Claudia Baracchi – Amicizia è disposizione verso il bene, verso il bene della vita, e non richiede conformismo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita.

Baracchi Claudia 04

31eMqFKLMWL._SX331_BO1,204,203,200_

Claudia Baracchi

Amicizia

Mursia, 2016

 

 

008   «L’amicizia sorge in seno all’estraneità, rivolgendosi all’esterno: cerca il rapporto non tanto con chi sta vicino, ma con chi viene da lontano. Ancora prima di designare l’approfondimento dell’intimità e della consuetudine, l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.»

Affrontare il tema dell’amicizia nell’epoca di Facebook e dei social network richiede coraggio e perfino una certa impertinenza. La relazione amicale comporta fiducia, fedeltà, disponibilità alla condivisione profonda. Ebbene, assicurano i sociologi, mai questo atteggiamento fu più improbabile che nel nostro tempo di drammatica riconfigurazione antropologica. La ricerca sull’amicizia non può dunque prescindere dal pensiero antico: con profondità ineguagliata esso ne indovina le più ampie implicazioni, affettive quanto politiche. Le epoche successive non oseranno tanto, e l’amicizia scomparirà dal pensiero politico così come da ogni considerazione complessiva sull’essere umano. L’Autrice percorre gli snodi della riflessione antica, nella convinzione che abbia a che fare con mondi a venire.

 



«Per realizzare le nostre speranze e inostri sogni abbiamo bisogno di amici […] di chi crede in noi. [Gli amici] sono quelli che credono in noi e vogliono aiutarci».

 

Aung San Suu Kyi

 

 

049   «Amicizia» può significare molte cose, potremmo dire con Aristotele. Molte relazioni che vengono chiamate con questo nome sono di fatto rapporti strumentali, motivati da finalità varie […]. Ma come si presenta un’amicizia nel suo senso pieno […]?
Nella perfezione di cui parla Aristotele non dovremmo intendere un riferimento all’ideale, quanto invece l’amicizia come fine in sé: un’amicizia che non si riconduce a mezzo per fini determinati e non si instaura in vista dell’ottenimento di alcunché. Essa non volge ad alcun fine, se non il bene, che non è una cosa: l’amicizia è orientata al bene di sé e dell’amico. Ma essere fine in sé ed essere finalizzata al bene significa, per l’amicizia, la stessa cosa: essere il luogo dove non si persegue altro che la piena realizzazione, cioè la felicità, mia e dell’altro. Questo è il significato del bene: la vita vissuta bene. Dunque l’amicizia riuscita è la riuscita di ognuno.

 

 

014   I requisiti principali dell’amicizia sono la somiglianza, o affinità, e la reciprocità. Ma va detto subito che questi termini non indicano il conformismo, l’adeguamento alla convenzione, tanto meno la quantificazione e il calcolo. […] Gli amici non si assomigliano in qualche dettaglio marginale, nelle forme esteriori, o nella condivisione degli stessi vantaggi e privilegi. E quello che danno l’uno all’altro non si misura come negli scambi di beni ordinari, non è quantità a cui assegnare prezzo. Tra amici similitudine e reciprocità vanno intesi alla luce di una propensione all’eccellenza, al perfezionamento della vita: arete è il nome che i greci danno a questa postura esistenziale, usualmente tradotto in italiano come virtù.

 

018   Allora comune agli amici è la forma di vita, il modo di vivere, sia nell’invisibile interiorità sia nell’esteriorità dell’azione. È la disposizione verso il bene, verso il bene della vita, quel bene che è la vita stessa protesa al compimento, alla realizzazione felice. Nell’amicizia è magnificato al massimo l’intreccio del bene presente (l’eccellenza dell’amico) e del bene come tendenza, compito infinito, bene a venire. Osserva Aristotele che «la perfetta amicizia è tra esseri umani buoni e simili nei confronti della virtù; poiché, nella misura in cui sono buoni, si augurano l’un l’altro il bene, e siffatti esseri umani sono buoni in se stessi» (Etica Nicomachea, 1156b7-10).

 

035   Nel cuore di questa amicizia si trova la condivisione dell’eccellenza e il reciproco augurio di ulteriore compiutezza e accrescimento. Ed è proprio il movimento verso il bene (ciò che rende eccellenti nella psyche e nell’azione) ad essere eminentemente amabile e attraente nell’amico. […] Sono i participes curarum con cui ci confrontiamo, da cui riceviamo consiglio nell’affrontare passaggi e situazioni di non facile lettura. […] Nell’amicizia è il bene dell’altro che mi fa bene. […]

 

037   Desta perplessità, ai nostri orecchi tardo-moderni, tutto quello che riguarda il bene, e in particolare l’espressione: essere buoni. Il bene, la bontà, buono: categorie goffe, rese irriconoscibili da rivolgimenti epocali che ce le hanno restituite come formule inerti, principi moralistici risibili, quando non apertamente repressivi. Noi abitanti nella modernità tarda siamo a malapena in grado di intendere quello che dicono gli antichi: per loro essere buoni significa essere felici, sentirsi dischiudere nella vastità della vita, ricercandone l’inveramento. […] E per questo, nella nostra epoca tarda, termini o espressioni come «bene comune», «cittadinanza», «comunità», rischiano di perdere il senso concreto e la prossimità viva. Non riconoscendo il bene come realizzazione di sé in seno a un noi, crediamo di trovare libertà e felicità in comportamenti puramente arbitrari e sconnessi.

 

045   Oppure siamo connessi, ma non tra di noi, bensì alla macchina, e tramite «la macchina» comunichiamo globalmente, ormai ampiamente risucchiati fuori di noi, prosciugati, come gusci vuoti appesi ai terminali della rete. Ma, così intesa, la connettività è contraffazione della comunità degli amici, così come la «realtà aumentata» è contraffazione della pienezza della vita.[…]
Gli amici si assomigliano in quanto, essendo similmente rivolti verso il bene, lo perseguono, anelano ad esso, e in ciò si favoriscono a vicenda. Ma ognuno lo farà a modo suo. […] L’amicizia non richiede conformismo […].

 

059   Dunque gli amici condividono la loro disposizione verso il bene. Sono simili nella loro postura rispetto al bene, simili nell’essere implicati nell’amore per il bene.

Claudia Baracchi, Amicizia, Mursia, 2016, pp. 53 ss.

 

Claudia Baracchi

Claudia Baracchi



Claudia Baracchi, Ph.D. in Filosofia, docente di Filosofia antica e Filosofia continentale alla University of Oregon (1996-1998) e alla New School for Social Research di New York (1999-2009), dal 2007 insegna Filosofia morale e Filosofia della relazione e del dialogo all’Università di Milano-Bicocca. È membro fondatore della Ancient Philosophy Society. È docente a Philo-Scuola Superiore di Pratiche Filosofiche. È analista membro della Società di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (SABOF)


Claudia Baracchi – Incontrare l’antico può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci. E l’amicizia è il nome di un’apertura all’inconsueto.
Claudia Baracchi – L’universalismo moderno sorge nell’astrazione. Invece, per l’esperienza antica, l’universale sorge nell’ampliamento d’orizzonte capace di cogliere la tessitura complessiva. Il filosofo rivela l’umano proprio nello slancio dell’umano oltre se stesso, in quell’apertura al possibile e nel possibile. Così, l’esplorazione del possibile trasgredisce e rivolta i confini del noto.

larchitettura-dellumano-188733

Claudia Baracchi

L’architettura dell’umano
Aristotele e l’etica come filosofia prima

Vita e Pensiero, 2014

Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell’effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci – che interrogano l’umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l’ipotesi della felicità. Incontrare l’antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l’intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L’origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l’antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa, ciò che si annuncia ma resta in ombra: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.


