Federico García Lorca (1898-1936) – Tanta fretta. Perché? Per prendere la barca che non va da nessuna parte. Amici miei, tornate! Tornate alla vostra sorgente! Non abbandonate l’anima nel bicchiere della Morte.

Federico Garcia Lorca Perché tanta fretta

Tanta fretta.

Perché?

Per prendere la barca

che non va da nessuna parte.

Amici miei, tornate!

Tornate alla vostra sorgente!

Non abbandonate l’anima

nel bicchiere

della Morte.

Federico García Lorca, Poesie inedite, a cura e traduzione di Claudio Rendina, Newton Compton, Roma 1976.


Federico García Lorca (1898-1936) – «Libri, Libri!»: Chi non è percorso da un minimo anelito di sapere non conosce amore, né conosce una scintilla di pensiero, e neppure una fede o una minima ansia di liberazione, prerogative imprenscindibili per tutti gli uomini degni di tale nome
Federico García Lorca (1898-1936) – Parole sul teatro: Il teatro è uno degli strumenti più espressivi e più utili per la formazione di un paese, ed è il barometro che ne segna la grandezza o la decadenza.
Federico García Lorca (1898-1936) – Poeta a New York: «La luce è sepolta da catene e rumori in sfida impudica di scienza senza radici: qui non esiste domani né speranza possibile. Le monete a sciami furiosi penetrano e divorano bambini addormentati: sanno che vanno nel fango di numeri e leggi, nei giochi senz’arte, in sudori senza frutto».
Federico García Lorca (1898-1936) – La poesia è qualcosa che cammina per le strade. Il teatro è sempre stato la mia vocazione. Adesso sto lavorando a una nuova commedia. Gli uomini non riusciranno mai a immaginarsi l’allegria che esploderà il giorno della Grande Rivoluzione. Non è vero che sto parlando proprio come un socialista?
Federico García Lorca (1898-1936) – Il “duende” brucia il sangue, estenua, rompe gli stili, ama il bordo, la ferita, e si avvicina ai luoghi dove le forme si fondono in un anelito superiore alle loro espressioni visibili.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Franco Arminio – Un uomo che arriva in ospedale è un mondo. Curare un uomo significa prendersi cura del tutto che è in tutti. Un ospedale è un osservatorio astronomico.

Franco Arminio 01

Un uomo che arriva in ospedale non è un uomo, è un mondo. Curare un essere umano significa curare una persona immersa nel mondo e il mondo che è immerso in lui. Curare un uomo significa prendersi cura del tutto che è in tutti. Un buon medico dovrebbe essere anche un poco filosofo e poeta e teologo.

Un essere umano non è mai una cosa piccola, la sua malattia è la malattia dell’aria, è un piccolo guasto nel moto degli astri.

Un ospedale è un osservatorio astronomico. È anche un reparto di geologia: la malattia viene dalle radici, dal fitto mormorio che alimenta la vita degli organi. Negli ospedali si deve tener conto del respiro prima di tutto. Un corpo respira il mondo ed è respirato dal mondo. In questo scambio perenne e implacabile ci può essere un guasto. La medicina cosmica diluisce la paura: non perdiamo la salute, la cediamo agli altri. E quando moriamo diamo il cambio, non ci assentiamo, partecipiamo al gioco in una forma che non sappiamo, ma il gioco non finisce per nessuno.

Franco Arminio, La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica, Bompiani, Milano 2020, p. 15.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Gabriela Mistral (1889-1957) – Canto ciò che tu amavi, vita mia. Ti aspetto senza limiti né tempo. Tu non temere notte, nebbia o pioggia. Vieni per strade conosciute o ignote. Chiamami dove sei, anima mia.

