William Howitt (1792-1879) – Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra.

William Howitt
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Colonization and christianity

«Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare, non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata».

William Howitt, Colonization and christianity. A popular history of the treatment of the natives by the europeans in all their colonies [Colonizzazione e cristianesimo. Storia popolare del trattamento riservato agli indigeni dagli europei in tutte le loro colonie], Londra, 1838, p. 9. Citato da Karl Marx in Il Capitale, Libro I, Tomo secondo, Newton Compton, 1974, p. 1000.

 


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Tavola rotonda sul libro di Luigi Ruggiu «Tempo Coscienza e Essere nella filosofia di Aristotele. Saggio sulle origini del nichilismo».

Luigi Ruggiu 02

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ca foscari

 

Mercoledì 7 marzo 2018, ore 15.00

palazzo Malcanton Marcorà, aula Valent (4° piano), Ca’ Foscari  – Venezia

Tavola rotonda

con Luigi Ruggiu

Luigi Ruggiu

in occasione della riedizione del suo libro:
Tempo Coscienza e Essere nella filosofia di Aristotele
Saggio sulle origini del nichilismo

Introduce

Lucio Cortella

Lucio Cortella


Partecipano:

Enrico Berti_foto Baracchi e Campanini (46)

Enrico Berti

 ***

 

Stefano Maso

Stefano Maso


L’appuntamento è aperto a professori, studenti, soci SFI.


Locandina


Coperta 283

Luigi Ruggiu

Tempo Coscienza e Essere nella filosofia di Aristotele

Saggio sulle origini del nichilismo.

Prefazione di Emanuele Severino

 

ISBN 978-88-7588-186-3, 2017, pp. 496, formato 170×240 mm., Euro 35

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Aion Ostia nuova

Mosaico dello zodiaco e delle Quattro Stagioni. Ostia Antica, Magazzini.
Dalla Necropoli di Porto all’Isola Sacra, Tomba 101.

 

L’attualità di un testo si riconosce dalla centralità del tema, dalla novità nell’impostazione, dalla fecondità dei risultati. Non si tratta solo della conoscenza storica dell’autore, Aristotele, ma della penetrazione di una ricerca resa nuovamente disponibile per la sua capacità di interloquire con i problemi di metodo e di merito. Anche sul versante non direttamente filosofico della scienza, in particolare della fisica moderna e contemporanea. Il tempo analizzato nella Fisica è stato indagato iuxta propria principia. È quindi capace di sprigionare tutta la forza sintetica di penetrazione di un tema così impenetrabile e sfuggente.

«La parte del testo relativa alla trattazione del tempo si presenta come lo svolgimento sistematico più profondo ed articolato della tesi per cui il tempo viene costituito dall’anima attraverso l’atto di numerazione che esercita in rapporto al divenire, ed è quindi necessariamente relato ad essa. Questa grande sintesi operata da Ruggiu, che ricomprende tutti i contributi precedenti sulla definizione del tempo secondo Aristotele costituisce, sia per il rigore dell’argomentare che per la consistenza dell’impianto teoretico che assume come presupposto un confronto critico indispensabile per ogni interpretazione che da essa si differenzia; in questo senso rappresenta, insieme al testo di Conen, l’interpretazione attuale più interessante della dottrina aristotelica del tempo» (A. Giordani).

Il filo nascosto della indagine aristotelica è costituito dal ruolo che l’anima dell’uomo riveste nella physis. Attraverso una magistrale fenomenologia della coscienza del tempo, nella quale si mostra l’unità inscindibile di tempo e movimento, Aristotele mostra l’irriducibilità del tempo al movimento, ma anche la necessità del suo rapporto. Il “numero” che quindi compare nella definizione del tempo, non è il numero astratto, il numero matematico, ma il numero concreto, il numero numerato. Attraverso un’analisi penetrante dell’ora (νῦν) lo Stagirita mostra la necessità dell’identità e permanenza e insieme la struttura del differenza che è propria dell’istante e quindi del tempo. È l’istante che costituisce l’unità e la continuità del tempo, ma insieme anche la sua distinzione. Il tempo non si dà senza l’anima, cioè senza la chiamata in causa della memoria, della presenza e dell’attesa.

Nella contemporaneità, a lungo questa problematica è parsa monopolio della fisica, con le sue esplorazioni nel mondo dell’infinitamente piccolo e della fisica dei quanti. Ma qui il tempo con i suoi caratteri di irreversibilità e di ekstaticità scompare. La fisica conclude infine che il tempo è nulla, il prodotto di una semplice illusione, come ebbe a dire Einstein in una celebre lettera inviata ai familiari del suo amico Michele Besso: «Per tutti coloro che credono nella fisica, la divisione tra presente, passato e futuro ha solo il valore di un’ostinata illusione».

Oggi tuttavia assistiamo ad un ribaltamento di queste tesi. «La sintesi fra il tempo di Aristotele e quello di Newton è il gioiello dei pensieri di Einstein» (C. Rovelli). Se al livello più fondamentale “non c’è variabile tempo” e quindi non esiste differenza tra passato e futuro, esiste anche un movimento di ritorno (Nostos!) per comprendere come da questo mondo senza tempo possa emergere il tempo a noi familiare. Alla nostra scala, esiste anche la variabile tempo. Con una espressione alla Borges, si conclude che «il tempo siamo noi».

Ma quale Aristotele e soprattutto: quale tempo?

A questo interrogativo, il volume di Ruggiu fornisce una risposta convincente. Perciò oggi viene qui riproposto nella sua piena attualità.



Luigi Ruggiu è professore emerito di storia della filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Già consigliere di amministrazione della Biennale di Venezia (1978-1986) e direttore della rivista di cultura e politica Il Progetto (1982-1992), a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Venezia. Nel 2000 è stato insignito della medaglia d’oro del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dei “Benemeriti della scienza e della cultura”.

