Fernanda Mazzoli – Catastrofismo. Amministrazione del disastro e sottomissione sostenibile. Tutta la vita della società industriale divenuta globale si annuncia ormai come un’immensa accumulazione di catastrofi.

Fernanda Mazzoli

Catastrofismo. Amministrazione del disastro e sottomissione sostenibile

Tutta la vita della società industriale divenuta globale
si annuncia ormai come un’immensa accumulazione di catastrofi


Ci sono libri la cui qualità ed importanza – in termini di capacità di leggere la realtà con lenti lucide ed originali, offrendo al lettore una visione delle cose che rovescia i capisaldi delle opinioni correnti – sono inversamente proporzionali alla loro notorietà e diffusione. Paradosso solo apparente e piuttosto scontato di un mercato editoriale che misura la qualità in base al presenzialismo mediatico degli autori e all’adeguamento al pensiero dominante che, di questi tempi, veste progressista e fa l’occhiolino al bene comune, il quale, per una svista della logica e della storia, è andato a cacciarsi sotto l’ombrello protettore dei miliardari filantropi, dei finanzieri divenuti salvatori della patria e dei grands commis ai vertici degli organismi internazionali. Così, un libro poco conosciuto e ancor meno citato come quello scritto a quattro mani da René Riesel e da Jaime Semprun, Catastrophisme, administration du désastre et soumission durable,1 dovrebbe, invece, essere uno dei testi di riferimento ineludibili per chiunque voglia comprendere il presente – tra minacce di catastrofe sanitaria e ricorso ad un’emergenza divenuta ordinaria amministrazione – senza piegarsi sotto le forche caudine dell’informazione di regime, della narrazione mainstreem e delle troppo facili semplificazioni offerte dagli adepti delle teorie complottiste.

Parodiando un celebre incipit, gli autori affermano che «tutta la vita della società industriale divenuta globale si annuncia ormai come un’immensa accumulazione di catastrofi», diffuse con il supporto mediatico da esperti che si richiamano ad una conoscenza quantitativa, ad un insieme di dati posti a fondamento di un’analisi incontrovertibile della realtà e di risposte altrettanto assolute. Dall’inevitabilità delle catastrofi consegue il successo della propaganda per le misure autoritarie altrettanto inevitabili se si vuole garantire la sopravvivenza del pianeta, la realizzazione delle quali mobilita un apparato burocratico-tecnologico sempre più robusto e più pervasivo, capace di un controllo totale delle condizioni di vita.

Semprun e Reiser si erano dati come oggetto del loro studio l’emergenza ambientale (di cui, peraltro, erano ben lontani dal negare la portata, da convinti avversari della società industriale, nonché del modo di produzione capitalistico, di cui hanno denunciato a più riprese le diverse nocività) ed è quindi particolarmente interessante riscontrare l’aderenza del loro discorso alla situazione determinatasi oggi intorno all’emergenza sanitaria. È anzi ragionevole ritenere che se nello spazio di un anno e mezzo molte società occidentali sono state disposte a rinunciare a quelle libertà individuali e collettive esibite orgogliosamente come cifra distintiva rispetto al resto del mondo chiamato a regolare il proprio passo su quello delle democrazie liberali, il terreno della rinuncia sia stato abbondantemente irrigato in precedenza da un discorso pubblico sempre più centrato sulla minaccia di una catastrofe incombente che ha assunto volti diversi (dal terrorismo al riscaldamento globale, all’esaurimento delle risorse naturali), ma egualmente efficaci ad attivare le condizioni politiche, i presupposti ideologici e i condizionamenti psicologici e mentali atti a legittimare uno stato di perpetua emergenza. La grande paura, creata e diffusa artatamente da istituzioni, informazione, esperti a vario titolo a partire da fenomeni reali, di cui si tende a rimuovere l’origine e la funzionalità, qualora esse mettano in causa l’intero sistema sociale, ha naturalizzato lo stato di emergenza, ha trasformato l’eccezione in normalità, ha sollecitato un enorme bisogno di protezione da parte delle popolazioni, cui solo le misure che si accompagnano allo stato d’emergenza sembrano capaci di dare una risposta. Che il prezzo da pagare siano l’autodeterminazione, le libertà faticosamente conquistate da un’intera civiltà nel corso della sua storia, i legami sociali poco importa, purché la minaccia dell’annichilimento sia stornata o rinviata. Ci si affida, dunque, con abbandono quasi infantile a quelli che prendono in mano «l’amministrazione del disastro», alla burocrazia di esperti incaricata di «una gestione di crisi permanente», si sacrifica loro quel poco che resta di spirito critico e di capacità di pensare ed agire autonomamente. È qui che si annidano tutte le derive autoritarie che oggi non sbandierano più il mito consunto e poco credibile del sangue e della razza, o dell’ortodossia ideologica, ma quello del bene della società, o meglio di ciò che i suoi esponenti di punta avvalorano come tale.

«È un dovere civico quello di essere in buona salute, culturalmente aggiornati, connessi. Gli imperativi ecologici sono l’ultimo argomento senza replica. […] Chi si opporrebbe al mantenimento dell’organizzazione sociale che permetterà di salvare l’umanità, il pianeta e la biosfera?».

Spetta proprio ad una visione antagonista rispetto alla moderna società industriale quale quella sostenuta da Riesel e Semprun e, pertanto, particolarmente sensibile ai problemi posti dalla predazione dell’ambiente individuare con lucidità e denunciare la conversione ecologica del capitale in cerca di nuove frontiere che consentano di avviare un nuovo ciclo di accumulazione.

A questo proposito, gli autori citano uno studio di Pierre Souyri,2 pubblicato postumo nel 1983 e dedicato alle trasformazioni del capitalismo, che fa piazza pulita delle illusioni alimentate oggi dalla green economy – ultimo tentativo in ordine di tempo di dare un volto presentabile a questo modo di produzione e intanto impegnarlo in una nuova fase – e dal diffondersi di una coscienza ecologica di massa sapientemente orchestrata dall’alto e funzionale alla prima.

«Le campagne allarmistiche scatenate intorno alle risorse del pianeta e all’avvelenamento della natura da parte dell’industria non annunciano certamente un progetto degli ambienti capitalistici di fermare la crescita. È piuttosto vero il contrario. Il capitalismo si impegna attualmente in una fase in cui si troverà costretto a mettere a punto un insieme di nuove tecniche di produzione dell’energia, dell’estrazione dei minerali, del riciclaggio dei rifiuti e di trasformare in merce una parte degli elementi naturali necessari alla vita. Tutto ciò annuncia un periodo di intensificazione delle ricerche e di sconvolgimenti tecnologici che richiederanno investimenti giganteschi. I dati scientifici e la presa di coscienza ecologica sono utilizzati e manipolati per costruire dei miti terroristi la cui funzione è quella di fare accettare come imperativi assoluti gli sforzi ed i sacrifici che saranno indispensabili per il compimento del nuovo ciclo di accumulazione capitalistica che si annuncia».

Il catastrofismo, dunque, diventa il dispositivo ideologico perfetto per creare un consenso trasversale nella società intorno a scelte politiche ed economiche di fondo dalle ricadute radicali sulla vita dell’intera collettività, persuasa da una batteria di fuoco aperta da esperti, scienziati, giornalisti, esponenti del mondo dello spettacolo e della cultura non solo ad accettare tali misure coercitive, ma a richiederle con entusiasmo in nome della salvezza propria e del pianeta.

Sono esattamente le stesse dinamiche in gioco nella gestione dell’epidemia sanitaria da Covid 19: la creazione della grande paura, da Apocalissi del nuovo millennio, l’emergenza continua, la demonizzazione di ogni dubbio o dissenso, fino alla secca alternativa tra vaccinarsi o morire, di malattia o di messa al bando dalla società civile fino all’allontanamento dall’attività lavorativa.

Che si tratti di ambiente o di salute, è l’irreggimentazione forzata o volontaria nelle nuove armate del Bene, fertile humus per ogni torsione autoritaria che richiede e al tempo stesso presuppone quella che i nostri autori definiscono «normalizzazione degli spiriti».

«La domanda sociale di protezione nella catastrofe» non chiama più in causa solamente l’apparato statale e burocratico, ma è tutta la società, – «attraverso gli uomini qualunque che vi si mobilitano per raccogliere le sue inquietudini e fabbricare l’immagine di una pretesa “società civile” – che reclama norme e controlli».

