Euripide (480 a.C.-406 a.C.) – Gli dei non odiano chi è nobile d’animo, soltanto lo fanno soffrire di più di chi non vale niente.

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«Gli dei non odiano chi è nobile d’animo,
soltanto lo fanno soffrire di più di chi non vale niente».

Euripide, Elena, vv.1678-1679.

 

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Elias Canetti (1905-1994) – È intrinseco alla mia natura rifiutare e odiare ogni morte. L’intima natura del potente consiste nel fatto che costui odia la propria morte, soltanto la propria però, mentre la morte degli altri gli è non solo indifferente, ma perfino necessaria.

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Il libro contro la morte

A me non interessa abolirla, cosa che non sarebbe possibile.
A me interessa soltanto bandire la morte.
E. Canetti
 ***
Il mio istinto più profondo è volto contro l’uccidere, ma con l’uccidere assurge e cade il potente. L’intima natura del potente consiste nel fatto che costui odia la propria morte, soltanto la propria però, mentre la morte degli altri gli è non solo indifferente, ma perfino necessaria. Questa tensione fra la propria morte e quella degli altri è il suo carattere costitutivo.
È intrinseco alla mia natura rifiutare e odiare ogni morte.
Non ritengo impossibile che, fra qualche tempo, io arrivi ad accettare in parte la mia morte, ma non accetterò mai quella altrui. Di questo sono cosÌ sicuro, lo sento cosÌ intensamente che potrei porlo come principio del mio pensiero e del mio mondo. E il mio Cogito ergo sum. Odio la morte, dunque sono. Mortem odi ergo sum. Laddove questa frase tralascia la cosa più importante, ossia che io odio ogni morte.
E. Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi, 2017, pp. 113-114.
***
Tutte le vite mancate.
Tutti quelli che non furono amati. Tutti quelli che non seppero amare. Tutti quelli cui non fu
dato di accudire un bambino. Tutti quelli che non erano a casa loro. Tutti quelli che non conobbero la varietà degli animali. Tutti quelli che non prestarono mai ascolto a lingue straniere. Tutti quelli che mai si stupirono per le diverse forme di credulità. Tutti quelli che non si batterono contro la morte. Tutti quelli che non furono sopraffatti dal bisogno di sapere. Tutti quelli cui non fu concesso di  le loro innumerevoli conoscenze. Tutti quelli che non vacillarono mai. Tutti quelli che non dissero mai di no. Tutti quelli che non si vergognarono mai della loro pancia. Tutti quelli che non sognarono la fine delle uccisioni. Tutti quelli che si lasciarono strappare i loro ricordi. Tutti quelli che non cedettero mai al loro orgoglio. Tutti quelli che non si vergognarono degli onori. Tutti quelli che non seppero farsi piccoli, che non riuscirono a  Tutti quelli che non seppero mentire senza   servisse a qualcosa. Tutti quelli che non  davanti al lampo della verità. Tutti quelli che un ardente desiderio degli dèi scomparsi. Tutti  che non fecero amicizia con coloro della cui lingua non
capivano neppure una parola. Tutti quelli che non  gli schiavi. Tutti quelli che non affogarono nella compassione. Tutti quelli che si vergognavano di non aver ucciso un uomo. Tutti quelli che non si lasciarono depredare per gratitudine. Tutti quelli che non si rifiutarono di abbandonare la Terra. Tutti quelli che non seppero mai dimenticare che cos’ è un nemico. Tutti quelli che non s’insuperbirono della loro schiena diritta. Tutti quelli che non si spogliarono mai dei loro averi. Tutti quelli che non si lasciarono mai ingannare e tutti quelli che dimenticarono quanto fossero stati ingannati. Tutti quelli che non tagliarono la testa alla loro supponenza, tutti quelli che per saggezza non sorrisero. Tutti quelli che per magnanimità non risero.
Tutte le vite mancate.
 E. Canetti, Il libro contro la morte, Adelphi, 2017, pp. 303-304.
***
Risvolto di copertina
Il libro più importante della sua vita, Canetti lo portò sempre dentro di sé ma non lo compose mai. Per cinquant'anni procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato i numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i contemporanei, con i grandi del passato e con i propri lutti familiari, andava prendendo giorno dopo giorno su uno dei temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte, contro la violenza del potere che afferma se stesso annientando gli altri, contro Dio che ha inventato la morte, contro l'uomo che uccide e ama la guerra. Una battaglia che era un costante tentativo di salvare i morti – almeno per qualche tempo ancora – sotto le ali del ricordo: «noi viviamo davvero dei morti. Non oso pensare che cosa saremmo senza di loro». Sospeso tra il desiderio di veder concluso Il libro contro la morte – «È ancora il mio libro per antonomasia. Riuscirò finalmente a scriverlo tutto d'un fiato?» – e la certezza che solo i posteri avrebbero potuto intraprendere il compito ordinatore a lui precluso, Canetti continuò a scrivere fino all'ultimo senza imprigionare nella griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi brevi e icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti paradossi. Quel compito ordinatore è assolto ora da questo libro, complemento fondamentale e irrinunciabile di Massa e potere: ricostruito con sapienza filologica su materiali in gran parte inediti, esso ci restituisce un mosaico prezioso, collocandosi in posizione eminente fra le maggiori opere di Canetti.