Gabriela Mistral 01

“Gabriela Mistral era un’extraterrestre e per questo non aveva né i nostri stessi bisogni né i nostri stessi desideri. […] Era solo un’aliena che si era smarrita in Cile, in America latina, e che non poteva comunicare con la nave madre perché venisse a recuperarla.”
Roberto Bolaño


Canto que amabas

Yo canto lo que tú amabas, vida mía,
por si te acercas y escuchas, vida mía,
por si te acuerdas del mundo que viviste,
al atardecer yo canto, sombra mía.
Yo no quiero enmudecer, vida mía.
¿Cómo sin mi grito fi el me hallarías?
¿Cuál señal, cuál me declara, vida mía?
Soy la misma que fue tuya, vida mía.
Ni lenta ni trascordada ni perdida.
Acude al anochecer, vida mía;
ven recordando un canto, vida mía,
si la canción reconoces de aprendida
y si mi nombre recuerdas todavía.
Te espero sin plazo y sin tiempo.
No temas noche. neblina ni aguacero.
Acude con sendero o sin sendero.
Llámame adonde tú eres, alma mía,
y marcha recto hacia mí, compañero.

 

Canto che amavi

Io canto ciò che tu amavi, vita mia,
nel caso ti avvicini e ascolti, vita mia,
nel caso ti ricordi del mondo che hai vissuto,
nel rosso del tramonto io canto te, ombra mia.
lo non voglio restare più muta, vita mia.
Come senza il mio grido fedele puoi trovarmi?
Quale segnale, quale mi svela, vita mia?
Sono la stessa che fu già tua, vita mia.
Né infiacchita né smemorata né spersa.
Raggiungimi sul fare del buio, vita mia;
vieni qui a ricordare un canto, vita mia;
se tu questa canzone riconosci a memoria
e se il mio nome infine ancora ti ricordi.
Ti aspetto senza limiti né tempo.
Tu non temere notte, nebbia o pioggia.
Vieni per strade conosciute o ignote.
Chiamami dove sei, anima mia,
e avanza dritto fino a me, compagno.

 

Gabriela Mistral, Canto che amavi, in Id., Sillabe di fuoco, a cura di Matteo Lefèvre, con un testo di Octavio Paz, Bompiani, Milano 2020.

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Patrizia Cavalli – Vita meravigliosa, sempre mi meravigli … Non che mi aspetti il disegno compiuto … e quasi non avevo cominciato … Ma prima di morire forse potrò capire la mia incerta condizione.

Patrizia Cavalli 01

«Vita meravigliosa
sempre mi meravigli

[…]

E me ne devo andare via così?
Non che mi aspetti il disegno compiuto
ciò che si vede alla fine del ricamo.
Ma quel che ho visto si è tutto cancellato.
E quasi non avevo cominciato.

[…]

Ma prima di morire
forse potrò capire
la mia incerta condizione.

Forse per non morire
continuo a non capire
sicura in questa chiara confusione».

Patrizia Cavalli, Vita Meravigliosa, Einaudi, Torino 20220.

 

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Konstantinos P. Kavafis (1863-1933) – «Aspettando i barbari». Che aspettiamo qui riuniti al Foro? Oggi devono arrivare i barbari. Perché si svuotano le vie e le piazze e tutti fanno ritorno a casa preoccupati? Perché è già notte e i barbari non vengono. È arrivato qualcuno dai confini a dire che di barbari non ce ne sono più. Come faremo adesso senza i barbari? Dopotutto, quella gente era una soluzione.

Kavafis Konstantinos Petrou 004 - Aspettando i barbari

Aspettando i barbari

Che aspettiamo qui riuniti al Foro?

Oggi devono arrivare i barbari.

Perché tanta inerzia al Senato?
E i senatori perché non legiferano?

Oggi arrivano i barbari.
Che leggi possono fare i senatori?
Venendo i barbari le faranno loro.

Perché l’imperatore si è alzato di buon’ora
e sta alla porta grande della città, solenne
in trono, con la corona sulla fronte?

Oggi arrivano i barbari e il sovrano
è in attesa della visita del loro
capo; anzi, ha già pronta la pergamena
da offrire in dono
dove gli conferisce nomi e titoli.

Perché i nostri due Consoli e i Pretori
stamane sono usciti in toga rossa ricamata?
perché portano bracciali con tante ametiste
e anelli con smeraldi che mandano barbagli?
perché hanno in mano le rare bacchette
tutte d’oro e d’argento rifinito?

Oggi arrivano i barbari,
e queste cose ai barbari fan colpo.
Perché non vengono anche i degni
oratori a perorare come sempre?