314y2bXAlTL._BO1,204,203,200_

Claudia Baracchi

Aristotle’s Ethics as First Philosophy

Cambridge University Press, 2007

In Aristotle’s Ethics as First Philosophy Claudia Baracchi demonstrates the indissoluble links between practical and theoretical wisdom in Aristotle’s thinking. Referring to a broad range of texts from the Aristotelian corpus, Baracchi shows how the theoretical is always informed by a set of practices, and specifically, how one’s encounter with phenomena, the world, or nature in the broadest sense, is always a matter of ethos. Such a ‘modern’ intimation can, thus, be found at the heart of Greek thought. Baracchi’s book opens the way for a comprehensively reconfigured approach to classical Greek philosophy.

Estratto:

Leggi l'estratto


Pablo Picasso, Amicizia, 1908

Pablo Picasso, Amicizia, 1908

 

Raffaello Sanzio, Autoritratto con un amico, 1518-1520

Raffaello Sanzio, Autoritratto con un amico, 1518-1520

 

H. Matisse, amicizia

H. Matisse, Amicizia

Konstantin Makovskij, Amici, 1895

Konstantin Makovskij, Amici, 1895

 

Edgar Degas, Amici del pittore dietro le quinte, 1879

Edgar Degas, Amici del pittore dietro le quinte, 1879



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 09-08-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************

 


Charles Péguy (1873-1914) – «Il denaro è tutto, domina tutto nel mondo moderno». L’indifferenza è la riduzione di tutto a denaro. La dimenticanza consiste nell’incapacità di vivere la cultura come parte integrante dell’esistenza, come impegno quotidiano. Ecco il mondo delle persone che non credono più a niente.

Charles Péguy 001

Lui è qui. Pagine scelte, Rizzoli, 2009

Lui è qui. Pagine scelte

Il mondo delle persone che non credono più a niente

a cura di Salvatore Bravo

SONO NELLA STANZA ACCANTO

 

 

L’amore non svanisce mai.
La morte non è niente, io sono solo andato nella stanza accanto.
Io sono io.
Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Datemi il nome che mi avete sempre dato.
Parlatemi come mi avete sempre parlato.   

Non usate un tono diverso.
Non abbiate un’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato,
senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non si è spezzato.
Perchè dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perchè sono fuori dalla vostra vista?
Io non sono lontano,
sono solo dall’altro lato del cammino.

 

 

Charles Péguy

 

 

Charles Peguy in un dipinto di Jean-Pierre Laurens

Charles Peguy in un dipinto di Jean-Pierre Laurens

 

 

L’indifferenza è la riduzione di tutto a denaro.

La dimenticanza consiste nell’incapacità di vivere la cultura come parte integrante dell’esistenza, come impegno quotidiano.

Il logorio del nichilismo economico sfregia l’umanità.

 Péguy racconta e denuncia il deserto crematistico che avanza.

Péguy denuncia il denaro come unica legge sociale riconosciuta.

La resistenza deve elaborare nuovi modelli di lotta mediati dalla lucida lettura della condizione attuale.

Charles Péguy (1873-1914) testimonia l’irriducibilità dei pensatori ad ogni tassonomia. Ha vissuto sulla soglia, sempre sul limitare, non ha mai voluto essere parte organica di un sistema, di un partito, di un’ideologia. Libertario per formazione e natura fino all’anarchia, la sua giovane vita ha attraversato la stagione del dubbio per giungere ad una spiritualità libera. La fede di Péguy non ha nulla di clericale, vi ha aderito dopo un lungo viaggio interiore. Homo viator e viandante, Peguy nella sua opera e nella sua vita ha posto il problema ontologico. Ogni soluzione facile o individualistica gli è sempre apparsa come negazione della natura umana la quale è espressa in modo completo solo nella relazione. La trinità e la relazione che ne è consustanziale ha nella comunità il suo riflesso speculare. La conversione è stata una scelta radicale in nome di un insopprimibile bisogno ontologico di relazione che si concretizza in senso orizzontale e verticale. L’essere umano reca con sé un’insoddisfazione ontologica, una mancanza d’essere che mentre lo tormenta e lo chiama alla soluzione del problema lo umanizza, lo trasforma gradualmente in un essere sempre più completo, in cui l’esistenza con la sua apertura all’essere, è il passaggio obbligato per trascendere ogni individualismo materialistico. La sua biografia è intessuta di solitudine, lotta e ripensamenti. Se una vita degna di essere vissuta è una vita dedicata alla ricerca la sua lo è stata pienamente. Visse da straniero, da pellegrino nella sua comunità, o meglio da esiliato. Constatava che ogni ideologia o istituzione è logorata da un grande male: l’indifferenza. Il male che ha incontrato, e che noi anche più fortemente viviamo, è l’assoluta dimenticanza dell’altro come di ogni grande tradizione storica e filosofica. La dimenticanza consiste nell’incapacità di vivere la cultura come parte integrante dell’esistenza, come impegno quotidiano. Il nichilismo invece è il trionfo della ragione strumentale: tutto è mezzo per l’affermazione di sé, e specialmente per ottenere denaro in nome di un narcisismo primario. L’irrilevanza, come direbbe Costanzo Preve, è la pratica del nichilismo. Péguy si confrontò con tale pratica. L’indifferenza è la riduzione di tutto a denaro. Il nichilismo contemporaneo ha perso la nobiltà del nichilismo filosofico o letterario tradizionale per divenire indifferenza verso prossimo, strumentalizzazione di ogni ente in vista del plusvalore. L’aspetto che gli mordeva era constatare quotidianamente in ogni ambito, la presenza pervasiva di tale logica che reifica ogni relazione compresa la duale relazione che ciascun essere umano ha con se stesso. Il logorio del nichilismo economico sfregia l’umanità al punto da indurla alla dimenticanza del prossimo come della tradizione in cui si è radicati. La persona con il suo mistero è sostituita dall’individuo, atomo calcolante. L’essere umano come algoritmo. La relazione e la comunità non consistono semplicemente in relazioni concrete da vivere nello spazio e nel tempo che condividiamo con gli altri, ma anche con l’invisibile regno dei pensatori e dell’umanità che ci hanno preceduti. L’indifferenza nichilistica si allarga nello spazio e nel tempo fino a ridurre l’essere umano a semplice presenza spaziale. L’indifferenza della contemporaneità è un’inquietante presenza assolutamente nuova, mai apparsa nella storia. Indifferenza in odore di mutazione antropologica:

«Subito dopo di noi comincia il mondo che noi abbiamo chiamato e continueremo a chiamare il mondo moderno. Il mondo che fa il furbo. Il mondo delle persone intelligenti, progredite, scaltrite, delle persone che la sanno lunga, alle quali non si può darla ad intendere. Il mondo di quelli che non hanno più niente da imparare. Di quelli che fanno i furbi. Che non si fanno imbrogliare, che non sono degli stupidi. Come noi. Vale a dire: il mondo delle persone che non credono più a niente, neppure all’ateismo, che non si danno, non si sacrificano mai. Precisamente: il mondo di quelli che non hanno una mistica. E se ne vantano. Non bisogna ingannarsi, e non è il caso di rallegrarsi né da una parte né dall’altra. […] La medesima incredulità, l’identica incredulità colpisce gli idoli e Dio, colpisce insieme i falsi dei e il vero Dio, gli dei antichi e il Dio nuovo, i vecchi dei e il Dio dei cristiani. La medesima sterilità inaridisce la città e la cristianità. La città degli uomini e la città di Dio. E questa è la sterilità moderna. Nessuno dunque si rallegri della disgrazia che colpisce il nemico, l’avversario, il vicino. Perché la stessa disgrazia, la stessa sterilità colpisce lui pure. Come mille volte ho ripetuto nei miei Cahiers, anche quando non erano ancora letti, la questione non è fra Repubblica e Monarchia, fra Repubblica e Regalità, soprattutto considerandole come forme politiche, come due forme politiche opposte, non è neppure fra il vecchio  e il nuovo regime francese, ma è nel fatto che il mondo moderno si oppone non solo al vecchio regime francese, ma ad ogni cultura precedente, ad ogni regime precedente, a ogni società precedente, alla cultura insomma e alla società. È infatti la prima volta nella storia        del mondo che un mondo intero vive e prospera, sembra prosperare contro ogni cultura».[1]

