiche.

Concludo dicendo che, alla fine del nostro libro-dialogo, A partire dai filosofi antichi, Enrico ribadì la sua fede in un possibile ritorno alla vita dopo la morte, che ascoltai con doveroso rispetto. Su tante questioni teoriche, su cui inizialmente non concordavo, ho dovuto nel tempo ammettere che aveva ragione lui: spero possa essere così anche questa volta. In ogni caso, una parola vorrei dirgliela sin da ora: “Grazie Enrico, per tutto quello che hai fatto”.

Luca Grecchi

                                                                                                        5 gennaio 2022

 



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Costanzo Preve (1943-2013) – Il nesso fra scienza, politica e filosofia è la chiave per un’interpretazione critica della situazione spirituale attuale. Occorre prima stabilire cinque ambiti: il rispecchiamento quotidiano, la rappresentazione religiosa, la rappresentazione ideologica, il concetto filosofico e il concetto scientifico.

Costanzo Preve

Scienza Politica Filosofia

ISBN 978-88-7588-345-4, 2022, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 10 – Collana “Divergenze” [83].

indicepresentazioneautoresintesi



Questo breve saggio si pone un obbiettivo teorico molto ambizioso, quello di favorire e di propiziare un miglioramento nei “rapporti dialogici” fra scienziati, politici e filosofi. I “rapporti dialogici” sono rapporti di comunicazione bilaterale e di comprensione reciproca, e non devono essere confusi con i rapporti istituzionali o con i rapporti di cortesia e di affabilità personali. Si può essere cortesi, pluralisti, educati ed affabili e non fare il minimo sforzo per una reciproca comprensione reale. Inversamente, si può essere scortesi, irritabili e maleducati nel corso di un autentico sforzo di comunicazione.

Per esperienza, i rapporti dialogici non migliorano, o comunque non migliorano stabilmente, quando il “non detto” non viene esplicitato ed elaborato, e quando si trascurano le “regole del gioco” della comunicazione, spinti da un generico ma spesso tragicomico ottimismo. Questo breve saggio, anche se non riuscisse a raggiungere il suo scopo più ambizioso, quello di proporre una immagine credibile della situazione spirituale di questa fine secolo, può essere comunque di qualche utilità nella sua parte metodologica, in quanto si sforza almeno di dare una nozione univoca di rispecchiamento quotidiano, di rappresentazione religiosa ed ideologica e di concetto filosofico e scientifico. Per maggiore chiarezza, il saggio è diviso essenzialmente in tre parti distinte, anche se interconnesse.

Una prima parte, composta essenzialmente dai paragrafi 2, 8 e 9, propone un’ambiziosa “radiografia” della situazione spirituale di questa fine Novecento. Il principale enigma da svelare è quello della compresenza, apparentemente contraddittoria, del nichilismo e del relativismo della verità, da un lato, e della retorica universalistica e giuridica dei diritti umani, dall’altro. Si tratta di un enigma di facile soluzione, purché però se ne siano prima compresi i termini teorici e storici essenziali. Questo enigma, ovviamente, comprende aspetti scientifici, politici e filosofici variamente combinati insieme.

Una seconda parte, composta essenzialmente dai paragrafi 3, 4 e 5, è quella di maggiore importanza metodologica, perché tenta di differenziare le cinque diverse nozioni di rispecchiamento quotidiano, di rappresentazione religiosa, di rappresentazione ideologica, di concetto filosofico e di concetto scientifico. Si tratta di cinque nozioni che verranno analizzate con ben maggiore ampiezza e precisione in un ambizioso trattato sistematico e storico di filosofia da realizzare insieme al giovane studioso Andrea Cavazzini. Qui, data la brevità del saggio, ci si limita ferreamente a quegli aspetti delle cinque nozioni trattate che sono funzionali alla migliore comprensione della prima parte (paragrafi 2, 8 e 9) e della terza parte (paragrafi 6 e 7) del saggio.

