Tucidide (460-399 a.c.) – Il rapporto tra i nomi e gli atti rispettivamente espressi dal loro significato fu stravolto e interpretato in chiave assolutamente arbitraria. La temerità irriflessiva acquistò valore d’impeto eroico, la cautela maschera decorosa per panneggiare uno spirito vile, la prudenza ritenuta un ripiego per celare la paura, l’intelligenza sollecita a scrutare ogni piega di un problema fu spacciata per totale inettitudine all’azione.

Tucidide 02

Il rapporto tra i nomi e gli atti rispettivamente espressi dal loro significato, […] fu stravolto e interpretato in chiave assolutamente arbitraria. La temerità irriflessiva acquistò valore d’impeto eroico al sacrificio per la propria parte; la cautela accorta di maschera decorosa, per panneggiare uno spirito vile. La prudenza fu ritenuta un ripiego per celare la paura, spregevole in un uomo; l’intelligenza sollecita a scrutare ogni piega di un problema fu spacciata per totale inettitudine all’azione. Si valutò la furia selvaggia e folle qualità veramente degna di un ingegno virile; il ponderare guardinghi gli elementi di un’iniziativa, per dirigerla sicuri, onesto schermo per ripararsi nell’ombra. Il sordo ringhio della critica, del malcontento, ispirava sempre fiducia; ma la voce che si levava a contrastarlo si spegneva ogni volta nel sospetto. Operare un tradimento con mano pronta e felice pareva indizio di svelta mente, e prevenirlo un traguardo di destrezza anche più fine. Sulla meditata rinuncia a uno di questi metodi s’addensava l’accusa d’essere un fattore d’eversione […]. E le affermazioni di lealtà scambievole non si radicavano nel benedetto terreno delle leggi […], ma nella complicità cosciente d’innumerevoli soprusi. Le proposte del partito avverso, pur quando apparivano immuni da obliqui scopi, venivano accolte, ma solo per premunirsi su concrete basi nell’eventualità che entrassero in vigore, non in ossequio a un senso di liberale fiducia. Era più gradito merito avere un’ingiuria da vendicare che non averne subita nessuna. Se mai si perveniva a un’intesa, fondata su giuramenti, il loro valore si esauriva in quell’istante […]».

Tucidide, La guerra del Peloponneso, III, 82.


Tucidide (460-399 a.c.) – Così presso molti la ricerca della verità viene trascurata, e a tal punto i più si volgono di preferenza verso ciò che è più a portata di mano

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Sofocle (496 – 406 a.C.) – Non cresce nulla di così brutto come il denaro per gli uomini: istruisce deviando le menti oneste a intraprendere turpi imprese, indica agli uomini l’uso di ogni crimine e la conoscenza di ogni empietà.

Sofocle 01

«Non cresce nulla di così brutto come il denaro per gli uomini: distrugge anche le città, allontana gli uomini dalle loro case, istruisce deviando le menti oneste a intraprendere turpi imprese, indica agli uomini l’uso di ogni crimine e la conoscenza di ogni empietà»

Sofocle, Antigone, vv. 295-301.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Democrito (460 – 370 a.C. circa) – I ragazzi abbandonati a se stessi non apprenderebbero né il leggere e scrivere né la musica né il vero fondamento della virtù, il senso dell’onore. L’istruzione produce le belle azioni imponendoci sforzi, mentre le azioni basse vengono da sé senza fatica.

Democrito, sulla fatica di studiare

«I ragazzi abbandonati a se stessi, [… abituati] a non faticare, non apprenderebbero né il leggere e scrivere né la musica né la ginnastica né ciò che più di tutto costituisce il vero fondamento della virtù, il senso dell’onore».[1]

***

«L’istruzione produce le belle azioni imponendoci sforzi, mentre le azioni basse vengono da sé senza fatica. E proprio queste, spesso, costringono ad esser tale [ignobile] suo malgrado un uomo che ha da natura l’animo disposto a debolezza».[2]

***

[1] Democrito, cfr. Stob., II, 57 (= 68 B 179 DK), trad. it. di V.E. Alfieri.

[2] Democrito, cfr. Stob., II, 31, 66 (= 68 B 182 DK), trad. it. di V.E. Alfieri.


Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Si deve essere veraci, non loquaci. Chi si compiace nel contraddire e chiacchiera molto non ha attitudine ad apprendere ciò che è necessario. Né arte né scienza si può conseguire da chi non apprende.
Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile.
Democrito (460 a.C. – 370 a.C.) – Ogni paese della terra è aperto all’uomo saggio: perché la patria dell’anima virtuosa è l’intero universo.
Democrito (460– 370 a.C.) – La tranquillità dell’animo nasce dalla misura e dalla armonia di vita.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Giamblico (245-325) – Una buona disposizione naturale è un dono della fortuna, mentre ciò che dipende solo dall’uomo è l’essere desideroso delle cose belle e buone, amante della fatica, precocissimo nel dedicarsi all’apprendimento e disposto ad applicarsi a queste cose per lungo tempo.