Le principali linee della sua ricerca sono:

I.

La problematica della temporalità nella storia della filosofia

Tempo Coscienza Essere nella filosofia di Aristotele. Saggio sulle origini del nichi-lismo, Brescia 1970; Il tempo in questione. Paradigmi della temporalità nel pensiero occidentale, a cura di L. Ruggiu, Guerini e Associati editore, Milano 1997; Filosofia del tempo, a cura di L. Ruggiu, Bruno Mondadori Editore, Milano 1998; Tempo della fisica e tempo dell’uomo: Parmenide, Aristotele, Agostino, Editrice Cafoscarina, Venezia 2006. Aristotele, Fisica. Testo greco a fronte. Saggio introduttivo, traduzione, note e apparati di L. Ruggiu, nuova edizione, Mimesis, Milano 2007; Tempo delle scienze, tempo della filosofia, in Pensare il tempo. Tra scienza e filosofia, a cura di U. Curi, Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 101-135; Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel, Mimesis, Milano 2013; Parmenide e il tempo, in Parmenide. Nostos, L’essere e gli enti, Edizione rivista e ampliata, con testo e traduzione dei frammenti, e con un saggio: Mimesis, Milano-Udine 2014, pp. 455-512.

II.

Il problema dell’agire pratico e poietico

Teoria e prassi in Aristotele, Napoli 1973; La scienza ricercata. Economia politica e filosofia. Studi su Aristotele e Marx, Treviso 1978.

III.

Filosofia e economia

Genesi dello spazio economico. Il labirinto della ragione sociale: filosofia societá e autonomia dell’economia, Guida, Napoli 1982.

IV.

Parmenide e la genesi dell’ontologia

Parmenide, Venezia-Padova 1975; Parmenide, Il Poema sulla natura, introd., traduzione di G. Reale; saggio introduttivo e commento di L. Ruggiu, Rusconi, Milano 1991; Parmenide di Elea, in Le radici del pensiero filosofico. I – La filosofia greca: dai presocratici ad Aristotele, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1993; Parmenide. Nostos, L’essere e gli enti, Edizione rivista e ampliata, con testo e traduzione dei frammenti, e con un saggio: Mimesis, Milano-Udine 2014.

V.

La filosofia di Hegel

L. Ruggiu – I. Testa (a cura), Hegel contemporaneo. La ricezione americana di Hegel a confronto con la tradizione europea, Guerini e Associati, Milano 2003; L. Ruggiu – J. M. Cordon (cura), La crisi dell’ontologia. Dall’idealismo tedesco alla filosofia contemporanea, Guerini e Associati, Milano 2004; L’assoluto come nulla e la ragione come negare: Hegel a Jena, in Hegel e il nichilismo, a cura di F. Michelini e R. Morani, Franco Angeli editore, Milano 2003, pp. 21-40; Intersoggettività e universale della comunicazione, in L’Universale ermeneutico, a cura di G. Nicolacci e L. Samonà, Biblioteca del Giornale di Metafisica, Tilgher, Genova 2003, pp. 13-28; Spirito assoluto, intersoggettività, socialità della ragione, «Giornale di Metafisica», nuova serie, XXV (2003), pp. 393-418; Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel, Mimesis, Milano 2013.

 

VI.

Questioni di storia della storiografia

Il presente del passato. La ripresa del pensiero classico nella filosofia contemporanea, in L’oggetto della storia della filosofia. Storia della filosofia e filosofie contemporanee, a cura di R. Racinaro, La Città del Sole Editore, Napoli 1998, pp. 173-222; La ripresa dell’antico in Giordano Bruno, in Giordano Bruno: destino e verità, a cura di D. Goldoni – L. Ruggiu, Marsilio, Venezia 2002, pp. 185-224.


Aristotele, Fisica. A cura di L. Ruggiu

Aristotele, Fisica. A cura di L. Ruggiu

 

Aristotele, Fisica. Nuova edizione

Aristotele, Fisica. Nuova edizione

Genesi dello spazio economico

Genesi dello spazio economico

 

Il tempo in questione occidentale Paradigmi sulla temporalità nel pensiero occidentale

Il tempo in questione. Paradigmi sulla temporalità nel pensiero occidentale

 

Lo spazio sociale della ragione. Da Hegel in avanti

Lo spazio sociale della ragione. Da Hegel in avanti

 

Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel

Lo spirito è tempo. Saggi su Hegel

 

Logica Metafisica Politica. Hegel a Jena

Logica Metafisica Politica. Hegel a Jena

 

Parmenide. Nostos. L'essere degli enti

Parmenide. Nostos. L’essere degli enti

 

Parmenide. Poema sulla Natura

Parmenide. Poema sulla Natura

 

Parmenide

Parmenide

 

Tempo della fisica e tempo dell'uomo. Parmenide, Aristotele, Agostino

Tempo della fisica e tempo dell’uomo. Parmenide, Aristotele, Agostino

 

Teoria e prassi in Aristotele

Teoria e prassi in Aristotele


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Bertolt Brecht (1898-1956) – Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.

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bertolt-brecht76766   «Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili».

Bertolt Brecht, In morte di Lenin,

in Poesie e Canzoni, Antologia dell’opera poetica di Bertolt Brecht, con una scelta di poesie postume. Versioni di Ruth Leiser e Franco Fortini. Prefazione di Franco Fortini, Einaudi, 1967.