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Barbara Botter – Aristotele non voleva essere un teologo e la teologia era da lui ritenuta una narrazione poetica sui “viventi immortali e felici”.

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Aristotele e i suoi dei

Aristotele e i suoi dèi

Barbara Botter

Aristotele e i suoi dèi

Un’interpretazione del III libro del De philosophia

Carocci Editore, 2011

Collana: Biblioteca di testi e studi

ISBN: 9788843060702

Quarta di copertina
Lamolteplicità di lineamenti assunta dalla teologia aristotelica nell’insieme delle opere del Corpus e spesso all’interno di una stessa opera ha provocato un certo disagio, spesso accompagnato da una pungente polemica, tanto fra gli interpreti antichi di Aristotele, quanto fra i medievali e i moderni. In epoca antica, l’atteggiamento politeistico di Aristotele provocò disorientamento nell’epicureo Velleio. Teologi cristiani e musulmani utilizzarono la dottrina teologica di Aristotele per fondare la visione monoteistica della divinità, benché le differenze con il Dio della Bibbia fossero sotto gli occhi di tutti. Questo divenne un pretesto per scatenare una campagna di denigrazione contro lo Stagirita. Al-Gazali e Lutero ricoprirono Aristotele degli insulti più feroci, benché già Petrarca si fosse alquanto lasciato andare. La tradizione moderna cercò di assumere un atteggiamento più sfumato malcelando un sentimento di rassegnazione. Attraverso l’analisi dei frammenti del libro III dell’opera Sulla Filosofia l’autrice prova a ristabilire la verità storica: Aristotele non voleva essere un teologo e la teologia era da lui ritenuta una narrazione poetica sui “viventi immortali e felici”. Il filosofo antico usa il termine “dio” solo come attributo che può essere predicato ad enti differenti, a patto che essi occupino un grado di eccellenza. I pezzi del mosaico, rimessi insieme in quest’ottica, restituiscono così l’immagine aristotelica di “un dio”, ma non di “Dio”.

Dio e Divino in Aristotele

Dio e Divino in Aristotele

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La necessità naturale in Aristotele


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Salvatore Antonio Bravo – «Il giovane Marx», di György Lukács. L’intera opera di Marx è finalizzata dall’amore per l’umanità che si fa pensiero consapevole della disumanità di ogni condizione di alienazione, e di ogni reificazione negatrice della libertà.

