María Zambrano (1904-1991) – La delicatezza è una virtù eminentemente sociale, è un frutto ultimo dello spirito umano. Là dove appare, è imperitura.

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Maria Zambrano

«Le qualità o virtù alle quali alludiamo – nel senso anche della virtus latina, efficaci con forza e potere – sono l’esponente del più alto grado di civilizzazione, quelle che misurano il vero livello a cui la condizione umana è giunta.

Tale è la delicatezza.

La delicatezza è una virtù eminentemente sociale benché abbia un’estensione molto ampia e in essa vengano compresi diversi piani.

Ma quel che si scopre comune in ogni gamma della delicatezza come virtù è la sua capacità di saper trattare con altro, sia esso persona, esseri viventi o cose. E, come qualità, è un’estrema finezza che possiedono certi fiori o creature naturali e certi tessuti; quel che ci restituisce alla delicatezza come azione o come virtù sono la porcellana, i cristalli, certi oggetti fabbricati dalla mano dell’uomo.

[…] La delicatezza balza fuori là dove […] non la si aspetta e, talvolta, in luoghi che sembrano non poterla ospitare.

Ci viene incontro come un profumo leggero e penetrante nel mezzo di un vicolo sporco.

Perché la delicatezza si presenta senza quasi essere notata, come quei profumi che si avvertono poco e che in seguito restano a lungo a impregnare l’ambiente, e il cui ricordo è più vivo della loro presenza.

In effetti, la delicatezza, sia come qualità che come virtù, appartienea quella famiglia di esseri e cose la cui assenza è più intensa, più viva della presenza, sia perché se ne sente la mancanza, sia perché si ricorda.

A volte ci domandiamo in cosa consista il fenomeno, suscitato da un certo tipo di bellezza e di valore morale, il quale fa sì che, quando questi sono ormai passati, ci lascino, anche come sensazione, un’impressione più viva e più forte di quando la loro presenza era immediata.

Certi profumi, certe sfumature di colore in una rosa, certe tinte di un tramonto, certi sorrisi, certi profili, certe mani appena viste, certe silhouettes appena intraviste, certe parole dette con lievità, una musica appena differente dal brusio della brezza.

E, nell’ordine, morale certe insinuazioni che, lontano dall’essere finite nell’oblio, sono rimaste senza essere colte dalla nostra coscienza a causa della loro lievità o della loro morbidezza.

Questo non indica forse che la delicatezza è un frutto ultimo dello spirito umano e, proprio per questo, un frutto indelebile?

La delicatezza, veramente, là dove appare, è imperitura. Si manifesta già all’alba della cultura: vasi, diademi, bracciali, fermagli d’oro o d’altri metalli dell’Età dei metalli escono un giorno alla luce, risplendendo prima ancora che per la lucentezza dell’oro per pienezza della delicatezza con cui furono lavorati. E alcuni monumenti del Neolitico ci impauriscono, ci intimidiscono, perché uniscono il ritmo sottile e delicato alla maestà della prima architettura.

Non si può ottenere la delicatezza in azioni, in parole, in opere se non attraverso la coniugazione dell’udito, della vista e del tatto. Vengono alla mente di per sé metafore tali come quella di “una persona che ha tatto”, “d’udito fine”, «da vista acuta» e altre ancora.

L’udito è senza dubbio il senso primario, protagonista della delicatezza. Perché l’udito ci porta non solo brusii e suoni ma anche il senso dellorientamento e dell’equilibrio.

E la delicatezza è un ultimo, sottilissimo equilibrio; a volte la delicatezza consiste nell’arrestarsi in tempo.

La vista dà la misura in senso proprio; il tatto, questa conoscenza immediata e diretta delle cose, apporta il fondamento materiale della delicatezza, così come la vista e l’udito la sua forma.

Ma con tutto quel che potremmo continuare a dire circa la delicatezza, il suo mistero resterà sempre affiorante.

Infine, si è sempre detto che la delicatezza è un segreto; un segreto come quello di alcuni giardini chiusi dai quali sale in alto solo il profumo».

María Zambrano (Dicembre 1965)

María Zambrano, Per l’amore e per la libertà. Scritti sullafilosofia e sull’educazione, Marietti, Bologna 2008


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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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