Non si tratta tanto di negare la realtà del disastro ambientale o dell’epidemia, quanto di comprendere che il combinato disposto fra allarmismo mediatico, idolatria dei dati, declinazione della scienza in nuovo dogma religioso e conseguente intervento dello Stato in veste di tutore concorrono ad una condizione permanente di amministrazione del disastro dove, ad essere confermata e consolidata, è la sottomissione3 degli individui e dei popoli, mentre nuove catastrofi, ecologiche e sanitarie, si profilano all’orizzonte.

Dove trovare un giacimento di paura e di coercizione altrettanto prezioso per la governance globale, pronta ad approfittarne per ridisegnare l’economia, il modo di vivere, le strutture della politica in una direzione più funzionale alla fase in cui il capitale è entrato?

Fernanda Mazzoli

1 Pubblicato a Parigi nel 2008 dall’Encyclopédie des Nuisances, fondata e diretta dallo stesso Jaime Semprun, il libro è disponibile in traduzione italiana dal 2020 per i tipi della casa editrice dell’Ortica con il titolo Catastrofismo, amministrazione del disastro e sottomissione sostenibile. Le citazioni del presente articolo sono state da me tradotte dal testo originale. Quanto agli autori, entrambi hanno preso parte al Maggio francese e sono stati vicini, per qualche anno, all’Internazionale Situazionista; hanno pubblicato studi di critica sociale, collaborando alla rivista dell’Encyclopédie des Nuisances, poi trasformata in casa editrice. René Riesel, allevatore di ovini, per la sua militanza anti-OGM ha subìto arresti ed un periodo di detenzione.

2 Pierre Souyri, La Dynamique du capitalisme au vingtième siècle, Payot, Paris, 1983. L’autore, di formazione marxista, è stato partigiano, militante comunista (uscito dal PCF nel 1944 su posizioni antistaliniste) e ha fatto parte del gruppo Socialisme ou barbarie.

3 Il titolo del saggio in questione gioca sul doppio significato del francese durable, durevole e sostenibile.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo- Il sei dicembre 2021 entra in vigore il super greenpass.

 

Salvatore Bravo

6 DICEMBRE 2021

Il sei dicembre 2021 entra in vigore il super greenpass

***

Si tratta di un’autentica rivoluzione reazionaria, in quanto i diritti sono concessi nello stile della costituzione ottriata e flessibile. Con un colpo di spugna il governo ha eliminato i diritti costituzionali conquistati dal popolo con la resistenza per inaugurare una nuova fase regressiva della democrazia. Dal sei dicembre vige un nuovo stato di diritto, in cui i cittadini non sono eguali davanti alla legge, ma si conquistano i diritti con l’obbedienza: diritti a punti o se si vuole a livelli. Vi sono tre livelli di cittadinanza: i senza grennpass, coloro che hanno il greenpass minimo e i supercittadini con il super grenpass. Cittadinanza a fasce di livello che mette in atto una discriminazione legalizzata. Il diritto allo studio è in realtà sospeso, gli studenti per poter arrivare nelle scuole devono dotarsi di greenpass.

Se uno Stato impedisce l’istruzione introduce una discriminazione inaudita: si neutralizza la formazione personale, si sottrae la possibilità di educarsi, si insegna che non tutti possono nei fatti entrare in classe. Gli studenti imparano che i diritti sono concessioni temporanee e che la formazione può essere espletata solo con l’obbedienza. Non poco tempo addietro il ministro dell’istruzione introduceva lo slogan “scuola affettuosa”. Una scuola che impedisce l’istruzione e ricatta le famiglie con il greenpass non è affettuosa, ma discrimina e insegna la discriminazione. L’inclusione parola che ossessiva si ripete nelle scuole di ogni ordine e grado mostra la sua tragica verità: non vi è inclusione, ma discriminazione, e se vuoi essere incluso devi obbedire e fingere che lo fai liberamente, magari con un post in cui ci si vaccina senza sapere con precisione cosa ti stanno inoculando. Parlare e discutere agli alunni dell’uguaglianza, battersi il petto dinanzi a ogni forma di violenza e poi impedire ad una parte della popolazione scolastica di viaggiare con treni e autobus è una contraddizione palese, ma taciuta. In TV si continua a ripetere e a quantificare il numero dei greepass scaricati, ma se anche dietro uno dei greenpass vi è una sola persona costretta dalle circostanze a farsi inoculare ciò che non vorrebbe, non si può parlare di stato di diritto, ma di violenza conclamata e velata da slogan ed esemplificazione. Ciò che è più grave è l’incultura della discriminazione che entra nel lessico quotidiano. Il nuovo lessico quotidiano è infarcito di violenza, e questa volta le parole coincidono tragicamente con i fatti. Non solo alunni, ma anche docenti e lavoratori non potranno usare mezzi pubblici, se non accettano gli ordini stabiliti per decreto esautorando il parlamento. Dopo l’eliminazione dell’articolo diciotto dallo Statuto dei lavoratori, si introduce e si rafforza la discriminazione senza giusta causa.

In una democrazia si discute, ma, da noi, d’ora in avanti si obbedisce. Se si guarda lo stato presente con sguardo olistico, non si può che avere la tetra immagine della fine della democrazia e l’inizio di una transizione verso una forte limitazione della stessa. Il senatore Monti lo ha dichiarato apertis verbis, “in Italia vi è troppa democrazia ed informazione, la democrazia va dosata alle circostanze”. Il senatore che ha tagliato i servizi sociali e le pensioni, se ha potuto dichiarare che la democrazia dev’essere adattabile come i fondi di investimento, per cui i diritti sono concessi sul “merito”, lo ha fatto, perché sa che una parte della popolazione è stata rieducata a giudicare la democrazia come un limite. Tali dichiarazioni sono possibili, perché è passata la logica della discriminazione dalla quale non sarà facile tornare indietro. Si sta sperimentando una democrazia limitata e a tempo. Coloro che gongolano per il supergreepass sappiano che nessun diritto è per sempre e che potrebbero ritrovarsi tra i dannati all’improvviso. L’Europa complice tace e applaude all’esperimento italiano. L’Europa dimostra la verità del capitalismo nella sua fase assoluta: il capitale è per suo fondamento discriminatorio ed ha in odio l’uguaglianza. Decenni di tagli ai diritti hanno inoculato l’attuale normalità della discriminazione che non ha nessun fine sanitario, ma è l’inizio di una nuova ideologia da capire e arrestare. Il 6 dicembre non è l’inizio della libertà come i manipolatori vogliono lasciare intendere, ma l’introduzione di un apartheid accettato senza nulla controbattere da partiti e sindacati, e di questo bisogna prendere atto. In ultimo, è bene rileggere l’articolo 3 della Costituzione per comprendere l’abisso in cui siamo:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Salvatore Bravo


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Costanzo Preve (1943-2013) – Contro il capitalismo, oltre il comunismo. Riflessioni su una eredità storica e su un futuro possibile

Costanzo Preve

Contro il capitalismo, oltre il comunismo

Riflessioni su una eredità storica e su un futuro possibile

ISBN 978-88-7588-311-9, 2021, pp. 112, Euro 10 – Collana “Divergenze” [80].

In copertina: Vincent Van Gogh, Il seminatore, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam.

indicepresentazioneautoresintesi


In questo breve saggio sosterrò una tesi estremamente chiara, e nello stesso tempo estremamente discutibile ed a prima vista assurda e contraddittoria. In breve, sosterrò che il presupposto per una credibile prospettiva anticapitalistica futura è, fra le altre cose, il congedo irreversibile dal comunismo, da considerare come un grande fenomeno storico, legittimo ma anche compiuto, cioè concluso.

Questa tesi va indubbiamente contro un senso comune consolidato. Coloro che infatti aderiscono (in vari gradi di coscienza e consapevolezza) ai valori morali, economici e politici caratteristici del legame sociale capitalistico non hanno alcun interesse ad impegnarsi in una ennesima discussione sul comunismo, da loro ritenuto un’illusione criminale per fortuna tramontata e distrutta dalle proprie contraddizioni, e possono al massimo avere per il comunismo un interesse superficiale di tipo storico o filosofico. Coloro che invece in vario modo rifiutano il legame sociale capitalistico e vorrebbero sostituirlo, pensano invece che il mantenimento di una prospettiva storica di tipo “comunista”, anche dando per scontato che il termine resta vago ed incerto, rimane un presupposto insostituibile per dare un senso storico non puramente congiunturale al proprio rifiuto globale del capitalismo e del legame sociale complessivo che lo costituisce e lo riproduce.