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Il giovane Marx di György Lukács è un testo indispensabile per riconfigurare il pensiero di Marx, il filosofo ungherese ricostruisce la processualità genetica del pensiero di Marx, applica la categoria della totalità che gli consente di rappresentare la linea evolutiva-genetica del suo pensiero da cui emerge la personalità di Marx. Il filosofo di Treviri appare come un pensatore che non teme il rischio del nuovo, e specialmente non teme la solitudine e l’isolamento. Il confronto dialettico con la sua epoca svela, il filosofo con la sua personalità affilata, pronto alla critica, ad assumere posizioni filosofiche originali. La formazione giovanile, già nella sua tesi di laurea, nella quale pone a confronto il pensiero di Democrito ed Epicuro, rileva il fine sostanziale della sua opera: l’emancipazione sociale e politica. Hegel aveva interpretato Epicuro e la Stoa come momenti secondari della storia della filosofia. Marx interpreta Epicuro come un filosofo illuminista, il cui intento è la liberazione dell’uomo dalle paure che gli impediscono di vivere una vita degna d’essere vissuta: «Hegel, coerentemente con la sua teoria generale della storia della filosofia, aveva visto nella Stoa e nell’Epicureismo solo dei momenti di secondaria importanza dello svolgimento della filosofia ellenistico-romana che solo nello scetticismo sarebbe pervenuta alla vera sintesi. Marx invece considerò Epicuro come un illuminista, un ateo, un liberatore degli uomini dal timore divino e per questo lo collocò, nella sua valutazione della dissoluzione storica della filosofia antica, più in alto degli scettici».[1]

L’intera opera di Marx è finalizzata dall’amore per l’umanità che si fa pensiero consapevole della disumanità di ogni condizione di alienazione, e di ogni reificazione negatrice della libertà. Non a caso era Prometeo il mito prediletto dal filosofo. Marx interpreta Democrito in termini negativi, perché nel filosofo dell’atomismo prevale il meccanicismo negatore della dignità umana. L’uomo è pensiero, potenzialità critica ed elaborativa, dunque è libero, può sottrarsi al fatalismo degli eventi, riscattandosi da ogni determinismo: «Marx dimostrò che Democrito conosceva solo una necessità strettamente meccanica e negava pertanto il caso, mentre invece la filosofia epicurea conteneva elementi iniziali di una concezione dialettica del caso che apriva l’uomo la via verso la libertà».[2]

La libertà e la dialettica sono sin dalla Dissertazione di laurea i capisaldi del pensiero marxiano. Marx rielabora in modo originale anche il poeta-filosofo Lucrezio, nella cui opera prevalgono gli eroi che agiscono, pur in un mondo senza dei, senza gratificazioni trascendenti. Lotta e critica sono per Marx i fondamenti del pensatore. La prassi non è contrattabile, da questo la sua distanza dai giovani hegeliani, i quali si fermavano alla semplice critica, tralasciando la prassi: «D’altro canto l’immaturità politica dei Giovani hegeliani si manifestava nel fatto che essi fermavano alla critica della religione, alla diffusione dell’ateismo e in tal modo trascuravano i compiti centrali della lotta contro l’assolutismo feudale».[3]

La filosofia deve diventare pratica, solo la pratica è anche teorica. La distanza da Feuerbach diventa abissale, poiché Feuerbach si limita ad una critica antropologica della religione, ma non analizza le condizioni materiali del suo affermarsi. Solo l’analisi materiale delle condizioni di insorgenza della religione può consentire alla teoria di diventare prassi, poiché la prassi per trasformare le condizioni materiali di dolore e sfruttamento permettono di risolvere il problema religioso. La genialità di Marx è nel suo superare creativamente i limiti del pensiero di Hegel e Feuerbach. Da Hegel acquisisce la consapevolezza che la contraddizione è il motore della storia, mentre di Feuerbach rielabora il materialismo, rendendolo dialettico, non astratto, storicizzandolo grazie alla lezione storica hegeliana: «Marx iniziò dunque da un lato a criticare, sovvertendola, la dialettica mistificata e idealisticamente distorta di Hegel, e dall’altro, andando oltre Feuerbach, ad applicare il materialismo anche anche ai problemi della politica e della storia. Solo in tal modo egli potè, in modo creativo, sviluppare ulteriormente e sollevare ad un grado qualitativamente superiore ciò che Hegel e Feuerbach è fruttuoso e va nel senso del progresso. Il primo passo in tale direzione è la critica, condotta da un punto di vista politico radicale e filosoficamente influenzata da Feuerbach, della filosofia del diritto e dello Stato di Hegel».[4]