Oggi arrivano i barbari
e i barbari disdegnano eloquenza e arringhe.

Tutto a un tratto perché questa inquietudine
e questa agitazione? (oh, come i visi si son fatti gravi).
Perché si svuotano le vie e le piazze
e tutti fanno ritorno a casa preoccupati?

Perché è già notte e i barbari non vengono.
È arrivato qualcuno dai confini
a dire che di barbari non ce ne sono più.

Come faremo adesso senza i barbari?
Dopotutto, quella gente era una soluzione.

C.  Kavafis

 

Konstantinos P. Kavafis, Settantacinque poesie,  trad. di N. Risi e M. Dalmàti, Einaudi, Torino, 1992, pp. 37-39.


Konstantinos Petrou Kavafis (1863-1933) – Non facciamo della vita una stucchevole estranea
Konstantinos Petrou Kavafis (1863-1933) – Onore a quanti nella propria vita mai allontanandosi dal dovere, giusti e retti in tutte le azioni, pronti all’aiuto per quanto possono, sempre con parole di verità, ma senza odio per chi mente.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Pindaro (518-438 a.C.) – Agire secondo dolcezza e tuttavia indirizzare le proprie azioni con saldo procedere, precipitando «hybris», la tracotanza, nell’abisso, e rendere dolce la vita con la fulgida luce della saggezza.

Pindaro - dolcezza

«Tranquillià benigna, figlia di Giustizia per cui le città fioriscono, tu che hai le chiavi supreme dei consigli e delle guerre […]. Tu che sai agire secondo dolcezza e tuttavia indirizzare con saldo procedere […]. Tu che, quando qualcuno alberghi nel cuore un risentimento amaro, contrastando alla forza degli avversari, precipiti nell’abisso l’hybris».

Pindaro, Pitiche, VIII, vv. 1-12.


Probabilmente una delle ultime odi composte da Pindaro, la Pitica VIII è dedicata al giovane lottatore Aristomene, vincitore nel 446 a.C. Apre l’inno un’invocazione alla Tranquillità personificata che regna in tempo di pace e che, in quanto figlia della Giustizia, sa opporsi alla tracotanza e, sapendo agire con dolcezza, rendere dolce la vita con la fulgida luce della saggezza.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Euripide (480-406 a.C.) – Una non vile educazione comporta il pudore e l’uomo addestrato al bene si vergogna di comportarsi da vile. La virilità si può insegnare, se a un bimbo si può insegnare a dire e ad ascoltare ciò che non sa. E quel che s’impara suole serbarsi fino alla vecchiezza. Educate perciò bene i vostri figli.

Euripide - Supplici

«Una non vile educazione comporta il pudore e l’uomo addestrato al bene si vergogna di comportarsi da vile. La virilità si può insegnare, se a un bimbo si può insegnare a dire e ad ascoltare ciò che non sa. E quel che s’impara suole serbarsi fino alla vecchiezza. Educate perciò bene i vostri figli».

Euripide, Supplici, vv. 915-917.


Euripide (480 a.C.-406 a.C.) – Gli dei non odiano chi è nobile d’animo, soltanto lo fanno soffrire di più di chi non vale niente.
Euripide (480 a.C.-406 a.C.) – Che i miei figli possano vivere liberi, ricchi della loro libertà di parola. I malvagi presto o tardi sono fatalmente smascherati come fanciulle che amano vedersi allo specchio.
Euripide (480 a.C.-406 a.C.) – Felice l’uomo che possiede la conoscenza che deriva dalla historía, e non si propone di danneggiare i concittadini né di compiere azioni ingiuste, ma contempla l’ordine che non invecchia della natura immortale, come e perché si sia costituito. A uomini del genere non si accosta mai il pensiero di azioni vergognose.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Il nobile porta i segni del destino sotto cui è sorto. Il bello assume di necessità una certa forma. Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo. Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa.

Friedrich Hölderlin 06
Coraggio! È degna dei dolori, questa vita.

Friedrich Hölderlin, A Neuffer, marzo 1794, in Id., Tutte le liriche,  (trad. di Luigi Reitani), Mondadori, Milano 2001.

