Salvatore Bravo – La filosofia umanizza, strappa l’essere dall’abbandono in cui vive, per consegnarlo a se stesso, al suo progettare nella storia. Scindere la verità dalla prassi e dalla responsabilità dispone l’essere umano alla passività. Ma così la filosofia diviene gioco ed intrattenimento per mediocrità acculturate.

Martin Heidegger- Enrico Berti 02 copia
Enrico Berti

Scritti su Heidegger

ISBN 978-88-7588-241-9, 2019, pp. 176, , Euro 15
indicepresentazioneautoresintesi
Salvatore Bravo

L’uomo filosofia.

La filosofia umanizza, strappa l’essere dall’abbandono in cui vive, per consegnarlo a se stesso, al suo progettare nella storia. Scindere la verità dalla prassi e dalla responsabilità dispone l’essere umano alla passività. Ma così la filosofia diviene gioco ed intrattenimento per mediocrità acculturate.

La filosofia umanizza

L’epoca di privazione

Storia e storiografia espressione della tecnica, dell’idiotismo specialistico

La mediocrità dell’utile

L’essente che pensa

Il chiarore della filosofia

Filosofia e responsabilità storica

La filosofia umanizza
La definizione della filosofia è sempre stata ardua. Molti pensatori hanno elaborato il concetto di filosofia concordi sul punto che essa è il sapere che ha per oggetto la verità, la quale non è solo l’oggetto della filosofia, ma specialmente il soggetto che la muove, che la dispone alla ricerca.
Senza verità non vi è filosofia, non vi è umanità, ma solo il regno dell’esattezza consegnato all’immediatezza dell’accidente: l’essere umano diviene, così, il servo delle circostanze, è nel flusso della storia, non la pensa, non le dà il fine, semplicemente si adatta disperatamente a ciò che la contingenza gli offre.
Senza destino e senza storia l’essere umano diviene simile ad un automa senza identità. Macchinalmente obbedisce a ciò che gli è estraneo: è lo straniero a se stesso ed alla storia. Si nutre di parole alienate che lo plasmano, senza dargli identità, senza donargli lo spessore del pensiero: è essente tra gli essenti.
La filosofia umanizza, in quanto strappa l’essere dall’abbandono in cui vive, dalla tempesta dei flutti, per consegnarlo a se stesso, al suo progettare nella storia, al suo porre la storia senza titanismo onnipotente, perché il porre la storia dev’essere mediato dalla consapevolezza che il presente ed il futuro sono categorie e segmenti inseparabili dal passato.

L’epoca di privazione
Pensare filosoficamente il presente significa ricongiungere ciò che appare diviso; la divisione senza dialettica è tipica dell’epoca di privazione in cui versiamo, nella quale la filosofia è respinta in nome dell’utile immediato, del calcolo, dell’esattezza senza “spirito”, senza “Geist”, al suo posto vi è solo il plusvalore calcolato sulla e nella carne viva dei popoli.
Heidegger definisce l’uomo «filosofia» come l’essere ripensante, ovvero l’essere umano è nella filosofia, a cui appartiene per destino. Filosofare è ripensare l’origine; il fondamento si svela e rivela pensando il presente, ricongiungendolo al fondamento, attraverso il cui chiarore, intravedere il futuro. Senza tale “prassi” non vi è che la cecità del presente, l’incardinamento violento in un eterno presente fuori del tempo e della storia degli uomini e delle donne:

«L’uomo “filosofia” in quanto è l’uomo ri-pensante. Muovendosi in questo tipo di pensare, l’uomo soggiorna nella contrada di ciò che per tale pensare rimane il pensando. Questo pensando e sempre anche, in qualche modo, già pensato è il luogo del soggiorno per l’uomo nella misura in cui filosofia. Questo luogo di soggiorno è la filosofia». [1]

 

Storia e storiografia espressione della tecnica, dell’idiotismo specialistico
L’essere umano fa filosofia nella storia. Pensare la storia significa pensare il presente, ma per pensare il presente è necessario ritrovare il fondamento, il telos nascosto che – con il filo d’Arianna della ragione olistica – consente di uscire dalla caverna degli dèi falsi e bugiardi e dei miti della tecnica. Si oscurano gli orizzonti per segmentare la storia in periodi senza verità, in cui l’oggetto della ricerca sono i documenti letti con la sola ambizione di comprenderne i fatti empirici rimuovendo ogni possibilità che tra i fatti empirici possa esserci e sbiluccicare la luce della verità.
La storiografia diventa espressione della tecnica, dell’idiotismo specialistico che astrae una parte dal tutto, per accumulare un numero infinito di informazioni prive della loro verità. La storiografia diventa parte del computare, del calcolare, della quantità che, sovrana, inibisce ogni pensare e poetare profondo. Si resta in superficie, si scambia il fenomeno e la sua quantificazione per verità, anzi quest’ultima è associata al calcolo, l’indistinzione, l’omologazione delle parole corrisponde al regno dell’inautentico della sola tecnica senza verità:

«Nella misura in cui l’uomo storico ri-pensa all’avvenire a partire dalla provenienza e al provenire a partire dall’avvento, e dunque ri-pensando pensa il presente, egli pensa ciò che è. L’uomo storico pensa. Ecco perché nella storia ci sono epoche povere di pensiero e prive di pensiero. L’uomo storico pensa. Filosofa. L’uomo storico sta nella filosofia. C’è invece senz’altro bisogno di una conduzione affinché l’uomo storico, nel luogo in cui già soggiorna goffamente e facilmente dimenticandolo, acquisti dimestichezza e solo così impari l’autentico abitare. L’uomo storico pensa storicamente, cioè in base a ciò che è destinalmente co-mandato nel mandato mandantesi –a-lui. La storiografia pensa ammesso che sia in generale lecito chiamare così il suo rappresentare astoricamente. Essa trascura necessariamente ciò che ha natura destinale, e parla solo accidentalmente e spensieratamente di destino».[2]