Marx rimette la filosofia di Hegel in piedi, ma in questa operazione di demistificazione dell’idealismo hegeliano, utilizza la lezione dialettica hegeliana, e il senso storico in esso presente completandolo col materialismo. L’effetto è di una filosofia originale e non di una semplice sintesi. Il materialismo dialettico è un mezzo di lettura della realtà sociale e politica, al fine di emancipare una umanità reificata e silenziosa. La libertà è possibile perché il materialismo dialettico libera da ogni processo di ipostatizzazione, di naturalizzazione. L’ipostatizzazione la si ritrova nell’eidos platonico come in Kant con le categorie ritenute ‘concetti puri’ atemporali e dunque al di là dei processo storico-politici: «Lo si ritrova in altra forma anche in Platone, e cioè nell’ipostatizzazione dell’eidos in un luogo trascendente al di là della realtà, come pure, in forma ancora diversa, cioè in un’accezione soggettivistica, in Kant, per il quale le categorie del mondo reale (causalità, molteplicità ecc.) staccate dalla materia di cui sono le determinazioni più generali, compaiono come “puri concetti dell’intelletto”». [5]

Il metodo ontogenetico marxiano ha la funzione di un rasoio, elimina ogni ipostatizzazione presente nell’idealismo oggettivo e soggettivo, consentendo la liberazione dalle catene che impediscono all’umanità di diventare protagonista della propria storia. Anche la proprietà è resa ipostasi e con essa il sistema vigente dagli economisti classici, Marx dimostra i processi materiali e storici di formazione della proprietà, dimostrando che il sistema vigente non è atemporale ma storico, temporale e dunque dialetticamente superabile. Dunque ogni accomodamento delle contraddizioni deve essere superata, la dialettica hegeliana conserva le contraddizioni con L’Aufhebung, si fa artefice di un’operazione di ipostatizzazione, il metodo marxiano invece non accetta compromessi, ogni riforma sociale risulta inefficace se il sistema politico che ha prodotto le catene sociale non è abbattuto radicalmente: «Dalla parte opposta c’è il partito teorico (i giovani hegeliani) , che prende le mosse dalla filosofia, si atteggia criticamente verso i suoi avversari ma acriticamente verso se stesso. Il suo errore principale è di vedere nell’attuale lotta solo la lotta critica della filosofia con il mondo tedesco e di non considerare che la filosofia fino ad allora sviluppatasi, appartiene pure a quel mondo […]. Con ciò Marx trae la conseguenza dalla scoperta che dall’idealismo hegeliano discende il suo accomodamento con le reazionarie condizioni dominanti ed il suo tentativo di giustificarle».[6]

La prassi non vuole compromessi, per cui il cambiamento rivoluzionario, il superamento delle contraddizioni, delle scissioni (il borghese-il cittadino) non può avere come protagonista la borghesia, classe della coscienza infelice irrisolta, ma deve avvenire mediante il proletario che accoglie l’infelicità di tutti, e si fa promotrice della liberazione di tutti. La filosofia si allea al proletariato, ne diviene organica perché dà ad essa i mezzi concettuali da trasformare in prassi per la liberazione dell’umanità tutta: «In tal modo è indicata però anche la prospettiva reale per la soppressione e la realizzazione della filosofia: dove il proletariato è stato spinto necessariamente alla sua esistenza materiale, lì è giunta anche la filosofia; la dialettica materialisticamente capovolta e diventata scienza, e il reale umanesimo, portano oltre i suoi limiti antropologici, trovano nel proletariato la forza di cui avevano bisogno quale arma capace di trasformarsi in loro sostenitrice e reale realizzatrice».[7]