Se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario,
esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso.
Il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto.
Il bello, per come si espone nella realtà effettiva,
assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge.
***
Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento
mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico,
che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
***
L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna.
***
Nessun uomo nella sua vita esteriore
può essere ogni cosa nello stesso tempo.
Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
 
 
«Il vivente nella poesia è adesso ciò che occupa maggiormente i miei pensieri e i miei sensi. Avverto con così tanta profondità quanto io sia ancora lontano dal coglierlo e tuttavia la mia anima intera vi si sforza affannosamente, e io ne sono spesso così commosso da dover piangere come un bambino quando sento come alle mie rappresentazioni, in questo e in quel punto, manchi il vivente. Ma non riesco a tirarmi fuori dagli errori poetici tra i quali vago […]. Mi manca meno la forza della leggerezza, meno le idee delle sfumature, meno un tono principale di una molteplicità ordinata di toni, meno la luce dell’ombra, e tutto ciò dipende da una sola ragione. Io rifuggo troppo dall’ordinario e dal comune della vita reale […].
Temo di raffreddare la calda vita che è in me al cospetto della storia gelata del giorno e questa paura deriva dal fatto che tutte le vicende distruttive in cui mi sono imbattuto sin da ragazzo, io le ho accolte in maniera più sensibile di altri, e tale sensibilità mi sembra che abbia in ciò il suo fondamento: che io, in rapporto alle esperienze che ho dovuto fare, non ero organizzato in maniera abbastanza solida e salda. Ora me ne rendo conto. […] Poiché sono più vulnerabile di altri, devo tanto più cercare di ricavare vantaggio dalle cose che agiscono in modo distruttivo su di me, non devo prenderle per come sono in se stesse, ma solo in quanto sono utili alla mia vita più autentica. Là dove le trovo, io devo già in anticipo assumerle come materia indispensabile, senza cui la parte più intima di me non potrà rappresentarsi mai completamente. Devo accoglierle in me stesso per disporle all’occasione (come artista se un giorno vorrò e dovrò essere artista) come ombre alla mia luce, per restituirle in quanto toni subordinati da cui emerge tanto più vivo il tono della mia anima. Il puro può rappresentarsi solo nell’impuro e se cerchi di rendere ciò che è nobile senza l’ordinario, esso se ne starà come il più innaturale di tutti, come il più insulso, e questo appunto perché il nobile, nella misura in cui giunge a espressione, porta i segni del destino sotto cui è sorto; perché il bello, per come si espone nella realtà effettiva, assume di necessità una certa forma in base alle circostanze entro cui sorge, e questa forma non gli è naturale: diventa naturale solo per il fatto di considerare, accanto al bello, appunto anche quelle circostanze che gli diedero necessariamente una tale forma. […] Dunque senza l’ordinario non si può rappresentare alcun nobile: e io voglio ripetermelo sempre, quando mi imbatto nell’ordinario nel mondo: ti è tanto necessario quanto ai vasai la colla, perciò accettalo sempre, non allontanarlo da te, non averne paura».
 
F. Hölderlin a Neuffer, 12 novembre 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], a cura di M. Knaupp, vol. II, München-Wien 1992-1993, pp. 710-712;  Friedrich Hölderlin, Tutte le opere. Prose, teatro e lettere. Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, 2 voll., LXVII-3887 pp., Mondadori, Milano 2020.
 
***

Riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento
mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico,
che approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità
 