Bertolt Brecht (1898-1956) – Gli amanti costruiscano il loro amore conferendogli alcunché di storico, come se contassero su una storiografia. L’attimo non vada perduto
Bertolt Brecht (1898-1956) – Il commercio non è mai pacifico. Parole come «commercio pacifico» nella storia non hanno un posto. I confini che le merci non possono superare, vengono superati dagli eserciti.

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Manlio Dinucci – Guerra nucleare. Il giorno prima. Da Hiroshima a oggi: chi e come ci porta alla catastrofe.

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Guerra nucleare. Il giorno prima

 

 

 

 

377px-Nagasakibomb  Sembra di vivere nel film “The day after” (1983), in quella cittadina del Kansas dove la vita scorre tranquilla accanto ai silos dei missili nucleari, con la gente che il giorno prima ascolta distrattamente le notizie sul precipitare della situazione internazionale, finché vede i missili lanciati contro l’URSS e poco dopo spuntare i funghi atomici delle testate nucleari sovietiche. Questo libro ricostruisce la storia della corsa agli armamenti nucleari dal 1945 ad oggi, sullo sfondo dello scenario geopolitico mondiale, contribuendo a colmare il vuoto di informazione creato ad arte su questo tema di vitale importanza. Si è diffusa la sensazione che una guerra nucleare sia ormai inconcepibile e si è creata di conseguenza la pericolosa illusione che si possa convivere con la Bomba. Ossia con una potenza distruttiva che può cancellare la specie umana e quasi ogni altra forma di vita. Lo possiamo evitare, mobilitandoci per eliminare le armi nucleari dalla faccia della Terra. Finché siamo in tempo, il giorno prima.

 

 

Da Hiroshima a oggi:  chi e come ci porta alla catastrofe

di Manlio Dinucci

La lancetta dell’«Orologio dell’Apocalisse» – il segnatempo che sul Bollettino degli Scienziati Atomici statunitensi indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare – è stata spostata in avanti: da 3 a mezzanotte nel 2015 a 2,5 minuti nel 2017. Tale fatto passa però inosservato o, comunque, non suscita particolari allarmi.

Sembra di vivere nel film The Day After (1983), in quella cittadina del Kansas dove la vita scorre tranquilla accanto ai silos dei missili nucleari, con la gente che il giorno prima ascolta distrattamente le notizie sul precipitare della situazione internazionale, finché vede i missili lanciati contro l’URSS e poco dopo spuntare i funghi atomici delle testate nucleari sovietiche.

Questo libro ricostruisce la storia della corsa agli armamenti nucleari dal 1945 ad oggi, sullo sfondo dello scenario geopolitico mondiale, contribuendo a colmare il vuoto di informazione creato ad arte su questo tema di vitale importanza. Si è diffusa la sensazione che una guerra nucleare sia ormai inconcepibile e si è creata di conseguenza la pericolosa illusione che si possa convivere con la Bomba. Ossia con una potenza distruttiva che può cancellare la specie umana e quasi ogni altra forma di vita. Lo possiamo evitare, mobilitandoci per eliminare le armi nucleari dalla faccia della Terra.  Finché siamo in tempo, il giorno prima.

L’autore, giornalista e saggista,  collaboratore de il manifesto e di Pandora TV, è membro del Comitato No Guerra No Nato.
Con Zambon Editore ha pubblicato L’Arte della Guerra / Annali della strategia USA/NATO (1990-2016).
È stato direttore esecutivo per l’Italia della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione insignita nel 1985 del Premio Nobel per la Pace per aver «fornito preziosi servigi all’umanità divulgando informazioni autorevoli e diffondendo la consapevolezza sulle catastrofiche conseguenze di un conflitto nucleare».

INDICE

1 La nascita della Bomba 
1.1 Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki
1.2 Gli effetti dell’esplosione nucleare su una città
1.3 Gli effetti della ricaduta radioattiva
1.4 L’inverno nucleare

2 La corsa agli armamenti nucleari 
2.1 Il confronto nucleare USA-URSS
2.2 I missili balistici intercontinentali
2.3 La crisi dei missili a Cuba e l’ingresso della Cina tra le potenze nucleari
2.4 La pianificazione dell’attacco nucleare
2.5 Il Trattato sullo spazio esterno e il Trattato di non-proliferazione 
2.6 I missili balistici a testate multiple indipendenti 
2.7 La bomba N
2.8 I trattati sui missili anti-balistici e sulla limitazione delle armi strategiche
2.9 La Bomba segreta di Israele 
2.10 L’ingresso di Sudafrica, India e Pakistan tra le potenze nucleari

3 La polveriera nucleare 
3.1 Un milione di Hiroshima
3.2 La «valigetta nucleare»
3.3 I falsi allarmi di attacco nucleare
3.4 Gli incidenti con armi nucleari
3.5 L’inquinamento radioattivo dei test e degli impianti nucleari
3.6 Il legame tra nucleare militare e civile
3.7 Gli incidenti alle centrali nucleari
3.8 I movimenti antinucleari durante la guerra fredda 

4 Le guerre del dopo guerra fredda 
4.1 Il mondo al bivio
4.2 Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda
4.3 Le armi a uranio impoverito 
4.4 Il riorientamento strategico degli Stati Uniti 
4.5 Il riorientamento strategico della NATO
4.6 L’intervento NATO nella crisi balcanica e la guerra contro la Jugoslavia 
4.7 Terreno di prova dei bombardieri da attacco nucleare e uso massiccio di armi a uranio impoverito 
4.8 Il superamento dell’Articolo 5 e la conferma della leadership USA
4.9 Il «Nuovo Modello di Difesa» dell’Italia
4.10 L’espansione della NATO ad Est verso la Russia