Il paradosso di questo breve saggio sta nel fatto che esso si indirizza esplicitamente al secondo gruppo di persone, la cui identità ed il cui senso di appartenenza sarebbero messi però in pericolo da una semplice presa in considerazione di questa scandalosa tesi, per cui è probabile che non la prendano neppure in considerazione. Ed è un peccato, perché le considerazioni che seguiranno non sono state ispirate da un narcisistico impulso all’originalità pubblicistica, ma sono state mosse da un’urgenza etica, politica e filosofica. Il comico americano Woody Allen disse a suo tempo una battuta di grande profondità: «Comincio a preoccuparmi perché sempre più spesso scopro di avere idee che non condivido». L’idea che il comunismo, inteso come fenomeno globale ad un tempo storico e teorico, possa non essere stato e soprattutto non essere più in futuro un’adeguata forma di opposizione al capitalismo, non può che essere venuta spesso alla mente di comunisti onesti e pensosi sulla propria prospettiva storica e politica. Ma quest’idea, pure affacciatasi alla mente, viene subito respinta come dubbio iperbolico e come tentazione diabolica di integrazione ideologica nella società capitalistica. Questo rifiuto, su cui Freud avrebbe molto più da dire dello stesso Marx, non deve per nulla stupire, in quanto ne va dell’identità, dell’appartenenza, e spesso del senso complessivo della propria intera vita.

Chi scrive ha invece finito con il condividere coscientemente l’idea che gli era progressivamente venuta alla mente. Mettiamo pertanto questo scritto sotto il segno della formula di Woody Allen. Una simile opinione, già fortemente radicata, è stata rafforzata dalla mia partecipazione attiva ad un grande convegno internazionale di marxisti, tenutosi a Parigi nel maggio del 1998, in occasione del centocinquantenario della pubblicazione, nel 1848, del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx. In questo interessantissimo convegno internazionale mi è sembrato di poter verificare due ipotesi da tempo maturate, ed apparse con solare evidenza. In primo luogo, la rete politico-organizzativa che ha reso possibile il convegno, legata al Partito Comunista Francese (un tempo noto per il suo dogmatismo e la sua intolleranza), non solo si è servita di intellettuali di osservanza “eretica”, in particolare trotzkista, ma ha anche concesso a tutti gli intellettuali intervenuti la massima libertà espressiva possibile, per cui nel convegno si sono sentite tutte le tesi possibili, tutto ed il contrario di tutto. Questo è ovviamente positivo, e sarebbe bello interpretarlo come il segno di una profonda autocritica per la propria precedente intolleranza e per la propria precedente pretesa di controllo ideologico sulla produzione scientifica e filosofica (di cui furono vittime i migliori intellettuali marxisti del Novecento, da Lukàcs ad Althusser). Ma purtroppo le cose non sono così semplici. In realtà a me sembra che la rinuncia a proporre una propria sintesi teorica sul capitalismo contemporaneo e la dichiarazione eclettica, alla Feyerabend, che da oggi in poi nel marxismo everything goes, tutto va bene e si può dire ormai tutto, sia il segnale di una sostanziale irrilevanza della teoria, e della separazione ormai consolidata fra produzione teorica “di prospettiva” e tattica politica congiunturale, ispirata al “senso comune”, mai messo in discussione, per cui la socialdemocrazia è comunque meglio del cosiddetto neoliberalismo, e dunque Prodi, Jospin, Blair e Clinton sono comunque meglio dei loro equivalenti definiti sommariamente “conservatori”.

In secondo luogo, è emerso con una certa chiarezza il minimo comun denominatore su cui nei prossimi anni presumibilmente si assesterà a livello mondiale una nuova comunità accademico-universitaria di “marxisti della cattedra”, desiderosa di demarcarsi da altre comunità accademico-universitarie contigue o rivali (neoutilitaristi, neocontrattualisti, comunitaristi, individualisti, tradizionalisti-religiosi, eccetera). Si tratta dell’idea per cui Karl Marx è tuttora il massimo profeta ed il massimo sociologo della globalizzazione capitalistica mondiale oggi in atto, da lui prevista e delineata con ammirevole approssimazione. Il fatto che Marx avesse anche previsto la capacità storica operaia e proletaria di rovesciamento dei rapporti di produzione capitalistici, e che questa cruciale e centrale previsione storica non si è verificata, viene virtuosamente censurato e messo sotto silenzio, perché sarebbe appunto incompatibile con il consolidamento di una comunità accademico-universitaria di marxisti della cattedra, unificati oggi da Internet e dalla lingua inglese così come cento anni fa erano unificati dalla corrispondenza postale e dalla lingua tedesca.

Premetto di non essere assolutamente ostile a queste due novità sopra segnalate, e di non essere assolutamente nostalgico della situazione precedente, che era intollerabile. Da un lato, la libertà di opinione è panglossianamente meglio della persecuzione burocratica attuata in nome di una censura ideologica sulla produzione teorica critica, scientifica o filosofica. Dall’altro, voglio ribadire che il marxismo della cattedra, accademico-universitario, è comunque mille volte meglio del marxismo ideologico catacombale dei gruppetti militanti fondamentalisti che vogliono ricostituire il loro sistema teorico chiuso e paranoico (di tipo volta a volta operaista, staliniano, bordighista, maoista, trotzkista, eccetera). Non intendo dunque oppormi a queste due novità segnalate. Mi limito a segnalare che esse sono il sintomo, da non trascurare per colpevole superficialità trionfalistica, di una sostanziale irrilevanza politica di quello che un tempo era il dibattito marxista, legato con mille fili al comunismo politico. È bene allora interrogarsi apertamente sul comunismo, teorico e politico, nell’ottica del suo rapporto con un possibile anticapitalismo non nostalgico e residuale, ma pienamente all’altezza delle sfide storiche di oggi. È indubbio che con questa interrogazione scopriremo orizzonti assolutamente inediti ed inaspettati.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Robert P. Harrison – … l’anima umana si presta alla coltivazione morale, spirituale e intellettuale, come il giardino … La storia senza i giardini è un deserto. Un giardino staccato dalla storia è superfluo. I giardini che abbelliscono questo nostro Eden mortale sono la prova inconfutabile della ragion d’essere dell’umanità sulla Terra.

Robert Pogue Harrison, Giardini. Riflessioni sulla condizione umana, Fazi Editore, Roma 2009.

«… l’anima umana si presta

alla coltivazione morale,

spirituale e intellettuale come il giardino …»

«La storia senza i giardini è un deserto.

Un giardino staccato dalla storia è superfluo.

I giardini che abbelliscono questo nostro Eden mortale sono la prova inconfutabile

della ragion d’essere dell’umanità sulla Terra».

Robert Pogue Harrison, Giardini. Riflessioni sulla condizione umana, tr. it. di M. Matullo e V. Nicolì, Fazi, Roma 2009, p. 90 (cap. 7: «Il Giardino di Epicuro», p. 90) e Prefazione.

Prefazione

Gli esseri umani non sono fatti per guardare troppo a lungo la testa di Medusa sfoggiata dalla storia, la sua rabbia, la morte e la sofferenza infinita. Non è per un difetto nostro, al contrario, la riluttanza a farci pietrificare dalla realtà della storia è alla base di molte di quelle cose che rendono la vita umana tollerabile: l’impulso religioso, l’immaginazione poetica e utopica, gli ideali morali, le proiezioni metafisiche, l’arte narrativa, le trasfigurazioni estetiche del reale, la passione per il gioco, l’amore per la natura. Albert Camus una volta ha detto: «La miseria mi impedì di creder che tutto sia bene sotto il sole e nella storia; il sole mi insegnò che la storia non è tutto». Si potrebbe aggiungere che se la storia diventasse tutto sprofonderemmo nella pazzia.

