«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Un uomo che arriva in ospedale non è un uomo, è un mondo. Curare un essere umano significa curare una persona immersa nel mondo e il mondo che è immerso in lui. Curare un uomo significa prendersi cura del tutto che è in tutti. Un buon medico dovrebbe essere anche un poco filosofo e poeta e teologo.
Un essere umano non è mai una cosa piccola, la sua malattia è la malattia dell’aria, è un piccolo guasto nel moto degli astri.
Un ospedale è un osservatorio astronomico. È anche un reparto di geologia: la malattia viene dalle radici, dal fitto mormorio che alimenta la vita degli organi. Negli ospedali si deve tener conto del respiro prima di tutto. Un corpo respira il mondo ed è respirato dal mondo. In questo scambio perenne e implacabile ci può essere un guasto. La medicina cosmica diluisce la paura: non perdiamo la salute, la cediamo agli altri. E quando moriamo diamo il cambio, non ci assentiamo, partecipiamo al gioco in una forma che non sappiamo, ma il gioco non finisce per nessuno.
Franco Arminio, La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica, Bompiani, Milano 2020, p. 15.
“Gabriela Mistral era un’extraterrestre e per questo non aveva né i nostri stessi bisogni né i nostri stessi desideri. […] Era solo un’aliena che si era smarrita in Cile, in America latina, e che non poteva comunicare con la nave madre perché venisse a recuperarla.” Roberto Bolaño
Canto que amabas
Yo canto lo que tú amabas, vida mía, por si te acercas y escuchas, vida mía, por si te acuerdas del mundo que viviste, al atardecer yo canto, sombra mía. Yo no quiero enmudecer, vida mía. ¿Cómo sin mi grito fi el me hallarías? ¿Cuál señal, cuál me declara, vida mía? Soy la misma que fue tuya, vida mía. Ni lenta ni trascordada ni perdida. Acude al anochecer, vida mía; ven recordando un canto, vida mía, si la canción reconoces de aprendida y si mi nombre recuerdas todavía. Te espero sin plazo y sin tiempo. No temas noche. neblina ni aguacero. Acude con sendero o sin sendero. Llámame adonde tú eres, alma mía, y marcha recto hacia mí, compañero.
Canto che amavi
Io canto ciò che tu amavi, vita mia, nel caso ti avvicini e ascolti, vita mia, nel caso ti ricordi del mondo che hai vissuto, nel rosso del tramonto io canto te, ombra mia. lo non voglio restare più muta, vita mia. Come senza il mio grido fedele puoi trovarmi? Quale segnale, quale mi svela, vita mia? Sono la stessa che fu già tua, vita mia. Né infiacchita né smemorata né spersa. Raggiungimi sul fare del buio, vita mia; vieni qui a ricordare un canto, vita mia; se tu questa canzone riconosci a memoria e se il mio nome infine ancora ti ricordi. Ti aspetto senza limiti né tempo. Tu non temere notte, nebbia o pioggia. Vieni per strade conosciute o ignote. Chiamami dove sei, anima mia, e avanza dritto fino a me, compagno.
Gabriela Mistral, Canto che amavi, in Id., Sillabe di fuoco, a cura di Matteo Lefèvre, con un testo di Octavio Paz, Bompiani, Milano 2020.
E me ne devo andare via così? Non che mi aspetti il disegno compiuto ciò che si vede alla fine del ricamo. Ma quel che ho visto si è tutto cancellato. E quasi non avevo cominciato.
[…]
Ma prima di morire forse potrò capire la mia incerta condizione.
Forse per non morire continuo a non capire sicura in questa chiara confusione».
Patrizia Cavalli,Vita Meravigliosa, Einaudi, Torino 20220.
Perché tanta inerzia al Senato? E i senatori perché non legiferano?
Oggi arrivano i barbari. Che leggi possono fare i senatori? Venendo i barbari le faranno loro.
Perché l’imperatore si è alzato di buon’ora e sta alla porta grande della città, solenne in trono, con la corona sulla fronte?
Oggi arrivano i barbari e il sovrano è in attesa della visita del loro capo; anzi, ha già pronta la pergamena da offrire in dono dove gli conferisce nomi e titoli.
Perché i nostri due Consoli e i Pretori stamane sono usciti in toga rossa ricamata? perché portano bracciali con tante ametiste e anelli con smeraldi che mandano barbagli? perché hanno in mano le rare bacchette tutte d’oro e d’argento rifinito?
Oggi arrivano i barbari, e queste cose ai barbari fan colpo. Perché non vengono anche i degni oratori a perorare come sempre?
Oggi arrivano i barbari e i barbari disdegnano eloquenza e arringhe.