Il mondo dei furbi, degli scaltri è il mondo in cui la linea tra amici e nemici, tra militanti di ideologie diverse vien meno, poiché la sostanza nichilistica è comune a tutti. Possiamo intendere la soluzione di Péguy: l’indifferenza, il fanatismo del denaro alberga ovunque, per cui la lotta va praticata contro il sistema in generale. Dinanzi ad un fenomeno assoluto come il nichilismo economico, è necessario trovare nuove forme di lotta. Le lotte tradizionali appaiono inadeguate, perché l’inverno dello spirito alberga ovunque, per cui i singoli soggetti devono prendere atto della condizione storica e condurre una lotta titanica. Peguy non lotta solo non adeguandosi al sistema del denaro, ma lontano dalle logiche crematistiche pubbliche ed accademiche, racconta e denuncia il deserto crematistico che avanza. Le sue opere sono come messaggi in bottiglia, si spera che altri accolgano le parole per farne carne e sangue per la resistenza attiva. Il denaro sostanza del mondo separa senza appello. I ricchi ed i poveri paiono appartenere a mondi assolutamente diversi, più nulla li unisce perché ciò che conta è possedere denaro o non possederlo. Ricchi e poveri si confrontano senza possibilità di compromesso. L’umanità è misurata sul denaro. Gli esseri umani sono così resi stranieri gli uni agli altri:

«Nel mondo moderno, come ho dimostrato tante volte in questi stessi cahiers, non esiste, non regge, non conta alcun potere accanto al potere del denaro, non esiste, non regge, non conta alcuna distinzione in confronto all’abisso che separa i ricchi e i poveri, e queste due classi, malgrado le apparenze e malgrado il gergo politico e i paroloni di solidarietà, si ignorano come mai nel passato si sono ignorate. In modo infinitamente diverso, infinitamente più grave s’ignorano e misconoscono. Sotto le apparenze del gergo politico parlamentare c’è un abisso fra di esse, un abisso di ignoranza e di incomprensione, un abisso di non comunicazione. L’ultimo dei servi apparteneva alla stessa cristianità del re. Oggi non c’è più città. Il mondo ricco e il mondo povero vivono, mostrano di vivere, come due masse, come due strati orizzontali separati da un vuoto, da un abisso di incomunicazione. Il denaro è tutto, domina tutto nel mondo moderno, a tal punto, così completamente, così totalmente, che la separazione sociale orizzontale fra ricchi e poveri è divenuta infinitamente più grave, più radicale, più assoluta della separazione verticale di razza fra ebrei e cristiani. La durezza del mondo moderno riguardo ai poveri, contro i poveri, è divenuta così totale, così spaventosa, così empia sia riguardo agli uni che riguardo agli altri, sia contro gli uni che contro gli altri».[2]

Péguy irrompe nella contemporaneità, malgrado la rimozione dell’autore, denunciando l’attacco antropologico che il nichilismo economicistico sta operando: il denaro come unica legge sociale riconosciuta. Dinanzi alla normalizzazione della nientificazione sono necessarie nuove forme di lotta, nuove strategie. Gli intellettuali, come gli uomini di buona volontà, sono chiamati ad elaborare nuove dialettiche organiche alle mutazioni in opera, prima che l’irrimediabile si realizzi. La condizione attuale è l’umanità ridotta a massa: Péguy palesa che la lotta è tra masse disposte in senso orizzontale, ovvero è il denaro nella sua presenza o assenza a determinare la posizione delle masse divise lungo l’orizzonte specifico del denaro. Quindi tutti non credono più a niente, ogni nucleo della massa ambisce al possesso del denaro. Non vi sono differenze ideologiche. La lotta deve tener conto della mutazione avvenuta, nessuno crede a più a nulla, tutti vogliono ed esigono gli stessi obiettivi. Solo in tal modo è possibile comprendere le motivazioni per cui si tollera l’intollerabile ovvero: corruzione, violenza, collasso delle istituzioni e smantellamento dei diritti sociali. La condizione di “plebe” non è identificabile con una particolare fascia sociale, ma è trasversale. La plebe è l’assenza di consapevolezza assoluta, è l’orizzonte che si restringe ad una banconota, per cui, si è disponibili a sacrificare se stessi, la propria comunità, la propria storia, il paesaggio, in nome di una banconota in più. La plebe è l’intera popolazione, perché ha perso la coscienza di sé. La resistenza deve elaborare nuovi modelli di lotta mediati dalla lucida lettura della condizione attuale. È necessario prendere atto che stiamo assistendo ad una “Rivoluzione copernicana”, stiamo vivendo una nuova fase del nichilismo, in quanto in assenza di differenze, non è possibile distinguere, discernere l’evento storico in cui siamo. Il nichilismo come quotidiano, normalità, non è il nichilismo tradizionale che fungeva da critica sociale, ma la tragedia che nel tempo vissuto di ciascuno prende forma senza riuscire a capirla, ad identificarla. Non si può iniziale la trasformazione dalla presa d’atto dell’ospite inquietante, il nichilismo, ma che non inquieta, anzi è difeso in nome di una libertà assoluta e violenta. In ogni istituzione, luogo e canale comunicativo risuonano le nuove parole d’ordine: competizione e PIL. A tali parole non vi è risposta, o meglio, ci si adatta senza mediazione, a prescindere dalla posizione che si occupa nella catena produttiva. Ricominciare a pensare tali parole è il primo dovere di ogni resistenza al deserto che avanza.

Salvatore Bravo

[1] Charles Péguy, Lui è qui, Rizzoli, Milano, 1997, pag. 96.

[2] Ibidem, pp. 102-103.

 

 



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 05-08-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************

 


Giulio A. Lucchetta – La salvezza della città. Ethos e logos in democrazia. Tornare a credere nell’educazione e nella crescita culturale dei “cittadini” è l’unica premessa possibile all’esercizio della “buona politica”

La salvezza della città

La salvezza della città

Tornare a credere nell’educazione e nella crescita culturale dei “cittadini” è l’unica premessa possibile all’esercizio della “buona politica”: in questo senso, collante dell’intero lavoro che qui proponiamo sono i temi del linguaggio, della razionalità, dell’ethos, dell’ideale di una cittadinanza consapevole e “attiva” che ha il proprio modello di riferimento nella “città”.

Giulio LucchettaMaurizio De Innocentiis, La salvezza della città. Ethos e logos in democrazia, Carabba, 2012.



Altri libri di Giulio Lucchetta
La natura della sfera

La natura della sfera

La natura e la sfera. La scienza antica e le sue metafore nella critica di Razi

Milella, 1988

Il trattato sulla Metafisica del medico-filosofo persiano Abu Bakr Mahammad ibn Zakariyya’ al Razi (IX-X sec.) è un testo enciclopedico interamente dedicato alle dottrine naturalistiche dell’antichità. Partendo da questo ultimo approdo della traduzione del pensiero scientifico antico, l’autore di questo saggio, Giulio Lucchetta, studioso di filosofia antica, ripercorre a ritroso, operando il rinvenimento delle fonti ora esplicite ora implicite, la scia lasciata da alcune forme tipiche del sapere greco nell’attraversare l’età ellenistica e tardo-antica. Proprio il trattato di Razi in questione offre la possibilità di una incursione nelle tradizioni metaforiche della scienza di quelle età, attento com’è a rilevare le aprioristiche distinzioni e le pratiche analogiche da queste assunte per produrre leggi e previsioni. Così quella di Razi si presenta come una riflessione critica, forse epistemologica, sulle capacità di cogliere e raffigurare la realtà attraverso strategie linguistiche, più che sperimentali messe a punto dal sapere scientifico dell’antichità nella sua ricca seppur breve evoluzione.