 

La mediocrità dell’utile
Il regno dell’assoluta peccaminosità come l’ebbe a definire Fichte, è l’epoca dell’assoluta mediocrità, dove l’utile è l’unico paradigma con cui si misurano gli essenti ed i concetti. Il regno dell’utile è il luogo dell’ostentazione della forza, della ricchezza, del narcisismo regressivo. Tutto è in mostra, tutto è in vendita, ma dalle vetrine luccicanti della mediocrità è rimosso l’essenziale: l’oblio è la caratteristica del regno dell’utile e della tecnica. La verità che non solo è occultata, ma ad essa si associano crimini e violenze, è criminalizzata, in modo da orientare l’opinione pubblica a rifiutarne il solo concetto, in tal maniera “la superficie” può cancellare ogni differenza, continuità e senso:

«L’intelligenza del mero computo dell’utile e del successo è l’intelligenza della mediocrità che resta mediocre anche quando agisce su scala politico – economica mondiale. Anche in questo caso è già all’opera un oblio che non viene controbilanciato dall’ostentazione di ricchezza, di moralismo e umanitarismo democratico». [3]

L’essente che pensa
L’essere umano, malgrado le manipolazioni, resta l’unico essere che per natura può e deve pensare, perché senza il pensiero rammemorante (Andenken) è solo essente senza storia:

«L’uomo è, fra tutti gli essenti, l’essente che pensa. L’uomo è l’essente pensante».[4]

Non è un caso che nella Filosofia dello Spirito assoluto Hegel ponga l’arte, la religione e la filosofia tra le espressioni eterne dell’umano in cui la verità, e non l’esattezza, è dinamicamente e storicamente conservata. La filosofia in quanto verità è concetto, e dunque pensiero della verità che va ripensata nella storia.

 

Il chiarore della filosofia
La filosofia è degli esseri umani, per Heidegger è la condizione perché vi sia umanità. La filosofia è intorno all’essere umano, è l’aureola di luce pensante che impedisce la regressione ad uno stadio ferino, al confondersi dell’umano con il non umano, è l’immanenza viva, il salto metafisico verso l’universale a cui l’umanità tende e che la connota, è il chiarore senza il quale, non vi sarebbe storia, ma solo la notte della contingenza. La filosofia è il chiarore che sta tra il cielo e la terra, poiché svela, nel suo apparire incompleto e nascosto, ciò che unisce, trascende la frammentazione della rappresentazione empirica ed immediata. La filosofia alza il velo di Maya della semplice giustapposizione

«La filosofia non è una materia di insegnamento, non è un campo del sapere che si trovi da qualche parte fuori dell’essere umano essenziale. La filosofia è intorno all’uomo giorno e notte, così come lo sono il cielo e la terra, anzi ancor più vicini di questi, allo stesso modo del chiarore che sta tra cielo e terra, ma che l’uomo quasi sempre trascura di vedere perché ha a che fare solo con ciò che gli appare nel chiarore. Talvolta, quando fa buio, l’uomo fa esplicitamente attenzione al chiarore intorno a lui. Ma proprio allora non se ne cura più, perché sa che il chiarore ritornerà». [5]:

La filosofia è il pensatore che pensa il fondamento (Grund), essa non è materiale astratto da cui astrarre ed ordinare informazioni: la filosofia è il pensatore che pensa la verità dell’essente. La filosofia è nella natura dell’essere umano, e malgrado gli apparati di potere possano limitarne la vita, dichiararne la morte presunta, è eterna, o meglio sarà viva fin quando gli esseri umani saranno parte del mondo della vita:

«Nel pensiero fondamentale di un pensatore è pensato ciò che dà il “fondamento” per quello che ogni pensatore pensa. Il pensatore pensa ciò che è. Pensa l’essente. Il pensatore pensa l’essente in quest’unica prospettiva: che l’essente è e che cosa l’esente è».[6]

Filosofia e responsabilità storica
Il filosofare heideggeriano si sofferma sul “pensiero abissale”. Non si può non evidenziare che il valore della verità è, anche, nella prassi, nella trasformazione di sé e della storia. Senza la prassi la verità è depotenziata del suo contenuto trasformativo e rivoluzionario. La prassi è la responsabilità dell’essere umano nella verità.
Filosofare è dunque responsabilità, capacità di discernere, argomentando, l’opinione dalla verità. Il soggetto umano pone la storia per viverla attraverso il processo dialettico alla cui responsabilità è inscindibilmente legato. Scindere la verità dalla prassi e dalla responsabilità rischia di disporre l’essere umano alla passività, all’attesa del destino veritativo che si deve rivelare senza “Streben”, senza la fatica del concetto (Begriff) che esige l’elaborazione trasformativa e corale nella storia degli uomini e delle donne. Non si può attendere la verità. Occorre mettersi in ascolto. La verità filosofica invoca la partecipazione responsabile. L’attività pensante è l’atto politico a cui è chiamata e vocata l’umanità per natura. La filosofia è catabasi (discesa) nella vita di tutti, disposizione socratica allo scambio dialogico. Altrimenti la filosofia diviene gioco ed intrattenimento per mediocrità acculturate.

Salvatore Bravo

 

[1] M. Heidegger, Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare, Bompiani, Milano 2018, pag. 17.

[2] Ibidem, pag. 155.

[3] Ibidem, pag. 93.

[4] Ibidem, pag. 18.

[5] Ibidem, pag. 45.

[6] Ibidem, pag. 109.