Solo attraverso la rivoluzione sarà possibile l’emancipazione dal «geloso dio d’Israele» ovvero il denaro e la proprietà che vampirizzano l’umanità, la rendono merce, alienata a se stessa. Lὒkacs fa emergere contro ogni riduzionismo economicista che l’analisi economica di Marx non è affatto finalizzata a dare il primato assoluto all’economia, piuttosto l’analisi economica fa emergere le contraddizioni del sistema che sono connesse a piani di ordine giuridico e culturale in generale, la categoria della totalità si oppone per statuto epistemico ad ogni riduzionismo economico: «Sebbene dunque economia e filosofia abbiano nei Manoscritti una trattazione separata, le due critiche si illuminano l’una con l’altra reciprocamente, soprattutto perché Marx rinvia senza incertezze alla condizione storicamente affine di questi due indirizzi classici, avendo egli riconosciuto in essi l’espressione borghese, ideologicamente più elevata, della società capitalistica con tutte le sue contraddizioni. Il criterio per giudicare della grandezza e dei limiti dell’economia e della filosofia classica della borghesia, consiste per Marx in questo: se ed in quale misura esse esprimano apertamente […] queste contraddizioni, o se invece tendano ad eluderle».[8]

L’analisi lucacciana ci offre un ulteriore motivo per capire le ragioni della rimozione collettiva del pensiero marxiano. L’integralismo liberista, teme, e si difende dallo spettro di Marx, trattandolo come «un cane morto», ne teme i metodi di indagini che svelano e smascherano le mistificazioni dei nostri giorni tristi, ma specialmente teme ogni teoria che coniuga l’elaborazione alla prassi.

 Salvatore Antonio Bravo

 

[1] György Lukács, Il giovane Marx ,Editori Riuniti, Roma, 1978, p. 32.

[2] Ibidem, p. 34.

[3] Ibidem, p. 43.

[4] Ibidem. p. 58.

[5] Ibidem. p. 63.

[6] Ibidem. pp. 100-101.

[7] Ibidem. p. 104.

[8] Ibidem. p. 108.

 

 


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Kurt Vonnegut (1922-2007) – C’era un albero che faceva soldi. Gli uomini ne erano continuamente attratti e si uccidevano l’un l’altro attorno alle sue radici, diventando così ottimo fertilizzante.

Pablo Picasso, Massacro corea

Pablo Picasso, Massacro corea.

 mattatoio
«Trout aveva scritto un libro a proposito di un albero che faceva soldi. Aveva per foglie dei biglietti da venti dollari; i suoi fiori erano obbligazioni statali, i frutti diamanti. Gli uomini ne erano continuamente attratti e si uccidevano l’un l’altro attorno alle sue radici, diventando così ottimo fertilizzante».
Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5, Feltrinelli, 2015.

18Il bombardamento di Dresda.


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Punti Critici N° 5/6 (Dicembre 2001) – Scritti di A.G. Biuso, A. Martini, R.E. Proctor, L. Stefanini, G. Stelli, F. Vieri, L. Russo.

Punti Critici n. 5-6

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Comitato di direzione: Franco Ghione, Sandro Graffi, Paolo Maddalena, Angela Martini, Lucio Russo, Giovanni Stelli.
Comitato scientifico: Alberto Giovanni Biuso (Liceo Beccaria di Milano), Laura Catastini (Istituto Statale d’Arte, Pisa), Antonio Gargano (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Franco Ghione (Università di Roma Tor Vergata), Sandro Graffi (Università di Bologna), Antonio La Penna (Università di Firenze), Paolo Maddalena (Corte dei Conti per il Lazio e Università di Viterbo), Emanuele Narducci (Università di Firenze), Lucio Russo (Università di Roma Tor Vergata), Paolo Serafini (Università di Udine), Augusto Schianchi (Università di Parma), Giovanni Stelli (IRRSAE dell’Umbria, Perugia).

Segretaria di redazione: Carla Russo.


Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa  In questo numero

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 13-62

Giovanni Stelli,
La rivincita di Eutifrone-Didattica postmoderna e intelligemza artificiale

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 63-72

Fornaretto Vieri,
Didattica dell’dentità e didattica della differenza

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 75-98

Robert E. Proctor,
Le «arti liberali» negli Stati Uniti e il patrimonio culturale italiano

Logo Adobe Acrobat    Freccia rossa   pp. 99-124

Ledo Stefanini,
Le forme del laboratorio di fisica

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Angela Martini,

Equità ed efficcia nel sistema scolastico.
L’impatto delle nuove politiche educative


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Alberto Giovanni Biuso,
Sulla «Grande riforma» della scuola italiana

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Due appelli per la scuola


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Notizie sugli Autori

***




Per leggere le pagine

del n° 1.

coperta 01_pic

Punti Critici N° 1 (Maggio 1999) – Scritti di Fabio Acerbi, Giovanni Gallavotti, Sandro Graffi, Giovanni Lombardi, Paolo Radiciotti, Lucio Russo, Maria Sepe, Giovanni Stelli.

Per leggere le pagine

del n° 2.

Coperta N- 2

Punti Critici N° 2 (Settembre/Dicembre 1999) – Scritti di Paolo Maddalena, Alberto Giovanni Biuso, Giovanni Gallavotti, Sandro Graffi, Lucio Russo, Stefano Isola, Marco Mamone Capria, Angela Martini.

Per leggere le pagine

del n° 3.

Punti Critici N_3 g

Punti Critici N° 3 (Maggio 2000) – Scritti di Vladimir I. Arnold, Laura Catastini, Franco Ghione, Sandro Graffi, Pietro Greco, Giovanni Lombardi, Angela Martini, Emanuele Narducci, Lucio Russo.

Per leggere le pagine

del n° 4.

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Punti Critici N° 4 (Febbraio 2001) – Scritti di Fabio Acerbi, Piero Brunori, Giovanni Lombardi, Angela Martini, Paolo Maddalena, Lucio Russo, Ledo Stefanini, Mauro Zennaro.

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Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.

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Le parti degli animali

Le parti degli animali

«In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso (Ἐν πᾶσι γὰρ τοῖς φυσικοῖς ἔνεστί τι θαυμαστόν): e come si racconta che Eraclito abbia detto agli stranieri che volevano incontrarsi con lui, poiché mentre si avvicinavano si erano fermati, avendolo visto scaldarsi presso il focolare (li esortò ad entrare con fiducia perché anche lì vi erano dèi) (ἐν ἅπασιν ὄντος τινὸς φυσικοῦ καὶ καλοῦ), così pure bisogna avviarsi alla ricerca su ciascuno degli animali […] perché in tutte le cose naturali c’è qualcosa di naturale e di bello (ἐν ἅπασιν ὄντος τινὸς φυσικοῦ καὶ καλοῦ)».

Aristotele, Le parti degli animali, 645 a 16-23; traduzione, nota bibliografica, traduzione e commento di A.L.Carbone, BUR, Milano 2002.

 


Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.

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Duccio Demetrio – La filosofia è bene che torni a camminare per strada come ai suoi inizi.

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«Scelse la passeggiata pubblica, il Peripato, nel Liceo e,
passeggiando fino quando doveva ungersi
discuteva di filosofia con i discepoli.
Onde ebbe il nome di Peripatetico».
Diogene Laerzio,
Vite dei Filosofi, V, 1, 2.

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«La filosofia […] è bene che torni a camminare per strada come ai suoi inizi […] raccogliendo un ciottolo da palpare, da annusare».

 Duccio Demetrio,
Filosofia del camminare, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, p. 48.

 

 

 

«La poesia […] non può non penetrare tra un concetto e l’altro; ci stimola a rispettare le cose non solo a mutarle in discorsi, in parole, in riflessioni sagaci. Dal sentimento poetico più primitivo, religioso anche, ha avuto origine il pensare il mondo, la natura, la vita. Nessuno, quanto i poeti o i pellegrini, si è del resto avvalso con maggior costanza di questa metafora, rendendola via contemplativa, esercizio, fatica, esaltazione mistica […]. Quando il loro sguardo, che è anche il nostro, si è posato durante il viaggio sull’immensa varietà di quel che essi vedevano, scrutavano, raccoglievano strada facendo. Di quel che camminando in modo diverso, più assorto e attento insieme, ciascuno di noi può o poteva guardare con occhi nuovi sul ciglio della propria quotidianità».