***

Scienza e retorica in Aristotele. Sulle radici omeriche delle metafore aristoteliche

il Mulino, 1990

***

Le ragioni di Odisseo

Le ragioni di Odisseo

 

Le ragioni di Odisseo Pensiero,
azione e argomentazione nelle forme narrative dell’Odissea

Métis Editrice, 1996

***

 

Sotto il segno di Boezio

Sotto il segno di Boezio

Sotto il segno di Boezio.
Memoria, tempo, sogno, scrittura e confronto dall’intellettualità

Troilo Editore, Bomba, 2001

 

***

 

Allegoria. L'età classica

Allegoria. L’età classica

Allegoria. Vol. I. L’età classica

Autori: Giulio Lucchetta, Ilaria Ramelli

Vita e pensiero, 2004

 

L’allegoria come tentativo di razionalizzare la mitologia e, di conseguenza, la religione ebbe grande diffusione in Grecia fino dalle età più remote. Con l’avvento della filosofia essa assunse via via maggiore profondità e una più coerente strutturazione: l’allegoria divenne così allegoresi. è soprattutto a partire da questa trasformazione che Giulio Lucchetta e Ilaria Ramelli intraprendono la paziente e meticolosa ricostruzione della storia dell’allegoresi nel periodo classico (fino al I-II secolo d.C.) facendo emergere due principali linee di tendenza, rispettivamente a carattere stoico e aristotelico. La prima linea risulta senza dubbio predominante, al punto da poter affermare che l’allegoresi fu ‘una creazione degli Stoici’ e assunse da loro la varia e specifica terminologia che venne poi trasmessa a tutti gli allegoristi.
Questo libro costituisce un fondamentale strumento di ricerca sul tema dei rapporti fra religione e filosofia e sui complessi sviluppi della teologia greca; esso inaugura una serie di tre volumi che, avvalendosi del contributo di numerosi studiosi, intende coprire tutta la storia dell’allegoria antica: dall’allegoria classica (vol. I), a quella giudaico-alessandrina (vol. II), fino all’allegoria tardo-pagana e proto-cristiana (vol. III).

 

***

Mente, anima e corpo nel mondo antico. Immagini e funzioni

Mente, anima e corpo nel mondo antico. Immagini e funzioni

 

Mente, anima e corpo nel mondo antico. Immagini e funzioni

Autori: Giulio Lucchetta, Ugo La Palombara
Opera Editrice, 2006

 

***

Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

 

Metafisica 1. La sophia degli antichi.
Vol. 1: Vailati traduce Aristotele.

Carabba, 2009

 

Questo volume inaugura la collana “Nuove prospettive sulla cultura dell’anima”, una serie di studi sui titoli, i traduttori, i curatori e i commentatori della collana “Cultura dell’anima” diretta da Papini dal 1909 al 1938 e che la Carabba ha iniziato a ristampare in anastatica dal maggio 2008 e che conta oggi già 60 titoli disponibili. Questo primo lavoro prende spunto dal numero 1 “Il primo libro della metafisica di Aristotele” tradotto e commentato da G. Vailati.

 

***

Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

Metafisica I. La sophia degli antichi. Volume II, linguaggio, mito, metafora in Aristotele

 

Metafisica I. La sophia degli antichi.
Vol. 2: Linguaggio, mito, metafora in Aristotele.

Carabba, 2010

Con questo secondo volume Giulio Lucchetta termina il commento al numero 1 “Il primo libro della metafisica di Aristotele” tradotto e commentato da G. Vailati.

 

***

 

Shoah e schiavitù

Shoah e schiavitù

 

Shoah e schiavitù. Storie di antica disuguaglianza e di rinnovati colonialismi

Carabba, 2011

Nel porre in parallelo le storie di sfruttamento schiavistico nel Congo per il reperimento di avorio e quelle nei lager per la produzione della gomma sintetica, Finkelstein suggerisce l’ipotesi che quanto si tentò di realizzare sotto il Nazismo non sia altro che una riproposta, nel Continente Europeo, del modo di produzione schiavistico realizzato in Età Moderna a scapito delle popolazioni indigene del Nuovo Mondo e, su più larga scala, in Africa durante il Colonialismo. D’altronde che il Vecchio Continente si fosse ormai assuefatto al modo eurocentrico di considerare altri popoli e altre etnie in funzione del mantenimento del proprio alto tenore di vita, ne dava prova lo sguardo non ancora ideologico di Conrad. Si trattava di poter costruire all’alba del Novecento un “altro da noi” di cui disporre dentro le pareti di casa: si interrogò l’ambiente scientifico alla ricerca di un avallo in tal senso e dagli antropobiologi fu posto in essere il concetto di “razza”. Anche in Italia, in ragione della promulgazione delle leggi razziali, non mancarono casi eclatanti di collusione tra Accademia e Regime, di cui si dà testimonianza. Risulta rilevante il ruolo ispiratore assunto da I Protocolli dei “Savi anziani” di Sion data la totale assenza di riscontri biologici, al punto che con modalità parascientifiche ci si spinse a rintracciare i contorni decisi della “razza” nell’ereditarietà di atteggiamenti psicologici. Ma il futuro sul quale già da allora ci eravamo incamminati non sembra meglio del nostro passato: sul filo dei processi di deculturazione rilevati da Latouche è possibile cogliere drammatiche analogie tra il testo dei Protocolli e quanto prospettato da Bradbury in Fahrenheit 451, come linee guida che all’interno del Mercato rendano inevitabile un generale destino da sfruttati. Il retroterra classicistico dell’Autore, infine, offre termini di paragone per cogliere le profonde differenze di questa rinnovata schiavitù che, in quanto rispecchiamento dei processi di produzione capitalistica, è in grado di parlarci delle differenti finalità perseguite dalle diverse forme di organizzazione e di subordinazione sociale.

 

***

 

2012 La salvezza della città

 La salvezza della città

La salvezza della città. Ethos e logos in democrazia

Autori: Giulio LucchettaMaurizio De Innocentiis

Carabba, 2012

Tornare a credere nell’educazione e nella crescita culturale dei “cittadini” è l’unica premessa possibile all’esercizio della “buona politica”: in questo senso, collante dell’intero lavoro che qui proponiamo sono i temi del linguaggio, della razionalità, dell’ethos, dell’ideale di una cittadinanza consapevole e “attiva” che ha il proprio modello di riferimento nella “città”.

 

***

 

Tuphlòs perì chromáton.
Parlare di natura a partire dal movimento: cause e privazione (Phys. I e II)

RIVISTA DI FILOSOFIA NEO-SCOLASTICA – 2015 – 4

Vita e Pensiero, 2015

According to Wieland and Düring, a narrow interpretation of the doctrine of four causes may engender a misunderstanding of Aristotleʼs theory of nature. Talking about nature we have to determine natural movements: for that, as Heidegger said, it needs to use potency in order to avoid the opposition between absolute being and not-being; but it is also necessary a large notion of accident. Then it should be crucial the role of privation, as contrary of matter or of form.

 

Rivista di Filosofia neo-scolastica

Rivista di Filosofia neo-scolastica


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word  

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 07-08-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************

 


María Zambrano (1904-1991) – La vita ha bisogno di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola, se assume i suoi caratteri, la soffoca.

Maria Zambrano 027
La confessione come genere letterario01

La confessione come genere letterario

«La vita ha bisogno di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola, se assume i suoi caratteri, la soffoca. Si tratta quindi di trovare il punto di contatto tra la vita e la verità: e tale punto di contatto si ottiene grazie a un’operazione della vita stessa, qualcosa che avviene al suo interno».

 

Maria Zambrano, La confessione come genere letterario (1943), tr. it. Bruno Mondadori, Milano, 1997, p. 45.