Per Camus era il sole, ma spesso nella cultura occidentale è stato il giardino, reale o immaginario, a costituire un rifugio dalla frenesia e dal tumulto della storia. Il lettore scoprirà in questo libro giardini remoti come il giardino degli dèi di Gilgamesh, le Isole dei Beati dei greci, il giardino dell’Eden di Dante in cima al monte del Purgatorio; oppure giardini ai margini della città terrena, come l’Accademia di Platone, il giardino di Epicuro e le ville del Decameron di Boccaccio; o ancora giardini che sbocciano nel bel mezzo della città come il Jardin du Luxembourg a Parigi, Villa Borghese a Roma e i giardini dei senzatetto di New York. Ma tutti questi giardini, in un modo o nell’altro, per come sono stati concepiti e per il fatto di essere ambienti creati dalla mano dell’uomo, sono una sorta di rifugio, se non addirittura di paradiso.

Eppure, per quanto riparati, i giardini umani hanno sempre un posto nella storia, se non altro come forze che si contrappongono alle spinte deleterie della storia stessa. Nella celebre frase con cui si conclude il Candide di Voltaire, «Il faut cultiver notre jardin» (‘Dobbiamo coltivare il nostro giardino’), il giardino in questione deve essere interpretato sullo sfondo delle guerre, della pestilenza e delle catastrofi naturali raccontate nel romanzo. Questo porre l’accento sulla coltivazione è fondamentale: è proprio perché siamo gettati nella storia che dobbiamo coltivare il nostro giardino. In un Eden immortale non c’è bisogno di coltivare, poiché tutto è già dato spontaneamente. I giardini umani possono apparirci come piccole aperture sul paradiso nel cuore di un mondo caduto, ma il nostro dover creare, mantenere e prenderci cura dei giardini tradisce la loro origine postlapsaria. La storia senza i giardini è un deserto. Un giardino staccato dalla storia è superfluo.

I giardini che abbelliscono questo nostro Eden mortale sono la prova inconfutabile della ragion d’essere dell’umanità sulla Terra. Quando la storia scatena le sue forze distruttrici e annichilenti, per non cedere alla pazzia e preservare la nostra umanità dobbiamo agire contro e nonostante quelle forze. Dobbiamo ricercare le forze curative e redentrici, lasciandole crescere dentro di noi. Ecco cosa significa prendersi cura del nostro giardino. L’aggettivo possessivo usato da Voltaire – “notre” – si riferisce al mondo che condividiamo. È il mondo della pluralità che pian piano prende forma grazie al potere dell’agire umano. “Notre jardin” non è mai un giardino di interessi esclusivamente individuali in cui rintanarsi per sfuggire al reale: è quel pezzo di terreno sulla Terra, dentro se stessi o all’interno della collettività, in cui vengono coltivate le virtù culturali, etiche e civili che salvano la realtà dai suoi istinti peggiori. Quelle virtù sono sempre nostre.

Aggirandosi per questo libro il lettore attraverserà diversi tipi di giardino – reali, mitici, storici, letterari –, tutti però facenti parte, chi più chi meno, della storia di questo “notre jardin”. Se la storia è in ultima analisi il conflitto terrificante, costante e infinito tra forze di distruzione e forze di coltivazione, allora il mio libro si schiera dalla parte di queste ultime. E cerca in tal modo di partecipare alla vocazione del giardiniere alla cura.




Indice

Prefazione

  1. La vocazione alla cura
  2. Eva
  3. Il giardiniere umano
  4. Giardini dei senzatetto
  5. Mon jardin à moi
  6. Academos
  7. Il giardino di Epicuro
  8. I racconti del giardino di Boccaccio
  9. Giardini monastici, repubblicani e principeschi
  10. Una nota su Versailles
  11. Sull’arte perduta del vedere
  12. Miracoli simpatici
  13. Lo spartiacque del paradiso: islam e cristianesimo
  14. Uomini non distruttori
  15. Il paradosso di un’epoca
  16. Epilogo

Appendice I

Appendice II

Appendice III

Appendice IV


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Aldo Lo Schiavo – Omero filosofo. L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco.

Ad una filosofia attenta alle fonti storiche interessa non poco di conoscere come, dalle insufficienti intuizioni globalizzanti del mito e dal confronto con le più mature costruzioni teo-cosmogoniche, il pensiero razionale sia venuto lentamente precisando concetti, categorie, criteri costitutivi di una visione laica e scientifica del reale.


In cooertina: Archelao di Priene, Apoteosi di Omero, II sec. a.C., Londra, British Museum.

Aldo Lo Schiavo

Omero filosofo

L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco

Prefazione di Domenico Musti.

ISBN 978–88–7588–305–8, 2021, pp. 304, Euro 30 – Collana “Il giogo” [138].

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Il mondo rappresentato dai poemi omerici è così ricco e complesso da orientare i contenuti intellettuali della successiva letteratura greca. Lo stesso pensiero filosofico trasse spunti di riflessione dai canti epici, in cui era rifluita l’esperienza di generazioni. Omero dunque costituisce un «inizio» anche per la storia della filosofia. Nell’épos si era accumulata una «tradizione» che lasciò «residui» fecondi almeno su tre piani diversi: quello lessicale, della formazione cioè di un linguaggio scientifico (progressiva determinazione del polisemico lessico omerico); quello enciclopedico, ossia dei contenuti di vita, delle tecniche e dei valori elaborati da una cultura aperta sul variegato mondo della natura e degli uomini; quello del mito, le cui intuizioni intorno alle strutture del cosmo e alle forze dappertutto operanti implicano quasi un’architettura logica. Un’esigenza dell’indagine è quella di situare Iliade e Odissea nella loro età, un’altra consiste nel tentativo d’individuare il tessuto di significati o d’idee che il mito, esprimendosi nelle forme sue proprie, fu capace di costruire, fino a formare quasi una riserva di pensiero per le età che seguirono. Il mito costituisce una prima forma di sapere organizzato: in esso è come concentrata una larga esperienza di vita e di pensiero, offrendo materia di riflessione a chi si pose i primi interrogativi sui grandi temi dell’essere e del divenire. La religione olimpica, con la sua larga apertura sul mondo nella varietà molteplice delle sue forme, era già sulla via dell’incipiente filosofia greca, e non oppose al fiorire del pensiero razionale le resistenze di una religiosità diversamente orientata, mistica e dommatica. La reciproca interferenza di mito e pensiero razionale è rilevabile in quasi tutta la storia intellettuale della grecità: entrambe sono formazioni storiche, e come tali nella storia fanno registrare fra loro consonanze e divergenze, punti di contatto e fratture profonde. Ad una filosofia attenta alle fonti storiche interessa non poco di conoscere come, dalle insufficienti intuizioni globalizzanti del mito e dal confronto con le più mature costruzioni teo-cosmogoniche, il pensiero razionale sia venuto lentamente precisando concetti, categorie, criteri costitutivi di una visione laica e scientifica del reale.


Aldo Lo Schiavo (1934) si è laureato in giurisprudenza all’università di Bologna e in filosofia all’università La Sapienza di Roma. Dopo aver studiato l’idealismo di Giovanni Gentile (La filosofia politica di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1971; Introduzione a Gentile, Bari, Laterza, 1974) si è dedicato completamente allo studio del pensiero greco, dalle origini a Platone, pubblicando i seguenti lavori: Omero filosofo. L’enciclopedia omerica e le origini del razionalismo greco, Firenze, Le Monnier, 1983; Charites. Il segno della distinzione, Napoli, Bibliopolis, 1993; Themis e la sapienza dell’ordine cosmico, Napoli, Bibliopolis, 1997; Filosofia del mito greco, Roma, IPS Editrice, 2000; Il fondamento pluralista del pensiero greco, Napoli, Bibliopolis, 2003; Platone e le misure della sapienza, Napoli, Bibliopolis, 2008; La filosofia politica di Platone, Napoli, Bibliopolis, 2010. Ha anche sviluppato una approfondita analisi della civiltà romana, pubblicando Roma e la romanizzazione. I fondamenti della Civiltà Romana, Napoli, Bibliopolis, 2013.

***

Di Aldo Lo Schiavo “petite plaisance” ha pubblicato, oltre a Omero filosofo:

Filosofia del mito greco. In Appendice: Themis, la dea del giusto consiglio, 2021

(indicepresentazioneautoresintesi).

 

Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico, 2021

(indicepresentazioneautoresintesi).