Una terza parte, composta essenzialmente dai paragrafi 6 e 7, compie una sommaria ricognizione storica del Novecento per segnalare episodi di “cattivi rapporti”, cioè di rapporti di strumentalizzazione, fra filosofia, politica e scienza. Far tesoro degli errori del passato è un buon modo per diminuire le probabilità che si possano ripetere in futuro.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Lo sfacelo del sistema-scuola in Italia. Mediocrazia e autonomia scolastica. Difendere la scuola pubblica significa schierarsi filosoficamente e politicamente per la comunità, e far avanzare il pubblico contro le privatizzazioni. La razionalità irrazionale del capitalismo giunge fino ad inserire nel corpo vivo della comunità l’automatismo dell’uso, inducendo all’accecamento dei fini.


Salvatore Bravo

Lo sfacelo del sistema-scuola in Italia. Mediocrazia e autonomia scolastica.

Difendere la scuola pubblica significa schierarsi filosoficamente e politicamente per la comunità,
e far avanzare il pubblico contro le privatizzazioni.

La razionalità irrazionale del capitalismo giunge fino ad inserire nel corpo vivo della comunità
l’automatismo dell’uso, inducendo all’accecamento dei fini.

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Filosofia e metafisica critica

Vi sono autori trattati come “cani morti”, poiché le loro analisi permettono di svelare le contraddizioni cariche di potenzialità rivoluzionaria del proprio tempo storico. La filosofia è attività teoretica e politica mai conclusa. La riflessione sulla totalità storica in cui si è implicati consente di valutarne non solo la qualità, ma anche le contraddizioni ma anche i processi strutturali in atto. Filosofare è operazione metodologica e logica, è metodo d’indagine in quanto capacità di tessere assieme le parti ideologicamente separate dal potere, è logica in quanto il tessere le parti ideologicamente separate comporta la comprensione razionale del proprio tempo concettualizzato nella sua verità. L’ostilità e l’ostracismo colpiscono solo i veri filosofi, gli accademici e gli eruditi che si limitano alla specializzazione filosofica sono favorevolmente accolti dal potere, in quanto alla coscienza critica del proprio tempo hanno sostituito l’adattamento opportunistico e carrieristico. Massimo Bontempelli1 è stato filosofo del nostro tempo, attraverso le analisi sulla condizione della scuola dopo la caduta dell’Unione Sovietica pone in evidenza la decadenza dell’intero tessuto sociale privatizzato e saccheggiato dalle logiche privatistiche comuni alla destra e alla sinistra. L’annichilimento di un’istituzione non si può astrarre dal suo contesto storico. Massimo Bontempelli fu un pensatore hegelo-marxiano, la sua metodologia di indagine è stata concreta, ovvero metafisica nel senso alto della parola. La metafisica non è un trascendere oltre lo spazio e il tempo, ma un oltre che ricongiunge la complessità storica costituita da dati, istituzioni e modi di produzione. Per poter concettualizzare è necessario ricongiungere ciò che appare diviso per ricostruirlo nei suoi nessi storici e strutturali, sono in tal modo “l’oltre” si rivela nel “con” per dare senso alla totalità. Lo sfacelo del nostro tempo storico è comprensibile, se lo si riporta al disastro delle istituzioni pubbliche sotto la spinta del neoliberismo. L’analisi critica sulle patologie che ammorbano l’istituzione scolastica permette di capire il presente nella sua totalità, in quanto l’approccio di Massimo Bontempelli è olistico:

Lo sfacelo del sistema-scuola, dunque, è nello stesso tempo espressione e concausa dello sfacelo della nazione2”.