 

 

La confessione come genere letterario

La confessione come genere letterario


Maria Zambrano – La virtù della delicatezza
Maria Zambrano (1904-1991) – Il silenzio che accoglie la parola assoluta del pensiero umano diventa il dialogo silenzioso dell’anima con se stessa.
Maria Zambrano (1904-1991) – Saper guardare un’icona significa liberarne l’essenza, portarla alla nostra vita
María Zambrano (1904-1991 – Il punto dolente della cultura moderna è la sua mancanza di trasformazione della conoscenza pura in conoscenza attiva, che possa alimentare la vita dell’uomo di ciò che necessita.
María Zambrano (1904-1991) – L’amore è l’elemento della trascendenza umana. Originariamente fecondo, quindi, se persiste, creatore di luce, di vita, di coscienza. È l’amore a illuminare la nascita della coscienza.

 



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 05-08-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************

 


Aldo Giorgio Gargani (1933-2009) – Noi abbiamo una nascita che è determinata dall’atto di procreazione. Ma poi c’è la nascita che noi ci diamo a noi stessi. La realtà dell’essere nostro deve essere raggiunta attraverso un processo mediante il quale bisogna reinventarsi per mezzo della scrittura per diventare alla fine quello che si è.

Gargani Aldo Giorgio01
Il testo del tempo

Il testo del tempo

«Noi abbiamo una nascita che è determinata dall’atto di procreazione dei nostri genitori, e che è poi modellata dalle autorità parentali, famigliari, sociali, culturali e da tutte queste istanze noi siamo resi di colpo responsabili senza per così dire averlo richiesto. Ma poi c’è una nuova nascita, che non è quelle recepita dall’esterno e che è precisamente la nascita che noi ci diamo a noi stessi raccontando la nostra storia, ridefinendola con la nostra scrittura che stabilisce il nuovo stile secondo il quale noi esigiamo di essere compresi dagli altri. […] La realtà dell’essere nostro deve essere raggiunta attraverso un processo paradossale mediante il quale bisogna reinventarsi per mezzo della scrittura per diventare alla fine quello che si è».

Aldo Giorgio Gargani, Il testo del tempo, Laterza, 1992, pp. 3-5.



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 05-08-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************

 


Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele

Arianna Fermani 01

Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano

Riflessioni sulla Paideia in Aristotele

in Educação e filosofia, 31, n. 61 (2017)

Sem título-1

 «Non è una differenza da poco il fatto che subito fin dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro ma, al contrario, è importantissimo o, meglio, è tutto» (Etica Nicomachea, II, 1, 1103 b 23-25).

 

 

Questo contributo mira a mettere a fuoco il tema dell’educazione di Aristotele, mostrando come tale riflessione risulti essere originale ed attuale. L’indagine prende avvio dall’esame delle occorrenze di alcuni lemmi all’interno del corpus del filosofo particolarmente significativi rispetto al tema della educazione, come ad esempio

paideia

Si intende mostrare come la riflessione aristotelica sulla paideia, oltre ad un utilizzare una specifica metodologia di indagine, si muova all’interno di due fondamentali scenari educativi: nel primo (che a sua volta si articola in una serie di sotto-questioni, come ad esempio il tema dell’insegnabilità della virtù o quello dell’emotional training e dell’educazione delle passioni) l’educazione precede l’etica, mentre nel secondo l’educazione consiste nell’etica, secondo il fondamentale modello teorico dell’energeia.


Arianna Fermani è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’ “International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana. Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.


Tra le molte pubblicazioni di Arianna Fermani

 

Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Editore: eum, 2006

 

Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

***

L'etica di Aristotele

L’etica di Aristotele: il mondo della vita umana

Editore:Morcelliana, 2012

 

Utilizzando tutte e tre le Etiche aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà “si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.

 

Sommario

Ringraziamenti
Premessa
I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni
II “Essere” e “dirsi in molti modi”
Introduzione
I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele
II. Autenticità delle tre Etiche
III. Obiettivi e struttura del lavoro

PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù
Capitolo primo: Giustizia e giustizie
Capitolo secondo: La fierezza
Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia
Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza
Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio”
Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio

SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione
Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca”
Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere
Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore

TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona
Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici
Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza
Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità
Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis
Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi
Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi

***

 

Le tre etiche

Le tre etiche. Testo greco a fronte

Editore:Bompiani, 2008

 

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l'”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

***

Platone e Aristotele

Platone e Aristotele. Dialettica e logica

Curatori: M. Migliori, A. Fermani

Editore:Morcelliana, 2008

Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.

***

 

Interiorità e animae

Interiorità e anima: la psychè in Platone

Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani

Vita e Pensiero, 2007

Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso l'”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero contemporaneo torna positivamente a misurarsi.

 

***

Humanitas

Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.

Curatore: A. Fermani, M. Migliori

Editore: Morcelliana, 2016

 

Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas” 1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M. Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia. Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani, Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts, and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda. longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F. De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.

***

Il Simposio di Platone

Il ‘simposio’ di Platone

J. Rowe, Arianna Fermani

Academia Verlag, 1998

 

Cinque lezioni sul dialogo con un ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata, Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.

***

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità;
Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203

 

***

rivista di

ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE

Arianna Fermani

Vita e Pensiero

Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202

***

Studi su ellenismo e filosofia romana

Studi su ellenismo e filosofia romana

Curatori: F. Alesse, A. Fermani, S. Maso

Editore: Storia e Letteratura, 2017

In questo volume vengono raccolti cinque saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e all’aristotelismo di epoca imperiale.

***

Thaumazein cop

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”.
Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele

in THAUMÀZEIN; n. 2 (2014); Verona, pp. 225-246

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 26-07-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************

 


Maurice Blanchot (1907-2003) – La lettura fa del libro quel che il mare e il vento fanno con le opere forgiate dagli uomini. La lettura conferisce al libro l’esistenza brusca che la statua “sembra” dovere solo allo scalpello. Il libro ha bisogno del lettore per farsi statua.

Maurice Blanchot01
Lo spazio letterario 02

Lo spazio letterario

«La lettura fa del libro quel che il mare e il vento fanno con le opere forgiate dagli uomini: una pietra più liscia, un frammento piovuto dal cielo, senza passato né futuro, sul quale non ci si interroga quando lo si vede. La lettura conferisce al libro l’esistenza brusca che la statua “sembra” dovere solo allo scalpello: quell’isolamento che la sottrae agli sguardi che la vedono, quella distanza altera, quella saggezza orfana, che congeda insieme lo scultore e lo sguardo che vorrebbe scolpirla ulteriormente. In un certo qual modo il libro ha bisogno del lettore per farsi statua, ha bisogno del lettore per affermarsi come cosa priva d’autore ma anche di lettore».

Maurice Blanchot, Lo spazio letterario, il Saggiatore, 2018.

Lo spazio letterario

Lo spazio letterario


Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 26-07-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.


***********************************************
Seguici sul sito web 

cicogna petite***********************************************

 


Salvatore Bravo – Il disorientamento gestaltico e le parole valigia. Le parole valigia e lo spettacolo sempre in scena reificano il soggetto umano riducendolo a semplice funzione del gioco perverso della produzione.