5 La messinscena del disarmo 
5.1 Le armi nucleari e lo «scudo anti-missili» nella ristrutturazione delle forze USA
5.2 I trattati START sulla riduzione delle armi strategiche 
5.3 La messa al bando dei test nucleari e i test «subcritici»
5.4 Il Trattato di Mosca e il nuovo START
5.5 L’ingresso della Corea del Nord tra le potenze nucleari
5.6 Altri paesi in grado di fabbricare armi nucleari 
5.7 Le armi chimiche e biologiche 

6 La nuova offensiva USA/NATO 
6.1 11 Settembre: maxi-attacco terroristico in mondovisione 
6.2 11 Settembre: le falle della versione ufficiale 
6.3 Afghanistan: l’inizio della «guerra globale al terrorismo» 
6.4 La seconda guerra contro Iraq
6.5 La guerra contro la Libia
6.6 La guerra coperta contro la Siria e la formazione dell’ISIS
6.7 Il colpo di stato in Ucraina 
6.8 Le guerre segrete dal volto umanitario 

7 L’Europa sul fronte nucleare 
7.1 L’Europa nel riarmo nucleare del Premio Nobel per la pace
7.2 Italia: portaerei nucleare USA/NATO nel Mediterraneo
7.3 La B61-12, nuova bomba nucleare USA per l’Italia e l’Europa 
7.4 L’escalation USA/NATO in Europa
7.5 Lo «scudo» USA sull’Europa 

8 Gli scenari dell’Apocalisse 
8.1 L’escalation qualitativa del confronto nucleare
8.2 La preparazione del first strike nucleare 
8.3 Armi elettromagnetiche e laser e aerei robot spaziali per la guerra nucleare
8.4 La mortale minaccia del plutonio e il monito inascoltato di Fukushima 
8.5 La minaccia del terrorismo nucleare 
8.6 Le nanoarmi: potenziali detonatori della guerra nucleare

9 Il giorno prima finché siamo in tempo
9.1 La strategia dell’Impero Americano d’Occidente
9.2 Il sistema bellico planetario degli Stati Uniti d’America 
9.3 L’ancoraggio dell’Italia alla macchina da guerra USA/NATO
9.4 Il disancoraggio dalla macchina da guerra USA/NATO, per un’italia sovrana e neutrale, libera dalle armi nucleari 

FONTE http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-guerra_nucleare_il_giorno_prima__da_hiroshima_a_oggi_chi_e_come_ci_porta_alla_catastrofe/5871_22802/

 


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Petite Plaisance – A COSA SIAMO CHIAMATI? Ad una resistenza, in primo luogo culturale, alla attuale logica sistemica. Negando il proprio voto ai politici che legittimano il capitalismo assoluto. A dare l’esempio di una vita non motivata dalla ricerca del denaro e dei consumi e non guidata dalla tecnica. A progettare un mondo diverso perché si vuol vivere bene e nella verità.

A cosa siamo chiamati

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 Il nostro invito augurale
L’unico modello in rapporto al quale è umanamente sensato capire cosa vada accettato, e cosa respinto, di un sistema economico, è la libera comunità.
Il sistema economico contemporaneo è la negazione speculare della libera comunità, in quanto produce una collettività disgregata, despiritualizzata, coattivamente e ossessivamente comandata dalla ricerca del profitto e dalle procedure della tecnica. Esso prefigura perciò la morte dell’umanità dell’uomo, proprio in quanto è al di fuori di ogni giustizia e di ogni amore.
Un sistema economico, come quello oggi vigente su scala planetaria, che ha come suo elemento motore e come suo fine intrinseco il profitto monetario privato, e che si sviluppa senza più alcun condizionamento di princípi non economici, è la materializzazione stessa dell’ingiustizia.
Chi vive tranquillo sotto un simile sistema, non trovando nulla di riprovevole nell’attività delle banche, delle società finanziarie e delle imprese volte al profitto, dando il proprio voto ai politici che legittimano questo stato di cose, evitando di condannare pubblicamente i detentori del potere, accettando entusiasticamente tutte le innovazioni tecniche, è perciò un operatore di ingiustizia.
Le esperienze di resistenza a questo sistema sociale (esperienze di agire comunitario non mercantile, esperienze di rifiuto dei comportamenti tecnicizzati, esperienze di autentica comunicazione culturale al di fuori dei ruoli imposti dai poteri dominanti, esperienze di contrasto dei poteri economici e politici, ecc.), se sono vissute in maniera spiritualmente sana come esperienze d’amore per l’umanità dell’uomo e di libera comunità, non possono non essere avvertite come gratificanti e realizzanti di  per se stesse nel loro presente, indipendentemente dall’esito storico dei loro risultati nel loro presente e futuro temporale. Se si ha capacità di amare, e di progettare un mondo diverso, si resiste alla logica di questo sistema sociale semplicemente perché si vuol vivere bene e nella verità.

A COSA SIAMO CHIAMATI ?
La nostra umanità esige, per non morire, una resistenza, in primo luogo culturale, alla attuale logica sistemica.
Ciascuno di noi è chiamato, come uomo morale, a questa resistenza:
– è chiamato a considerare gli oligarchi dell’economia sempre avidi di sfruttare il lavoro, il territorio, i mercati, e i tecnoscienziati intenti a manipolare le specie viventi, per quello che in realtà sono: gli artefici consapevoli della distruzione dell’umanità dell’uomo;
– è chiamato a sottrarsi, nei limiti del possibile, alle logiche disumanizzanti;
– è chiamato a sperimentare le forme oggi possibili di agire comunitario;
– è chiamato a dare l’esempio di una vita non motivata dalla ricerca del denaro e dei consumi e non guidata dalla tecnica;
– è chiamato a pensare concettualmente e criticamente anche riguardo al funzionamento della propria personalità.