La privatizzazione del patrimonio pubblico ha comportato la privatizzazione della scuola pubblica, essa è formalmente pubblica, ma gestita secondo criteri aziendalistici e, specialmente, deve formare sudditi che perseguono la sola logica del profitto. Nel disastro della scuola è riflessa la controrivoluzione neoliberista che ipostatizza se stessa con l’eliminazione veloce di ogni residuo comunitario, pertanto la scuola, luogo dove si dovrebbero formare cittadini dallo spirito critico, è stata pesantemente travolta dal ciclo di controriforme che hanno interessato globalmente l’intero asse sociale:

È la storia del disastro sociale provocato dal grande ciclo delle privatizzazioni che tra il 1993 e il 1999 ha smantellato l’economia pubblica italiana. Le pressioni più forti ad avviare tale ciclo non sono state nazionali, ma estere, provenendo dalle nuove regole iperliberiste dell’Unione economica e monetaria europea nata da Maastricht nel 1992, e dalla grande finanza anglosassone, desiderosa di prendersi a buon mercato i pezzi più produttivi e profittevoli della nostra industria nazionale3”.

Per poter smantellare velocemente ogni resistenza la testa d’ariete che ha fatto “il lavoro sporco” è stata la sinistra parlamentare, la quale si è immediatamente venduta e adattata, dopo il 1989, per non perdere i privilegi acquisiti. In tal modo ha mostrato il nichilismo ideologico che ne ha eroso gradualmente le fondamenta. Senza idee e senza verità metafisiche ha puntato unicamente a conservare il potere, l’assenza di ideali e di progetti politici ha favorito la salita alla ribalta di personaggi mediocri.

 

Mediocrazia e autonomia scolastica

La mediocrità è l’espressione del nichilismo neoliberista: la realtà storica non è compresa nella sua complessità e nei suoi pericoli, si adattano ad essa ricette miracolose con cui sfuggire allo sfacelo che avanza. Sullo sfondo restano calcoli politici dalla gittata limitata ed irresponsabilità verso gli elettori e la nazione tutta. La mediocrità non ha progettualità, in politica è ripiegamento trasformistico verso la difesa di interessi personali o lobbistici, per cui non si ha la tempra morale e politica per porre un limite ai condizionamenti che provengono dall’esterno. In questo clima si introduce l’autonomia scolastica. Il nichilismo è svuotamento dei significati linguistici. La lingua smette di essere punto di contatto, in quanto le parole sono un mezzo per dominare e manipolare l’opinione pubblica. La parola autonomia è resa innocua e traviata, non più indipendenza dalla burocrazia e dall’economia, ma diviene il cavallo di Troia, il grande inganno con cui far entrare il neoliberismo a scuola e renderla dipendente dal mercato. La scuola quale istituzione principe della formazione si eclissa, è solo l’obbediente serva del mercato. Perde ogni specificità e senso per essere “azienda tra le aziende”:

Berlinguer, così, già nel 1997, disarticola il sistema nazionale della pubblica istruzione, assimilando i singoli istituti scolastici ad aziende che producono ciascuna una propria offerta formativa, ma credendo di compiere una riforma progressista nel nome della cosiddetta autonomia delle scuole. Autonomia è una parola seducente, che evoca una prassi democratica e una libertà da pastoie burocratiche. La realtà che si nasconde dietro quella parola è però il diminuito impegno dello Stato nel finanziare il sistema scuola, la consegna data ai singoli istituti scolastici, sia pure per un futuro non immediato, a cercarsi finanziamenti privati, e l’abbandono di ogni progetto educativo nazionale con contenuti culturali vincolanti per l’insegnamento nelle singole scuole, tutti elementi che discendono dal contesto storico e ideologico, proprio dell’epoca, di privatizzazione del pubblico”.

Lo scopo finale per lo Stato assimilato dalle potenze della finanza è abbandonare la scuola al suo destino, limitare i finanziamenti, renderla economicamente autonoma. La scuola deve reperire i fondi per la sua sussistenza, è parte della guerra perenne del mercato all’interno del quale l’unico scopo è reperire risorse. Il cittadino non è più tale è suddito del mercato: il docente deve adoperarsi per il marketing, il preside dev’essere un manager e in ultimo lo studente non è più persona che si apre al mondo conoscendosi nella concretezza della classe, ma è solo consumatore e produttore. Massimo Bontempelli è venuto a mancare nel 2011, non ha visto, ma ha profetizzato con lo sguardo della civetta la “Buona scuola” di Renzi e la lunga e inesorabile discesa e scomparsa dell’istituzione nel nichilismo del mercato.

