Ivan Illich (1926-2002) – Il modello a cui mi sono ispirato è il “Simposio” di Platone. L’idea platonica di philia, dell’amore come strada per accedere alla conoscenza, ha costituito una sfida. Ma perché si possa perseguire la verità è necessario innanzitutto lasciar cadere un certo numero di convenzioni accademiche prodotte dall’università.

Ivan Illich 006

In den flussen nördlich der zukunft

In den flussen nördlich der Zukunft
werf ich das Netz aus, das du
zögernd beschwerst
mit von Steinen geschriebenen
Schatte.

Nei fiumi a nord del futuro
getto la rete che tu,
esitante, carichi
di ombre scritte
da pietre

Paul Celan


«Il modello a cui mi sono ispirato è il Simposio di Platone. L’idea platonica di philia, dell’amore come strada per accedere alla conoscenza, ha costituito una sfida, perché, di decennio in decennio, ho dovuto interpretarla in modi sempre nuovi. Ma una convinzione è rimasta costante: l’amicizia non potrà mai significare per me la stessa cosa che significava per Platone. Nella città greca la virtù era intesa come un comportamento appropriato, adeguato: era l’ethos, l’etica, confacente a un certo ethnos, una popolazione, e questa virtù era il fondamento dell’amicizia, ciò che la rendeva possibile. L’amicizia era il fiorire della virtù civica e il suo coronamento. Era soltanto in quanto ateniesi virtuosi che gli ospiti al Simposio sym-posion (il bere insieme) – di Platone potevano amarsi. Non è stato questo il mio destino di ebreo errante e pellegrino cristiano: non mi è stato possibile ricercare l’amicizia come qualcosa che sorgesse da un luogo e dalle pratiche ad esso pertinenti. È stata invece l’etica sviluppatasi intorno alla mia cerchia di amici a nascere come risultate della nostra ricerca di amicizia e della pratica che ne facevamo. È un’inversione radicale del significato di philia: per me l’amicizia è stata la sorgente, la condizione e il contesto perché potessero avvenire il coinvolgimento e l’affinità di pensiero; per Platone poteva essere soltanto il risultato di pratiche confacenti al cittadino.

Questa inversione cruciale mi obbliga a dire qualche parola sulla storia dell’amicizia. Per Platone – e sarebbe lo stesso per qualunque altro testo classico dell’antichità – l’amicizia presuppone un ethnos, un “qui e ora” dato, al quale appartengo per nascita; presuppone determinati limiti entro i qua i può essere praticata. […] Poi venne quel sommo provocatore e folle, quel Gesù storico dei Vangeli, con la sua storia del Samaritano (il palestinese) che è l’unico a comportarsi da amico nei confronti del Giudeo (l’ebreo) percosso. Gesù apre una nuova illimitata capacità di scegliere chi voglio per amico, e una corrispondente possibilità di lasciarmi scegliere da chiunque mi voglia. È qualcosa che viene spesso dimenticato da quelli che dipingono l’amicizia moderna soltanto come uno sviluppo ulteriore di ciò che Platone e Aristotele intendevano con questo termine. Gesù ha spezzato la cornice che delimitava le condizioni entro cui poteva darsi amicizia […].

Ho considerato mio compito verificare in che modo la vita dell’intelletto, la disciplinata e metodica ricerca comune di una visione chiara – si potrebbe dire filosofia, nel senso di amare la verità – possa essere vissuta così da diventare occasione per suscitare philia. (Consentitemi di usare la parola philia, per evitare le buffe implicazioni che “amicizia” assume nelle diverse lingue moderne). Volevo capire se fosse possibile creare legami umani di reale, profondo coinvolgimento in occasione e con i mezzi della ricerca condivisa; e volevo anche spiegare come la ricerca della verità possa essere perseguita in modo ineguagliabile intorno a una tavola da pranzo, davanti a un bicchiere di vino, e non in una sala conferenze. Se l’espressione “ricerca della verità” fa sorridere la gente e fa pensare che io appartenga a un qualche Vecchio Mondo, ebbene sì, vi appartengo.

[…] Ma perché si possa perseguire la verità entro l’orizzonte di un “noi” che è davvero un “io” plurale […] è necessario innanzitutto lasciar cadere un certo numero di convenzioni accademiche – estremamente vischiose e tenaci – prodotte dall’università, fra cui l’organizzazione della conoscenza in discipline specialistiche ed esclusive.

[…] Le persone che sanno qualcosa della storia delle idee all’interno di una tradizione tendono a pensare di poter progredire nella loro conoscenza solo entro la cerchia di persone che hanno la loro stessa formazione. Io ho cercato di sfidarle a mettere l’amicizia al di sopra di questo pregiudizio e a lasciare che l’amicizia li motivasse a formulare in un linguaggio comune le svolte e le intuizioni rese possibili grazie alla loro conoscenza tecnica. È una sfida che non si limita a chiedere loro di insegnare agli studenti dei primi livelli universitari – perché l’insegnamento universitario di primo livello può essere soltanto un’introduzione al loro metodo –, né a chieder loro di ampliare i propri orizzonti per includervi altre professionalità. Si basa sulla convinzione che le cose davvero importanti devono essere suscettibili di condivisione con altri che io amo, prima di tutto, e con i quali poi sento il bisogno di parlare; e questa convinzione avrà un impatto significativo sul modo in cui valuto ed esprimo le mie intuizioni. Dovrei anche dire che il convivium, o symposion […]».