Duccio Demetrio,
Filosofia del camminare, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, p. 29.

 

Quarta di copertina

La filosofia è nata in cammino. Si è perfezionata con Socrate nelle strade di Atene, nelle dispute sotto i portici dell’Accademia di Platone, nei giardini di Epicuro, nelle agorà di Alessandria e, in seguito, nella quiete dei chiostri monacali. Questo libro non si limita a rintracciare i momenti più suggestivi di tale storia. Suggerisce piuttosto al lettore di riscoprire il piacere del camminare meditabondo, senza preoccupazione per un itinerario prestabilito, per ripensare alla propria esistenza e guardare con occhi diversi le cose e il mondo.

 


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Giancarlo Paciello – Per il popolo palestinese. La trasformazione demografica della Palestina. Cronologia (1882-1950). Ma chi sono i rifugiati palestinesi? Hamas, un ostacolo per la pace? L’unico vero ostacolo: occupazione militare e colonie.

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Giancarlo Paciello 

 

008GPer il popolo palestinese


La trasformazione demografica della Palestina

da una comunità residente di lingua araba, costituita in prevalenza da musulmani, ad una comunità con una schiacciante maggioranza di ebrei, provenienti dall’Europa, dall’Asia e dall’Africa, nel 78% della Palestina (lo Stato d’Israele, dopo le guerre del 1948)

Premessa – Primo periodo: dal 1822 al 1921 – Secondo periodo: dal 1922 al 1931 – Terzo periodo: dal 1932 al 1947 – La rottura dell’equilibrio demografico in Palestina: la spartizione – Conclusioni

***

Cronologia (1882-1950)


ed inoltre

Ma chi sono i rifugiati palestinesi?

Il popolo palestinese e il diritto internazionale. Esiste il popolo palestinese, per i sionisti? La frantumazione di un popolo

***

Appendice documentaria

IL POPOLO PALESTINESE VISTO DALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

***

Hamas, un ostacolo per la pace?

L’unico vero ostacolo: occupazione militare e colonie

Premessa. 2 Il nazionalismo palestinese. 3 Il movimento islamico palestines. L’Intifada. a) La generazione dell’Intifada; b) L’organizzazione; c) La strategia; Medio Oriente in guerra. Il processo di pace. Camp David e l’Intifada al-Aqsa. Repetita juvant. Le ragioni della vittoria elettorale. Le ragioni della collera. L’ora della verità. Lezioni importanti. Slogan del passato.mReazioni e commenti 11. Conclusioni


008GPer il popolo palestinese

 

008G

Giancarlo Paciello,
Per il popolo palestinese


 

Giancarlo Paciello

La conquista della Palestina.
Le origini della tragedia palestinese
.
Con testi di Henry Laurens, Francis Jennings,
Zeev Sternhell, Norman Finkelstein, Gherson Shafir

indicepresentazioneautoresintesi

 



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Lev Semenovich Vygotskij (1896-1934) – Il miracolo dell’arte: ha la capacità di trasformare l’acqua in vino. La coscienza si riflette nelle parole che pronunciamo.

Vygotskij, Lev Semenovič01

Psicologia dell'arte

«Le parole di un racconto o d’un verso danno della realtà il senso letterale, la sua acqua; ma la composizione, creando su tali parole, al di sopra di esse, un nuovo significato, dispone il tutto su un piano completamente diverso, e lo converte in vino».

Lev S. Vygotskij, Psicologia dell’arte, Editori Riuniti, 1976, p. 218

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«Il vero compito della psicologia sta nell’ indagare la miscela allo stato fluido, la realtà psichica della società, non già la sua ideologia. Linguaggio, costumi, miti, sono semplicemente il risultato dell’azione della vita psichica sociale, non già il suo vivo processo».

Lev S. Vygotskij, Psicologia dell’arte, Editori Riuniti, 1976, p. 35

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La tragedia di Amleto, Editori Riuniti, 1973

La tragedia di Amleto, Editori Riuniti, 1973


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