Bravo Salvatore 026

Il disorientamento gestaltico e le parole valigia

 

 

Il capitalismo assoluto non ha solo il monopolio della violenza, ma consolida la «gabbia d’acciaio» attraverso il controllo delle parole.
Noi siamo il nostro linguaggio, il linguaggio ci precede, attraverso di esso diamo significati al mondo, ordiniamo gerarchie, stabiliamo priorità: il mondo è un ordito di parole.
Il monopolio delle parole è dunque il mezzo di controllo delle menti come delle conseguenti scelte. Il linguaggio come essere del mondo, del vivere l’esperienza dell’esserci. Le parole sono la struttura della «gabbia d’acciaio»: l’ordine capitalistico delle parole investe il soggetto per farne un in-dividuo, un atomo, che vive contemporaneamente nella separazione-astrazione. Nel mentre si restringono gli spazi d’azione del pensiero e della prassi, si allargano gli spazi della «gabbia d’acciaio». La libertà – come movimento su larga scala – è inversamente proporzionale agli spazi liberi del pensare. La grande illusione è la libertà fondata sul movimento, sullo spostamento all’interno di spazi sempre più vasti, ma i cui paesaggi sono implacabilmente uguali: ovunque albergano le parole del turbocapitalismo. Si può permettere il libero spostamento, poiché tanto si torna a casa con le stesse parole, con gli stessi concetti, con gli stessi bisogni. La globalizzazione rafforza a livello ideologico il capitalismo assoluto con la patente della libertà che non spaventa, della libertà che non conosce il dubbio, della libertà in cui non vi è inquietudine. Un fine generale-universalistico non esiste, vi è solo il rafforzamento dell’eguale.
Il viaggio rappresentava un’importante esperienza formativa, il divertimento era divertere (ovvero, secondo l’etimologia, cambiare strada): si assaporavano altre parole, altri sguardi, ci si fermava per condividere altre possibilità comunitarie. Il ritorno segnava il momento in cui l’esperienza vissuta diventava parte della comunità in cui si era radicati.
La “libertà” al tempo della globalizzazione è invece regno dell’eguale, la partenza ed il rientro non comportano spostamenti gestaltici, non vi sono nuove parole significanti, nuove prospettive e rappresentazioni, ma solo un’ innumerevole quantità di immagini da propinare e fagogitare bulimicamente per soddisfare la propria vanità e ammaliare i conoscenti di turno con la narrazione dei viaggi organizzati.
Lo spettacolo, così, si autoriproduce senza nulla imporre: la società dello spettacolo è un enorme accumulo di immagini e spettacoli dal forte plusvalore. Il capitalismo digitale ha fatto dell’immagine la sua verità e la sua merce.
Naturalmente in un’epoca di contrazione delle parole, sempre più stereotipate (riproducenti slogan, e imperativi categorici del consumo e del fare per il fare), non sorge la domanda se l’immagine è la verità, se il suo retroscena celi innominabili interessi ed ingiustizie. Il ritorno è così uguale alla partenza, si è solo rafforzato il velo di Maya dell’immagine che separa, divide, atomizza soggetti come le parole usate. Il sole non tramonta mai sulla passività.
Dunque le parole in questo caso ordinano l’esperienza ma non l’esperienza vissuta. Walter Benjamin distingueva l’esperienza dall’esperienza vissuta, la prima è puramente passiva, la seconda è mediata dal simbolico. Le parole del capitalismo assoluto educano alla passività, mediante l’esemplificazione dei concetti, contenuti minimi, didattica breve, conoscenze specialistiche, problem solving. Le parole devono essere lo strumento con cui si accede al mondo per saccheggiarlo legalmente. Il tramonto dell’occidente è il tramonto delle parole, al loro posto solo immagini mute e mutile:

«Lo spettacolo si presenta contemporaneamente come la società stessa, come una parte della società, e come strumento d’unificazione. In quanto parte della società, è espressamente il settore che concentra ogni sguardo e ogni coscienza. Per il fatto stesso che questo settore è separato, esso è il luogo dello sguardo ingannato e della falsa coscienza; e l’unificazione che realizza non è altro che il linguaggio ufficiale della separazione generalizzata».[1]

Le immagini sono percepite ma non vissute. Per essere vissute devono essere ricostruite nella loro genesi olistica, invece si configurano come fotogrammi dell’astrazione, il cui significato resta a livello descrittivo denotativo. La passività è dunque un mondo di esperienze descritte con le stesse parole. Un immenso accumulo di stimoli visivi non guardati, ma percepiti e mostrati come l’ultimo trofeo per “amici” e “conoscenti”.
Il disorientamento gestaltico trova un alleato imprescindibile nelle parole valigia. Le parole – nel pulviscolo motorio – hanno perso ogni aderenza alla realtà, il loro significato è mosso da una sterile polisemia che disorienta ed annichilisce il significato reale. Parlare, argomentare, diventa inutile poiché ciò che è detto significa sempre altro. L’inautentico separa, avvilisce le energie creative. Società schizoide che spinge verso patologie mentali con i suoi terribili e perenni messaggi contradditori. Lewis Carroll in Attraverso lo specchio descrive le parole doppie, contratte, per cui significano parzialmente e vagamente qualcosa da un corno e altro dall’altro corno. È un mondo doppio in cui il vero ed il falso si confrontano senza la possibilità di accertare con sicurezza la verità. Platonismo del falso. Le parole hanno perso il mondo e con esso la verità. Significano quello che vogliono:

«Quest’ultimo verso è troppo lungo per una poesia; – ella aggiunse, quasi ad alta voce, dimenticando che Unto Dunto [Humpty Dumpty] la sentiva. – Non chiacchierare così sola, – le disse Unto Dunto, guardandola per la prima volta, – ma dimmi come ti chiami e che fai. – Mi chiamo Alice, ma… – Hai un nome molto sciocco! – la interruppe con impazienza Unto Dunto. – Che cosa significa? – Forse che un nome deve significare qualche cosa? – domandò Alice dubbiosa. – Altro che! – disse Unto Dunto con una breve risata: Il mio nome significa la forma che ho io … fra parentesi una forma graziosa e bella. Con un nome come il tuo si può avere qualunque forma o quasi». [2]

Si vive in un mondo in cui anche il vero è falso. Lo specchio è lo sdoppiamento, la divisione come fondamento del reale. Tutto può essere interpretato in mille modi, tutto è lecito e legittimato nel regno dell’irrilevanza. Il pensiero e l’essere si sono scissi, per cui la faglia irrompe nelle relazioni tra i soggetti, rendendo la comunicazione impossibile, delirio collettivo che, ritornando alla «gabbia d’acciaio», la vuole intrascendibile. Non vi è uscita senza i significanti che corrispondono al significato. La libertà ha come sostanza le parole ritrovate nel loro senso. Se le parole dicono altro rispetto al loro significato, ogni fiducia e razionalità decade. Le sbarre divengono mura, ma non si ha la rappresentazione delle mura, della prigione. Ogni comportamento teoretico è scoraggiato nella «gabbia d’acciaio», lo spettacolo – per andare perennemente in scena – deve restringere il campo della rappresentazione a puro rispecchiamento-adeguamento, senza speranza. Nella caverna di Platone (VII libro della Repubblica) la possibilità dell’uscita dalla caverna è garantita dalla struttura razionale del cosmo e dell’essere, la lingua conserva il senso profondo del fenomeno, mentre nella «gabbia d’acciaio» il politeismo etico, la cultura delle parole valigia rendono il soggetto debole, lo destrutturano in assenza di significati certi e razionali. Ci si lascia trascinare dal nichilismo passivo, si perde il senso di sé. Il proprio io come affermava Hume è un palcoscenico in cui avviene tutto ed il contrario di tutto. In tali condizioni la prassi è neutralizzata. Parola valigia è chiamare riforma del lavoro la controriforma, inclusione per omologazione, sviluppo per saccheggio del pianeta, lavoro flessibile per sfruttamento, alleanze per trasformismo… L’elenco è lungo e minaccioso, poiché come detto, destabilizza, indebolisce, deprime. La «gabbia d’acciaio» si cementifica con le parole valigia. L’esperienza storica attuale si trasforma così in ipostasi, in destino fatale e letale.
Dobbiamo dunque ridare significato alle parole per ridare dignità alle persone, per ritrovarci persone e non semplici replicanti di parole incomprensibili. Dobbiamo contrapporre alla confusione ideologica la chiarezza dei significati senza i quali ogni via di uscita ci è preclusa. Senza le parole non possiamo conoscere noi stessi. La maieutica è logos, pratica delle parole contro ogni sofistica.
Se le parole tacciono, se il loro significato è manipolato, con esse si perde il soggetto umano. Pensare è rappresentare ciò che non è percettivamente presente. Le parole valigia e lo spettacolo sempre in scena reificano il soggetto umano riducendolo a semplice funzione del gioco perverso della produzione.