Quando la resistenza degli esseri umani guidati dalla loro capacità di amare, dal loro spirito di giustizia, e dalla loro comprensione intelligente di se stessi e della società, avrà spezzato in qualche punto della presente vita coattivamente “associata” l’attuale logica sistemica, e quando le carenze e le disfunzioni derivanti da tali rotture saranno affrontate con una logica nuova, in vista di soluzioni ispirate al vincolo solidale  e comunitario che deve legare tutti gli esseri umani, allora saremo usciti dal sentiero della notte.

Associazione culturale Petite Plaisance

 


Immagine in evidenza: Paul Klee, Ad Parnassum, 1932.

 

 

Coperta Quale progettualità?

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Petite Plaisance – Cerchiamo insieme nuovi orizzonti di senso! Ciò che molti dicono essere «impossibile» è invece il possibile cammino verso la realtà, verso la vera umanità dell’uomo, e la vera sapienza.

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Paul Auster – Ciascun libro è un’immagine di solitudine, le sue parole rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un individuo. Ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine.

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L’invenzione della solitudine

 

«Per gran parte della sua vita da adulto ha sbarcato illunario traducendo i libri di altri scrittori. Siede alla scrivania, legge il libro in francese, poi prende la penna e riscrive lo stesso libro in inglese. Si tratta e nel contempo non si tratta dello stesso libro, e la stranezza di quell’ attività non ha mai cessato di stupido. Ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere, e le sue parole rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un individuo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine. Un uomo solo è seduto in una stanza e scrive.
Che parli di isolamento o di compagnia, di amicizia, il libro è necessariamente generato da una solitudine. A. siede nella sua stanza a tradurre il libro di un altro, ed è come se entrasse nella solitudine di quell’uomo facendola propria. Ma questo è irrealizzabile perché quando si apre una falla nella solitudine, quando di una solitudine si impossessa qualcun altro, non è più solitudine, ma una specie di compagnia. Anche se nella stanza c’è una persona sola, in realtà ce ne sono due. A. si immagina come uno spettro dell’altro individuo, che a un tempo è e non è presente, e il cui libro è a un tempo identico e differente da quello che lui sta traducendo. Dunque, dice fra sé, è possibile essere e non essere soli nello stesso momento. Una parola diventa un’altra parola, una cosa ne diventa un’altra».

Paul Auster, L’invenzione della solitudine, Einaudi, 1997.

 

Sinossi

l libro si compone di due scritti speculari. Il primo, "Il ritratto di un uomo invisibile", è una meditazione sulla scomparsa del padre, scritta qualche settimana dopo la sua morte. "Niente è più terribile che trovarsi faccia a faccia con gli oggetti di un morto. Le cose di per sé sono inerti: assumono significato solo in funzione della vita che ne fa uso", scrive Auster nel passare in rassegna le carte e gli oggetti del padre. Nel secondo "pezzo", "Il libro della memoria", l'autore sposta la sua attenzione dalla sua identità di figlio a quella di padre: riflette sulla condizione solitaria dello scrittore e prova a immaginare quella che sarà fatalmente la separazione dal figlio che cresce.


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Paul Auster – Un giorno c’è la vita. Poi, d’improvviso, capita la morte. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque momento.

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L’invenzione della solitudine

 

«Un giorno c’è la vita. Per esempio, un uomo sano, neanche vecchio, senza trascorsi di malattie. Tutto è com’era prima e come sarà sempre. Passa da un giorno all’altro pensando ai fatti suoi, sognando solo il tempo che ancora gli si prepara. Poi, d’improvviso, capita la morte. Un uomo esala un leggero sospiro, si abbandona sulla sedia, ed è la morte. La sua subitaneità non lascia spazio al pensiero, non dà occasione allo spirito di cercare una parola che possa consolarlo. Restiamo soli con la morte, col dato inoppugnabile della nostra mortalità. La morte dopo lunga malattia possiamo accettarla con rassegnazione. Anche la morte accidentale si può attribuire al destino. Ma che un uomo muoia senza causa apparente, che muoia solamente perché è uomo, ci spinge così vicino all’invisibile confine tra la vita e la morte da farci domandare su che lato di esso ci troviamo. La vita si fa morte, ed è come se quella morte avesse posseduto questa vita da sempre. Morire senza preavviso. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque momento».

Paul Auster, L’invenzione della solitudine, Einaudi, 1997.

 

Sinossi

l libro si compone di due scritti speculari. Il primo, "Il ritratto di un uomo invisibile", è una meditazione sulla scomparsa del padre, scritta qualche settimana dopo la sua morte. "Niente è più terribile che trovarsi faccia a faccia con gli oggetti di un morto. Le cose di per sé sono inerti: assumono significato solo in funzione della vita che ne fa uso", scrive Auster nel passare in rassegna le carte e gli oggetti del padre. Nel secondo "pezzo", "Il libro della memoria", l'autore sposta la sua attenzione dalla sua identità di figlio a quella di padre: riflette sulla condizione solitaria dello scrittore e prova a immaginare quella che sarà fatalmente la separazione dal figlio che cresce.


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Byung-Chul Han – Non è l’assenza di legami e di radici a rendere liberi, ma la presenza di legami e di integrazione.

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011   «Essere liberi non significa semplicemente essere privi di legami e di vincoli. Non è l’assenza di legami e di radici a rendere liberi, ma la presenza di legami e di integrazione. La mancanza assoluta di relazioni crea invece angoscia e inquietudine. La stessa radice indogermanica fri, da cui derivano in tedesco termini come frei (libero), Friede (pace) e Freund (amico), significa “amare”. In questo senso “libero” oroginariamente significa “appartenente agli amici e agli amanti”».

Byung-Chul Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Vita e Pensiero, Milano, 2017, pp. 40- 41.

