Karl Mannheim (1893-1947) – L’utopia impedisce alla realtà esistente di tramutarsi in assoluta. Noi consideriamo come utopie tutte le idee trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente. Una mentalità si dice utopica quando è in contraddizione con la realtà presente.

Karl Mannheim

 

MANNHEIM

 


014  

«Ogni evento storico si presenta come una continua liberazione dell’ordine esistente, per mezzo dell’utopia, che da esso ha origine […] Noi consideriamo come utopie tutte le idee trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente».

 

Karl Mannheim, Ideologia e utopia, il Mulino, Bologna 1957.


 

 

008   «La tesi principale della sociologia della conoscenza è che ci sono aspetti del pensare, i quali non possono venire adeguatamente interpretati, finché le loro origini sociali rimangono oscure. È senz’altro vero che l’individuo pensa. Non esiste sopra o sotto di lui un’entità metafisica, quale la coscienza di gruppo, di cui il singolo potrebbe, nel migliore dei casi, riprodurre le idee. Nondimeno, sarebbe falso dedurre da un tale fatto che le idee e i sentimenti di un individuo abbiano origine in lui solo e possano essere convenientemente spiegati sull’unica base della sua esperienza» (p. 8).
«A rigore, non è corretto dire che il singolo individuo pensa. È molto più esatto affermare che egli contribuisce a portare avanti il pensiero dei suoi predecessori. Egli si trova ad ereditare una situazione in cui sono presenti dei modelli di pensiero ad essa appropriati e cerca di elaborali ulteriormente, o di sostituirli con altri, per rispondere, nel modo più conveniente, alle nuove esigenze, nate dai mutamenti e dalle trasformazioni occorse nella realtà» (p. 9).

 

«Il conoscere è ideologico, quando non riesce a rendersi conto dei nuovi elementi insiti nella situazione o quando tenta di passare loro sopra considerandoli in termini ormai del tutto inadeguati» (p. 103).

 

 

049    La funzione dell’utopia è proprio quella di portare alla luce questi nuovi elementi
e di valorizzarli in massimo grado:
«Una mentalità si dice utopica
quando è in contraddizione con la realtà presente
» (p. 211).

«Utopici possono invero considerarsi soltanto quegli orientamenti che, quando si traducono in pratica, tendono, in maniera parziale o totale, a rompere l’ordine prevalente» (p. 211).

«Noi consideriamo utopie tutte le idee (e non soltanto, quindi, la proiezione dei desideri) trascendenti una situazione data, le quali hanno comunque un effetto nella trasformazione dell’ordine storico-sociale esistente» (p. 225).

«Da questo punto di vista, ogni evento storico si presenta come una continua liberazione dall’ordine esistente per mezzo dell’utopia, che da esso ha origine. Solo nell’utopia e nella rivoluzione si dà una vita autentica, mentre l’ordine istituzionale non rappresenta altro che il cattivo residuo delle rivoluzioni e delle utopie in fase di declino» (p. 217).

«In opposizione all’idea conservatrice di un ordine stabilito, l’utopia impedisce alla realtà esistente di tramutarsi in assoluta, concependola invece come una delle possibili “topie”, da cui scaturiranno quegli elementi utopici che a loro volta porranno in crisi lo stato attuale” (p. 217).

«Ogni epoca produce (nei gruppi sociali diversamente situati) quelle idee e quei valori in cui si condensano, per così dire, le tendenze non ancora realizzate e soddisfatte, che rappresentano i bisogni di ciascuna età. Codesti elementi intellettuali costituiscono allora il materiale esplosivo per far saltare in aria l’ordinamento esistente. La realtà presente dà origine alle utopie che, a loro volta, ne rompono i confini per lasciarla libera di svilupparsi nella direzione dell’ordine successivo» (p. 218).



Karl Mannheim, Ideologia e utopia, il Mulino, Bologna 1957.