Giamblico 01

«Onori, premi e ogni specie di allettamento che dio ha concesso agli uomini, debbono necessariamente risultare da fatiche e sudori».[1]


«Per prima cosa, bisogna nascere con una buona disposizione naturale, e questo è un dono della fortuna, mentre ciò che dipende solo dall’uomo è l’essere desideroso delle cose belle e buone, amante della fatica, precocissimo nel dedicarsi all’apprendimento e disposto ad applicarsi a queste cose per lungo tempo».[2]

 

[1] Antifonte, cfr. Stob., IV, Mem., II, 1, 22-66 = 87 B 49 DK, trad. it. di M. Timpanaro Cardini.

[2] Anonimo di Giamblico, Protreptico, XX, 95, 23-27 = 89 1, 2 DK.

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Karl Polanyi (1886-1964) – La tesi della naturale inclinazione dell’uomo primitivo per le attività lucrose sostenuta da Smith è priva di fondamento. La causa della degradazione è la disgregazione dell’ambiente culturale, la perdita del rispetto di sé e dei valori.

Karl Polanyi 01

Il sistema economico è, in effetti, una mera funzione di organizzazione sociale. La tesi della naturale inclinazione dell’uomo primitivo per le attività lucrose sostenuta da Smith è priva di fondamento.

K. Polanyi


«Non è più l’economia ad essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali ad essere inseriti nel sistema economico. L’importanza vitale del fattore economico per l’esistenza della società preclude qualunque altro risultato […]. La società deve essere formata in modo da permettere a questo sistema di funzionare secondo le proprie leggi» (p. 74).

«La causa della degradazione non è, come spesso si è voluto asserire, lo sfruttamento economico ma la disgregazione dell’ambiente culturale della vittima. Il processo economico può naturalmente rappresentare il veicolo di questa distruzione e quasi sempre l’inferiorità economica porterà il più debole a cedere, ma la causa immediata della sua distruzione non è per questo economica; essa si trova nella ferita mortale alle istituzioni nelle quali la sua esistenza è materializzata. Il risultato è la perdita del rispetto di sé e dei valori, sia che l’unità sia un popolo o una classe, sia che il processo abbia origine da un cosiddetto conflitto culturale o dal cambiamento nella posizione di una classe all’interno dei confini di una società» (p. 202).

«Separare il lavoro dalle altre attività della vita ed assoggettarlo alle leggi di mercato significa annullare tutte le forme organiche di esistenza e sostituirle con un tipo diverso di organizzazione, atomistico e individualistico» (p. 210).

 

Karl Polanyi, La grande trasformazione, introduzione di Alfredo Salsano, traduzione di Alberto Vigevani, Einaudi, Torino 1974.

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Gaio Petronio Arbitro (27-66) – Quando gli uomini amavano ancora la verità senza orpelli, allora le arti fiorivano veramente. Ora è l’avidità del guadagno che …

Petronio Arbitro

«È l’avidità del guadagno che ha fatto uscire le arti di moda. Nel buon tempo andato, quando gli uomini amavano ancora la verità senza orpelli, allora le arti fiorivano veramente …
Non vi meravigliate se la pittura non è piu in auge: ora che dèi e uomini insieme cospirano a glorificare un mucchietto d’oro».

Gaio Petronio Arbitro, Satyricon, capitolo 88, Rizzoli, Milano 1987.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Konstantin S. Stanislavskij (1863-1938) – Chi, durante uno spettacolo, non “recita”, non forza ma agisce veramente in modo produttivo e si mantiene in una costante atmosfera di vita, di verità, di convinzione, di “io sono”, costui vive sulla scena il “vero”.

Stanislavskij Konstantin 01

«Chi, durante uno spettacolo, non “recita”, non forza ma agisce veramente in modo produttivo, coerente e senza interruzioni; chi riesce in scena a stabilire dei contatti solo col suo compagno e non con il pubblico; chi non evade mai dalla parte e dalla commedia e si mantiene in una costante atmosfera di vita, di verità, di convinzione, di “io sono”, costui vive sulla scena il “vero”».

Konstantin S. Stanislavskij, Il lavoro dell’attore, trad. it. Laterza, Roma-Bari 19682, p. 176.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Aristosseno (375-322 a.C.) – Il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze, perché l’amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni.

Aristosseno

«Diceva Aristosseno che il vero amore del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l’amare e il voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della vita è, se mai, la spoglia del vero amore».

Giovanni Stobeo, Florilegium, III, 1, 101.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Aristotele (384-322 a.C.) – Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso che offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo.

Aristotele-Berti autenticamente filosofo

«Per studiare il processo della generazione, cioè della nascita, in tutte le sue fasi, nulla di meglio che rileggere il De generatione animalium, dove tale processo è oggetto di una descrizione famosa».