«La mia riflessione e i miei studi si sono quasi esclusivamente limitati a ciò che anzitutto mi premeva, la poesia, in quanto essa è arte vivente e scaturisce a un tempo da genio, esperienza e riflessione ed è ideale, sistematica e individuale. Ciò mi ha condotto a riflettere sulla cultura e sull’impulso formativo, sul suo fondamento e la sua Bestimmung, nella misura in cui esso è ideale e attivamente formante. Ancora: [ho riflettuto] su come l’impulso formativo, consapevole del suo fondamento e della sua propria essenza a partire dall’ideale, ma istintivamente secondo la sua materia, agisce come arte e come impulso alla formazione ecc. Ho creduto, alla fine delle mie ricerche, di essere riuscito a porre in maniera più vasta e comprensiva di quanto non mi fosse noto precedentemente il punto di vista della cosiddetta umanità (almeno nella misura in cui si intende con esso l’elemento unificante e comune nella natura umana e nelle sue direzioni, piuttosto che l’elemento differenziante, di cui comunque è necessario che si tenga conto). Aver raccolto questi materiali mi ha suggerito il progetto di un giornale umanistico, che sia poetico anzitutto perché vi si pratica la poesia, ma che anche istruisca sulla poesia, sia dal punto di vista storico che da quello filosofico, e, in generale, approfondisca storicamente e filosoficamente il punto di vista dell’umanità».
 
F. Hölderlin, Lettera a Schelling, scritta tra l’1 e il 6 luglio 1798, in Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, pp. 792-794.
 
***
 
L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna
 
«L’errore degli uomini è che il loro impulso formativo si perda, che prenda una direzione indegna, generalmente falsa, oppure non trovi la sua dimensione specifica o, se pure l’ha trovata, si fermi a metà strada, ai mezzi che dovrebbero condurlo al suo scopo […]. E la ragione generale del tramonto di tutti i popoli è sempre stata, infatti, che la loro originalità, la loro propria natura vivente (ihre eigene lebendige Natur) ha soggiaciuto alle forme positive e al lusso che i loro padri avevano prodotto».
 
Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II,, pp. 62-63.
 
***
 
Nessun uomo nella sua vita esteriore
può essere ogni cosa nello stesso tempo.
Per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa
 
«Nessun uomo nella sua vita esteriore può essere ogni cosa nello stesso tempo, […] per avere un’esistenza e una coscienza nel mondo è necessario determinarsi per qualche cosa, e […] sono poi la singolarità e le circostanze ciò che in definitiva determinano l’uno verso una certa singolarità e l’altro verso un’altra. Questa singolarità, a dire il vero, è quella che più appare evidente, ma non è detto per questo che altri pregi, di cui avvertiamo la mancanza, manchino del
tutto in un carattere tipico, piuttosto rimangono in ombra».
 

Friedrich Hölderlin, Sämtliche Werke und Briefe [Tutte le opere e le lettere], op. cit., II, p. 67


Friedrich Hölderlin (1770-1843) – L’uomo che pensa deve agire, deve dispiegarsi. Egli può molto, stupenda è la sua parola che strasforma il mondo. Un potente anelito, con radici profonde, lo spinge verso l’alto.
Friedrich Hölderlin (1770-1843)– Dall’intelletto soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la filosofia, perché la filosofia è più della cieca pretesa di un progresso senza fine. Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è soltanto come un supervisore.
Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Quando un popolo ama il bello l’egoismo si scioglie. Se così non è, sempre più aridi e più desolati divengono gli uomini, cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo. Così il mondo intorno a noi diviene un deserto e il passato si sfigura in un cattivo auspicio per un futuro senza speranza.
Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Dobbiamo uscire dalla pigra rassegnazione, dove non si vuole nulla, non ci sicura di nulla. L’originalità è intensità, profondità del cuore e dello spirito.
Friedrich Hölderlin (1770-1843) – Che cosa sono i secoli di fronte all’istante in cui due esseri si presagiscono e si accostano? Ancor prima che uno sapesse dell’altra, noi ci appartenevamo
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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William Shakespeare (1564-1616) – L’uomo che non ha musica in se stesso, che l’armonia dei suoni non commuove, sa il tradimento e la perfida frode. Le sue emozioni sono una notte cupa. I suoi pensieri un Erebo nero. Alla musica credi, non a lui.

William Shakespeare_ Il mercante di Venezia.jpg

L’uomo
che non ha musica in se stesso,
che l’armonia dei suoni non commuove
sa il tradimento, e la perfida frode.
Le sue emozioni sono una notte cupa.
I suoi pensieri un Erebo nero.

Alla musica credi, non a lui.

William Shakespeare, Il mercante di Venezia [1594-1598], Atto V.