 Per leggere ancora sull’argomento


Maria Luisa Bernieri, Attualità delle Utopie, in Volontà n. 6/7 1949.
Martin Buber, Sentieri in utopia, ed. Comunità, Milano 1967.

Thomas A. Reiner, Utopia e urbanistica, Marsilio, Padova 1967.
Leonardo Benevolo, Le utopie del secolo XIX,  in Le origini dell’urbanistica moderna,  Laterza, Bari 1968.
Lewis Mumford, Storia dell’utopia, ed. Calderini, Bologna 1969.
Pierluigi Giordani, Il futuro dell’utopia, Calderini, Bologna 1969.
Claudio Stroppa, Comunità e Utopia, Dedalo, Bari 1970.
Françoise Choay, La città. Utopie e realtà, vol. I e II, Einaudi, Torino 1973.
Massimo Baldini, Il pensiero utopico, Città Nuova, Roma 1974.
Otto Rühle , Il coraggio dell’utopia, ed. Guaraldi, Firenze 1972.
Rita Cirio e Pietro Favari (a cura), Utopia rivisitata, Bompiani, Milano 1974.
Maria Luisa Berneri, Viaggio attraverso Utopia, Arch. Fam. Berneri, (1950) Pistoia 1981
AA.VV., La cittàdell’utopia, pp.291, cheiwiller, Milano 1999.
Salvatore Santuccio, L’utopia nell’architettura del ‘900, Alinea, Firenze 2003


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Bronisław Baczko (1924-2016) – Rari sono coloro che spontaneamente proclamano di essere utopisti. Di norma sono gli altri a chiamarli così, intendendo con ciò presentarli come sognatori, inventori di chimere.

Bronisław Baczko

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Bronisław Baczko, L’utopia.
Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell’età dell’illuminismo
(Einaudi, Torino 1979)


014  «Essere uno storico non significa soltanto studiare il passato come professione, o mestiere; non soltanto disporre di una certa forma di erudizione o appropriarsi di un certo numero di tecniche di indagine. I grandi storici si sono distinti per il fatto che per loro essere storico significava anche un particolare modo di essere e di radicarsi nel mondo sociale, pensarlo in un modo proprio».

B. Baczko, Se n’è andato uno storico, “società e storia”, n. 42, 1988.


 

 

008«Rari sono coloro che spontaneamente proclamano di essere utopisti. Di norma sono gli altri a chiamarli così, intendendo con ciò presentarli come sognatori, inventori di chimere».



Bronisław Baczko, Lumières de l’utopie (Payot, Paris 1978), Utopia, in Enciclopedia Einaudi, Vol. XIV, Einaudi, Torino 1981, p. 870.




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Moses Israel Finley (1912-1986) – Apatia e ignoranza politica sono oggi un dato fondamentale. Forme nuove di partecipazione popolare, ateniesi nello spirito se non nella sostanza devono essere inventate. L’utopia trascende la realtà sociale, ma non è trascendentale.

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«L’utopia trascende la realtà sociale, ma non è trascendentale».

Moses Israel Finley, Utopie antiche e moderne,
in Uso ed abuso della storia, Einaudi, Torino 1981, p. 270.


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008«Apatia e ignoranza politica sono oggi un dato fondamentale, al di là di ogni possibile discussione; le decisioni non sono il frutto del voto popolare, che al massimo ha un occasionale potere di veto a fatto compiuto, ma sono prese dai leader politici. Il punto è stabilire se nella situazione odierna questo stato di cose è necessario e auspicabile o se forme nuove di partecipazione popolare, ateniesi nello spirito se non nella sostanza – se così mi posso esprimere – devono invece essere inventate».



Moses Israel Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, trad. di G. Di Benedetto e F. de Martino – postfazione di C. Ampolo, Milano, 1992, p. 36. [nuova ed. 2010].