 

Scuola e senso

Il filosofo e storico pisano evidenziava che la scuola non è il luogo dove si impara il lavoro, quest’ultimo si impara nei luoghi deputati a ciò, la scuola deve formare la persona alla vita comunitaria sviluppando senso critico e politico. La scuola formatrice di lavoratori sarà sempre in affanno nell’inseguire il mercato, è negata nella sua finalità ontologica e assiologica, e ciò non potrà che comportare la frustrazione di coloro che vi operano e un senso di impotenza depressiva che non può che contribuire a realizzare i processi di derealizzzazione. Non a caso il risultato di tale meccanismo posto in essere è il trionfo della mediocrità con cui il potere può saldamente conservarsi. Docenti attenti alla carriera, e non ai contenuti e all’educazione, e formule didattiche finalizzate a presentare il niente come innovazione hanno prodotto la ricetta della mediocrità. I peggiori nelle istituzioni sono diventati il “punto di riferimento”, l’insegnamento ha realizzato il nichilismo didattico: si tengono in ordine le carte, si valorizza la quantità burocratizzata. I contenuti disciplinari e i processi educativi con annessi ostacoli da superare con lo sviluppo del concetto sono declassati ad attività secondarie e moleste, in quanto non attraggono iscritti:

Formulari vuoti, e divoratori di tempo, si sostituiscono alla serietà dei contenuti dell’insegnamento, progetti parcellari interrompono la continuità dei percorsi disciplinari, la demenziale esaltazione della flessibilità organizzativa corrode forme di omogeneità indispensabili alla scuola, persino l’unità del gruppo-classe alle elementari. Scocca, in quegli anni, l’ora degli insegnanti mediocri, che sono finalmente legittimati a disinteressarsi alla loro preparazione culturale e di ogni vincolo di contenuto ai loro insegnamenti, e possono ritagliarsi un’immagine positiva indaffarandosi nel nulla di scartoffie, griglie, funzioni promozionali, formule valutative (come il demenziale giudizio tripartito su capacità conoscenze e competenze)4”.

L’analisi impietosa e senza infingimenti di Massimo Bontempelli non può limitarsi alla sola critica, ma deve intraprendere e inerpicarsi per il sentiero che porta all’uscita da tale condizione. Per poter ricostruire il senso della formazione bisogna prendere atto che la scuola ha la sua genesi all’interno della formazione dello Stato-nazione. Solo una nuova consapevolezza nazionale e comunitaria senza nazionalismo può indurre la comunità a prendere consapevolezza che la scuola svuotata di ogni senso e umanità corrisponde all’annichilimento della cultura nazionale. Senza cultura nazionale non vi è progetto politico, ma dipendenza linguistica, politica ed economica dalle forze capitalistiche globali:

Non si può dunque ricomporre un sistema-scuola, contrastando l’analfabetismo culturale, e l’impoverimento mentale di massa diffusi dal suo sfacelo, senza ricomporre uno Stato-nazione, finalità generali ben distinte dagli interessi particolari, funzioni pubbliche ben distinte dalle attività private. Solo una tale dimensione statale, infatti, ha bisogno di una cultura della cittadinanza e di una scuola che la promuova, mentre una società di mercato ha bisogno di ottusità consumistica, non di scuola5”.