Aldo Lo Schiavo – Il sapere filosofico, quando non si isola in un formalismo tecnico fine a se stesso, trae sostanziale giovamento dall’analisi delle origini e del radicamento delle rappresentazioni mentali nel fitto tessuto di esigenze, sentimenti, reazioni individuali e collettive espresse nelle concrete situazioni in cui gli uomini operano e costruiscono la loro civiltà.
Aldo Lo Schiavo – Themis sa guardare all’avvenire del mondo, per il quale auspica un ordinamento al tempo stesso stabile e giusto, senza prevaricazioni e violenze. Themis pertanto esprime una normatività non costrittiva, non cieca, perché portatrice di una specifica sapienza cosmica.
Aldo Lo Schiavo – La condanna platonica della tirannide è radicale. Per Platone la città perfetta è un prodotto della ragione filosofica. La politeia ideale è il coerente progetto di trasformazione etico-politica della società temperato dal concetto di unità nella diversità. Il manifesto del filosofo laico.
Aldo Lo Schiavo – Il contributo della tragedia attica al razionalismo antico

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Salvatore Bravo – Il velo dell’ignoranza sulla democrazia. Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo

Salvatore Bravo

Il velo dell’ignoranza sulla democrazia.
Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo

Il linguaggio non è mai neutro, nel linguaggio è sedimentata la storia di un popolo; le parole e i loro costrutti non sono forme affette da rigidità e astrattezza, ma fin quando si trasmettono e sono linguaggio vivo formano il modo di essere e di operare dei cittadini o dei sudditi. Il potere nella forma del dominio controlla l’ordine del discorso, filtra con le parole i significati in un vano tentativo di eternizzarsi. La storia ha i suoi snodi cruciali solo se l’esperienza linguistica è mediata dal logos.

L’uso delle parole comporta una visione del mondo, una modalità pratica di gestione delle relazioni. La lingua viva è il veicolo più impalpabile con cui la violenza entra nel presente dalle porte mai chiuse con il passato. Ci troviamo invischiati in un presente che ha ostracizzato molte parole, ma nel contempo sta riattivando semantiche e lessico del passato. L’esemplificazione della lingua sostenuta dalle tecnologie che “costringono” ad un linguaggio immediato e degradato è il fenomeno politico più importante degli ultimi decenni. In nome dell’utile e della velocità venerati come miti, la prassi politica si è degradata a slogan, le visioni politiche e progettuali sono state sostituite da provvedimenti d’urgenza nell’interesse del popolo e degli italiani. Nessun approfondimento, nessuna contestualizzazione o raffronto per meglio comprendere dati e riforme, solo il luccichio delle parole infilate senza spessore logico e argomentativo per ammaliare e zittire le eventuali critiche. Rendere tutto “semplice”, contrapporre gruppi umani senza ascoltarne le ragioni, anzi dipingere i dissenzienti come pubblico pericolo è l’arma con cui il dominio persegue i suoi criminali propositi con il consenso delle vittime. Abbattere la semantica e la capacità argomentativa di un popolo sono gli espedienti più efficaci con cui ammanettarlo e renderlo suddito. La distruzione della pubblica discussione è demolizione dell’abilità logica senza la quale non vi è che il velo dell’ignoranza a scendere sui cittadini per trasformarsi in ceppo. Il livello di democrazia di un popolo dipende dalle sue capacità linguistiche, non si tratta di retorica o sofistica, ma di abitudine all’uso pubblico e critico della ragione.

La sottrazione delle parole è un furto doloso ai danni della cittadinanza. Un popolo senza parole è in catene dinanzi ai padroni del discorso. La condizione attuale registra la sudditanza globale, in quanto le oligarchie transnazionali possiedono i mezzi di comunicazione e con il loro enorme reddito comprano i venditori di parole. Il circo mediatico è la breccia da fendere per arrivare a loro e smascherare i padroni dell’ordine del discorso. Il lessico del circo mediatico con i suoi giullari rivela l’intenzionalità politica degli oligarchi, il tentativo di riattivare vecchi e antichi fantasmi per conservare il dominio.

Nelle ultime settimane i giornali nostrani hanno dichiarato all’unisono «Draghi tira dritto», l’uomo della provvidenza non si fa distrarre da proteste e dubbi, ma mette in atto la ricetta preparata altrove. In una nazione con un livello medio di democrazia ciò recherebbe scandalo. Il circo mediatico, invece, sorregge l’azione dell’uomo della provvidenza senza critiche, anzi lo rappresenta come il “salvatore” del popolo dinanzi alle proteste che malgrado divieti e Daspo1 continuano nella nazione. L’uomo della provvidenza, di fascista memoria, implica la passività del popolo, che incapace attende il suo angelo custode, che nulla ha di trascendente, ma i suoi obiettivi sono bancocentrici.

Tira dritto” è la nuova versione del me ne frego fascista coniato da Gabriele D’annunzio a Fiume (1919-1920). Ecco che riemergono atteggiamenti fascisti per conservare il dominio delle oligarchie con l’assenso del circo mediatico asservito. Se è possibile l’ostentazione del “tira dritto”, che ammicca al peggior linguaggio autoritario a cui ci stiamo abituando, lo si deve al fatto che i conti con il fascismo non sono stati fatti. L’esperienza storica fascista non è stata collettivamente pensata, sin da subito il potere si è difeso dai processi di democratizzazione lasciando decantare i miti bugiardi del fascismo da ripescare nei momenti di crisi. Queste ultime divengono occasione con cui sottrarre spazi sempre più ampi di democrazia e diritti sociali per inoculare il virus mortale del nuovo “Me ne frego” con il quale perseverare con linguaggio demagogico all’annichilimento dei diritti delle classi lavoratrici e della classe media. La responsabilità della classe accademica e del giornalismo è impressionante: sono disponibili a vendersi pur di raccogliere le copiose briciole che cadono dalle tavolate dei Grandi, resi tali dalla debolezze degli ultimi e dalla complicità del giornalismo sempre pronto ad adattarsi nelle parole e nell’interpretazione dei fatti all’ultimo dei potenti arrivati. Non resta che denunciare la violenza antidemocratica di questi anni senza opposizione e senza idee. Ai fuchi dell’intelletto insteriliti dal meritricio della parola bisogna opporre la forza dialettica della parola che riuscirà a fendere il velo di Maya che impedisce di guardare la verità storica e di agire su di essa con gli innumerevoli mezzi della democrazia. La regressione di questi anni non è la fine della lotta, ma una parentesi in attesa vigile ed operativa di quello che sarà e verrà. Ognuno può fare qualcosa, può resistere e accumulare le energie per un nuovo soggetto politico alternativo che per ora non si profila, ma è da preparare con l’impegno paziente delle parole. All’ateismo dilagante dei spregiatori della verità si può opporre l’umanesimo filosofico integrale da cui ricominciare per ricostruire una prospettiva comunitaria:

È il marxismo un “ateismo”? A mio parere non lo è necessariamente. Il marxismo è indubbiamente un umanesimo filosofico integrale (non sono quindi d’accordo con la scuola francese di Louis Althusser). Ma l’umanesimo filosofico integrale è anche il terreno di incontro e di dialogo fra credenti e non-credenti, che spesso verificano nei fatti di pensare la stessa cosa. Nella misura in cui la prospettiva di Marx riguarda non certamente l’esistenza e la non-esistenza di Dio (non sono infatti d’accordo con chi ritiene che la critica alle ipostasi religiose sia il presupposto necessario per la critica alle ipostasi dell’economia politica – e non sono d’accordo anche se so bene che il giovane Marx pensava proprio questo), ma la teoria dei modi di produzione ed il comunismo, ritengo che l’ateismo non sia assolutamente un pezzo di motore necessario per la macchina di Marx. Non si tratta del carburatore, ma della bambolina che penzola sul cruscotto. In definitiva penso che alcuni preti cattolici “dissidenti” (Fernando Belo, Giulio Girardi ecc.) abbiano ragione nell’essenziale”. 2

1 D.A.SPO., acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive.

2 Costanzo Preve, Considerazioni introduttive sugli attuali dibattiti fra laicismo, scienza, filosofia e verità, Petite Plaisance, Pistoia 2008, pag. 18.