Enrico Berti, Natura e generazione degli animali in Aristotele,
in «Kriterion», Revista de Filosofia, vol. 51 no. 122, Belo Horizonte,  July/Dec. 2010.


«E perfino circa quegli esseri che non presentano attrattive sensibili, tuttavia, al livello dell’osservazione scientifica la natura che li ha foggiati offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo […]. Non si deve dunque nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso».

Aristotele, De partibus animalium ,I, 5, 645 a 7-17 (traduzione di Enrico Berti).


Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare
Aristotele (384-322 a.C.) – In qualunque campo si raggiungerebbe la migliore visione della realtà, se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo e fin dalla prima origine.
Aristotele (384-322 a.C.) – Il fatto di vivere è comune anche alle piante. Ciò di cui andiamo in cerca per l’uomo è qualcosa di specifico. Il bene umano risulta essere l’attività dell’anima secondo virtù in una vita umana compiuta, in atto nel senso più proprio. un solo giorno o un breve periodo di tempo non rendono beato e felice nessuno.

Nell’immagine in evidenza:

Ristampa dell’edizione del 1524. Contiene i tre principali trattati di biologia di Aristotele (De historia animalium, De partibus animalium e il De generatione animalium) conosciuti a partire dal Cinquecento con il titolo di De Animalibus, nella traduzione di Teodoro Gaza e in quella parziale di Pietro Alcionio. Cfr. Schreiber, Colines 96.


Enrico Berti
Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.
Enrico Berti – Per una nuova società politica
Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.
Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.
Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno
Enrico Berti – È risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica. Di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Anche le più famose negazioni di essa sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa.
Enrico Berti – Nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, ma deve costar caro […].
Enrico Berti – «Scritti su Heidegger».
Enrico Berti – Recensione al libro di Maurizio Migliori, «Il “Sofista” di Platone. Valore e limiti dell’ontologia». Per migliori il “Sofista” mostra che in Platone l’amore del dialogo supera ogni desiderio di affermare tesi particolari.
Enrico Berti – La crematistica va contro la stessa natura dell’uomo, è ingiusta e immorale. Vorrei una città in cui l’uomo realizzi tutte le proprie capacità, non solo fisiche, ma anche spirituali, per mezzo dell’educazione, dell’arte, della scienza, della filosofia.
Enrico Berti – Aristotele non era un teologo.
Enrico Berti – La fortuna di Aristotele nella storia della cultura. Oggi le sue idee sono tornate in auge in tanti modi: come l’irreversibilità del tempo di I. Prigogine, l’unità mente-corpo o il continuo matematico in R. Thom. Fanno sorridere le accuse rivolte ad Aristotele da Heidegger e dai suoi inconsci epigoni.
Enrico Berti – Pensare con la propria testa? La filosofia deve essere insegnata a tutti per sviluppare in ciascuno la razionalità, lo spirito critico, la capacità di “pensare con la propria testa”. Filosofare significa fare filosofia insieme con i grandi filosofi, “confilosofare” con loro.
Enrico Berti – Il platonismo ha il grande merito di mostrare che c’è un’altra possibilità, che dunque la giustizia è possibile. Un messaggio che lascia indifferente chi se la spassa, ma non chi soffre, lotta e spera. Non si tratta, con buona pace di Nietzsche, di nichilismo, né passivo né attivo, né, con altrettanta pace di Heidegger, di oblìo dell’essere, ma di autentico impegno, filosofico, etico e politico.
Enrico Berti – Nuovi studi aristotelici. Volume V – Dialettica – Fisica – Antropologia – Metafisica
Enrico Berti – Il dio di Aristotele.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Theodor L. Adorno (1903-1969) – Il fatto che la filosofia metafisica, quale storicamente coincide in sostanza coi grandi sistemi, abbia più splendore di quella empiristica e positivistica non è un elemento meramente estetico.

Theodor Ludwig Adorno 004

«Il fatto che la filosofia metafisica, quale storicamente coincide in sostanza coi grandi sistemi, abbia più splendore [Glanz] di quella empiristica e positivistica non è un elemento meramente estetico [ …] e neppure un adempimento di desiderio psicologico. La qualità immanente di un pensiero: ciò che in esso si manifesta come forza, resistenza, fantasia, come unità dell’ elemento critico con il suo contrario, è se non un index veri, almeno un sintomo».

Theodor Ludwig Adorno, Dialettica negativa, trad. it. di C.A. Donolo, Einaudi, Torino 1970, pp. 347-348.


Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – L’idea di un fare scatenato, di un produrre ininterrotto attinge a quel concetto che è servito sempre a sancire la violenza sociale come immodificabile.
Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.
Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – Una società emancipata è la realizzazione dell’universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore dovrebbe richiamare l’attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi […] e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura.
Theodor L. W. Adorno (1903-1969) – È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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