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Indice

Prefazione alla seconda edizione

Prefazione alla prima edizione

I. Governanti e governati

II. La democrazia, il consenso e l’interesse nazionale

III. Socrate e dopo

Appendice Censura nell’antichità classica

Postfazione di Carmine Ampolo

Indice dei nomi



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Jean-Jacques Rousseau (1712-1778 ) – Qualcuno pensò di dire «questo è mio». «Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra è di nessuno».

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008Il primo che, dopo aver recintato un terreno, pensò di dire questo è mio, e trovò altri tanto ingenui da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti crimini, conflitti, omicidi, quante miserie e quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: «Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra è di nessuno».



J.-J. Rousseau, Scritti politici, a cura di P. Alatri, Torino, 1970, pp. 289, 321.




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Alberto Giovanni Biuso – Quei labirinti temporali che redimono il dolore. Recensione del libro «Fenomenologia e patografia del ricordo» di Pio Colonnello.

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004 Il tempo ha una struttura labirintica, le sue direzioni sono molteplici, esso va e viene sia nelle componenti profonde della materia atomica sia nella materia consapevole di se stessa, i cervelli animali.

 

Anche per questo la domanda sul tempo non riguarda soltanto il movimento fisico delle

xxSalvatdor Dalì, La persistenza della memoria, 1931

S. Dalì, La persistenza della memoria, 1931

cose, dei viventi, degli astri. È una domanda che ha sempre a che fare anche con la memoria. È tale complessità che Pio Colonnello ha indagato in Fenomenologia e patografia del ricordo (Mimesis 2017, pp. 151, euro 16), ponendo in connessione il lavoro della memoria con il «bisogno di redimere il dolore», di rendere lieve il peso dell’accaduto, di riunire il separato, di coniugare l’adesso con il già stato in modo da dare un senso a ciò che sta per avvenire e che verrà. Passato, presente e futuro sono delle «estasi», sono delle aperture ai ricordi, al percepito, all’atteso ed è per questo che «nel singolare rapporto delle ekstasi temporali tra loro, entra finalmente in gioco la riconciliazione, il rinnovato accordo dell’uomo con il suo proprio destino».

 

Le immagini del passato possono risultare molto più vive rispetto a quelle che abbiamo davanti in questo momento, perché sono immagini-sintesi di sentimenti profondi, di angosce superate soltanto in parte, di ferite sempre dolenti, di desideri che non sono finiti. È la ragione per cui queste immagini «chiedono ancora spiegazioni al presente, mentre dal pozzo della memoria, cavità cupa ed evanescente, affiorano solo pallide immagini, lievi simulacri».

Percorriamo di continuo il magnifico labirinto del tempo, fatto con i mattoni dei nostri ricordi, i quali però non sono mai rappresentazioni statiche, ferme e sempre uguali a se stesse. No, i ricordi sono continuamente cangianti, riletti e riscritti alla luce delle urgenze presenti e delle aspirazioni future. Questo vuol dire Husserl quando sostiene – come prima di lui aveva fatto Agostino – che il presente della mente si distende e si estende in ogni altra dimensione del tempo, sino a creare quei ricordi di fantasia che sono generati «dalla capacità della coscienza intenzionale di ricollocarsi in ogni punto del flusso e di produrlo “ancora una volta”». Su questi ricordi si incentra con particolare attenzione la psicoanalisi.

Forme di realizzazione e compimento dell’accordo con sé e della riconciliazione con gli altri sono il perdono e la promessa, due facce dello stesso volto del tempo, poiché «l’una è rivolta al non-più e l’altra al non-ancora».

Giustamente Paul Ricoeur mette in guardia «dalla trappola del perdono facile», che pretende di cancellare il conflitto con un atto unilaterale, mentre la conciliazione va chiesta, maturata, faticosamente conquistata, là dove è possibile che accada. In questi fenomeni insieme interiori e sociali mostra tutta la sua potenza il divenire, capace di dare quiete anche ai più frenetici e feroci gesti della storia collettiva e di mutare segno alle speranze, ai desideri, alle illusioni, agli amori.