L’esodo, l’uscita dalla «gabbia d’acciaio»» necessita della profondità di senso delle parole.

Salvatore Bravo

[1] G. Debord, La società dello spettacolo, Millelire, Stampa Aternativa, 1995, p. 6.

[2] Lewis Carroll, Attraverso lo specchio, capitolo VI. http://sabian.org/looking_glass6.php Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò o semplicemente Attraverso lo specchio (titolo originale Through the Looking-Glass, and What Alice Found There, ) è un romanzo fantastico del 1871 scritto dal matematico e scrittore inglese Charles Lutwidge Dodgson con lo pseudonimo di Lewis Carroll, come seguito de Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. Il personaggio di Humpty Dumpty in Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò è protagonista di uno dei dialoghi più celebri dell’intero romanzo. Inoltre, Humpty Dumpty rivela ad Alice il suo approccio all’uso delle parole: “quando io uso una parola […] essa significa esattamente ciò che io voglio che significhi. […] Con impenetrabilità intendevo dire che di quel soggetto ne abbiamo avuto abbastanza e tanto varrebbe che tu mi dicessi cosa vuoi fare dopo”. All’osservazione di Alice che le parole possono avere tanti significati, Humpty Dumpty replica “quando faccio fare a una parola un simile lavoro […] la pago sempre di più”. Humpty Dumpty vuole “comandare” le parole per dar loro il significato che preferisce.

‘That last line is much too long for the poetry,’ she added, almost out loud, forgetting that Humpty Dumpty would hear her.
‘Don’t stand chattering to yourself like that,’ Humpty Dumpty said, looking at her for the first time, ‘but tell me your name and your business.’
‘My name is Alice, but —’
‘It’s a stupid name enough!’ Humpty Dumpty interrupted impatiently. ‘What does it mean?’
Must a name mean something?’ Alice asked doubtfully.
‘Of course it must,’ Humpty Dumpty said with a short laugh: ‘my name means the shape I am — and a good handsome shape it is, too. With a name like yours, you might be any shape, almost.’
‘Why do you sit out here all alone?’ said Alice, not wishing to begin an argument.
‘Why, because there’s nobody with me!’ cried Humpty Dumpty. ‘Did you think I didn’t know the answer to that? Ask another.’
‘Don’t you think you’d be safer down on the ground?’ Alice went on, not with any idea of making another riddle, but simply in her good-natured anxiety for the queer creature. ‘That wall is so very narrow!’
‘What tremendously easy riddles you ask!’ Humpty Dumpty growled out. ‘Of course I don’t think so! Why, if ever I did fall off – which there’s no chance of – but if I did – ‘ Here he pursed up his lips, and looked so solemn and grand that Alice could hardly help laughing. ‘If I did fall,’ he went on, ‘the King has promised me – ah, you may turn pale, if you like! You didn’t think I was going to say that, did you? The King has promised me with his very own mouth – to – to – ‘
‘To send all his horses and all his men,’ Alice interrupted, rather unwisely.

 

 

 

 



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 22-07-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Seguici sul sito web 

cicogna petite

Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare

Preve Costanzo 026

Il convitato di pietra

Il convitato di pietra

***

Ieri ero triste.
Pensai:
forse il nostro movimento tramonta
per cento anni, non per sempre, ma
per cento anni sì, ed
è proprio qui che noi viviamo.
Oggi lo so: io
ero triste
soltanto ieri.

Bertolt Brecht

 

Il libro viene reso fruibile gratuitamente in formato PDF cliccando qui.

***

Recensione di Salvatore Bravo

Il nichilismo è una pratica,
è la condizione del quotidiano
senza la mediazione della coscienza,
senza la fatica del concettualizzare

***

L’ospite inquietante, il nichilismo, è raffigurato da Costanzo Preve, nel suo libro Il convitato di pietra. Saggio su marxismo e nichilismo, con la metafora della statua che nel Don Giovanni di Mozart è muta, non risponde, e avvolta nella sua indifferenza non proferisce parola: è un’inquietante presenza che suscita terrore. Nell’opera di Mozart la statua si presenta da don Giovanni: lo invita a confessare i suoi peccati per poi sprofondarlo all’inferno con sé. Il convitato di pietra solo alla fine svela la sua terrifica realtà senza speranza. A giochi fatti, quando ormai il pensiero è arretrato, ogni corrispondenza tra significato e realtà ha lasciato il posto semplicemente al nulla. Parla, ma le sue parole sono inutili, hanno perso valore e realtà: ogni confessione senza la solidità dei significati, è puro virtuosismo lessicale, mera posa interna al silenzio delle domande e delle risposte.

Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza. La fatica del concettualizzare, in questo caso, è la porta stretta attraverso cui è possibile l’uscita senza fuga dalla pratica del nichilismo. La premessa maggiore che ha consentito al nichilismo di radicarsi e radicalizzarsi, di essere parte della carne di tutti, fino a renderci “convitati di pietra” – creature atomizzate e dunque irreali – trova nella caduta di ogni teleologia storica una delle ragioni più profonde ed ultime. “La morte di dio” si ripete e si rafforza con la caduta delle storicistiche verità-certezze. La pratica nichilistica ha la sua profondità nei disincanti che hanno rafforzato il trionfo degli automatismi. La ragione-coscienza, dinanzi alla caduta degli dei, è arretrata a pura dimensione procedurale: al pari di qualsiasi automatismo essa ripete se stessa nel sistema produzione capitalistico ed ex-comunista, per rendere l’essere umano parte dell’ingranaggio senza alcuna difesa. Si diventa di pietra nella pratica del nichilismo e si è estranei al dolore del mondo: ogni responsabilità politica arretra per lasciare spazio all’ingranaggio, ad un mondo disabitato dagli esseri umani, ma abitato dai consumatori nella attuale globalizzazione. Weber ha ben descritto l’automatismo nichilistico, declinabile in modo polimorfo:

«È questo automatismo l’elemento strutturale essenziale per comprendere la nozione weberiana di disincanto, che non è dunque mai una semplice “visione del mondo” fra le altre. Weber scrisse a suo tempo che chi aveva bisogno di visioni del mondo non aveva che andare al cinema, e fu in questo un buon profeta, se pensiamo che oggi l’automatismo televisivo cui è sottoposto per molte ore al giorno l’individuo contemporaneo non ha più lo scopo di veicolare attivamente delle forme di etica sociale conformistiche e repressive (come opinavano ancora i francofortesi), ma semplicemente di autoriprodurre una forma di consumazione passiva dell’immaginario».[1]

L’automatismo nichilistico non conosce sponde ideologiche o steccati, esso è comune alla pluralità dei sistemi vigenti nel Novecento. Non ne era esente il comunismo storico (socialismo cosiddetto “realizzato”) novecentesco con il suo capitalismo di Stato. La forma era differente, ma la sostanza era (ed è) identica in entrambi i sistemi. Per strappare il comunismo dalla caduta nichilistica, è necessario, secondo Preve, far saltare la distinzione tra comunismo e socialismo, in quanto – all’interno di questa dicotomia – il socialismo è il momento piegato all’economicismo mentre il comunismo è rimandato ad un futuro senza tempo, alla falsa e degenerata utopia (distopia invero) di una liberazione-emancipazione oscillante tra messianesimo e scientismo. L’esodo nel cattivo infinito del tempo che verrà, si ripiega su stesso divenendo semplice attualità dell’economicismo burocratico senza speranza:

«Proponiamo dunque di abolire la parola (ed il concetto) di “socialismo”, e di mantenere soltanto la parola “comunismo”, in modo che il termine comunismo possa perdere le connotazioni religiose e nichilistiche che inevitabilmente assumerebbe se fosse impiegato per connotare l’esito messianico e salvifico della storia».[2]