Tutto a un tratto perché questa inquietudine e questa agitazione? (oh, come i visi si son fatti gravi). Perché si svuotano le vie e le piazze e tutti fanno ritorno a casa preoccupati?
Perché è già notte e i barbari non vengono. È arrivato qualcuno dai confini a dire che di barbari non ce ne sono più.
Come faremo adesso senza i barbari? Dopotutto, quella gente era una soluzione.
C. Kavafis
Konstantinos P. Kavafis, Settantacinque poesie, trad. di N. Risi e M. Dalmàti, Einaudi, Torino, 1992, pp. 37-39.
«Tranquillià benigna, figlia di Giustizia per cui le città fioriscono, tu che hai le chiavi supreme dei consigli e delle guerre […]. Tu che sai agire secondo dolcezza e tuttavia indirizzare con saldo procedere […]. Tu che, quando qualcuno alberghi nel cuore un risentimento amaro, contrastando alla forza degli avversari, precipiti nell’abisso l’hybris».
Pindaro, Pitiche, VIII, vv. 1-12.
Probabilmente una delle ultime odi composte da Pindaro, la Pitica VIII è dedicata al giovane lottatore Aristomene, vincitore nel 446 a.C. Apre l’inno un’invocazione alla Tranquillità personificata che regna in tempo di pace e che, in quanto figlia della Giustizia, sa opporsi alla tracotanza e, sapendo agire con dolcezza, rendere dolce la vitacon la fulgida luce della saggezza.
«Una non vile educazione comporta il pudore e l’uomo addestrato al bene si vergogna di comportarsi da vile. La virilità si può insegnare, se a un bimbo si può insegnare a dire e ad ascoltare ciò che non sa. E quel che s’impara suole serbarsi fino alla vecchiezza. Educate perciò bene i vostri figli».
Friedrich Hölderlin, A Neuffer, marzo 1794, in Id., Tutte le liriche, (trad. di Luigi Reitani), Mondadori, Milano 2001.
Se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario, esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso.
Il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto.
Il bello, per come si espone nella realtà effettiva, assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge.
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Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
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L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna.
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Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo. Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
«Il vivente nella poesia è adesso ciò che occupa maggiormente i miei pensieri e i miei sensi. Avverto con così tanta profondità quanto io sia ancora lontano dal coglierlo e tuttavia la mia anima intera vi si sforza affannosamente, e io ne sono spesso così commosso da dover piangere come un bambino quando sento come alle mie rappresentazioni, in questo e in quel punto, manchi il vivente. Ma non riesco a tirarmi fuori dagli errori poetici tra i quali vago […]. Mi manca meno la forza della leggerezza, meno le idee delle sfumature, meno un tono principale di una molteplicità ordinata di toni, meno la luce dell’ombra, e tutto ciò dipende da una sola ragione. Io rifuggo troppo dall’ordinario e dal comune della vita reale […].
Temo di raffreddare la calda vita che è in me al cospetto della storia gelata del giorno e questa paura deriva dal fatto che tutte le vicende distruttive in cui mi sono imbattuto sin da ragazzo, io le ho accolte in maniera più sensibile di altri, e tale sensibilità mi sembra che abbia in ciò il suo fondamento: che io, in rapporto alle esperienze che ho dovuto fare, non ero organizzato in maniera abbastanza solida e salda. Ora me ne rendo conto. […] Poiché sono più vulnerabile di altri, devo tanto più cercare di ricavare vantaggio dalle cose che agiscono in modo distruttivo su di me, non devo prenderle per come sono in se stesse, ma solo in quanto sono utili alla mia vita più autentica. Là dove le trovo, io devo già in anticipo assumerle come materia indispensabile, senza cui la parte più intima di me non potrà rappresentarsi mai completamente. Devo accoglierle in me stesso per disporle all’occasione (come artista se un giorno vorrò e dovrò essere artista) come ombre alla mia luce, per restituirle in quanto toni subordinati da cui emerge tanto più vivo il tono della mia anima. Il puro può rappresentarsi solo nell’impuro e se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario, esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso, e questo appunto perché il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto; perché il bello, per come si espone nella realtà effettiva, assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge, e questa forma non gli è naturale: diventa naturale solo per il fatto di considerare, accanto al bello, appunto anche quelle circostanze che gli diedero necessariamente una tale forma. […] Dunque senza l’ordinario non si può rappresentare alcun nobile: e io voglio ripetermelo sempre, quando mi imbatto nell’ordinario nel mondo: ti è tanto necessario quanto ai vasai la colla, perciò accettalo sempre, non allontanarlo da te, non averne paura».