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La filosofia è una pratica ermeneutica. La ricostruzione genetica della particolare postura filosofica di Costanzo Preve è un’operazione complessa, e certamente esercizio quanto mai laborioso, a causa della copiosa produzione di scritti e dell’ordito di mezzi da lui scelti per portarla a noi. Malgrado tali difficoltà, può senz’altro affermarsi che la filosofia di Costanzo Preve è stata costantemente dialogica, aliena all’innalzamento di sterili palizzate ideologiche, poiché al contrario mirava – facendo leva sulla forza del concetto – a scanalare brecce nelle cinte fortificate di purismi e ideologie rinchiuse in se stesse. È questa una capacità che gli ha consentito di elaborare una sintesi tra tradizioni e filosofi differenti, divergenti, allo scopo di ritrovare un sentiero che conducesse fuori dalla palude del nichilismo. Tale genesi composita fa sì che l’addentrarsi nel suo pensiero sia un’esperienza di “straniamento”, perché egli sa mettere proficuamente in crisi le facili e sterili dicotomie su cui reggono quei poteri sclerotizzati nell’abitudine, assieme a quei pregiudizi ideologici che favoriscono il consolidamento dei totalitarismi ideali, siano questi confessi e riconosciuti o meno.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Luca Grecchi – L’umanesimo della antica filosofia cinese. «Il denaro può comprare una casa ma non un focolare. Può comprare un letto ma non il sonno. Può comprare un orologio ma non il tempo. Può comprare un libro ma non la conoscenza e la saggezza. Può comprare una posizione ma non il rispetto. Può pagare il dottore ma non la salute. Può comprare il sesso ma non l’amore».

Luca Grecchi

L’umanesimo della antica filosofia cinese

ISBN 88-7588-030-1, 2009, pp. 128, Euro 15. Collana “Il giogo”

indicepresentazioneautoresintesi invito alla lettura


«Il denaro può comprare una casa ma non un focolare.

Può comprare un letto ma non il sonno.

Può comprare un orologio ma non il tempo.

Può comprare un libro ma non la conoscenza e la saggezza.

Può comprare una posizione ma non il rispetto.

Può pagare il dottore ma non la salute.

Può comprare il sesso ma non l’amore».



«Il denaro può comprare una casa ma non un focolare.

Può comprare un letto ma non il sonno.

Può comprare un orologio ma non il tempo.

Può comprare un libro ma non la conoscenza e la saggezza.

Può comprare una posizione ma non il rispetto.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Charles Baudelaire (1821-1867) – Viens! oh! viens voyager dans les rêves, Au-delà du possible, au-delà du connu! … la Voix me console et dit: «Garde tes songes. Les sages n’en ont pas d’aussi beaux que les fous!». Vieni, su, vieni! Passeggia dentro i sogni, più in là del conosciuto e del possibile. la voce mi consola, e dice: «Abbi cura dei tuoi sogni! Anche i saggi non ne hanno di così belli come les fous!».

LA VOX

Mon berceau s’adossait il la bibliothèque,
Babel sombre, où roman, science, fabliau,
Tout, la cendre latine et la poussière grecque,
Se mêlaient. J’étais haut comme un in-folio.
Deux voix me parlaient. L’une, insidieuse et ferme,
Disait: «La Terre est un gâteau plein de douceur;
Je puis (et ton plaisir serait alors sans terme!)
Te faire un appétit d’une égale grosseur».
Et l’autre: «Viens! oh! viens voyager dans les rêves,
Au-delà du possible, au-delà du connu!».
Et celle-là chantait comme le vent des grèves,
Fantôme vagissant, on ne sait d’où venu,
Qui caresse l’oreille et cependant l’effraie.
Je te répondis: «Oui! douce voix!». C’est d’alors
Que date ce quon peut, hélas! nommer ma plaie
Et ma fatalité. Derrière les décors
De l’existence immense, au plus noir de l’abîme,
Je vois distinctement des mondes singuliers,
Et, de ma clairvoyance extatique victime,
Je traîne des serpents qui mordent mes souliers.
Et c’est depuis ce temps que, pareil aux prophètes,
J’aime si tendrement le désert et la mer;
Que je ris dans les deuils et pleure dans les fêtes,
Et trouve un goût suave au vin le plus amer;
Que je prends très souvent les faits pour des mensonges,
Et que, les yeux au ciel, je tombe dans des trous.

Mais la Voix me console et dit: «Garde tes songes;
Les sages n’en ont pas d’aussi beaux que les fous!».

LA VOX

A un’oscura, babelica libreria la mia culla
era addossata: scienza, romanzi, favolelli,
tutto, polvere greca e cenere latina,
si mischiava. Ero alto, io, come un in-folio.
Due voci mi parlavano. Una, ferma e insidiosa,
mi diceva: «La terra è un delizioso
pasticcio dolce. Posso, per tua gioia,
far più capace la tua fame.» E l’altra:
«Vieni, su, vieni! Passeggia dentro i sogni,
più in là del conosciuto e del possibile!»
Ed era, questa, melodiosa come il vento dei greti,
inatteso fantasma che vagisce e l’orecchio
molce e insieme spaventa. E: «Sì, voce soave!»,
io rispondevo. Allora, in quell’istante,
s‘è spalancata, ahimè, nella mia vita
una piaga fatale. Oltre le quinte
dell’esistere immenso, nel cuore dell’abisso,
io vedo con chiarezza dei mondi singolari
e, vittima incantata della mia doppia vista,
trascino dei serpenti che mi mordono i piedi.
È da allora che, simile ai profeti,
ho tanta tenerezza per il deserto e il mare,
che piago nella gioia e rido nel dolore
e nel vino più amaro ritrovo una dolcezza;
che, gli occhi al cielo, casco nelle buche
e prendo spesso i falli per tranelli ...

Ma la voce mi consola, e dice: «Abbi cura dei tuoi sogni!».
«Anche i saggi non ne hanno di così belli come les fous!».

Charles Baudelaire, La voix (Pièces diverses, XVII), in Opere, a cura di G. Raboni e G. Montesano, Mondadori, I Meridiani, Milano 1988, pp. 118-121

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Costanzo Preve (1943-2013) – In ricordo di Costanzo Preve. Un libro e un articolo di Salvatore Bravo.

Salvatore Bravo

Pratica filosofica e politica in Costanzo Preve

ISBN 978-88-7588-293-8, 2021, pp. 216, Euro 20 – Collana “Divergenze” [77].

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In copertina: Immagine “straniante” di Erwin Piscator che entra nel Teatro Nollendorf, Berlino, 1929.Straniamento è il concetto – legato al teatro di Piscator e di Brecht – adottato da Preve come metafora dell’operazione filosofica per eccellenza e dello scopo della propria opera: mettere in moto un «riorientamento gestaltico», uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo, inteso innanzitutto come mondo dei rapporti sociali. Invitare a fare ingresso nel pensiero di Preve significa invitare a familiarizzare con lo straniamento, a prendere confidenza con la problematizzazione del proprio tempo.


I filosofi e l’idra del dominio


 

La verità si svela nel tempo, ci sono filosofi che vivono e pensano il travaglio del proprio tempo storico, hanno il coraggio di “pensare il noto del proprio tempo” e di non arretrare. Concettualizzare il proprio tempo è attività filosofica e politica, il filosofo pensa il proprio tempo per astrarne l’universale concreto, per porre in tensione universale e particolare.

Senza verità non vi è filosofia, non vi è filosofo: non resta che un accademico uso di linguaggi specialistici che non comportano effetti trasformativi della realtà sociale.

Senza verità non vi è politica, ma solo conservazione e comportamento ideologico. La filosofia è giudizio riflettente che prepara la prassi, la trasformazione di sé e del contesto sociale. La prassi necessita della teoria: si costituisce così una relazione feconda tra teoria e prassi che conduce alla responsabilità politica. La prassi filosofica è vita comunitaria che ha cura del singolo nella comunità, in modo che le soggettività possano vivere pienamente la propria indole singolare senza scindere la relazione con l’universale. L’attività filosofica è, dunque, dialettica, deve attraversare la contraddizione del proprio tempo, deve ricondurre alla pubblica ragione ciò che la pigrizia emotiva e cognitiva rimuovono in nome del quieto vivere. Il tafano con cui Socrate simbolizzava il filosofare è verità sempre attuale, in quanto è la sostanza della filosofia, la quale è dialogica, ma non conosce manierismi o recite di ruoli, ma solo interlocuzione umana a tutto raggio con cui capire il proprio tempo in vista della sua assiologica trasformazione.

Negli ultimi decenni dominati dalla filosofia analitica e dagli specialismi la filosofia è diventatasolo una presenza da salotto, da utilizzare in modo strategico nel circo mediatico per sostenere le oligarchie, è divenuta parte della sovrastruttura che sorregge e vela la struttura economica, come ci ha insegnato Marx. In un’epoca perversa la filosofia da passione per il sapere si è tramutata in uno dei tanti veli dell’ignoranza con cui il dominio perpetua se stesso fino a ridurre i popoli a plebi belanti.