 

Quarta di copertina

Viviamo in perenne mancanza di tempo. Quasi in apnea, ci affrettiamo per poter fare esperienza di tutto quello che il nostro mondo iperproduttivo ci mette davanti. Accelerare per avere più tempo è diventato l’imperativo della nostra vita. Ma questa ‘epoca dell’affanno’, in definitiva, ci rende ansiosi, stressati, disorientati. L’accelerazione della tecnologia e delle trasformazioni sociali non solo ha annientato lo spazio e la geografia stessa (ogni luogo è a portata di un clic o di qualche ora di aereo), ma ha atomizzato il tempo, lo ha frammentato in tanti ‘attimi presenti’ che si sostituiscono l’uno all’altro, che non conoscono più pause e intervalli, soglie e passaggi, e soprattutto non costruiscono più un’unica storia: la nostra. Perché questa disgregazione riguarda anche la nostra identità, che si impoverisce e si riduce, soffocata dalle proprie attività senza durata. Sono queste le riflessioni che Byung-Chul Han, il filosofo coreano che ama riflettere sull’uomo svelandone la situazione critica di fronte agli stimoli della società contemporanea, mette a fuoco in questo libro dal titolo seducente. Percorrendo in modo originale il pensiero filosofico sul tempo, da Aristotele e Tommaso a Heidegger e Arendt, passando per Hegel, Marx e Nietzsche (ma soffermandosi anche a lungo sull’opera di Proust), egli ci mette di fronte a quella che riassume come un’assolutizzazione della vita activa: la necessità di produrre (e consumare) come forma di realizzazione umana, che finisce per sottrarre all’uomo respiro e spirito. Bisogna allora riguadagnare un posto alla vita contemplativa, nella sua forma più quotidiana e vicina. Vale a dire reimparare a fermarsi, a ‘indugiare’: bellissimo verbo che parla di pause, di ozio meditativo, di sguardo lungo e cordiale sulle cose. In una parola, lo sguardo contemplativo restituisce al tempo il suo ‘profumo’, che è lento e permanente, che sa di ricordo e di memoria. Acquista allora un senso nuovo e smette di essere solo una stravagante curiosità l’orologio ‘a profumo’ dell’antica Cina, cui l’autore dedica pagine piene di poesia, che misura il tempo col bruciare di un profumato sigillo d’incenso: alla fine, resta un’eccedenza speciale, un aroma che riempie lo spazio, che indugia nell’aria in un momento sospeso e denso che apre alla felicità.

 



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José Ortega y Gasset (1883-1955) – La scienza necessita di un lavoro di ricostruzione. Ciò richiede uno sforzo di unificare, ogni volta più difficile, regioni più vaste del sapere totale.

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La ribellione delle masse, Il Mulino

La ribellione delle masse

 

007u  La filosofia non ha bisogno né di protezione, né di attenzione, né di simpatia da parte delle masse. Cura il suo aspetto di perfetta inutilità; e con ciò si affranca da ogni soggezione all’uomo-medio. Sa di essere per essenza problematica, e abbraccia allegramente il suo libero destino di uccello del buon Dio, senza chiedere a nessuno che l’accetti, senza raccomandarsi né difendersi.  J. Ortega y Gasset

 

«Il risultato più immediato di questo specialismo non compensato è che proprio oggi, quanto “gli uomini di scienza” sono più numerosi che mai, ci siano molti meno uomini “colti” di quanti ce ne fossero, ad esempio, intorno al 1750. E il peggio è che con questi furetti della caccia scientifica non si può neppure considerare assicurato il progresso della scienza. Perché la scienza necessita periodicamente, come organica regolazione del suo stesso sviluppo, di un lavoro di ricostruzione e, come ho già detto, questo richiede uno sforzo di unificare, ogni volta più difficile, regioni più vaste del sapere totale».

José Ortega y Gasset, La ribellione delle masse, Milano, 2001, p. 137.

 

La ribellione delle masse

La ribellione delle masse



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Alessandro Leogrande (1977-2017) – Mi chiedo se lo sguardo di Caravaggio nel «Martirio di San Matteo» non sia anche il nostro sguardo nei confronti dei naufragi, dei viaggi dei migranti e soprattutto della violenza politica o economica che li genera. La violenza del mondo. Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte.

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La violenza del mondo

 

Caravaggio nel martirio_bb   La violenza estrema atterrisce. Atterrisce la sua epifania priva di alternative. Al massimo si grida, si scappa, ma raramente si è pronti a intervenire. Così Matteo, la vittima, tra poco verrà finito. Da oltre quattrocento anni, per ogni sguardo che si pone sul dipinto, sta per essere trucidato. La porzione in cui compare il volto barbuto è un autoritratto, quella porzione di tela mi sembra un manifesto. Una riflessione incandescente sulla violenza del mondo, e sul rapporto che instaura con essa chi la osserva. Ora mi chiedo se lo sguardo di Caravaggio non sia anche il nostro sguardo nei confronti dei naufragi, dei viaggi dei migranti e soprattutto della violenza politica o economica che li genera. Ho impiegato molto tempo per capirlo. Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte.

 

Tra le pieghe dell’opera si cela l’enigma del non agire.

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Caravaggio, Martirio di San Matteo.