F. Hölderlin a Neuffer, 12 novembre 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], a cura di M. Knaupp, vol. II, München-Wien 1992-1993, pp. 710-712; Friedrich Hölderlin, Tutte le opere. Prose, teatro e lettere. Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, 2 voll., LXVII-3887 pp., Mondadori, Milano 2020.
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Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
«La mia riflessione e i miei studi si sono quasi esclusivamente limitati a ciò che anzitutto mi premeva, la poesia, in quanto essa è arte vivente e scaturisce a un tempo da genio, esperienza e riflessione ed è ideale, sistematica e individuale. Ciò mi ha condotto a riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento e la sua Bestimmung, nella misura in cui esso è ideale e attivamente formante. Ancora: [ho riflettuto] su come l’impulso formativo, consapevole del suo fondamento e della sua propria essenza a partire dall’ideale, ma istintivamente secondo la sua materia, agisce come arte e come impulso alla formazione ecc. Ho creduto, alla fine delle mie ricerche, di essere riuscito a porre in maniera più vasta e comprensiva di quanto non mi fosse noto precedentemente il punto di vista della cosiddetta umanità (almeno nella misura in cui si intende con esso l’elemento unificante e comune nella natura umana e nelle sue direzioni, piuttosto che l’elemento differenziante, di cui comunque è necessario che si tenga conto). Aver raccolto questi materiali mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che sia poetico anzitutto perché vi si pratica la poesia, ma che anche istruisca sulla poesia, sia dal punto di vista storico che da quello filosofico, e, in generale, approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità».
F. Hölderlin, Lettera a Schelling, scritta tra l’1 e il 6 luglio 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, pp. 792-794.
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L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna
«L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna, generalmente falsa, oppure non trovi la sua dimensione specifica o, se pure l’ha trovata, si fermi a metà strada, ai mezzi che dovrebbero condurlo al suo scopo […]. E la ragione generale del tramonto di tutti i popoli è sempre stata, infatti, che la loro originalità, la loro propria natura vivente (ihre eigene lebendige Natur) ha soggiaciuto alle forme positive e al lusso che i loro padri avevano prodotto».
Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II,, pp. 62-63.
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Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo. Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
«Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo, […] per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa, e […] sono poi la singolarità e le circostanze ciò che in definitiva determinano l’uno verso una certa singolarità e l’altro verso un’altra. Questa singolarità, a dire il vero, è quella che più appare evidente, ma non è detto per questo che altri pregi, di cui avvertiamo la mancanza, manchino del
tutto in un carattere tipico, piuttosto rimangono in ombra».
Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, p. 67
L’uomo che non ha musica in se stesso, che l’armonia dei suoni non commuove sa il tradimento, e la perfida frode. Le sue emozioni sono una notte cupa. I suoi pensieri un Erebo nero.
Alla musica credi, non a lui.
William Shakespeare, Il mercante di Venezia [1594-1598], Atto V.
Una sera che ero uscito a spasso, a spasso in Bristol Street, sul lastrico le folle erano campi di grano pronto per la mietitura.
E lungo il fiume in piena udii un innamorato che cantava sotto un’arcata della ferrovia: «L’amore non ha fine.
«Io ti amerò, mia cara, ti amerò finché la Cina e l’Africa s’incontrino, e il fiume schizzi sopra la montagna e per la strada cantino i salmoni.
«Io ti amerò finché l’oceano sia ripiegato e steso ad asciugare, e vadano le sette stelle urlando come oche in giro per il cielo.
«Come conigli correranno gli anni perché io tengo stretto fra le braccia il Fiore delle Età, e il primo amore al mondo».
Ma tutti gli orologi di città si misero a vibrare e rintoccare: «Oh, non lasciarti illudere dal Tempo, non puoi vincere il Tempo.
«Nelle tane dell’Incubo, dove Giustizia è nuda, dall’ombra il Tempo vigila e tossisce se hai voglia di baciare.
«Tra emicranie e in ansia vagamente la vita cola via, e il Tempo avrà vinto la partita domani o ancora oggi.
«In molte verdi valli si accumula la neve spaventosa; il Tempo spezza le danze intrecciate e dell’atleta lo stupendo tuffo.
«Oh, immergi nell’acqua le tue mani, giù fino al polso immergile; e guarda, guarda bene nel catino e chiediti che cosa hai perduto.
«Nella credenza scricchiola il ghiacciaio, il deserto sospira dentro il letto, e nella tazza la crepa dischiude un sentiero alla terra dei defunti.
«Dove i barboni vincono bei soldi e il Gigante fa le moine a Jack, e l’Angioletto è un nuovo Sacripante, e Jill finisce giù lunga distesa.