 

xxUmberto Boccioni, Tre donne, 1909

Umberto Boccioni, Tre donne, 1909

Tutti recisi dalla falce del tempo ma che del tempo sono sostanza. Una volta accaduti, infatti, essi lo sono per sempre. E i ricordi costituiscono la viva testimonianza della loro presenza adesso e qui, nel tessuto dei mesi, delle ore, dei giorni.

 

Il ritmo pacato e attento di questo libro, della sua scrittura, mostra tale divenire in filosofi e narratori come Arendt, Borges, Jaspers, Freud, Nietzsche, Heidegger. In tutti loro la salute umana mostra di essere in primo luogo equilibrio e gioco tra il ricordo e l’oblio, tra la tenacia dei sentimenti già vissuti e l’apertura ad accogliere il nuovo.

Alberto Giovanni Biuso

***

L’articolo è già stato pubblicato su «il manifesto» del 20 gennaio 2018.


Alberto Giovanni Biuso – Recensione del libro “Discorsi sulla morte” di Luca Grecchi.

Alberto Giovanni Biuso – Recensione al libro di Roberto Marchesini «Alterità. L’identità come relazione»

Alberto Giovanni Biuso – Recensione al libro di Renato Curcio «L’EGEMONIA DIGITALE. 
L’impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro». La colonizzazione dell’immaginario scandisce «un progresso tecnologico inesorabilmente avverso ad ogni anelito di progresso sociale»


Alcuni libri di Pio Colonnello

 

Tempo e necessità. Ricerche su Kant, Husserl e Heidegger

Tempo e necessità. Ricerche su Kant, Husserl e Heidegger

Storia esistenza libertà. Rileggendo Croce

Storia esistenza libertà. Rileggendo Croce

Orizzonti del trascendentale

Orizzonti del trascendentale

Melanconia

Melanconia

Martin Heidegger a Hannah Arendt. Lettera mai scritta

Martin Heidegger a Hannah Arendt. Lettera mai scritta

 


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Perché «Petite Plaisance»

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Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada. Eraclito

Non obbedire a chi ti dice di rinunziare all’impossibile! / L’impossibile solo rende possibile la vita dell’uomo. / Tu fai bene a inseguire il vento con un secchio. / Da te, e da te soltanto, si lascerà catturare. M. Guidacci

 

Leonardo da Vinci (1452-1519) – Quelli che si innamorano della pratica senza scientia sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria.

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«[…] quelli che si innamorano della pratica senza scientia sono come nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola, che mai hanno certezza dove si vadano. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la buona teoria, della quale la prospettiva è guida e porta e senza questa nulla si fa bene».

Leonardo da Vinci, Trattato della pittura.

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Sinossi

Il filo conduttore del Trattato, così diverso dalla tradizione didascalica del Libro dell'arte di Cennino Cennini, è l'esercizio della "filosofia del vedere", cioè il saper cogliere la rivelazione della Natura tramite l'osservazione penetrante. Ogni aspetto viene infatti ricondotto alla comprensione sistematica di quei fenomeni fisici, matematici e geometrici che ne determinano la percezione visiva. Per Leonardo è proprio l'applicazione della logica, delle discipline matematiche e geometriche, dell'anatomia e dell'ottica che nobilita la pittura, tale da poterla equiparare alle altre arti liberali (cioè speculative), quali la filosofia, la poesia, la teologia, ecc.

 

 


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Perché «Petite Plaisance»

00 Biblioteca

Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada. Eraclito

Non obbedire a chi ti dice di rinunziare all’impossibile! / L’impossibile solo rende possibile la vita dell’uomo. / Tu fai bene a inseguire il vento con un secchio. / Da te, e da te soltanto, si lascerà catturare. M. Guidacci

 

Maurizio Migliori – Non c’è opera e non c’è argomento trattato in cui Aristotele non si misuri con i suoi predecessori.