Dinanzi all’inarrestabile deserto che avanza, al nichilismo che come sabbia occupa ogni spazio, anche il più recondito, non si può certo piegarsi alla soluzione heideggeriana: dinanzi all’ineluttabile forza della tecnica, Gestel, non resterebbe che sperare in un impossibile dio che porti la salvezza. L’operazione intellettuale di Preve è invece quella di rivolgersi a Marx per far riemergere aspetti non sufficientemente codificati dal semplicismo della critica filosofica del Novecento. Si tratta di immergersi nei testi per trarne aspetti che sono d’ausilio nel confronto e nella lotta contro l’avanzante deserto del nichilismo. La terra sommersa da far emergere del pensiero di Marx – di ascendenza hegeliana – è il rapporto tra genere ed individuo, nel quale lo stesso Marx era rimasto impigliato:

«La teoria sommersa di Marx rimane dunque tale perché Marx teme da un lato che un’esplicita affermazione della centralità del tema del “genere” possa sembrare troppo filosofica e troppo poco scientifica, e non ha risolto dall’altro il problema della determinazione delle forme di coscienza (che invece Hegel aveva saputo risolvere). Il comunismo diventa allora necessariamente un’utopia, perché tipico della proiezione ideologica utopica è lo spostamento infinito di un futuro che si allontana mano a mano che si avvicina».[3]

Il cattivo infinito è l’effetto dell’assenza di chiarezza tra genere, individuo e, dunque, processo di emancipazione. Il cattivo infinito si ripiega su se stesso – e dunque evita gli effetti collaterali – mediante forme di ontogenesi, rassicuranti ma destinate al fallimento ed a facilitare gli esiti nichilistici. Il genere produce forme di vita sempre nuove (essenza generica dell’essere umano), ma è esposta all’esito nichilistico, perché ogni determinazione rischia di cadere in forme di alienazione, in forme di soddisfazione circoscritte nel presente. Il comunismo, quale condizione emancipata e disalienata, si pone in un tempo indeterminato quale luogo in cui tale processo all’involgarimento è reso impossibile: di qui la necessità di utilizzare categorie scientifiche per ordinare la teleologia materialista. Costanzo Preve – senza cadere in forme tradizionali di umanesimo – fa appello al comunismo della finitudine, il cui centro è la responsabilità attiva della coscienza. Il comunismo della finitudine non fa appello ad ideali baconiani, a prometeiche certezze: esige l’attività della coscienza in relazione alla comunità, non subisce le condizioni storiche, elabora piuttosto modelli di partecipazione storicamente fondati:

«Definiremo questa interpretazione “comunismo della finitudine” (o della “finitezza”, se lo si vuole, ma preferiremmo mantenere questo latinismo), per sottolineare la necessità di liberarsi da ogni concezione titanica e prometeica del “genere umano”, premessa per una ricollocazione dell’orizzonte comunista in un agire che deve essere inevitabilmente singolarizzato per riacquistare un senso non troppo “metafisico”».[4]

Il comunismo a cui guarda Costanza Preve è l’autogoverno dei liberi lavoratori associati, i quali determinano la produzione in funzione dei bisogni reali. La produttività avanzata consente la vigile libertà delle coscienze:

«In secondo luogo, il comunismo è l’autogoverno dei produttori divenuti finalmente capaci di scegliere liberamente e democraticamente dei bisogni sociali da soddisfare, sviluppando nel tempo libero le loro forze umane creatrici. Il “regno della libertà”, in cui la coltivazione delle facoltà umane diventa un “fine in sé”. In questo modo l’intersoggettività dei produttori associati si costituisce in istanza realizzatrice delle possibilità create sulla base “alienata” del modo di produzione capitalistico, ed occupa congiuntamente i ruoli di destinatario e di soggetto della teoria critica rivoluzionaria».[5]

Preve legge Marx attraverso la lezione lucacciana: non è sufficiente che vi siano le condizioni storiche per la rivoluzione, è necessario che la coscienza – in un atto di autoriflessione – diventi il veicolo consapevole e comunitario della Rivoluzione, di un altro modo di esserci e produrre. Il nichilismo nega la mediazione umana, ente tra gli enti. L’irrilevanza comporta il trionfo della tecnica sull’umano, la sua ipostatizzazione. Il comunismo – come categoria ideologica antinichilistica – deve lavorare per l’agere in una prospettiva storica non infetta dal cattivo infinito, ovvero rinunciando ad ogni velleità previsionale di tipo messianico (Bloch) o tipo scientifico (positivismo). Il comunismo della finitudine rinuncia alla previsione introducendo il possibile e con esso la responsabilità umana nel presente. La storia non fluisce fatalmente verso il comunismo con il presunto inevitabile passaggio dal capitalismo al comunismo secondo la inesistente cosiddetta ferrea legge della storia, ma nella storia è presente la variabile umana che sola può pensare e realizzare il rivoluzionario mutamento strutturale.

Salvatore Bravo

 

[1] Costanzo Preve, Il convitato di pietra. Saggio su marxismo e nichilismo, Vangelista, 1991, pp. 110-111.

[2] Ibidem, p. 143

[3] Ibidem, p. 152

[4] Ibidem, p. 220

[5] Ibidem, p. 224


Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013

Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.

Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.

Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.

Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez

Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.

Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante

Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione

Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.

Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.

Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica

Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.

Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 22-07-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Seguici sul sito web 

cicogna petite

Epitteto (50-130 d.C.) – Gli eventi dolorosi che possono accadere al nostro corpo non possono raggiungere ciò che noi siamo nella nostra essenza: la nostra scelta di vita. Se desideri essere filosofo, preparati subito al fatto che si rida di te, che la gente ti schernisca.

Epitteto 001

Dedico questi pensieri alle mie tre figlie,

                     Lilith, Chiara e Costanza

250px-Escaping_criticism-by_pere_borrel_del_caso    …… C. F.                     Il secchio e il vento   …  Logo Adobe Acrobat

 

Essere zoppo è un impedimento per la gamba, ma non per la scelta di vita.

Gli eventi dolorosi che possono accadere al nostro corpo non possono raggiungere ciò che noi siamo nella nostra essenza: la nostra scelta di vita.

Se desideri essere filosofo, preparati subito al fatto che si rida di te,
che la gente ti schernisca

Manuale di Epitteto

Manuale di Epitteto

 

«La malattia è un impedimento per il corpo, ma non per la scelta di vita, a meno che non sia proprio la scelta di vita stessa a volerlo. Essere zoppo è un impedimento per la gamba, ma non per la scelta di vita» (p. 157).

«Se vuoi progredire, sopporta di apparire stolto e insensato, per quanto concerne le cose esteriori. Non voler apparire sapiente; e se alcuni ti considerano qualcuno, diffida di te stesso. Sappi infatti che non è facile conservare la tua scelta di vita in una disposizione conforme alla natura e nello stesso tempo occuparsi delle cose esteriori. Ma è necessario che, se ti prendi cura di una di queste cose, trascuri l’altra» (p. 161).

«Se desideri essere filosofo, preparati subito al fatto che si rida di te, che la gente ti schernisca, che si dica: «Guardalo, ce lo ritroviamo improvvisamente filosofo!». «Da dove ha preso questo sopracciglio arrogante?». Tu però non avere il sopracciglio arrogante, ma attieniti a quanto ti sembra il meglio, come se fossi stato collocato dal dio in questo posto. E ricordati che, se resti stabile nel tuo atteggiamento, gli stessi che ridevano di te prima ti ammireranno dopo. Ma se ti lasci vincere da loro, rideranno doppiamente di te» (p. 171).

Manuale di Epitteto. Introduzione e commento di Pierre Hadot, Trad. dal fancese di Angelica Taglia, Einaudi, 2006.

 

 



Si può accedere  ad ogni singola pagina pubblicata aprendo il file word     

logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 22-07-2018)


N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo: info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Seguici sul sito web 

cicogna petite

1 76 77 78 79 80 109