Eppure, anche se la cornice socio-economica è tale, non bisogna disperare, poiché l’essere umano è certo condizionabile, ma non determinabile come un semplice oggetto. Vi sono persone che più di altre sfuggono alle maglie dei condizionamenti per pensare il proprio tempo. Il dominio vorrebbe ostracizzare i pensatori, sfiancarli con la forza degli innumerevoli tentacoli dell’idra del potere, ma i veri filosofi non cadono sotto i colpi tentacolari, e malgrado l’idra appaia invincibile la sfidano con la forza del concetto. Da tale lotta non si esce indenni, si pagano evidentemente dei prezzi, e la vittoria consiste unicamente nell’essere stati fedeli alle proprie scelte di vita e di pensiero. Siamo responsabili, pertanto, non solo della memoria del passato, ma anche dell’arduo compito di far continuare a vivere nel presente in modo plastico e creativo i filosofi che si sono lasciati attraversare dalle contraddizioni del loro tempo storico.

 

Costanzo Preve filosofo del nostro tempo

Il filosofo non è mai presenza atomistica, ma creatura concreta, non è l’anima bella che si ritira nella turris eburnea, ma è intessuto del mondo di relazioni con cui ha interagito. Costanzo Preve è stato non solo filosofo di calibro metafisico, ma anche politico. Potrebbe sembrare un’eccezione nel clima specialistico dei nostri tempi, in realtà ha testimoniato “la normalità della postura filosofica”, la quale è prassi che presuppone la metafisica senza la quale la politica si degrada a società dei bisogni, ad utile dell’ultimo uomo. Senza fondazione metafisica la filosofia è addomesticata, è il cucciolo ai piedi del potere pronto a ringhiare contro i dissenzienti.

La lettura degli innumerevoli testi di Costanzo Preve è esperienza di “straniamento”: il lettore deve inoltrarsi nei propri stereotipi, deve gradualmente abbandonarli per mettersi in ascolto di una visione filosofica che non conosce purismi, ma solo ricerca inesorabile e dura della verità. Nei suoi testi riecheggia la maieutica socratica, che non è un’eco lontana, ma vivida presenza sempre attuale.

Ricordare Costanzo Preve, quindi, non è un’operazione di circostanza, ma è un’assunzione di responsabilità verso il proprio tempo storico e verso la tradizione filosofica. Ci ha insegnato che non bisogna intimorirsi dinanzi ai poteri sempre più pervasivi che confinano la filosofia in un passato mitico che mai più ritornerà, perché il pensiero nella forma del logos – e non del solo calcolo quantitativo – è parte essenziale della natura umana e nessun totalitarismo riuscirà a cambiare il bisogno di pensare proprio della natura umana che si determina nella storia.

Costanzo Preve ha testimoniato fina alla fine della sua via tale verità. Filosofo della politica ha anticipato ciò che oggi è verità lapalissiana: destra e sinistra sono affette dallo stesso morbo: il nichilismo crematistico, per cui sono indistinguibili, si sorreggono l’un l’altra pur fingendo di essere diverse. Se Costanzo Preve è riuscito ad anticipare nei suoi scritti il tempo presente non è certo per suoi celati poteri paranormali, ma in quanto ha usato il metodo filosofico per capire il presente e delineare il futuro.

La filosofia è pratica olistica: pertanto, se si ha la pazienza di riportare le parti al tutto con onestà intellettuale e con capacità critica e documentata, si scorgono non solo le tendenze in atto, ma con esse si svelano i problemi e le urgenze del proprio tempo. In un periodo storico in cui regna la sola quantità, la filosofia e i filosofi sono trasgressivi, poiché sono in movimento verso la verità. Costanzo Preve ha trasgredito le leggi del politicamente corretto, ed ha mostrato che è possibile testimoniare l’esperienza filosofica anche in un’epoca assuefatta all’utile e alla prostituzione intellettuale. Ciò presuppone una profonda passione disinteressata, vera forza erotica di elevazione che può conoscere cadute, arresti improvvisi, ma è sempre orientata alla verità immanente.

Costanzo Preve è stato tutto questo.

Nel mese in cui ricorre la sua scomparsa, il modo migliore per rammentarlo è leggere i suoi scritti, avventurarsi in un’Odissea filosofica dalla quale non si tornerà eguali. Naturalmente il dissenso critico dev’essere parte imprescindibile dell’ascolto delle sue parole, non vi sono presenze totemiche in filosofia, ma autori che incarnano un’epoca e aspettano di essere superati senza essere dimenticati. Se è maturata la necessità di un riorientamento gestaltico Costanzo Preve può favorire questo ripensamento metafisico e assiologico di cui non pochi sentono il bisogno, ma non hanno punti di riferimento da cui iniziare un nuovo percorso veritativo che sembra impossibile. Per riorientarsi si dev’essere disponibili al disorientamento, a rimettere in discussione categorie sclerotizzate da automatismi sostenuti dal clero mediatico.

Non è semplice nascere a nuova vita, perché si tratta di partorire tra le doglie un nuovo esserci, ma è l’unico modo per umanizzare la propria esistenza. Leggere i testi di Costanzo Preve provoca uno stato di epochè, dal quale poter risemantizzare la propria prassi, comprendendo che fino a quel momento si è stati all’interno di un meccanismo autoreferenziale, in cui gesti e parole appartenevano al dominio.

Senza verità non vi è futuro, ma solo un lungo logorarsi nelle miserie e nelle complicità di un’abbondanza senza qualità e concetto.

Per non lasciarci cannibalizzare da un tempo così pericoloso, con le sue vuote e vane illusioni, può essere benefico ricominciare dai pensatori che hanno negato criticamente il loro tempo per affermare una nuova prospettiva politica e filosofica.

La filosofia, in quanto amore del sapere senza possesso, è comunitaria, è la disciplina per eccellenza che può guidarci fuori dalla palude in cui annaspiamo.

Costanzo Preve ha guadato la palude del nichilismo, il suo impegno attende uomini e donne disponibili a riprendere il suo cammino. Ricominciamo a riaprire la catena dei perché, come ci ha insegnato, per poter ripensare le parole e i pensieri che ci chiudono nella weberiana gabbia d’acciaio delle appartenenze senza concetto. Può essere l’incipit per una nuova e buona vita. Sta a ciascuno di noi cominciare l’esodo che non può che concretizzarsi in compagnia di pensatori fuori dal nostro tempo empirico, ma sempre presenti con la loro meditata testimonianza:

«Bisogna dunque riprovare a riaprire la catena dei perché. Questa volta, però, bisogna riaprire questa catena con un altro approccio e con altri destinatari. L’approccio dev’essere molto più radicale, e i destinatari non possono più essere i cosiddetti “militanti”, il “popolo di sinistra”, eccetera. I destinatari sono tutti coloro che vogliono riflettere e comprendere, del tutto indipendentemente da come si collocano (o non si collocano) topologicamente nel teatrino politico. Per chi scrive l’appartenenza è nulla, e la comprensione è tutto. Cerchiamo allora di riaprire la catena dei perché partendo da un anello della catena che ci permetta di stringere con sicurezza qualcosa di solido».1

Salvatore Bravo

1 C. Preve, Marx e Nietzsche, Petite Plaisance, Pistoia 2004, p. 6

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Indice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autori al 30-07-2021)Scarica

Giovanni Casertano – Una filosofia degli uomini per gli uomini. Venticinque studi su Platone.