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«L’atteggiamento di Aristotele nei confronti dei suoi predecessori

Si può dire che non c’è opera e non c’è argomento trattato in cui Aristotele non si misuri con i suoi predecessori. Ora una simile costanza va spiegata, e non può esserlo certamente con qualche motivazione estrinseca o occasionale. Noi non pretendiamo affrontare, in questa sede, tutto ilproblema nella sua vastità, ma offrire solamente spunti riflessione.

Quel che anzitutto deve essere chiaro è che «Aristotele non espone mai per se stessi i sistemi dei suoi predecessori. Egli li interroga su punti precisi, che sono problemi che lui stesso si pone … Non si trova in alcuna parte in lui una esposizione (né una critica) d’insieme della filosofia platonica».[1] Quel che lo spinge a confrontarsi con i contributi precedenti è la convinzione di un progresso nelle conoscenze e nelle tecniche: «nulla è dunque perduto nella storia della filosofia, poiché tutto contribuisce al suo compimento».[2]

Quello che egli cerca è quindi «una conferma delle sue proprie idee, sia positiva, scoprendo che la sua opinione si accorda con quella degli antichi, o anche che la sua teoria pone, ma in modo più completo, più chiaro o più sfumato, quel che essi avevano già supposto; sia negativa, mostrando a quali punti morti giungono i pensatori che non hanno ancora trovato la soluzione che lui stesso dà a tale o tal altro problema».[3] Da questo punto di vista, è anche interessante rilevare come spesso Aristotele contrapponga i vari autori l’uno all’altro: non è tanto e solo un artificio teorico, ma una formula eristica e dialettica che permette di individuare lo schematismo e/o l’unilateralità delle due posizioni antagoniste e quindi fornisce lo spunto per procedere oltre».

Maurizio Migliori, Introduzione a Aristotele, La generazione e la corruzione, a cura di Maurizio Migliori e Lucia Palpacelli, Bompiani, Milano 2013, pp. XLVII-XLVIII.

[1] A. Mansion, Introduction à la physique aristotélicienne, Paris 1913, p. 35.

[2] P. Aubenque, Le problème de l’étre chez Aristote, Paris 1962, p. 73; cfr. p. 71.

[3] A. Mansion, Introduction ... , pp. 38-39.

 


Alcuni dei suoi lavori

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Jean Salem (1952-2018) – Scegli la strada in salita, è quella che ti porterà alla felicità.

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ca. 1918-1923, Moscow, Russia --- Lenin sits at his desk and reads the newspaper. --- Image by © CORBIS

 

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Jean Salem, Lenin e la rivoluzione, Nemesis Edizioni, 2010.

 

 

Sinossi

In “Lenin e la rivoluzione”, Jean Salem opera un’illuminante rivisitazione della figura e del pensiero di Lenin, esponendo ed argomentando 6 tesi enucleate dagli scritti del grande pensatore marxista riguardo all’idea di rivoluzione. 1. La rivoluzione è una guerra; e la politica è, in generale, paragonabile all’arte militare. 2. Una rivoluzione politica è anche e soprattutto una rivoluzione sociale, un cambiamento nella situazione delle classi nelle quali si divide la società. 3. Una rivoluzione è fatta di una serie di battaglie; è compito del partito d’avanguardia fornire a ogni tappa una parola d’ordine adatta alla situazione oggettiva; è suo compito riconoscere il momento opportuno per l’insurrezione. 4. I grandi problemi della vita dei popoli non sono mai risolti in altro modo che con l’uso della forza. 5. I rivoluzionari non devono rinunciare alla lotta a favore delle riforme. 6. Nell’epoca delle masse, la politica ha inizio laddove si trovano milioni di uomini, addirittura decine di milioni. Si può inoltre osservare lo spostamento tendenziale dei focolai della rivoluzione verso i paesi dominati. Pur sotto il massiccio attacco denigratorio che da decenni la borghesia porta alla figura del più grande pensatore comunista dopo Marx, come saggiamente fa notare Andrea Catone nella sua prefazione: Non abbiamo dubbi che con la ripresa del movimento comunista in Europa, che la grande crisi strutturale del capitalismo rende a un tempo necessaria e concretamente possibile, Lenin e la sua scienza della rivoluzione torneranno prepotentemente alla ribalta.