«Oh, guarda, guarda bene nello specchio, guarda nella tua ambascia; la vita è ancora una benedizione anche se benedire tu non puoi.
«Oh, rimani, rimani alla finestra mentre bruciano e sgorgano le lacrime; tu amerai il prossimo tuo storto con il tuo storto cuore».
Era tardi, già tardi quella sera, loro, gli amanti, se n’erano andati; tutti i rintocchi erano cessati, e il gran fiume correva come sempre.
Wystan Hugh Auden, Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, Milano, 1997.
Descrizione
Tra le raccolte di poesie di Auden un posto molto particolare spetta senza dubbio a Un altro tempo: e per più ragioni, a cominciare dalla sua collocazione cronologica, che ne fa in un certo senso un libro di storia. Il periodo della composizione abbraccia la vigilia e gli inizi della seconda guerra mondiale, e comprende i giorni di una svolta drammatica nella vita del poeta: la decisione di lasciare l’Inghilterra e di stabilirsi negli Stati Uniti. Abituato a vivere intensamente e da vicino gli eventi pubblici, dalla guerra di Spagna alla crisi europea, Auden interpreta da poeta non solo l’invasione tedesca della Polonia, ma anche la scomparsa di figure come Yeats e Freud. Intanto entra in un «altro tempo» con un esilio che lo accomuna a schiere innumerevoli di profughi (ai quali dedica Refugee Blues e altri versi) e lo avvia alla cittadinanza americana, senza mai attenuare i ricordi dell’Inghilterra e dell’Europa (Oxford, il Vallo Romano, il Musée des Beaux-Arts di Bruxelles). Un altro tempo è tipicamente audeniano anche perché alterna liriche metafisiche ad altre cosiddette light (come Funeral Blues e Calypso), che sono tra le sue più famose o addirittura popolari; e perché l’omaggio ai grandi del passato (Melville, Rimbaud, Voltaire) non esclude un’attenzione commossa o sarcastica per piccole creature del presente (la povera Miss Gee o il chimico che con la sua passione per gli esplosivi contribuirà a distruggere la propria casa). Mai pubblicato in Italia nella sua integrità, Un altro tempo è infine una testimonianza delle esperienze americane di Auden già dalla poesia d’apertura, con la dedica a Chester Kallman – dedica che è quasi l’annuncio pubblico di un sodalizio destinato a durare una vita.
Poesie, introduzione, versione e note di Carlo Izzo, Guanda, 1952
Per il tempo presente : oratorio di Natale, traduzione di Aurora Ciliberti, All’insegna del pesce d’oro, 1964
L’età dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessì e Antonio Rinaldi, Mondadori, 1966
Opere poetiche, traduzione di Aurora Ciliberti, 2 voll., Lerici, 1966-1969
Saggi, trad. G. Fiori Andreini, Garzanti, 1968
Il jolly nel mazzo : saggi su Shakespeare, D. H. Lawrence, Marianne Moore, Frost, Byron, Dickens, Ibsen, Stravinsky, Garzanti, 1972
Grazie nebbia!, a cura di Aurora Ciliberti, Guanda, 1977; TEA, 1998
Città senza mura e altre poesie, a cura di Aurora Ciliberti ; introduzione di Marisa Bulgheroni, Mondadori, 1981
Poesie, a cura di Aurora Ciliberti, Mondadori, 1981
Riti della parola, Vita e Pensiero, Milano, 1985
Horae canonicae, traduzione di Aurora Ciliberti ; note di Maria Vailati, SE, 1986
Gli irati flutti, a cura di Gilberto Sacerdoti, Arsenale, 1987; poi Fazi, 1995
Il mare e lo specchio : commentario a “La tempesta” di Shakespeare, a cura di Aurora Ciliberti, SE, 1987
Lettere dall’Islanda, a cura di Aurora Ciliberti, Archinto, 1993
(con Christopher Isherwood) Viaggio in una guerra, traduzioni di Aurora Ciliberti e Lucia Corradini, SE, 1993; poi Adelphi, 2007
L’eta dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessi, Antonio Rinaldi, introduzione di Valerio Magrelli, Il melangolo, 1994.
La verità, vi prego, sull’amore, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1994
Shorts, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1995
Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, 1997
La mano del tintore, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 1999
Lo scudo di Perseo, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 2000
Lezioni su Shakespeare, a cura di Arthur Kirsch ; traduzione di Giovanni Luciani, Adelphi, 2006
Grazie, nebbia : ultime poesie, a cura di Alessandro Gallenzi, Adelphi, 2011
Oratorio di Natale, traduzione di Vanni Bianconi, Transeuropa, 2011
Poesie scelte, A cura di Edward Mendelson, trad. di Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica, Adelphi, 2016
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