Giovanni Casertano

Una filosofia degli uomini per gli uomini.
Venticinque studi su Platone

Presentazione di Luca Grecchi

ISBN 978–88–7588–328–7, 2021, pp. 752, Euro 40 – Collana “Il giogo” [139]

indicepresentazioneautoresintesi


Giovanni Casertano è stato professore ordinario di Storia della Filosofia Antica nell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. È stato Visiting Professor in varie Università dell’Europa e dell’America del Sud. Ha ricevuto la cittadinanza onoraria dell’antica città di Elea per i suoi studi su Parmenide, e il Dottorato in Filosofia honoris causa dall’Università di Brasilia, con la quale collabora in qualità di Permanent fellow dell’Archai UNESCO Chair (Filosofia Antiga); è Enseignant-chercheur, Professeur des Universités, Membre statutaire rattaché à l’«Unité de Recherche Institut d’histoire de la philosophie» (E.A. 3276) de l’Université de Provence (Aix-Marseille 1). Il suo campo di ricerca sono principalmente i Presocratici e Platone, ed ha al suo attivo più di trecento pubblicazioni, tra volumi, articoli, saggi. Tra i suoi volumi: Parmenide il metodo la scienza l’esperienza, Napoli 1989 (1978); Il nome della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Napoli 1996; Morte, Napoli 2003; Sofista, Napoli 2004; La nascita della filosofia vista dai Greci, Pistoia 2007; Paradigmi della verità in Platone, Roma 2007; I Presocratici, Roma 2009; O prazer, a morte e o amor nas doutrinas dos Pré-socráticos, São Paulo 2012; Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone, Sankt Augustin 2015; Giustizia, filosofia e felicità. Un’introduzione alla Repubblica di Platone, Roma 2015; Platone, Fedone, o dell’anima. Dramma etico in tre atti (traduzione, commento e note di G.C.), Napoli 2015; I proverbi di Platone, Napoli 2019; Venticinque studi sui preplatonici, Pistoia 2019.


Premessa

Su gentile invito dell’amico Luca Grecchi, ripubblico qui un insieme di alcuni dei miei studi sui dialoghi platonici. Spero che da essi risulti chiara (e documentata) la prospettiva della mia lettura di Platone, così come si è venuta costruendo negli ultimi decenni. Tesa a dare un’immagine non convenzionale del grande filosofo/drammaturgo, che costituisce una figura unica nei secoli della nostra cultura.

Un Platone non metafisico, né dispregiatore della sensibilità di contro alla razionalità, o del corpo rispetto all’anima, ma sempre attento a scovare tutti i risvolti (psicologici, morali, politici) dei personaggi che mette in scena, nel costruire (o nel tentativo di costruire) dialogicamente una filosofia che sia la più rispondente ai concreti problemi dell’essere umano. Il dialogo, per Platone, è appunto il segno di una filosofia degli uomini e per gli uomini, senza presupposti né “aiuti” trascendenti; e sono appunto dialoghi che in originali drammi filosofici tentano di fondare una ricerca che si trova di fronte a problemi che riguardano la concretezza della posizione nel mondo degli uomini, come singoli individui e come comunità, che affronta difficoltà di vario tipo nel determinare il senso delle cose e della vita, che si trova di fronte ad impasses apparentemente insuperabili, che conosce anche sconfitte e fallimenti, che raggiunge mete e conclusioni importanti, ma sempre con la coscienza di non doversi mai contentare dei risultati raggiunti, e di dover sempre tendere al meglio. Filosofia dunque come via da seguire, quella via della quale il personaggio Socrate (il simbolo della filosofia, sapientemente e appassionatamente costruito da Platone), in un bellissimo passo del Filebo, dichiara di essere da sempre innamorato, e alla quale è sempre rimasto fedele, anche a costo di rimanere solo.

Ringrazio Graça, che come sempre mi è stata vicina e mi ha aiutato nell’allestimento del volume, e Silvio, che mi è stato di aiuto nella correzione delle bozze. E, naturalmente, ringrazio ancora Luca per l’opportunità che mi ha offerto di ripresentare qui alcuni risultati (ovviamente provvisori) delle mie ricerche su Platone.

G. Casertano

Presentazione

Da alcuni anni, Petite Plaisance si è impegnata in riedizioni di testi – spesso arricchite da introduzioni, con notevole cura dei dettagli: mai mere riproduzioni fotostatiche – di grandi antichisti (Rodolfo Mondolfo, Marino Gentile, Diego Lanza, Mario Vegetti, Giovanni Casertano, Livio Rossetti, solo per citare alcuni nomi). Inoltre, ha raccolto in volume articoli di importanti studiosi, presenti in riviste o testi collettanei assai difficilmente reperibili. Questi articoli, presentando una prospettiva di insieme, risultano ancor più apprezzabili, se riuniti, nella loro significatività complessiva. Per questo motivo si è deciso di realizzare, di Enrico Berti, Incontri con la filosofia contemporanea; di Mario Vegetti Scritti sulla medicina ippocratica, Scritti sulla medicina galenica e Scritti con la mano sinistra; di Maurizio Migliori La bellezza della complessità, e di Diego Lanza Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica, di imminente pubblicazione.

Per quanto concerne Giovanni Casertano, già nel 2019 avevamo pubblicato Venticinque studi sui preplatonici. Abbiamo ritenuto però, per il grande valore dell’opera di questo studioso in merito anche all’interpretazione di Platone, che i suoi testi su questo argomento, che coprono un arco di anni assai ampio, dovessero essi pure essere raggruppati in un unico volume. Ciò, infatti, non solo, come detto, ne agevola la fruizione, ma contribuisce in certo modo, in una ideale libreria dei grandi interpreti del pensiero antico, a tenere l’opera di questi grandi studiosi più vicina. Questa si presenta, almeno per me – ma credo di non essere l’unico a pensarla così: chi ama i classici ama anche gli interpreti che meglio se ne sono occupati, nonché i libri che ne raccolgono le riflessioni –, come una cosa bella, il che mi fa particolarmente piacere, in quanto sono, o sono stato (alcuni, purtroppo, sono mancati), amico di molti di loro.

I testi qui esposti sono numerosi, sicché una sintesi dei medesimi, nel breve spazio di questa presentazione, non è sicuramente possibile. Una rapida scorsa dell’indice mostra del resto che essi si occupano di pressoché tutti i campi dell’opera platonica, prendendo in considerazione vari dialoghi, con la consueta attenzione al testo che ha sempre caratterizzato il nostro studioso. Pur nella grande cura, anche filologica, che emerge dagli studi di Casertano, il presente volume risulta facilmente leggibile anche dal lettore non specialista, perché lo stile dell’amico Gianni è sempre chiaro ed essenziale. I riferimenti alla letteratura secondaria, nelle note, certo non mancano, ma essi risultano realmente – come accade quasi sempre nella “vecchia scuola” degli antichisti – come un contorno volto a far assaporare meglio la portata principale, non come l’unico piatto, come invece talvolta accade in alcune pubblicazioni recenti. Ciò deriva da un approccio filosofico concreto che cerca di far risaltare, pur senza tacerne le problematicità, le singole argomentazioni di Platone, nella convinzione che il filosofo ateniese abbia ancora molto da dire anche al nostro tempo.

Il volume che qui si pubblica risulta già molto corposo, e lo studioso che lo ha composto, per la sua notorietà, non abbisogna di ulteriori presentazioni. Lascio pertanto il lettore godersi tutto ciò che l’amico Gianni, in questi anni, ha preparato, non prima di essere io, ancora una volta, a ringraziarlo, sia per il fatto di avere accettato l’invito di Petite, e sia, soprattutto, per come ha fatto fruttare a beneficio di tutti, nelle opere, la sua vita di studioso.

Luca Grecchi


Indice

Presentazione

Premessa

L’amicizia, qualcosa che non si può spiegare

La struttura del dialogo (o di quando la filosofia si fa teatro)

Mηχαν πειθος: metodo e verità nel Gorgia

Il (in) nome di Eros. Una lettura del discorso di Diotima

In cerca dell’anima nel Simposio platonico

La difficile analogia tra poesia e amore

La linea e la caverna: tra analogia, immagine,

conoscenza e prassi

L’idea, il letto e la virtù

Caratteristiche e funzioni del logos.

Sulla forma e la struttura del Teeteto

Teeteto 201d8: perché «un sogno in cambio di un sogno»?

Ogni uno di fronte a gioventù e vecchiaia

Il falso: un’esistenza che non esiste tra cose esistenti

Il Politico di Platone: o della distinzione, in politica,

tra sembrare ed essere, tra costituzione vera e sue imitazioni

Vero e corretto nel Politico

Il piacere falso nel Filebo

Scrivere e dipingere nell’anima. Sullo statuto di λόγος nel Filebo

La ricostruzione dei ricordi. Funzionalità e verità

del discorso che interpreta la realtà: Plat. Tim. 19c6-29d2

Causa (e concausa) in Platone

Le parti, le forme ed i nomi del tempo nel Timeo platonico

L’istante: un tempo fuori del tempo, secondo Platone

Nome, discorso e metodo nelle Leggi

Dialettica

Il ridicolo in Platone

Tragedia e commedia nella (della) vita umana

nei dialoghi platonici

Il vino di Platone


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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