William Shakespeare (1564-1616) – «Cesare non potrebbe fare il lupo se non fossero pecore, e nient’altro che pecore, i romani».
William Shakespeare (1564-1616) – La sua lezione di regia: «Tenetevi misurati, dovete ottenere e conservare quella sobrietà che consente morbidezza di toni. Accordate l’azione alla parola, la parola al gesto: lo strafare è contrario alla vocazione dell’arte teatrale. Il gigioneggiare quanto il recitarsi addosso non può che disgustare l’intenditore».
William Shakespeare (1564-1616) – Date parole al dolore. La sofferenza interiore che non parla, sussurra al cuore troppo gonfio fino a quando si spezza.
William Shakespeare (1564-1616) – Se la musica è l’alimento dell’amore, seguitate a suonare, datemene senza risparmio. Oh, spirito d’amore, quanto sei vivo e fresco! Così multiforme si presenta amore, da esser, lui solo, il trionfo della fantasia.
William Shakespeare (1564-1616) – Beati son coloro i cui impulsi e il cui giudizio non assomigliano per nulla a una zampogna su cui le dita della Fortuna possan suonare il tasto che le aggrada.

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Wystan Hugh Auden (1907-1973) – Udii un innamorato che cantava: «L’amore non ha fine. Io ti amerò finché l’oceano sia ripiegato e steso ad asciugare. Io tengo stretto fra le braccia il Fiore delle Età, e il primo amore al mondo».

Wystan Hugh Auden 01

Una sera che ero uscito a spasso,
a spasso in Bristol Street,
sul lastrico le folle erano campi
di grano pronto per la mietitura.

E lungo il fiume in piena
udii un innamorato che cantava
sotto un’arcata della ferrovia:
«L’amore non ha fine.

«Io ti amerò, mia cara, ti amerò
finché la Cina e l’Africa s’incontrino,
e il fiume schizzi sopra la montagna
e per la strada cantino i salmoni.

«Io ti amerò finché l’oceano sia
ripiegato e steso ad asciugare,
e vadano le sette stelle urlando
come oche in giro per il cielo.

«Come conigli correranno gli anni
perché io tengo stretto fra le braccia
il Fiore delle Età,
e il primo amore al mondo».

Ma tutti gli orologi di città
si misero a vibrare e rintoccare:
«Oh, non lasciarti illudere dal Tempo,
non puoi vincere il Tempo.

«Nelle tane dell’Incubo,
dove Giustizia è nuda,
dall’ombra il Tempo vigila
e tossisce se hai voglia di baciare.

«Tra emicranie e in ansia
vagamente la vita cola via,
e il Tempo avrà vinto la partita
domani o ancora oggi.

«In molte verdi valli
si accumula la neve spaventosa;
il Tempo spezza le danze intrecciate
e dell’atleta lo stupendo tuffo.

«Oh, immergi nell’acqua le tue mani,
giù fino al polso immergile;
e guarda, guarda bene nel catino
e chiediti che cosa hai perduto.

«Nella credenza scricchiola il ghiacciaio,
il deserto sospira dentro il letto,
e nella tazza la crepa dischiude
un sentiero alla terra dei defunti.

«Dove i barboni vincono bei soldi
e il Gigante fa le moine a Jack,
e l’Angioletto è un nuovo Sacripante,
e Jill finisce giù lunga distesa.

«Oh, guarda, guarda bene nello specchio,
guarda nella tua ambascia;
la vita è ancora una benedizione
anche se benedire tu non puoi.

«Oh, rimani, rimani alla finestra
mentre bruciano e sgorgano le lacrime;
tu amerai il prossimo tuo storto
con il tuo storto cuore».

Era tardi, già tardi quella sera,
loro, gli amanti, se n’erano andati;
tutti i rintocchi erano cessati,
e il gran fiume correva come sempre.

 

Wystan Hugh Auden, Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, Milano, 1997.