C’est avec une profonde tristesse que nous avons appris le décès de notre ami Jean Salem survenu dans la nuit de samedi à dimanche. Nous savions la gravité de son état et nous redoutions cette nouvelle. Jean, Professeur de philosophie à la Sorbonne, animait le séminaire ” Marx XXIe siècle l’esprit et la lettre”. Il faisait partie de ces intellectuels qui pensaient que le Marxisme était toujours d’actualité dans un Monde secoué par une lutte des classes intense et par les affrontements violents au sein de l’impérialisme. Il avait donné une conférence pour le CUEM et depuis nos relations s’étaient approfondies. C’est avec enthousiasme qu’il avait accepté que nous organisions conjointement un hommage à la révolution d’Octobre pour son centième anniversaire. Si Jean n’avait pas pu être parmi nous ce jour là physiquement, il le fut ô combien au travers de son ouvrage:”Lénine et la révolution”. Avec lui, nous perdons un grand camarade de combat. La meilleure façon de lui rendre hommage c’est précisément de continuer le combat révolutionnaire.
Michel Gruselle
Président du Cercle Universitaire d’Études Marxistes
Paris le 14 janvier 2018

Résistences

 


“Lénine et la révolution”. Conférence de Jean Salem on Vimeo

 

 


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Elias Canetti (1905-1994) – Eliot non è un vero poeta, è un giocatore di birilli. Come tanti critici d’arte, come tanti critici-critici. È diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione.

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Eliot non è un vero poeta, è un giocatore di birilli. Come tanti critici d’arte, come tanti critici-critici.
È diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione.

036

Il libro contro la morte

A me non interessa abolirla, cosa che non sarebbe possibile.
A me interessa soltanto bandire la morte.
E. Canetti
 ***

Provo una profonda avversione per ogni forma di critica arte; avversione che cresce là dove tale critica si avvicina alla sfera che mi compete; e la trovo insopportabile là dove si sforza di essere assolutamente fredda ed equa. Un esempio nella letteratura inglese moderna è costituito dal poeta Eliot, nei cui saggi sulla poesia mi imbatto di tanto in tanto.

Nemmeno io capisco appieno perché essi suscitino in me un ribrezzo così repentino e peculiare. Eppure lo avverto sempre, dopo una pagina o due; e con ansioso disgusto, attento a ogni parola che potrebbe accrescerlo, leggo sino alla fine ciò che dovrei mettere subito da parte, e per giorni poi mi sento come rinchiuso in un’orrenda, obsoleta camera di tortura.

La questione trattata in questi saggi è sempre quella del collocamento. La contabilità dei nomi viene affrontata oggettivamente come fosse una trattativa commerciale ben ponderata. Merita, questo o quell’altro, il suo posto nell’antologia? Vi occupa troppo o troppo poco spazio? Si lascia chiaramente intendere che i poeti vivono di antologie. Gli esiti modesti di alcune esistenze ricche e vivaci vengono ricondotti ai loro esordi. Dev’essere davvero un piacere trafficare con i morti come fossero birilli. Già il giudizio sui vivi è un’operazione piuttosto dubbia; e c’è chi preferirebbe farsi tagliare la lingua piuttosto che servirsene per pronunciare una sentenza. E invece ecco qui uno che, con i morti, non ha remore. Di morti, ne tira fuori nove, a volte anche di più, preferibilmente quelli che già da un pezzo sonnecchiano nelle antologie, li mette in fila e ci scaglia contro la sua boccia di legno. Sa poi spiegare nei minimi dettagli perché ne ha colpiti proprio sei; descrive coloro che sono stati buttati a gambe all’aria e ne convalida puntualmente il destino. Ai tre rimasti in piedi, invece, rende onore con parole discrete. Infatti, pur consapevole delle qualità della sua boccia, in fondo sa benissimo che quei tre devono a lui la loro posizione; sarebbe stato facile per lui mettere anche loro nelle fila dei morti.