 

Capitalismo reale

La scuola non è un’agenzia lavorativa, non si può assegnare alla scuola tale compito che spetta allo Stato come la Costituzione recita. La scuola forma persone e non lavoratori, l’istituzione scolastica è prassi di umanesimo integrale. La comunità è viva e sana se riconquista politicamente il “senso metafisico” delle istituzioni. Il capitalismo reale, parafrasando la definizione di comunismo reale utilizzata per denigrare i paesi al di là del muro, nella sua verità storica è forza assimilatrice e intrinsecamente nichilista, nega la natura umana che si materializza nelle istituzioni. La propaganda del “capitalismo reale” struttura il consenso su temi a cui i popoli sono naturalmente sensibili come il lavoro per far deflagrare le istituzioni che dovrebbero formare alla cittadinanza critica. L’utile e il lavoro divengono grimaldelli per attaccare frontalmente le istituzioni formative, le quali se formano non producono, pertanto sono inutili e non preparano all’attività lavorativa:

La soluzione del problema drammatico della mancanza di lavoro (e soprattutto dei diritti del lavoro riconosciuti dalla nostra Costituzione) è compito di un esteso intervento statale nell’economia, da ricostituire secondo il dettato costituzionale e in nome dell’integrità della nazione, e non rientra nella possibilità della scuola6”.

Dinanzi ad un capitalismo incapace di autocorreggere i suoi postulati i resistenti devono palesare le contraddizioni del “capitalismo reale” e difendere le culture nazionali dalla globalizzazione del mercato. Difendere la comunità e la pratica del pubblico è possibile mediante la graduale processualità che deve condurre l’individuo a partecipare attivamente alla vita dello Stato, tale passaggio non può realizzarsi con “la furia del dileguare”, per cui la scuola è uno dei luoghi etici dove coltivare il concetto e la pratica comunitaria.

 

Ontologia in costruzione

Difendere la scuola pubblica significa schierarsi politicamente e filosoficamente per la comunità, e far avanzare il pubblico contro le privatizzazioni e la sussunzione. Massimo Bontempelli rileva che coloro che affermano ripetendo quanto ossessivamente si dichiara nei media di regime che il pubblico è inefficiente “approfittano” della cultura dell’astratto. In un contesto governato dalla violenza dei soli interessi privati, in cui il pubblico è additato quale causa del debito pubblico è inevitabile l’inefficienza del pubblico. In realtà si occulta con tale manovra la corruzione e l’alienazione che producono le attività private. Per rendere il reale razionale bisogna riportare l’astratto nella storia, diviene non rimandabile una cultura storica, non come vuota erudizione, ma come capacità filosofica di relazionare i dati e gli eventi per astrarre il concetto. In tal modo l’attività critica non può che condurre alla consapevolezza e alla prassi. La lingua e la storia umanizzano l’essere umano, sono veicolo di senso, sono ontologia in costruzione:

C’è poi un’altra area di scuole, prevalentemente insediate in zone socialmente più fortunate e costituite per lo più, ma non solo, da licei classici e scientifici, in cui gli allievi sono sufficientemente scolarizzati. In quest’area l’asse culturale dell’insegnamento dovrebbe essere di tipo storico, per almeno tre motivi. In primo luogo la formazione di una consapevolezza storica è oggi indispensabile per il semplice fatto che le menti sono state totalmente destoricizzate7.

La storia svela la verità dei processi di naturalizzazione del presente e dei paradigmi sociali, e specialmente ci offre la possibilità di raffrontare modelli sociali ed economici con cui capire il presente ed elaborare percorsi di emancipazione:

Per poter pensare al cambiamento non di questa o quella cosa particolare, ma di un cosmo sociale, occorre infatti che esso non sia naturalizzato dalla nostra mente, ma sia relativizzato sulla scala del tempo. La storia è la grande tastiera di comparazione attraverso la quale un cosmo sociale viene relativizzato dal confronto con altri cosmi sociali di altri tempi e di altri luoghi. Chi conosce la storia delle pòleis greche può comparare il dominio dell’economia sulla politica del nostro tempo con il dominio della politica sull’economia nel tempo greco, e quindi relativizzarlo e pensarlo di conseguenza modificabile8”.