Descrizione

Tra le raccolte di poesie di Auden un posto molto particolare spetta senza dubbio a Un altro tempo: e per più ragioni, a cominciare dalla sua collocazione cronologica, che ne fa in un certo senso un libro di storia. Il periodo della composizione abbraccia la vigilia e gli inizi della seconda guerra mondiale, e comprende i giorni di una svolta drammatica nella vita del poeta: la decisione di lasciare l’Inghilterra e di stabilirsi negli Stati Uniti. Abituato a vivere intensamente e da vicino gli eventi pubblici, dalla guerra di Spagna alla crisi europea, Auden interpreta da poeta non solo l’invasione tedesca della Polonia, ma anche la scomparsa di figure come Yeats e Freud. Intanto entra in un «altro tempo» con un esilio che lo accomuna a schiere innumerevoli di profughi (ai quali dedica Refugee Blues e altri versi) e lo avvia alla cittadinanza americana, senza mai attenuare i ricordi dell’Inghilterra e dell’Europa (Oxford, il Vallo Romano, il Musée des Beaux-Arts di Bruxelles). Un altro tempo è tipicamente audeniano anche perché alterna liriche metafisiche ad altre cosiddette light (come Funeral Blues e Calypso), che sono tra le sue più famose o addirittura popolari; e perché l’omaggio ai grandi del passato (Melville, Rimbaud, Voltaire) non esclude un’attenzione commossa o sarcastica per piccole creature del presente (la povera Miss Gee o il chimico che con la sua passione per gli esplosivi contribuirà a distruggere la propria casa). Mai pubblicato in Italia nella sua integrità, Un altro tempo è infine una testimonianza delle esperienze americane di Auden già dalla poesia d’apertura, con la dedica a Chester Kallman – dedica che è quasi l’annuncio pubblico di un sodalizio destinato a durare una vita.


Pieter Bruegel il Vecchio, La caduta di Icaro. Musée David et Alice van Buren, Bruxelles.

  • Poesie, introduzione, versione e note di Carlo Izzo, Guanda, 1952
  • Per il tempo presente : oratorio di Natale, traduzione di Aurora Ciliberti, All’insegna del pesce d’oro, 1964
  • L’età dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessì e Antonio Rinaldi, Mondadori, 1966
  • Opere poetiche, traduzione di Aurora Ciliberti, 2 voll., Lerici, 1966-1969
  • Saggi, trad. G. Fiori Andreini, Garzanti, 1968
  • Il jolly nel mazzo : saggi su Shakespeare, D. H. Lawrence, Marianne Moore, Frost, Byron, Dickens, Ibsen, Stravinsky, Garzanti, 1972
  • Grazie nebbia!, a cura di Aurora Ciliberti, Guanda, 1977; TEA, 1998
  • Città senza mura e altre poesie, a cura di Aurora Ciliberti ; introduzione di Marisa Bulgheroni, Mondadori, 1981
  • Poesie, a cura di Aurora Ciliberti, Mondadori, 1981
  • Riti della parola, Vita e Pensiero, Milano, 1985
  • Horae canonicae, traduzione di Aurora Ciliberti ; note di Maria Vailati, SE, 1986
  • Gli irati flutti, a cura di Gilberto Sacerdoti, Arsenale, 1987; poi Fazi, 1995
  • Il mare e lo specchio : commentario a “La tempesta” di Shakespeare, a cura di Aurora Ciliberti, SE, 1987
  • Lettere dall’Islanda, a cura di Aurora Ciliberti, Archinto, 1993
  • (con Christopher Isherwood) Viaggio in una guerra, traduzioni di Aurora Ciliberti e Lucia Corradini, SE, 1993; poi Adelphi, 2007
  • L’eta dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessi, Antonio Rinaldi, introduzione di Valerio Magrelli, Il melangolo, 1994.
  • La verità, vi prego, sull’amore, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1994
  • Shorts, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1995
  • Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, 1997
  • La mano del tintore, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 1999
  • Lo scudo di Perseo, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 2000
  • Lezioni su Shakespeare, a cura di Arthur Kirsch ; traduzione di Giovanni Luciani, Adelphi, 2006
  • Grazie, nebbia : ultime poesie, a cura di Alessandro Gallenzi, Adelphi, 2011
  • Oratorio di Natale, traduzione di Vanni Bianconi, Transeuropa, 2011
  • Poesie scelte, A cura di Edward Mendelson, trad. di Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica, Adelphi, 2016
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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