In un pomeriggio assolato entro nella chiesa di San Luigi dei francesi. È insolitamente vuota, una manciata di turisti si aggira nella penombra. Mi dirigo automaticamente verso le tele del Caravaggio esposte sulle pareti della cappella Contarelli, la prima cappella alla sinistra dell’altare, e mi accorgo che sono anni ormai che non ci metto piede. Sono anni che non vedo la Vocazione e il Martirio di san Matteo, benché quei dipinti realizzati tra la fine del Cinquecento e gli albori del Seicento mi abbiano sempre accompagnato e siano rimasti in un angolo della mia mente, al fondo di tante riflessioni e di tante conversazioni.
Così mi ritrovo incantato a guardare il Martirio, che come sempre cattura i miei pensieri ancora più della Vocazione. In quella scena di cruda, assoluta, improvvisa violenza si affollano le nostre debolezze di fronte al mistero del male. Tra le pieghe dell’opera si cela l’enigma del non agire.
C’è un vecchio steso a terra, la barba grigia, i capelli stempiati, sembra essere scivolato pochi istanti prima. È Matteo. Ha una mano alzata verso l’alto, cerca di parare il colpo che sta per arrivare. Ma il polso, lo stesso polso che sostiene la mano aperta, è afferrato dalle dita del sicario.
È lui il fulcro del quadro. Il centro intorno al quale tutto ruota è l’ottuso carnefice, non la vittima. Quest’ultima è vestita. Lui invece è nudo, un lembo di stoffa copre i genitali. Fissa negli occhi Matteo: con una mano blocca il suo polso, con l’altra impugna la spada.
Caravaggio non ritrae l’uccisione, ma l’attimo prima della mattanza. Decide di fissare sulla tela l’istante prima che la violenza si compia. Sospende il tempo esattamente su quel momento. Ma quella stessa violenza, la cui intenzione si sprigiona come un tuono dal corpo del carnefice, è già esplosa per tutto il quadro. Si è già irradiata per cerchi concentrici verso i suoi quattro angoli.
Si sentono le grida, la tensione ferina, l’odore acre della paura. La scena è affollata di gente che si ritrae dalla mano del boia. Chi scappa, chi urla, chi inciampa nella fuga, chi alza a sua volta le mani. Sono tutti puntini di un cerchio che si sta dilatando. Nessuno compie il movimento contrario, né tanto meno prova a fermare la spada. Ed è la stessa reazione, penso, che avrebbe chiunque davanti a un’esecuzione di mafia o a un attentato terroristico realizzati in pieno giorno in mezzo alla strada o in un luogo affollato. È la stessa reazione che abbiamo tutti, in genere, di fronte alla violenza. Più precisamente davanti alle armi che stanno per provocare una morte violenta: davanti a una lama sguainata, a una pistola che sta per sparare.
La violenza estrema atterrisce. Atterrisce la sua epifania priva di alternative. Al massimo si grida, si scappa, ma raramente si è pronti a intervenire.
Così Matteo, la vittima, tra poco verrà finito. Da oltre quattrocento anni, per ogni sguardo che si pone sul dipinto, sta per essere trucidato. Manca una manciata di secondi. La vittima, in fondo, sa come andranno le cose.

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Ma non è il solo. Nell’intreccio di sguardi che tiene insieme il quadro, ci sono innanzitutto gli occhi della vittima e del carnefice, incrociati tra loro e immensamente diversi. E, in secondo luogo, quelli di ripulsa, panico, indifferenza inebetita di tutti gli astanti, che convergono verso il centro, tanto quanto le onde della violenza esplodono verso l’esterno. Ma poi ci sono anche gli occhi di un uomo con la barba.

Caravaggio nel martirio

Caravaggio nel Martirio di San Matteo.

È alle spalle del sicario. Si trova alla sua destra, qualche metro più indietro. Guarda Matteo a terra, e anche lui sa perfettamente cosa sta per accadere.
Quell’uomo, come dicono tutti i testi critici sul dipinto, è Caravaggio. La porzione in cui compare il volto barbuto è un autoritratto. Eppure, più che un’immagine di sé da consegnare ai posteri, nella penombra della chiesa rotta dai faretti quella porzione di tela mi sembra un manifesto. Una riflessione incandescente sulla violenza del mondo, e sul rapporto che instaura con essa chi la osserva.
C’è un dolore misto a commiserazione nel suo sguardo: un’infinita tristezza. A differenza degli altri spettatori Caravaggio non fugge, guarda la vittima perché non può fare altro che stare dalla sua parte e vedere come va a finire ciò che si sta per compiere. Ha già intuito tutto, ma non interviene. Sa di non poter intervenire, di non poter fermare quella spada. La sua commiserazione è ancora più dolorosa perché totalmente impotente. La lucida interpretazione dei fatti, e ancor di più il genio dell’arte, non arresteranno il massacro. Può solo provare pietà.

Dipingendo il proprio sguardo, Caravaggio definisce l’unico modo di poter guardare all’orrore del mondo. Stabilisce geometricamente la giusta distanza a cui collocarsi per fissare la bestia. Dentro la tela, manifestamente accanto alle cose, non fuori con il pennello in mano. Eppure sa anche che tale sguardo è inefficace, non cambierà il corso delle cose. Non impedirà l’omicidio di quell’uomo anziano caduto per terra, mentre prova a parare i colpi della lama a mani nude.

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Un-autoritratto del Caravaggio.