 

Ivan Illich, I fiumi a nord del futuro. Testamento raccolto da David Cayley, Prefazione di Charles Taylor, Edizione italiana a cura di Milka Ventura Avanzinelli, Verbarium . Quodlibet, Firenze 2009, pp. 138-141.


 

Nacque a Vienna da padre croato e madre ebrea sefardita.
Sin da bambino si dimostrò estremamente ricettivo e versatile: conosceva l’italiano, il francese e il tedesco e poteva parlare questi idiomi alla stregua di lingue madri.
Imparò in seguito il croato, il greco antico e lo spagnolo, il portoghese, lo hindi e altri idiomi.
Prestò servizio come assistente parrocchiale a New York. Nel 1956, fu nominato vice-rettore dell’Università Cattolica di Porto Rico, e nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca in Messico, un centro di ricerca che realizzava corsi per i missionari del Nord America.
Ordinato sacerdote a Roma nel 1951 e attivo nelle diocesi di New York, Ponce (Puerto Rico) e Cuernavaca (Messico), interruppe volontariamente l’esercizio pubblico del sacerdozio nel 1968, a seguito del procedimento avviato a suo carico dalla Congregazione per la dottrina della fede: in questione erano le sue attività a difesa dell’autonomia religiosa e culturale dell’America latina di fronte alle ingerenze «missionarie» statunitensi.
Illich scelse allora di dedicarsi a una critica militante delle moderne ideologie e istituzioni del mondo sviluppato, e a una parallela rivendicazione dei valori «vernacolari», con libri come Descolarizzare la società, La convivialità, Nemesi medica cui negli anni Settanta arrise una notevole fortuna internazionale.
Più tardi approfondì e radicalizzò la sua critica, dirigendola sull’intera parabola del processo di modernizzazione in Occidente e sulle trasformazioni antropologiche da esso indotte (Lavoro ombra, Per una storia dei bisogni, Il genere e il sesso, Nello specchio del passato), da ultimo coinvolgendovi anche senso e destino della rivelazione cristiana (La perdita dei sensi, I fiumi a nord del futuro).
Negli ultimi anni fu colpito da una crescita tumorale sul volto che, coerentemente con la sua critica alla medicina ufficiale, tentò, senza successo, di curare con metodi tradizionali.
Fumava regolarmente oppio per lenire il dolore.
All’inizio della malattia, consultò un medico per valutare la possibilità di rimuovere il tumore, ma gli fu detto che con grande probabilità avrebbe perso la facoltà di parlare e così convisse come meglio poteva con la malattia, da lui definita “la mia mortalità” 


Ivan Illich (1926-2002) – Lo studio porti il lettore alla sapienza e non ad accumulare conoscenze al solo scopo di farne sfoggio. Il lettore è uno che si è volontariamente esiliato per concentrare tutta la propria attenzione e il proprio desiderio sulla sapienza.
Ivan Illich (1926-2002) – Eutrapelìa. Due sono le chiavi di questa virtù: il sorriso e la misura. L’austerità non significa isolamento o chiusura in se stessi. L’austerità fa parte di una virtù più fragile, che la supera e la include, ed è la gioia, l’eutrapelìa, l’amicizia.
Ivan Illich (1926-2002) – Lessico unidirezionale: «inclusione» contro «emancipazione». Un tempo il crescere non era un processo economico. Oggi gli stessi genitori sono diventati insegnanti ausiliari responsabili degli input di capitale umano, per usare il gergo degli economisti, grazie ai quali i loro rampolli otterranno la qualifica di “homo oeconomicus”.
Ivan Illich (1926-2002) – Elogio della bicicletta. La democrazia partecipativa richiede una tecnologia a basso consumo energetico, e gli uomini liberi possono percorrere la strada che conduce a relazioni sociali produttive solo alla velocità di una bicicletta.
Ivan Illich (1926-2002) – Come filosofi rivendichiamo il dovere di occuparci del suolo. Ciò era dato per scontato da parte di Platone, Aristotele e Galeno, oggi non non lo è più e proponiamo di organizzare forme di resistenza nei confronti di quegli esperti di ecologia che promuovono il disinteresse per la tradizione storica e la virtù terrestre dell’autolimitazione.
Ivan Illich (1926-2002) – La dipendenza dall’abbondanza castrante, una volta radicata in una cultura, genera la “povertà modernizzata”. Nella velocità, niente resta, niente è assaporato, niente è conosciuto. Velocità e calcolo sono due aspetti dello stesso silenzio infecondo che minaccia ogni vita.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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