Renato Curcio – Introduzione al libro di Franco Del Moro, «Il dubbio necessario»: “Le persone che si adattano ad attività di pura sopravvivenza non raggiungono mai una piena realizzazione dei propri desideri, delle proprie capacità e aspirazioni: la vastità identitaria è la vera dimensione dell’esperienza umana nella creazione di nuovi mondi di senso”.

dubbio necessario

Il dubbio necessario

Franco Del Moro, Il dubbio necessario, Ellin Seale, Murazzano (CN) 2002, euro 13.
Introduzione di Renato Curcio: Dalla sofferenza alla vastità.

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Dal risvolto di copertina

Intrecciando letteratura, scienza e filosofia l’Autore traccia un sentiero che conduce anche il lettore più scettico a intravedere una componente spirituale al di là della materia e, dunque, a porsi criticamente nei confronti dei paradigmi dominanti nel nostro tempo quali il culto tecnologico, l’ossessione economica, l’individualismo. Questi aspetti della modernità, riducendo l’essere vivente da soggetto a prodotto del sistema di fatto tendono ad annichilire la coscienza umana anziché espanderla, atrofizzandone la spiritualità; ma non vi può essere né equilibrio né progresso civile in un mondo rinchiuso nella gabbia del materialismo e della razionalità.


Franco Del Moro

«Io ritengo la globalizzazione e il liberismo sfrenato
una sorta di tumore,
una metastasi che condurrà l’organismo-mondo
ad uno stato di necrosi irreversibile
e ritengo anche che se potessimo misurare la temperatura generale
troveremmo che c’è già qualche linea di febbre …
La situazione è davvero molto critica, direbbe un primario
che si trovasse a visitare il paziente …
quanto tempo abbiamo ancora
prima che la malattia superi il punto di non ritorno?
Certo, è sempre possibile una “guarigione miracolosa”,
tuttavia mai come oggi le vie di mezzo sono escluse:
o si è parte della cura o si è parte della malattia.
Occorre scegliere.
E questo vale per tutti noi, nessuno escluso».

Franco Del Moro, Il dubbio necessario, p. 101.

 


Estratti
dall’Introduzione di Renato Curcio

renato-curcio-2    Dalla sofferenza alla vastità  

«[…] le divinità di un tempo, che erano legate a importanti codici etici e morali, nel mondo neoliberista sono state sostituite da una divinità completamente diversa che è il denaro. Non è esatto dunque dire che l’occidente è totalmente desacralizzato: il denaro è un dio che ha una chiesa molto grande, che è il mercato, e milioni di adepti. Ma il dio denaro è un dio spietato: come tutti i grandi dei monoteisti tende a fare giustizia delle altre forme sacrali e chiede ai suoi adepti un sacrificio di sé piuttosto esasperante. Questo in parte spiega l’ambivalenza degli adepti del dio denaro che per non essere sbattuti fuori dal tempio soffrono nel mondo del lavoro le pene dell’inferno e accettano la sofferenza che il dio impone: […] l’adattamento alle regole dell’istituzione, genera sofferenza. […] In questa civiltà molti lavoratori sono dunque persone infelici che si devono dotare di stampelle chimiche per sopportare l’esperienza del loro lavoro e della loro vita.
Molte persone che vivono una sofferenza sono portate a negare pubblicamente questa sofferenza così come chi la infligge è portato a negare socialmente la sua responsabilità nelle sofferenze altrui. Questa negazione di una esperienza di sofferenza, subìta o inferta, non ha però a che fare con la menzogna ordinaria e consapevole, ma riguarda la dissociazione identitaria: per produrre sofferenza agli altri occorre non soffrire nel produrla e per fare questa operazione si deve ricorrere a una anestesia emotiva che si ottiene acquistando una identità deresponsabilizzata rispetto all’azione che si sta compiendo. […]
Qual è allora la nostra vera identità? Se […] ci mettiamo a cercare la nostra vera identità, non troveremo mai un io “vero” e “unico” al fondo di ciascuno di noi, ma molte identità diverse […] La ricerca di una uscita da questo conflitto, e da tutti i conflitti che generano sofferenza, è la ricerca di una trascendenza, ovvero di altre strutture identitarie che riescano ad allargare il raggio della sofferenza sino a dissolverla. […]
[Nella] civiltà in cui è predominante la religione del dio denaro, fra le persone che vi si sono adattate si può quindi parlare di una normalità sofferente, anche in quanto il denaro non dà senso alla vita ma produce una illusione di senso, il cui aspetto visibile è la merce. Intorno alla merce si svolgono tutti i riti del mercato (che, come detto, è il tempio del dio denaro) […]. L’aspetto determinante delle persone che vivono nel regno del dio denaro è dunque la torsione a cui sono sottoposte […]
Ma le persone che si adattano a delle attività di pura sopravvivenza non raggiungono mai una piena realizzazione dei propri desideri, delle proprie capacità e aspirazioni, per questo l’aspetto ordinario della vita di molte persone è caratterizzato da una grande sofferenza psicologica. La vita lavorativa spesso si configura nella percezione come una esperienza che riduce l’attività umana ad un rigido quadro relazionale e come tale restringe la persona in uno spazio identitario che genera sofferenza.
Questa situazione di restrizione identitaria porta a cercare un allargamento e spinge verso la dimensione della vastità identitaria, che è la vera dimensione dell’esperienza umana. Tutte le persone […] hanno […] esigenze trascendenti […]. La trascendenza, prima che essere una caratteristica dell’ esperienza religiosa o dell’esperienza spirituale, è dunque una caratteristica dell’ esperienza umana tout court: è proprio il bisogno di andare al di là dei recinti, dei cortili, dei limiti che costituisce la molla dell’umano. La restrizione genera sofferenza e la sofferenza porta alla trascendenza. La condizione umana è il confronto con un limite, il primo dei quali è la morte: il punto di fine che inesorabilmente si trova al termine della strada di tutti gli umani. […] occorre perciò trovare una maggior vastità e accedere ad una dimensione in cui questo limite acquista un senso più ampio, per questo l’uomo tende a entrare in relazione con altri mondi: […] tende anche a provare l’esperienza di creazione di nuovi mondi di senso e acquisire dunque una esperienza di trascendenza rispetto al luogo in cui si trova, che viene sentito come troppo piccolo e chiuso rispetto al proprio bisogno di vastità.
Qui inizia l’esperienza della spiritualità, che è però un’altra cosa rispetto all’esperienza religiosa in senso stretto. Infatti, anche se la spinta alla trascendenza è immanente all’esperienza umana e quindi tutti gli umani sono soggetti a questa spinta, per alcuni esiste la difficoltà ad avvertirla o riconoscerla. […] La negazione di questa spinta verso la trascendenza non è tanto una negazione di questa determinazione profonda di immanenza, ma è la negazione di una o dell’altra forma sociale che rappresenta la trascendenza. L’adesione formale ad una religione è in effetti una forma molto povera di questa esigenza di spiritualità e trascendenza dalla condizione umana sofferente. […] In ogni caso, le forme che nell’esperienza umana prende questa esigenza di trascendere il proprio limite e l’angoscia che ne deriva saranno sempre irrilevanti rispetto alla spiritualità che invece caratterizza tutti gli umani […]».


  logo-wordIndice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore) al 15-02-2016


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