In un momento oscuro della nostro tempo la lettura di autori che fortemente hanno pensato il nostro presente è attività non antiquaria ma plastica con la quale far lievitare la consapevolezza critica, la quale è impegno e responsabilità nel presente. Il concreto è lo storicizzarsi, per capire il reale storico contro «l’esclusione assoluta di ogni problema di realtà» come György Lukács sentenziava nell’Ontologia dell’essere sociale. Ad una tale nichilistica esclusione bisogna opporre la razionalità metafisica dell’impegno quotidiano (che può iniziare con la lettura di autori e filosofi autenticamente veritativi). Massimo Bontempelli ha tematizzato la razionalità irrazionale del nostro tempo e la tecnica che trionfa con la rimozione dei fini dall’orizzonte umano. La razionalità irrazionale del capitalismo giunge fino ad inserire nel corpo vivo della comunità l’automatismo dell’uso, inducendo all’accecamento dei fini così da far volgere lo sguardo (naturalizzato) unicamente ai profitti. La tecnica diviene, in tal modo, “arte nichilistica del profitto”, e la scuola l’istituzione che forma all’automatismo ideologico. È in tale dramma della contemporaneità che Massimo Bontempelli ha pensato con le categorie hegelo-marxiane l’urgenza della metafisica:

«Una razionalità irrazionale non è affatto, come potrebbe sembrare, una contraddizione in termini. Si tratta, invece, di un modello di razionalità, che possiede, cioè, caratterizzazioni proprie della ragione (precisione, rigore, calcolabilità, prevedibilità, efficacia), ma che non ha scopi, e che perciò include tutte quelle caratterizzazioni in un orizzonte di irrazionalità. Nell’universo tecnico la razionalità non può che non avere scopi, ed essere perciò irrazionale, in quanto la tecnica appartiene per definizione alla sfera dei mezzi, non degli scopi. Finché dunque la tecnica è subordinata ad altre istanze sociali, essa è ancora compatibile con una razionalità connessa a scopi. Ma in un universo tecnico lo scopo è lo stesso apparato scientifico-tecnologico, cioè un mezzo senza alcun intrinseco scopo che non sia la sua natura di mezzo. Inoltre il nostro universo è anche un universo di merci, e la circolazione delle merci ha come scopo l’accrescimento senza limite del denaro [e ciò, si è visto, riveste una decisiva importanza al fine di definire la specifica fisionomia storicamente acquisita dallo stesso sviluppo tecnico], che è un altro mezzo (il denaro) senza alcun altro intrinseco scopo che non sia la sua natura di mezzo».9

Nella scuola, come nell’intera società, agiscono forze che vorrebbero mercificarla e che, specialmente, vorrebbero deformare la natura umana. Il compito che ci spetta è quello di denunciare le contraddizioni e le manipolazioni mercificanti. Occorre dunque promuovere una educazione capace di rimettere al centro i fini e, dunque, la metafisica con la quale riportare la razionalità olistica e assiologica dove oggi regna la sola razionalità strumentale (in quanto tale irrazionale).

***

***

 

Note

1 Massimo Bontempelli (Pisa, 26 gennaio1946– Pisa, 31 luglio 2011) è stato uno storico, filosofo, saggista e insegnante italiano, autore del saggio L’agonia della scuola italiana, Petite Plaisance, Pistoia 2000.

2 Fabio Bentivoglio, Massimo Bontempelli, Storia di uno sfascio epocale, 2009 in Dossier Scuola, pag. 20

3 Ibidem,  pag. 20.

4 Ibidem,  pag. 23.

5 Ibidem,  pag. 25.

6 Ibidem,  pag. 28.

7 Ibidem,  pag. 30.

8 Ibidem,  pag. 31.

9 Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, Petite Plaisance, pag. 123



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Hans Urs von Balthasar (1905-1988) – La nostra parola iniziale si chiama bellezza. In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica.

La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. […]

In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso –, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più.

[…] Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce più a cogliere il bello.

 

Hans Urs von Balthasar, Gloria, Jaca Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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