La luce che illumina il dipinto si spegne di colpo, e mi rendo conto di non avere più spiccioli nelle tasche per farla riaccendere. Mi giro intorno alla ricerca del sostegno di qualche turista, ma non c’è più nessuno.
Il dipinto di colpo è piombato nell’oscurità. Scorgo ancora il corpo del carnefice, ma il volto del Merisi si percepisce appena. Ormai è quasi sparito del tutto, perso nell’ombra.
[…] Ora mi chiedo se lo sguardo di Caravaggio non sia anche il nostro sguardo nei confronti dei naufragi, dei viaggi dei migranti e soprattutto della violenza politica o economica che li genera.
Nella migliore delle ipotesi, ovviamente. Quando cioè quello sguardo non è inquinato dall’apatia, dall’indifferenza, dallo stesso fastidio per l’oscenità della morte. Quando quello sguardo non è già, fin dal principio, connivente con la lama dell’aguzzino.
Non appena osserviamo il mondo con gli stessi occhi di Caravaggio, esso si rivela come un universo di violenza ferina. Tuttavia, non è la violenza a sgomentarci. Ma il fatto che, anche quando comprendiamo pienamente le sue leggi, non riusciamo ad arrestarle.
Si può ridurre il male? Si possono creare delle zone libere all’interno delle quali il suo impatto sia meno devastante? È possibile risolvere le cause che generano la fuga in massa di interi popoli? Riusciamo a dare a quelle cause il nome di stermini silenziosi?
E, soprattutto, riusciamo a capire che i viaggi vengono dopo tutto questo?
Attraversare mezzo mondo per ritrovarsi in Europa non è solo un fatto geografico, non riguarda soltanto le dogane, le polizie di frontiera, i passeurs, gli scafisti, i trafficanti, i centri di detenzione, le navi militari, i soccorsi, gli aiuti, i tir, le corse e le rincorse, gli stop e i respingimenti. Non riguarda solo questo, benché tutto questo possa coincidere, per molti, con l’evento saliente della propria esistenza. Ha a che fare innanzitutto con se stessi. Saltare i muri è innanzitutto un’esperienza individuale.
Alla base di ogni viaggio c’è un fondo oscuro, una zona d’ombra che raramente viene rivelata, neanche a se stessi. Un groviglio di pulsioni e ferite segrete che spesso rimangono tali. Ma capita altre volte che ci siano dei viaggiatori che ne hanno passate così tante da esserne saturi. Sono talmente appesantiti dalla violenza e dai traumi che hanno dovuto subire, talmente nauseati dall’odore della morte che hanno avvicinato, da non voler fare altro che parlarne.
Allora, in quei momenti, hanno bisogno di incontrare un altro viaggiatore. Perché solo un altro viaggiatore può capire il peso delle parole che pronunceranno, solo un altro viaggiatore può indicargli la strada della leggerezza. Tutti gli altri restano sempre a qualche metro di distanza, sulla terraferma, incapaci di afferrare il senso di ciò che viene detto.
Ho impiegato molto tempo per capirlo. Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle, come hanno fatto altri viaggiatori fin dalla notte dei tempi.
Ascoltare dalla voce di chi ha oltrepassato i confini come essi sono fatti. Come sono fatte le città e i fiumi, le muraglie e i loro guardiani, le carceri e i loro custodi, gli eserciti e i loro generali, i predoni e i loro covi. Come sono fatti i compagni di viaggio, e perché – a un certo punto – li si chiama compagni.

Come sono fatte le barche.
Come sono fatte le onde del mare.
Come è fatto il buio della notte.
Come sono fatte le luci che si accendono nell’oscurità.

Quelle voci sono plasmate con la stessa pasta dei sogni. Si riempiono di rabbia e utopia, desiderio e paura, misericordia e furore.
La terra e il cielo di prima non ci sono più laddove un nuovo cielo e una nuova terra si stagliano davanti ai loro discorsi.
Sovente si infervorano. E allora gli occhi si sgranano e le bocche si torcono per afferrare le sillabe che compongono la parola da cui tutte le altre discendono. E ogni volta che viene pronunciata, il mondo nuovo si affretta a venire mentre quello vecchio scompare lentamente. Il desiderio cresce, la foga diviene innocente e i morti sembrano meno morti, tanto che la sorte può essere sfidata ancora una volta. Quella parola indica una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano.

È la frontiera.

Per molti è sinonimo di impazienza, per altri di terrore.
Per altri ancora coincide con gli argini di un fortino che si vuole difendere. Tutti la mettono in cima alle altre parole, come se queste esistessero unicamente per sorreggere le frasi che delineano le sue fattezze.
La frontiera corre sempre nel mezzo.
Di qua c’è il mondo di prima. Di là c’è quello che deve ancora venire, e che forse non arriverà mai.

Alessandro Leogrande, La frontiera, Feltrinelli, 2017, pp. 309-314.

 

Quarta di copertina

C’è una linea immaginaria eppure realissima, una ferita non chiusa, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico. È sul margine di questa frontiera che si gioca il Grande gioco del mondo contemporaneo. Questa soglia è inafferrabile, indefinibile, non-materiale: la scrittura vi si avvicina per approssimazioni, tentativi, muovendosi nell’inesplorato, là dove si consumano le migrazioni e i respingimenti, là dove si combatte per vivere o per morire. Leogrande ci porta a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum e pesca le parole dai fondali marini in cui stanno incastrate e nascoste. Ci porta a conoscere trafficanti e baby-scafisti, insieme alle storie dei sopravvissuti ai naufragi del Mediterraneo al largo di Lampedusa; ricostruisce la storia degli eritrei, popolo tra i popoli forzati alla migrazione da una feroce dittatura, causata anche dal colonialismo italiano; ci racconta l’altra frontiera, quella greca, quella di Alba Dorata e di Patrasso, e poi l’altra ancora, quella dei Balcani; ci introduce in una Libia esplosa e devastata, ci fa entrare dentro i Cie italiani e i loro soprusi, nella violenza della periferia romana e in quella nascosta nelle nostre anime: così si dà parola all’innominabile buco nero in cui ogni giorno sprofondano il diritto comunitario e le nostre coscienze. Quanta sofferenza. Quanto caos. Quanta indifferenza. Da qualche parte nel futuro, i nostri discendenti si chiederanno come abbiamo potuto lasciare che tutto ciò accadesse. Quella parola indica una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano.
È la frontiera.

 



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