Tale operazione è ripugnante per molte ragioni: rivela quanto poco questo giocatore di birilli sia ciò che pretende di essere, ovvero un poeta. Perché, se lo fosse, come potrebbe dedicarsi così freddamente a organizzare la fama postuma? Come potrebbe lottare per il numero di righe nelle antologie? Se le sue mani fossero forti nel lancio, lui abbandonerebbe la pista dei birilli e tormenterebbe i vivi o gli dèi. Invece se ne sta lì in maniche di camicia e prende le misure ai morti, quelli che lui stesso ha, prima, tirato su e poi buttato giù. Se avesse un cuore, non potrebbe colpire a intervalli prestabiliti. Ma è diventato un poeta solo perché a lui il cuore batte meno che ad altri, e vuole compensare con la chiarezza ciò che gli manca in fatto di passione. Se però la chiarezza fosse davvero importante per lui, la userebbe per districare questo mondo reale: penserebbe, invece che limitarsi a vagliare, e soprattutto si vergognerebbe di vagliare in continuazione la fama postuma solo perché tiene tanto ad essa. Lui non pensa, per lui anche la chiarezza è solo un mezzo. Fra gli appassionati si finge colui che ragiona con chiarezza, fra coloro che ragionano con chiarezza si finge un appassionato.

Chi lo biasimerebbe se, sul terreno delle parole, si muovesse alla ricerca di nuove scoperte? Dovrebbe solo ammettere apertamente la propria curiosità; disporre lui stesso il materiale; accontentarsi di ciò che lo impressiona; gioire; arrabbiarsi; afferrare; allontanare, baciare; discutere; e non presiedere una Corte di giustizia.

 

Elias Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi, 2017, pp. 39-41.

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Risvolto di copertina
Il libro più importante della sua vita, Canetti lo portò sempre dentro di sé ma non lo compose mai. Per cinquant'anni procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato i numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i contemporanei, con i grandi del passato e con i propri lutti familiari, andava prendendo giorno dopo giorno su uno dei temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte, contro la violenza del potere che afferma se stesso annientando gli altri, contro Dio che ha inventato la morte, contro l'uomo che uccide e ama la guerra. Una battaglia che era un costante tentativo di salvare i morti – almeno per qualche tempo ancora – sotto le ali del ricordo: «noi viviamo davvero dei morti. Non oso pensare che cosa saremmo senza di loro». Sospeso tra il desiderio di veder concluso Il libro contro la morte – «È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d'un fiato?» – e la certezza che solo i posteri avrebbero potuto intraprendere il compito ordinatore a lui precluso, Canetti continuò a scrivere fino all'ultimo senza imprigionare nella griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi brevi e icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti paradossi. Quel compito ordinatore è assolto ora da questo libro, complemento fondamentale e irrinunciabile di Massa e potere: ricostruito con sapienza filologica su materiali in gran parte inediti, esso ci restituisce un mosaico prezioso, collocandosi in posizione eminente fra le maggiori opere di Canetti.

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Friedrich Engels (1820-1895) – Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia.

Friedrich Engels01

 

002Dove porta una lettura acritica e asistematica?

 

 

dialettica della natura

«Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Ma poiché senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono però queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po’ di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all’università, o dalla lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte purtroppo della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia».

Friedrich Engels, Dialettica della natura, Roma 1955, p. 203.


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